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La chiesa di Sant’Isidoro e nuovi documenti sacri a carattere rupestre a Cava Ispica e nei dintorni

di Vittorio G. Rizzone e Anna M. Sammito* 

 

 

Di tutte le chiese rupestri di Cava Ispica, dato il precoce abbandono, si ignora l’originaria titolatura: naturalmente fanno eccezione quelle di Spaccaforno, dove la vita prosegue ancora oggi sebbene in tono minore, ed anche la grotta di Santa Alessandra, altrimenti nota come vurutta ‘a rugna, presso il cosiddetto ‘Convento’ (che, tuttavia, non presenta carattere chiesastico).

Ma della titolatura di un’altra chiesa almeno si può essere certi: si tratta della chiesa rupestre di Sant’Isidoro. L’unica menzione si deve a Salvatore Minardo, il quale ne segnalò gli avanzi nelle terre del proprietario di allora Sig. Giuseppe Tantillo, in contrada Grotticelle, zona che prende il nome dalla presenza di una necropoli con tombe a forno databile all’antica età del bronzo, nel tenere di Rosolini.

In effetti, in questa contrada, nel versante destro della Cava Ispica, presso le case Galfo, in una balza rocciosa che domina un campo conosciuto dai contadini del luogo con il nome di “Vignali ri Sant’Isiroru” o “Santu Siroru”, non distante dello strapiombo della Capraria, e lungo l’antico sentiero che scende a fondovalle, si apre un complesso ipogeico costituito da tre ambienti comunicanti fra di loro (fig. 1) (riferimento cartografico I.G.M.: f° 276 II NE 33SVA873759).

L’ambiente di destra, il cui prospetto, - secondo una notizia fornita dai contadini - è in parte crollato a causa del terremoto del 13 dicembre 1990, ha una pianta quadrangolare di m. 3,10 x m. 4,75 circa e nella parete di fondo presenta una nicchia con la parte superiore arcuata, larga m. 0,42, alta al colmo m. 0,71, ma in parte con il piano di posa parzialmente ribassato di m. 0,33. Anche l’ambiente centrale è a pianta quadrangolare, ma è di dimensioni minori (m. 2,75 x m. 3,90 circa); ha il prospetto franato e successivamente in parte tampognato con un muretto a secco; anche tampognato, ma con muratura, è il passaggio all’ambiente a sinistra; sono comunque visibili i buchi per i cardini della porta.

Quest’ultimo è destinato a chiesa. Aperto a mezzogiorno, è largo m. 5,80 e profondo m. 4,25 circa; l’altezza attuale - l’antico piano di calpestio, infatti, è sotto uno strato di detriti che si sono accumulati – è apprezzabile per m. 2,55 circa. La parete in cui si apre l’ingresso è parzialmente rifatta in muratura (zona della porta d’ingresso), mentre la finestra è ricavata nella parete di roccia: non è possibile, però, stabilire se tale parte in muratura appartenga alla chiesa o ad un momento successivo di frequentazione della grotta. All’esterno, a destra dell’ingresso, è un nicchia scavata nella roccia, alta m. 0,40, profonda m. 0,14 e larga m. 0,67; essa reca tracce di intonaco; era forse un’edicola.

La parete di fondo non è rettilinea: come per la chiesa rupestre di Santa Margherita a Chiaramonte Gulfi, essa presenta una concavità irregolare, alla maniera di una conca absidale; al centro, in corrispondenza dell’altare, è un ampia nicchia alta m. 1,20 circa, larga m. 2,53 e profonda da m. 0,28 nella parte alta a m. 0,09 in quella inferiore; essa è molto verosimilmente destinata ad accogliere un icona lignea, più che una tela, come sembra lasciare intendere un sistema di fori praticati nella parete, destinati ad ancorarvi qualche oggetto mobile. Un’altra piccola nicchia si trova a destra presso l’altare (altezza m. 0,23, larghezza m. 0,40 e profondità m. 0,09).

