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‘In luogo cospicuo’: il complesso architettonico di S.
Anna a Modica
di Lina Ammatuna*
1. L’imponente mole del convento di S. Anna e S. Calogero s’inserisce,
a Modica, pressoché al sommo del declívio della collina del ‘Dente’ (‘o
renti = Oriente): “I Minori Riformati sotto il titolo di S. Anna, in
luogo cospicuo dove il destro lato della valle tende ad oriente, abitano un
ampio monastero dall’anno 1639”1 .
Il complesso architettonico infatti si erge a ridosso di ‘Cartellone’, uno
dei quartieri più intricati e suggestivi del tessuto urbano della Città, in uno
dei primi siti qui edificati per la felice posizione ad oriente e l’abbondanza
di sorgive confluenti nel sottostante torrente. Alto e solenne balcone, da esso
è possibile mirare tutta la vallata e gli edifici più rappresentativi della
Città. Circondato da altri conventi e monasteri (antichi o più moderni), resta
anche oggi attraversato da atmosfere seicentesche e dal silenzio dei secoli
trascorsi.
Il convento fu fondato nel 1639. Ma l’edificio costituisce il possente
ampliamento di un precedente conventino ivi presente – sembra – dal 1613, con
annessa chiesetta dedicata inizialmente a S. Calogero2 .
Da Placido Carrafa, che pubblica nel 1653 il suo Motucae descriptio seu
delineatio, sappiamo (pur con una certa enfasi espressiva) che già in
quell’anno “a somiglianza di questo Convento – se è concesso dirlo – nessun
altro in Sicilia riteniamo s’innalzi più superbo e magnifico”3 .
L’edificio andò strutturandosi intorno ad un cortile/chiostro centrale,
pressoché quadrato, con ambulacri inferiore e superiore forniti di doppio
ordine di loggiato aperto. Quanto alla più grande chiesa, la cui costruzione
veniva ancora auspicata nel 16504 , essa venne distesa sul
fianco-nord del convento, e sul portale d’ingresso troviamo incisa la data del
1686.
2. Chi fu il progettista dell’ampliato complesso conventuale?
Paolo Nifosì, storico dell’arte della Sicilia Sud-Orientale, ha individuato
un prezioso documento ove si riferisce come frate Marcello da Palermo,
francescano ‘strictioris ordinis’ – ossia degli Osservanti Riformati –
che risiedeva proprio nel convento di Modica, e che aveva disegnato la nuova
(pre-terremoto) pianta della fabbrica di S. Giorgio di Modica (1643), sia
stato, in quei medesimi anni, ‘maestro ingegniero della fabbrica di
Sant’Anna’ 5 .
Il terremoto dell’11 gennaio 1693 che sconvolse il Val di Noto, danneggia
parte del convento provocando danni valutati 200 onze, come leggiamo in una
relazione riguardante i danni provocati dal terremoto sulle architetture
religiose nella parte bassa della Città, conservata nell’Archivio Capitolare di
San Pietro6 .
Agli anni successivi al terremoto sembrano risalire almeno gli stucchi
delle volte di quelle due grandi sale (distese lungo pressoché tutto il piano
terra prospiciente la vallata), che presumibilmente costituivano l’aula
capitolare ed il refettorio, ma forse anche il rifacimento delle volte stesse,
come testimonia la data 1696 incisa su uno dei conci di chiave della volta
dell’attuale sala di studio dell’Archivio di Stato (oggi opportunemente
allogato, appunto, nel Palazzo S. Anna).
Una lapide in marmo, con incisa la data del 1712 (ulteriore tappa della
costruzione: del pavimento del chiostro?), è stata recentemente (1999)
rinvenuta nel chiostro (… ove un’infausta mano l’aveva utilizzata per coprire
lo sbocco di una grondaia).
Al 1746, data dipinta sulla volta dell’abside, risalgono gli affreschi a ‘trompe
l’oeil’ all’interno della chiesa. P. Nifosì attribuisce a Gaspare (1691-1779)
o a Giovanni Ciriaci, pittori romani, tale scenografica decorazione per
analogia stilistica con la decorazione, effettuata dai Ciriaci in quei medesimi
decenni, del soffitto ligneo della chiesa madre di Comiso e di quello della
chiesa del SS.mo Nome di Gesù, sempre a Comiso7 : ulteriore
testimonianza, dunque, del puntuale dialogo di questo Territorio con altre
realtà culturali. Gli stucchi, settecenteschi8 , secondo il
Belgiorno9 sarebbero opera del Gianforma;
l’attribuzione tuttavia resta dubbia.
