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Appunti autobiografici ed evoluzione filosofica

di Carmelo Ottaviano

di Domenico D’Orsi* 

 

 

Tra le carte inedite di Carmelo Ottaviano, che ho denominato ‘Cariott’ nel volume su Tommaso Campailla da me prefato e annotato, ho rintracciato una lettera datata Catania 31.1.1956, e indirizzata ad un non meglio identificato ‘M.R. e caro Padre’ con l’annotazione (del 19.5.1975): “non ricordo più chi sia stato questo Padre”2 . Tale lettera così esordisce:

 

“Ho letto quanto mi ha mandato e che le restituisco e non so davvero come ringraziarla per tanto interesse e tanto studio per le mie modeste cosette. Non dico ciò per falsa modestia: se sono implacabile nel confutare e lottare l’errore, son lontanissimo dal pensare di essere io nella verità. Avanzo la mia ipotesi, valga quello che può valere né mi illudo che valga alcunché. E forse la Filosofia, come opera umana, non è che un avanzare ipotesi sulla struttura del reale universale.

Le invio alcune rettifiche, soprattutto biografiche, di particolari che posso conoscere solo io. Quando lei avrà ultimato il lavoro della tesi di laurea e vorrà dare mano al libro completo da stampare (Le ripeto che Glielo farò stampare a spese del mio Magistero, molto agevolmente), rifaremo il tutto daccapo, anche perché io le potrò dare i documenti delle persecuzioni idealistiche contro di me, quelle a cui debbo tutte le non piccole sventure che mi hanno colpito.

Alle rettifiche che allego aggiungo altri particolari, necessari per non dire cose inesatte, che bisognerebbe successivamente smentire.

Mentre io Le scrivo (ore 08 di martedì 31 gennaio) Lei celebra forse la Santa messa. Per me e per i miei: come ringraziarLa di tanta bontà? Tutte le mattine La ricordo nelle mie indegne preghiere. Le assicuro che mi sento tanto stanco e affaticato, e che prevedo non lontano il giorno del mio passaggio ad una vita migliore.

Mi crederà sulla parola se Le dico che anelo questo giorno, quando si può anelarlo vinta la naturale ripugnanza per la morte, per passare ad un mondo migliore, con Gesù e non lasciarLo mai più nell’Eternità. Tante volte penso quale fortunata creatura sarei stata, se fossi nata in Galilea vicino a Lui e lo avessi visto da vivo. Indubbiamente non Lo avrei lasciato mai più e ora sarei in paradiso con Lui a riposarmi!

Le sembrerà forse strano tutto questo, ma la mia misera vita non ha conosciuto che lavoro e stanchezza e atroci dolori, soprattutto dagli uomini, in misura che non sarebbe facilmente credibile. Le pochissime gioie che ho avute sono una goccia  in un mare di amarezze.

Perdoni queste malinconie e passo a darLe informazioni supplementari a quelle allegate, a quelle che Lei potrà agevolmente incorporare nel capitolo.

Con i migliori ossequi e rinnovati ringraziamenti dal suo

 

C. Ottaviano”3 .

 

Punti della mia biografia.

 

Essi possono essere eventualmente integrati negli appunti qui acclusi, stesi giù in fretta. Comunque, ne faccia l’uso che crede.

 

I) I primi professori, che mi formarono al liceo, furono il Prof. Francesco Ciaceri, […] che fu uomo di altissimo ingegno. Non scrisse nulla: era di tendenza scettica (precisamente un Humiano); esercitò su di me una forte influenza, incitandomi nella tesi opposta, che cioè una verità potesse trovarsi e dimostrarsi, e che precisamente tale verità coincidesse con il Cattolicesimo.

L’altro fu il gesuita P. Paolo Attard, maltese, uomo di chiarissima e luminosa mente, reduce proprio allora dagli studi compiuti presso lo Studio veneto della Compagnia di Gesù, dove aveva assimilata una particolare concezione del processo della sensazione e della funzione dell’intelletto agente. Era convinto tomista.

Egli dirigeva un doposcuola o Circolo ricreativo, aperto dai Gesuiti a Modica e che incontrò grande successo nella gioventù intellettuale di allora, che per una intera generazione fece capo ad esso.

Io fui il discepolo prediletto di questo Padre Attard e di questi gesuiti in genere, i quali (bontà loro) ammiravano la mia grande precocità negli studi filosofici. Fin da allora, più per ischerzo che seriamente, io avevo elaborato una mia teoria del tipo di un dinamismo universale alla Leibniz, che chiamavo ‘teoria della vis’, che il Padre Attard si divertiva benevolmente a farmi esporre, e a prendermi in giro.

Io lo rimbeccavo energicamente. Mi fecero fare numerose conferenze e dispute pubbliche (non sulla mia ‘vis’, della quale ridevo anch’io, anche se ora idee leibniziane sono alla base della mia Metafisica, che è una fusione ed uno sviluppo delle idee dei tre più grandi filosofi dell’umanità a mio giudizio, Aristotele, S. Tommaso e Leibniz, la cui (di Leibniz) gloria, a mio modo di vedere, fu oscurata ingiustamente da quella di Kant (ma è infinitamente superiore).

Fu in quegli anni giovanili che io venni a contatto con tutto l’ambiente ateo-comunista di Modica (erano i torbidi del primo dopo guerra, 1918-1923): i caporioni del comunismo locale, atei spaccati e materialisti ammantati di teorie scientistiche, vennero più volte a disputa pubblica con me e ci accapigliammo sul valore delle prove tomistiche sull’esistenza di Dio: ricordo che riuscivo a batterli poco bene con l’argomento del primo Motore (che infatti ora ho abbandonato nella Metafisica e sostituito con un mio), ma che li battevo senza riparo con l’argomento a contingentia et a possibili (seconda e terza via di S. Tommaso).