La mensa dell’altare è addossata alla parete: è rialzata rispetto al piano di calpestio ed è posta – sebbene non centrata - su un basamento rettangolare largo m. 2,30 e profondo m. 1,60, in parte asportato in un momento successivo, e del quale l’altezza è attualmente apprezzabile soltanto per m. 0,12. L’altare è alto m. 0,67, largo m. 1,46 e lungo m. 0,74, presenta una fossetta nella parte centrale ed è stato rimaneggiato con l’approfondimento della parte centrale per adattarlo a mangiatoia. Questo tipo di altare murale ricorre nella chiesa semirupestre di San Rocco alla periferia di Modica e nelle chiese di San Giuliano e di Santa Maria della Scala a Noto Antica.

Al centro della parete sinistra si trova uno scasso analogo a quello della parete di fondo: esso è largo m. 1,87, alto m. 1,64 e profondo da m. 0,42 nella parte bassa a m. 0,05 in quella superiore, ma esso risulta rimaneggiato nella parte inferiore, in corrispondenza di una mangiatoia di pietre a secco addossata successivamente a questa parete.

Tutte le pareti ed il soffitto di questo ambiente si presentano intonacate (si distinguono fino a tre strati di intonaco), ma non si riscontrano tracce di affreschi.

Nella parte centrale del soffitto si trovano tre anelli, forse destinati a reggilampade.

Nel piano roccioso al di sopra del complesso ipogeico sono presenti canali di scolo per il drenaggio delle acque piovane.

Per quanto riguarda la cronologia, la stessa titolatura della chiesa a Sant’Isidoro rappresenta un terminus post quem: il culto a Sant’Isidoro, infatti, è tipicamente agricolo; il santo è invocato dai contadini nei momenti di pericolo del bestiame, in particolare dei buoi, ed al santo è dedicato almeno un bue (nel caso di coppia aggiogata); è il santo patrono di Madrid (San Isidro Labrador), vissuto a cavallo tra i secoli XI e XII, ma la cui canonizzazione, della quale fu zelante sostenitore Filippo II, avvenne il 12 marzo del 162210 ; il culto si è evidentemente diffuso dopo tale data ad opera degli Spagnoli, al pari di quello di Sant’Alessandra, introdotto nel 1629 nella diocesi di Guadix (Andalusia) dal vescovo Giovanni di Araux11 , culto praticato presso il vicino “Convento”.

 

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I grandi complessi rupestri, che si trovano lungo la Cava Ispica, quali quelli di Pernamazzone, area del cosiddetto Castello, Capraria e ‘Convento’, a differenza di quelli che gravitano nel tratto iniziale della Cava attorno al Cozzo (sito dell’antica Isbacha – corrispondente a Ispica – menzionata per la prima volta nella bolla di ricostituzione della diocesi di Siracusa nell’anno 1093) e alla Forza (Spaccaforno) in quello finale, sembrano, allo stato attuale delle ricerche, essere privi di ambienti di culto cristiano; ciò forse è indizio di abbandono precoce o, quantomeno, di una notevole riduzione degli abitanti già poco dopo il periodo arabo. Una tale affermazione ha naturalmente bisogno di essere verificata sul campo, ma la fitta vegetazione e, ancor di più, lo stato di distruzione e la minaccia di crolli imminenti spesso impediscono una completa esplorazione di tutti gli ambienti rupestri.

Fra gli ambienti ipogeici del grandioso ‘ddieri’ della Capraria, nel versante sinistro della Cava, tuttavia, uno presenta tracce di una frequentazione sacra di periodo successivo (riferimento cartografico I.G.M.: f° 276 II NE 33SVA872757). Esso è a pianta quadrangolare di m. 5,20 x m. 3.00 circa, con porta e finestra ricavate nella parete lunga sud-occidentale.  Nella parete opposta sono incise tre croci di cui due del tipo ad ancora di salvezza, tipologia già riscontrata nell’ipogeo di contrada Muraglie Mandorle12 : la prima, ad ancora di salvezza è alta cm. 42,0 e ha l’asta trasversale lunga cm. 14,5; la seconda, piuttosto irregolare, ha l’asta maggiore lunga cm. 18 e quella minore lunga cm. 14; anche la terza è del tipo ad ancora di salvezza: è alta cm. 38, con l’asta trasversale lunga cm. 24. L’ambiente, sebbene rimaneggiato, è privo di qualsiasi elemento liturgico che possa autorizzare a pensare ad una chiesa, e potrebbe interpretarsi, piuttosto, come un asceterio.