Le fonti d’archivio da cui trarre elementi certi sulla vicenda storica
dell’edificio conventuale si esauriscono qui, per riprendere poi con la
fondazione, nel 1872/75, dell’Ente ‘Liceo Convitto’.
3. La fondazione culturale ‘Ente Autonomo Liceo Convitto’,
acquisendo nel 1878 la proprietà del convento e dell’annessa chiesa, affida il
progetto di ristrutturazione, in funzione delle proprie finalità statutarie
(di promozione scolastica e culturale), all’ing. Salvatore
Toscano, allora ‘ingegnere comunale’. Il progetto viene consegnato il 30 aprile
1879. I lavori, affidati a Giovanni Pluchino, capomastro, e per quelli di
falegnameria a Vincenzo Gennaro, iniziano nel 1885 per concludersi nel 1890;
nel 1893 il collaudo dell’ing. Sergio Sallicano da Noto10 .
La destinazione (parziale o totale)
a Convitto per studenti provoca profonde modifiche nella struttura e
nella distribuzione degli ambienti dell’antico convento. Difficile risulta una
ricostruzione delle fasi della ristrutturazione non avendo trovato materiale
grafico d’archivio ma potendoci avvalere solo di una relazione, o meglio di una
stima dei lavori da eseguire nell’edificio, ritrovata nell’Archivio dell’Ente11 .
Da essa è possibile intuire alcuni degli interventi operati, in primo luogo
di quello più determinante che elimina, nel chiostro, il loggiato del
piano superiore con “archi, colonnette e zoccolo di base”12 .
Viene eliminata all’interno di tale piano una doppia fila di celle (che
dovevano essere certamente arretrate rispetto al loggiato aperto); si realizza
poi un ampio corridoio che percorre le quattro ali e che affaccia, con due
finestre per lato, sul chiostro sottostante, mentre sui prospetti all’esterno –
a tramontana, a levante e a mezzogiorno – si creano ampie stanze, che si
susseguono.
Intatto è rimasto invece il loggiato del piano terra dove 18 colonne di
fattura seicentesca, ricavate da un unico blocco calcareo, sorreggono con
eleganza gli archi che, con autonoma ed apprezzabile intenzionalità
progettuale, permangono leggermente acuti; 8 semicolonne sono addossate ai
quattro pilastroni angolari. I capitelli si presentano uguali su tre lati,
ornati da quattro semplici foglie d’acanto, mentre quelli del quarto lato
(prossimo all’aula capitolare) sono più ricchi ed elaborati.
Il chiostro racchiude al suo interno una cisterna, la cui vera
costituisce il centro di un magnifico disegno formato dalla sapiente
disposizione delle lastre di calcare, sagomate a formare volute e schemi
geometrici, e dei ciottoli che si innestano nel disegno a costituirne il fondo.
Gli altri interventi ottocenteschi furono operati principalmente sulle
scale a cui fu cambiato andamento: soprattutto sullo scalone principale,
adiacente l’ingresso, chiaramente ricostruito invadendo con gli archi di
appoggio l’antica armeria; fu inoltre eliminato il collegamento con i
sottostanti dammusi.
L’ingresso principale, oggi con due robuste colonne laterali
(emergenti per circa tre quarti della loro circonferenza massima) e con solenne
trabeazione, era, ed è tuttora, ubicato – spostato, se pur non di molto,
rispetto all’antico – sul prospetto laterale, a tramontana, antistante la
grande spianata. Ma il prospetto più rilevante dell’edificio in realtà è quello
che affaccia sulla Città, a levante, dove si susseguono le sette grandi
finestre del piano terra e, in corrispondenza, i sette balconi del primo piano;
il finestrone centrale del piano terra è ornato di un finto balcone – appoggiato
ad una scarpa – formato da una balaustra con colonnine in pietra. Tali aperture
sui tre prospetti – a levante, a tramontana, a mezzogiorno – sono frutto,
anch’esse, di modifiche di quelle preesistenti (più piccole e più numerose).
Il piano terra (da considerarsi tale rispetto al livello del chiostro verso
cui, all’interno, esso si apre) dell’ala a levante poggia su alti dammusi (oggi
restaurati), che si aprono pienamente (soltanto sul prospetto) verso la
vallata.