(A.M.S.)

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Nel tratto iniziale della Cava Martorina, in contrada Muraglie Mandorle di recente è stata trovata una chiesa rupestre13 , con molta probabilità già ricadente nel feudo di Bugilfezza14 , in antico verosimilmente molto più esteso di quanto possa lasciare intendere il toponimo – di origine araba - che si mantiene tuttora, limitato, però, ad una piccola contrada appena un po’ più a monte.

Lo sgombero degli ipogei delle case Giusti (riferimento cartografico I.G.M.: f° 276 II NE 33SVA851731), già adibiti a ricovero per maiali15 , ha permesso dei sopralluoghi, grazie ai quali si è potuta rilevare, nell’ipogeo A, la presenza di una croce incisa a destra dell’ingresso: essa è del tipo montante su triangolo, alta complessivamente cm. 29, con l’asta trasversale di cm. 12, con la base di cm. 18,5 ed i cateti del triangolo, rispettivamente, di cm. 15 e 14,5; su un’altra parete, presso un’apertura di comunicazione con l’ipogeo B, fra motivi a reticolo, è presente anche una iscrizione: “A 16 marzo/ 1729/ D. Luigi S[…”, indice della frequentazione dell’ambiente nello stesso periodo in cui la vicina chiesa rupestre ormai era stata trasformata forse in reclusorio per marinai in quarantena16 .

In realtà, lungo tutto il corso della Cava Martorina è possibile rilevare le tracce di una frequentazione a carattere sacro: più a valle, a trecento metri circa dalla chiesa rupestre, in una parete di roccia dello stesso versante destro (riferimento cartografico I.G.M.: f° 276 II NE 33SVA856730), è incisa una grande croce di Lorena montante su triangolo: essa è alta 82 cm., con l’asta trasversale lunga cm. 36 ed il cartiglio inciso obliquamente per cm. 10; la base del triangolo è di cm. 58 ed i lati sono, rispettivamente di cm. 40 e cm. 34.

La cava presenta quindi una fitta vegetazione ed è difficile a percorrersi, ma nel tratto terminale della cava, in un piccolo ingrottamento (riferimento cartografico I.G.M.: f° 276 II NE 33SVA876720) in parte interrato, posto in prossimità di un sentiero che dalle case Martorina conduce a fondovalle, presso un pozzo ed un abbeveratoio, sono incise in modo rozzo tre croci di tipo latino: una a destra alta cm. 24 e con l’asta trasversale di cm. 13; e due a sinistra: la maggiore alta cm. 26 e con l’asta trasversale di cm. 15,5 e la seconda alta cm. 18 e con l’asta trasversale di cm. 11.

La Cava Martorina confluisce quindi con la Cava Minciucci – una vallecola la cui origine è presso la Cava Ispica (zona del cosiddetto ‘Convento’) da cui è separata per mezzo di una stretta sella. Non distante dal punto in cui la Cava Minciucci è attraversata dalla SS 115, su una spianata rocciosa del versante sinistro (riferimento cartografico I.G.M.: f° 276 II NE 33SVA879734), - lungo il percorso che, attraverso l’altopiano, conduceva da Spaccaforno al “Convento” di Cava Ispica - è incisa con cura una grande croce: essa è di tipo latino, è alzata su una base pentagonale alta cm. 23 (in realtà un triangolo isoscele alto cm. 11,5, su un rettangolo i cui lati brevi sono di cm. 11,5); la croce è alta complessivamente cm. 140, ha l’asta trasversale lunga cm. 56; accanto alla croce è incisa la parola “FUOCO”. L’esecuzione sembra abbastanza recente.

Nel versante opposto di questa vallecola, presso le tombe a grotticella artificiale più periferiche di una necropoli dell’antica età del bronzo17 , su un’altra spianata rocciosa è incisa una croce con le estremità desinenti con cerchielli, alta m. 1,50 e con l’asta trasversale lunga m. 0,69.

Dalla confluenza della Cava Martorina e della Cava Minciucci ha luogo la Cava Coda di Lupo: nel versante sinistro di questa gola è già stato segnalato un piccolo insediamento rupestre che in parte riutilizza gli ipogei sepolcrali di una necropoli tardoromana18 : uno degli ipogei scavati nella parte più a valle della scarpata (riferimento cartografico I.G.M.: f° 276 II NE 33SVA884721) è stato rimaneggiato e all’interno è stato ricavato ulteriore spazio asportando le guance dei loculi ed abbassando il loro piano di deposizione; all’interno sono state quindi incise con cura due croci: la prima, su triangolo, è alta cm. 54 , ha l’asta trasversale lunga cm. 29 e la base del triangolo è lunga cm. 53; la seconda, la cui base è incisa in corrispondenza della risega d’imposta delle lastre di copertura di un loculo, è alzata su due gradini, alta complessivamente cm. 84, con l’asta trasversale lunga cm. 37,5 e la base del gradino inferiore lunga cm. 5819 .

È chiaro che soltanto sulla base della presenza di queste croci è difficile poter stabilire la cronologia della nuova frequentazione e riutilizzazione dei precedenti ipogei funerari tardoromani: l’incisione di tali croci è, tuttavia, pratica comune e potrebbe indicare che tali ambienti sono stati sottoposti a riti di purificazione o di esorcismo20 : oltre al suddetto caso della chiesa rupestre di contrada Muraglie Mandorle e del vicino ipogeo delle case Giusti, si può segnalare, nella stessa Cava Ispica, il caso analogo della catacomba della Larderia21  e ricordare quello degli ipogei del quartiere ‘Vausu’ nella vicina Modica22 .

 

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La Cava del Prainito o delle Povere Donne è una valle ricca di testimonianze archeologiche che vanno dal periodo pre- e protostorico23  a quello tardoantico. Recentemente nel versante modicano (destro) è stata segnalata una grotta denominata ‘dell’icona’ 24 , per la presenza, all’interno, di un affresco con un’immagine sacra (riferimento I.G.M.: f° 276 I SE 33SVA936809).

La cripta (fig. 2), aperta a Nord/Nord-Ovest, presenta una pianta a ‘T’: è costituita da un ambiente di sagoma grosso modo rettangolare profondo fino a 14 m. e largo 4 m. circa, nel quale si apre a Sud un secondo ambiente a pianta quadrangolare di m. 4,50 x 5,25 circa. L’ingresso è parzialmente tampognato con un muro a secco. Presso l’ingresso è una nicchia di sagoma rettangolare, alta m. 1,00, larga m. 1,20 e profonda m. 1,61, forse destinata ad accogliere un’icona mobile. L’interno è stato molto rimaneggiato e vi si sono accumulati molti detriti, e le parti in cui si articola l’ingrottamento presentano il piano di calpestio a quote differenti. Anche il soffitto è piuttosto irregolare, soprattutto per la presenza di profonde crepe che solcano l’ingrottamento: i tentativi di regolarizzarlo sembrano aver comportato altezze diverse.

La grotta in origine è stata un ipogeo funerario tardoromano, appartenente alla necropoli il cui nucleo principale si trova nel versante opposto della vallata: così lasciano intendere gli avanzi di un baldacchino del recesso meridionale, di cui rimangono un pilastro ed i monconi di altri tre pilastri al soffitto, e pezzi dei fusti di questi ultimi giacciono fra i detriti25 . L’altezza del pilastro superstite dalla risega d’imposta della copertura del loculo al soffitto è di m. 1,18, mentre l’altezza complessiva del baldacchino, corrispondente a quella del recesso in cui si trova – unica parte della grotta della quale è apprezzabile – è di m. 2,20 circa.