Alla sommità della facciata principale è innestata sul cornicione di
coronamento, alto e con pronunciato aggetto – conseguente anch’esso la
ristrutturazione –, una gigantesca aquila in calcare, di ottima fattura
artigianale, con il blasone ed il cartiglio della ‘Contea di Modica’, la cui
memoria permane viva nella consapevolezza della Città.
Sul prospetto a mezzogiorno vengono successivamente aperti tre balconi che
danno su un terrazzo che si distende su un’alta scarpa di sostegno13 .
Nel 1891 viene aperta, alle spalle del convento, l’attuale via
Liceo Convitto e di conseguenza viene costruito il ponticello che anche
oggi collega l’edificio all’orto superiore (recentemente sistemato a giardino)14 .
L’orto di Sant’Anna finì quindi per restare diviso in una parte a
monte della nuova strada e in una più ampia parte a valle, direttamente
accessibile dall’interno del Convento.
L’orto inferiore (a parte l’accesso precedentemente forse più ampio e
comodo) non ha subito grandi trasformazioni; in esso troviamo una grande
‘gebbia’ sopraelevata, con comoda apertura su un lato (e non sulla volta) cui
si accede per una scala in muratura, e il sistema di canalizzazione dell’acqua
per l’irrigazione che, da una grossa fontana ai piedi della gebbia, si
distribuiva (e può distribuirsi tuttora) nell’orto scorrendo nelle saje,
canalizzazioni in pietra affondate nel terreno. L’orto era un tempo molto ricco
di piante: in un documento stilato per l’acquisto dell’orto di Sant’Anna si
elencano numerosi alberi da frutto, venticinque pergole e ben cento agrumi,
suddivisi quest’ultimi per classe15 .
Annotiamo infine che nel 1893 si costruisce il muro di sostegno e una
porzione del muro della Chiesa16 e nel 1895 viene sistemato
l’ampio cortile esterno17 .
Il terremoto del 1693 e la ristrutturazione ottocentesca non sembrano
aver toccato sostanzialmente la grande aula chiesastica annessa al
convento, che pertanto costituisce una fra le poche testimonianze seicentesche
pre-terremoto rimaste in Città. I danni sono stati piutosto causati
dall’incuria, dopo che la chiesa venne sottratta al culto. La mancata
manutenzione dei tetti ha provocato infiltrazioni che, a lungo andare, hanno
indebolito la volta di ‘spuntatura’ fino a provocarne il crollo, e logorato le
quattro eleganti nicchie con statue, inserite in alto nelle pareti laterali.
Intatta è rimasta la parte absidale, dove si sono conservati i dipinti a trompe
l’oeil, e la copertura del coro – con le sue tre nobili ed elevate arcate
sorrette da colonne – che, disposto sul pronao, affaccia sull’aula18 .
Il crollo della zona centrale ha, invece, portato con sè la parte sommitale
degli stucchi che ornano le finestre e i pannelli della navata e ha
danneggiato, frantumandolo in gran parte, il pavimento: un geometrico disegno
costruito dal gioco della pietra bianca di Modica e della ‘pietra pece’,
l’asfalto molto usato nelle pavimentazioni locali dell’epoca.
Degli arredi della chiesa rimane oggi il grande piramidale altare maggiore,
di stile francescano, in legno rivestito di numerosissime lastrine di vetro
dorato. Altro tabernacolo dello stesso stile fa parte di u altare laterale. Un
ulteriore altare, simile per fattura nella parte superiore al maggiore, è
quello del Crocifisso (1638 19); il paliotto è però in
graniglia e marmi policromi.
Si fa appena cenno a due grandi tele (oggi rimaste) - S. Anna, sull’altare
maggiore, e l’Immacolata Concezione - perchè ricoperte da difese o
rimosse a seguito dei restauri in atto nella chiesa, e non ancora fatte oggetto
di studio.
NOTE
* (Modica, 1962). Laureata in Ingegneria civile-edile
presso l’Università degli Studi di Catania (1993).
Ha progettato e realizzato la
ristrutturazione del Palazzo Papa (in via Carlo Papa, a Modica). Attualmente ha
progettato, insieme agli Arcch. G. Sammito e F. Pompei, i lavori di restauro
del complesso edilizio di S. Anna a Modica.
(1) Vito Amico, Dizionario
topografico della Sicilia, tradotto dal latino ed annotato da Gioacchino Di
Marzo, Palermo 1855, vol. II pag. 146.