Nella parete nord-orientale, irregolarmente concava, sono scavate diverse nicchie; la più grande, a profilo superiore arcuato, larga m. 1,05, profonda m. 0,40, ma di cui non è apprezzabile l’altezza originaria in quanto la parte inferiore è devastata, accoglie un’immagine devozionale irriconoscibile di cui si conservano soltanto frustuli: si distinguono almeno tre strati di affreschi: quello superiore non sembra recare tracce di colore; gli strati più antichi presentano entrambi tracce di una cornice di colore rosso; dello strato intermedio si conservano lembi di panneggio di colore beige con dettagli resi con colore bruno, motivi in bruno su fondo giallo nella parte superiore e in rosso ed in bruno; dello strato inferiore rimangono parti di una decorazione a reticolo di colore bruno su fondo giallo chiaro nella parte inferiore e motivi in rosso su fondo giallo. Attorno alla ghiera della lunetta un sistema di almeno tre piccoli incavi sembra sia servito ad ancorare una tendina o velame. La zona attorno a questa nicchia sembra sia stata considerata degna di rispetto: essa presenta una scalpellatura per fare aderire meglio l’intonaco – di cui restano tracce – e regolarizzare, in questo modo, la superficie.

Oltre alla nicchia con l’affresco, in questa parete si aprono, a quote differenti, altre nicchie di minori dimensioni: fra queste ne segnaliamo due con la parte superiore arcuata (quella superiore è larga m. 0,26, profonda m. 0,17 ed alta al colmo m. 0,21; quella inferiore è larga m. 0,41, profonda m. 0,16 ed alta a colmo m. 0,285); sulla nicchia principale, inoltre, si trova un’altra nicchia di sagoma quadrangolare larga m. 0,31, alta m. 0,28 e profonda m. 0,12.

In tutte le pareti vi sono numerosi scassi che sembrano fare sistema: sette nella parete nord-orientale presso l’ingresso larghi m. 0,10/0,11, profondi m. 0,07/0,08 e alti m. 0,12/0,15; tre si trovano nella parete opposta; altri sette nella parete nord-orientale a destra della nicchia con l’affresco ed altri quattro sono scavati nella parete opposta. Si tratta di sistemi di scassi praticati per l’ancoraggio di infrastrutture lignee – forse soppalchi – da mettere in relazione con l’abbassamento del piano di calpestio della grotta.

Lo stato di degrado in cui versa l’ingrottamento, l’accumulo di detriti che non permette una completa lettura della cripta, le alterazioni subite e la mancanza di elementi dell’arredo liturgico non consentono, per il momento, di poter determinare se l’ambiente sia stato occupato da un eremita o se vi si possa riconoscere una chiesa. In questo secondo caso l’altare si sarebbe trovato addossato alla parete sotto la nicchia con l’icona; la presenza dell’apertura in prossimità dell’altare troverebbe confronti con ambienti rupestri del XIV-XV secolo quali la Grotta della Madonna o di San Nicola a Cava Ispica, Santa Maria la Cava nella sua prima fase a Spaccaforno, Santa Febronia a Palagonia e Santa Alessandra a Ufra presso Modica26 .

                                                                        (V.G.R.)

 

 

NOTE

 

 * Esprimiamo la nostra gratitudine all’arch. F. Pompei per gli schizzi planimetrici qui presentati e ai sigg. S. Belluardo e G. Ciavorella per averci accompagnato nei sopralluoghi alla Cava del Prainito. (Gli Autori).

 

* Vittorio Giovanni Rizzone (Ragusa, 1967). Dopo avere frequentato il Liceo classico ‘T. Campailla’ di Modica, si è laureato in Lettere Classiche (indirizzo archeologico) presso l’Università di Catania. È specializzato in Archeologia Classica presso la stessa Università; dottorando di ricerca in Archeologia Classica all’Università di Roma La Sapienza; cultore di Archeologia e Storia dell’Arte Greca e di Archeologia ed Antichità della Magna Grecia all’Università di Catania. Ha collaborato a varie campagne di scavo della Missione Archeologica Italiana a Paphos (Cipro).

Ha pubblicato: Ceramica corinzia, in F. GIUDICE - S. TUSA - V. TUSA, La collezione archeologica del Banco di Sicilia, Palermo 1992, pagg. 43-76; sub “Ceramica calcidese, ionica”, ibidem, pagg. 201-202; Un’anonima chiesa rupestre nell’agro modicano, Modica 1995; Le rotte di approvvigionamento, in F. GIUDICE, I vasi attici della prima metà del V secolo in Sicilia: il quadro di riferimento, in AA.VV., Lo stile severo in Grecia ed in Occidente. Aspetti e Problemi, Roma 1995, pagg. 165-171; Le anfore, in F. GIUDICE ET ALII, Paphos, Garrison’s Camp. Campagna 1992, in Reports of the Department of Antiquities, Cyprus 1997; Le anfore, in F. GIUDICE ET ALII, Paphos, Garrison’s Camp. Campagna 1993, in Reports of the Department of Antiquities, Cyprus, in c.d.s.; Alcune osservazioni sulla chiesa rupestre di ‘Cava Ddieri’, in Archivum Historicum Mothycense 2, 1996, pagg. 49-56; Analisi della distribuzione dei vasi corinzi nel Mediterraneo (630-550 a.C.), Catania 1996; Achille, Apollo, Artemide, Eracle, Peleo e Teti, Zeus, s. vv., in F. GIUDICE, Il viaggio delle immagini dall’Attica verso l’Occidente ed il fenomeno del rapporto tra ‘prodigi’ e ‘fortuna iconografica’, a cura di H. MASSA-PAIRRAULT, CNRS Rome, in c.d.s; Le anfore da trasporto del Museo Civico di Modica, in Sicilia Archeologica, nn. 93-94-95/1997, pagg. 111-120; con C. ALFIERI, Una prima notizia sulla chiesa rupestre di Santa Margherita a Noto Antica, in Atti e Memorie ISVNA, XX-XXVI, 1990-96, pagg. 233-237.

Risiede a Modica, in via C.le Serrauccelli, 6.

 

* Anna Maria Sammito (Modica, 1965). Ha frequentato il Liceo classico ‘T. Campailla’ di Modica. È laureata in Lettere Classiche (indirizzo archeologico) presso l’Università di Catania, ed è specializzata in Archeologia Classica presso la stessa Università. Ha collaborato con il Museo Archeologico Eoliano di Lipari e con la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Enna. È catalogatrice archeologa presso la Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Ragusa.

Ha pubblicato: Elementi topografici sugli ipogei funerari del centro abitato di Modica, in Archivum Historicum Mothycense 1, 1995, pagg. 25-36; Una prima notizia sulla chiesa rupestre di Santa Venera a Modica, in Archivum Historicum Mothycense 2, 1996, pagg. 41-48; Note topografiche sugli ipogei funerari di Modica, in Aitna 3, in c.d.s; Modica, l’insediamento castellucciano del Quartiriccio, in Sicilia Archeologica, nn. 93-94-95/1997.

Risiede a Modica, in via Marconi.

 

In collaborazione: Notizie preliminari sulle chiese semirupestri di S. Maria della Provvidenza e di S. Rocco a Modica, in Archivum Historicum Mothycense, n. 3/1997; Lo ‘status quaestionis’ delle ricerche archeologiche a Modica, in (prima parte) Archivum…, n. 3/1997 e (seconda parte) n. 4/1998; Nuovi dati sulla tarda architettura rupestre di carattere sacro a Modica, in Archivum…, n. 4/1998; Tombe dell’antica età del Bronzo con prospetto decorato nel territorio di Modica, in Sic. Arch., in c.d.s.

 

(1) Per le chiese rupestri della Cava Ispica, v. A. MESSINA, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo 1994, pagg. 53-77. A quelle note si potrebbe aggiungere la chiesa (?) rupestre cosiddetta di San Marziano riconosciuta dal Belgiorno (F.L. BELGIORNO, Modica e le sue chiese dalle origini del cristianesimo a oggi, Modica 1953, pag. 167), della quale attualmente si ignora l’ubicazione.