(2) Cfr., in questo stesso fascicolo
di Archivum Historicum Mothycense, lo studio di G. Poidomani, Il
convento di S. Anna dei Minori osservanti riformati a Modica nel 1650, pag.
13.
(3) “Floret reverenda Familia… Reformatorum
sub oraculo Sancti Calogeri, Divae Matris Annae superaddito nomine,
quo quidem Conventu (si verbis audacia detur) superbiorem in Trinacria atque
magnificentiorem putamus insurgere nullum”; P. Carrafa, Motucae
descriptio seu delineatio, nella ed. P. Vander, Lione 1725, col. 33.
(4) Cfr. G. Poidomani, op. cit,
pag. 13 e nota 24.
(5) Modica, Archivio di Stato (A.S.M.),
Lettere patenti VII, f 303v, Modica, 18.3.1649; cfr. Fondo Notarile, Not.
Raimondo de Francesco, n. 207, voll. nn.10-13, ff.100v-103r, Modica, 25.3.1643.
P. Nifosì e AA.VV., La chiesa di S.Giorgio di Modica, 1993, pagg. 8 e
33.
(6) Archivio Capitolare di S.
Pietro in Modica, vol. 19, f. 118. Cfr. P. Nifosì, Due chiese
tardobarocche, S. Pietro di Modica, S. Michele di Scicli, Modica 1987, pag.
29.
(7) P. Nifosì, La Chiesa Madre di
Comiso, in La provincia di Ragusa, n. 1/1992, pagg. III-IV.
(8) Una data – 1707 – è incisa in un
festone a stucco sull’arcone d’ingresso del pronao.
(9) F. L. Belgiorno, Modica e
le sue Chiese, Modica 1955, pag. 56.
(10) Archivio Ente Liceo Convitto (A.E.L.C.),
vol. 14 (Miscellanea 1874-1905) fasc. 4.
Durante i lavori l’ing. Toscano
compila inoltre 14 perizie suppletive, tutte approvate, riguardanti lavori
aggiunti e varianti al progetto primitivo, per un importo complessivo di £. 28.347,61.
(11) A.E.L.C., vol. 14, Miscellanea.
(12) L’informazione circa tali
elementi compositivi del loggiato superiore ci viene fornita indirettamente
dall’elenco (con connessi prezzi) dei lavori effettuati, fra cui il
diroccamento, appunto, “degli archi…”. A.E.L.C., vol. 14, Miscellanea,
f. 1019.
(13) A.E.L.C., vol. 14, Miscellanea.
Nelle “Osservazioni al collaudo dei lavori...” si legge: “la formazione di
opportuni scalpellamenti ed attacchi occorrenti al collegamento delle vecchie
colle nuove murature che vennero ordinate e impiegate in special modo nel cantone
Sud-Est”. Un disegno, conservato agli Atti, indica il ‘diroccamento della
cantonata’ già lesionata.
(14) A.E.L.C. vol. 14, Miscellanea. In
un documento del 1881 si legge: “Essendo l’orto del convitto aperto per la
costruzione della strada ed il fabbricato rimasto accessibile per la gente
dalla parte ove sono in costruzione le stanze da studio...”.
Va rilevato come in una rimanente
parte dell’orto superiore, al di qua del ponticello e su un pianoro aderente al
convento, è ancora oggi visibile gran parte dei muri perimetrali di un’ampia e
lunga area su cui insisteva un consistente corpo edilizio (cfr. foto
dell’epoca) – la/le sale da studio dei frati? – demolito in occasione della
ristrutturazione di fine-’800.
(15) A.E.L.C. vol. 8, Miscellanea,
titolo 2 fasc. 5. L’orto fu acquistato nel 1883/84 per fruirne, come luogo di
svago, i giovani dell’istituendo Convitto. In realtà fu ri-acquistato; infatti
nel predetto atto di acquisto (proprietario Antonino Maltese) viene riferito
che esso era pur sempre “appellato orto o selva dei disciolti Padri
Riformati” (f. 883), perché tale (fino al 1866?) non poteva non essere
stato nel passato (Una parte dell’orto fu poi rivenduta).
(16) A.E.L.C. vol. 14, Miscellanea.
Documento del 25-6-1893.
(17) A.E.L.C. vol. 14, Miscellanea.
Documento del 24-4-1895.
(18) Al momento della pubblicazione
del presente studio sono in corso i lavori di restauro a cura della
Sovrintendenza per i BB. CC. di Siracusa.
(19) A.E.L.C., vol. 7, f. 949.