(2) Si tratta, piuttosto, di una grotta con sorgente d’acqua sulfurea, alla quale è connesso il culto di Santa Alessandra: v. MESSINA, Le chiese rupestri…, cit., pag. 76. Vi ha riconosciuto un battistero G. DI STEFANO, Recenti indagini sugli insediamenti rupestri dell’area ragusana, in Atti del VI Convegno Internazionale di Studio sulla civiltà rupestre medioevale nel Mezzogiorno d’Italia, Catania – Pantalica – Ispica, 7-12 settembre 1981, Galatina 1986, pagg. 258-259.

(3) S. MINARDO, Cava d’Ispica, Ragusa 1905, pag. 30, nota n. 1; la notizia è ripresa da F.L. Belgiorno (Modica e le sue chiese..., cit., pag. 114), il quale sembra aver notato gli avanzi; il loro stato, tuttavia, non gli avrebbe consentito di poter ipotizzare una ricostruzione.

(4) Per la necropoli dell’antica età del bronzo, v. V.G. RIZZONE – A.M. SAMMITO, Censimento dei siti dell’antica età del bronzo nel territorio modicano, in questa stesso fascicolo di Archivum…

 (5)G. AGNELLO, L’architettura bizantina in Sicilia, Firenze 1952, pp. 253-258; MESSINA, Le chiese rupestri…, cit., pp. 102-104, fig. 31.

 (6) V.G. RIZZONE – A.M. SAMMITO, Notizie preliminari sulle chiese semirupestri di Santa Maria della Provvidenza e di San Rocco a Modica, in Archivum Historicum Mothycense 3, 1997, pag. 52 e nota n. 17, con confronti.

(7) B. RAGONESE, Le porte di ponente e gli impianti artigianali nella valle del Carosello, in Atti e Memorie dell’Istituto per lo Studio e la Valorizzazione di Noto Antica III, 1972, pagg. 111-113, tavv. XV-XVI e XX.

 (8) F. BALSAMO, La pittura rupestre della Madonna della Scala alla luce delle fonti e della critica storica, in Atti e Memorie dell’Istituto per lo Studio e la Valorizzazione di Noto Antica XVI, 1985, tav. II.

 (9)Per tali nicchie poco profonde, cfr. quelle delle chiese rupestri di Santa Maria di Piedigrotta a Scicli e di Santa Febronia a Palagonia (MESSINA, Le chiese rupestri…, cit., pp. 90-91, fig. 28; pp. 118-120, fig. 40) e di San Cataldo a Licata (E. DE MIRO, Civiltà rupestre nell’agrigentino. Esempi dalla preistoria al Medioevo, in Atti del VI  Convegno…, cit., p. 244, tav. XLV,1-2).

 (10) Il culto fu approvato da Papa Paolo V già il 14 giugno 1619. Per Sant’Isidoro, v. J. FERNANDEZ ALONSO, Isidoro l’Agricoltore, s.v., in Bibliotheca Sanctorum, diretta da F. CARAFFA, III, Roma 1966, coll. 953-956.

 (11) M.V. BRANDI, Alessandra, Apollo, Isacco e Codrato, santi martiri di Nicomedia, s.v., in Bibliotheca Sanctorum I, Roma 1961, coll. 761-762. V. anche MESSINA, Le chiese rupestri…, cit., pag. 45.

(12) V.G. RIZZONE, Un’anonima chiesa rupestre nell’agro modicano, Modica 1995, copertina, pag. 15, fig. 3 e pag. 21.

(13) RIZZONE, Un’anonima chiesa rupestre…, cit.; il corretto riferimento cartografico I.G.M. è il seguente: f° 276 II NE 33SVA854731.

(14) Per notizie sul feudo, v. I capibrevi di Giovanni Luca Barberi ora per la prima volta pubblicati da Giuseppe Silvestri, vol. I. I feudi del Val di Noto, Palermo 1879, p. 243: “XCIII. Burgilfeza Feudum”; il feudo già della famiglia Modica-Lancia (per le vicende della famiglia de Mohac-Lancea, v. ibidem, pp. 340-342: sub “ CXL. Monacu, Buxello Feuda”), fu concesso con privilegio dato a Catania il 26 febbraio 1397 ad Alamanno de Pulchropodio Algozirio, e quindi incamerato nella Contea; v. anche R. SOLARINO, La Contea di Modica, II, Ragusa 1884, rist. anast. Ragusa 1981, pagg. 26-27 (“Bugilfez”; “Bugilfers”), 40 (“Burchiferse”) e 119. 

(15) RIZZONE, Un’anonima chiesa rupestre…, cit., pag. 32, nota n. 7.

(16) Ibidem, pag. 29.

(17) Per una prima notizia sulla necropoli preistorica, v. RIZZONE – SAMMITO, Censimento dei siti…, cit.

(18) La necropoli è già stata segnalata da G. DI STEFANO, Recenti lavori di manutenzione delle catacombe dell’altopiano ibleo e nuove scoperte nel territorio, in AA.VV., Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana, Pesaro – Ancona 19-23 settembre 1983, Firenze 1986, vol. II, pag. 681; G. MODICA SCALA, Pagine di pietra. Periegesi storico-archeologica, Modica 1990, pagg. 598-600, tavv. 93-100.

(19) RIZZONE, Un’anonima chiesa rupestre…, cit., pag. 32, nota n. 6. Un altro ipogeo posto nella balza più alta della scarpata presenta rimaneggiamenti analoghi e, al suo interno, si trovano incise due semplici croci di tipo latino: a differenza di quelle del primo ipogeo, tuttavia, esse potrebbero essere state incise al momento di utilizzo sepolcrale dell’ipogeo e connotarlo come cristiano.

(20) Riti di esorcismo sono stati riconosciuti nella grotta di San Lio presso Ragusa: MESSINA, Le chiese rupestri…, cit., pagg. 98-99; ma per una diversa lettura dell’iscrizione qui incisa ed una diversa cronologia (età ellenistica), v. G. MANGANARO, Iscrizioni “rupestri” della Sicilia romana, in AA.VV., Rupes loquentes. Atti del Convegno Internazionale di studio sulle Iscrizioni rupestri di età romana in Italia, Roma – Bomarzo 13-15 ottobre 1989, a cura di L. Gasperini, Roma 1992, pagg. 487-488.

(21) In uno dei pilastrini della galleria di destra – denominata B – di questa catacomba è stata incisa una piccola croce su Golgota, ora molto corrosa, forse con il triangolo non chiuso alla base, alta complessivamente cm. 25 con l’asta trasversale lunga cm. 11 ed i lati del triangolo lunghi cm. 7. Certamente non sono affidabili le date incise dai visitatori, le più antiche delle quali sembra che siano quelle del 1657 e del 1684 in un pilastro della galleria centrale: per queste v. G. AGNELLO, Catacombe inedite di Cava d’Ispica, in Rivista di Archeologia Cristiana 35, 1959, pp. 97-98.

(22) A.M. SAMMITO, Elementi topografici sugli ipogei funerari del centro urbano di Modica, in Archivum Historicum Mothycense 1, 1995, pp. 32-33, con riferimenti bibliografici.

(23) Per la necropoli dell’antica età del bronzo, v. RIZZONE – SAMMITO, Censimento dei siti…, cit.

(24) F. CRISCIONE, 6086. Grotta dell’Icona, in Speleologia Iblea 7, 1998, p. 39.

(25) Per la riutilizzazione di precedenti ipogei tardoromani con la presenza di baldacchini all’interno, cfr. la grotta della Madonna o dei Santi di contrada Petracca in territorio di Palazzolo Acreide (A. MESSINA, Le chiese rupestri del Siracusano, Palermo 1979, pagg. 132-133, fig. 58) e la cripta di Palazzo Platamone a Rosolini (ibidem, pagg. 149-153).

(26) Cfr. V.G. RIZZONE – A.M. SAMMITO, Nuovi dati sulla tarda architettura sacra a carattere rupestre a Modica, in Archivum Historicum Mothycense 4, 1998, pag. 69. Si può aggiungere anche la cripta presso la sorgente di Cansisini a Cava Lazzaro in territorio di Rosolini, in corso di studio da parte degli scriventi.