Modica era un centro di vita intellettuale, che nulla aveva da invidiare ad una grande città, ed è stata sempre nei secoli vivaio di menti spiccatamente filosofiche, come tutto il Siracusano (è popolazione di ceppo greco-latino con immissioni di sangue normanno, cioè germanico: anche S. Tommaso era – si dice – un incrocio di normanno e di ceppo latino-greco).

E fu in quegli anni che sorse in me l’idea, che credo di avere attuata con la mia Metafisica dell’essere parziale, e di cui il primo abbozzo imperfetto è la Metafisica del concreto: creare una apologetica cattolica che riuscisse a battere tutte le obbiezioni contro la Religione Cattolica.

Mi faceva, infatti, rabbia oltre ogni dire l’accusa che gli avversari sempre mi muovevano nei dibattiti pubblici e privati (conservo ancora i mss. di parecchie delle mie conferenze-dibattito di allora), e cioè che i dogmi cattolici fossero ‘assurdi’: essi citavano come prova di queste assurdità la Trinità da un lato, e la nascita soprannaturale di Gesù e quindi la Verginità di Maria.

 

Io pensai allora in che dovevo fondare una teoria metafisica che mi conducesse a dimostrare con argomentazione razionale imbattibile la Trinità da un lato, e la Divinità di Gesù con la verginità di Maria dall’altro.

Ciò ho fatto nella metafisica con la teoria ‘dell’uno-individuo’, sostituita con la concezione del sistema ‘degli individui’, che sbocca nell’affermazione che Dio può essere uno solo a patto di essere trino; e con la teoria ‘dello spazio e del tempo’ (che La prego di leggere in modo particolare e con attenzione particolare), che ha come suo corollario la penetrabilità dei corpi ad opera della Grazia e quindi la Verginità di Maria.

Questo è un punto, caro Padre, che deve tenere presente se vuole rispecchiare la genesi del mio modesto pensiero: lei deve leggere e rileggere il capitolo La tragicità del reale: lì è la dimostrazione razionale del cattolicismo in tutti i suoi dogmi, compresa l’infallibilità del Papa (sono infatti legati a un filo unico logico). Per ottenere questa dimostrazione, mi fu necessario modificare in sede filosofica la nozione dello ‘spazio e del tempo’ (da qui i miei studi su Einstein), e in sede teologica la nozione di ‘soprannaturale’, che ho approfondita nel suo vero significato (che è quello della Scuola francescana, non quello della Scuola tomistica).

Questa è la vera anima del mio pensiero. La preoccupazione gnoseologica è sorta dopo, quando la fondazione della metafisica nuova mi condusse a prendere in esame le preliminari obbiezioni gnoseologiche sulla immanenza e trascendenza avanzate dall’idealismo.

Fino a quando quindi fui alunno del Liceo ‘T. Campailla’ di Modica e frequentai per i primi due anni l’Università di Roma, fui convinto e fervente tomista; e in questa veste seguii all’Università di Roma il Buonaiuti, il quale nel 1923-24 (il mio primo anno di Università) trattava di S. Tommaso e faceva l’acceso tomista; quando egli fu scomunicato, fu per me come un colpo di fulmine e sul principio lo credetti un errore. Successivamente lo stesso Buonaiuti mi disse di essere un pragmatista, e che quindi per lui ogni sistema valeva secondo l’utilità momentanea che presentava. Immagini la delusione mia, che anelavo invece ad una dimostrazione razionale assoluta della verità cattolica.

 

II. In quegli anni 1923-24 e 1924-25 imperversava in tutta Italia il Gentile, che non insegnava, ma pontificava da Ministro di Mussolini con la famosa riforma scolastica. Non ascoltai alcuna sua lezione; al suo posto insegnava Andrea Ferro, una nullità speculativa. Seguii invece con piacere il Varisco, che allora meditava il suo ‘Dall’uomo a Dio’, tentativo di raggiungere Dio partendo dall’immanenza (a me stesso più volte affermò che per lui l’obbiezione berkeleyana era invincibile).

Questi due anni mi convinsero di una cosa: che occorresse, prima di costruire una mia metafisica religiosa poggiante su Dio uno-trino, confutare le preliminari obbiezioni idealistiche. Ma ancora pensavo che ciò potesse farsi sulle basi tomistiche indicatemi dal P. Attard.

Vedendo che a Roma non c’era nulla da apprendere per me, mi recai allora a Milano, dicendo tra me: “Qui mi troverò tra i miei, e qui potremo tutti lottare per costruire la nuova metafisica, che dimostri quanto manca ancora all’apologetica cattolica (la Trinità ecc…)”.

A Milano trovai Masnovo, perfetto tomista, Chiocchetti, rosminiano e tenero molto per l’idealismo, Olgiati anche lui tenero per i moderni, dei quali voleva trovare “l’anima di verità”. Tutti erano in sostanza affascinati dal Gentile e apertamente dicevano che questi aveva superato Hegel (Masnovo affermava che con Gentile l’Italia aveva tolto il primato speculativo alla Germania, essendo Gentile andato al di là di Hegel: beninteso, egli però riteneva del tutto erronea la tesi hegeliano-gentiliana, ma la confutava nei termini del solo vecchio tomismo).

Fu a Milano che si operò la ‘prima scossa’ alle mie convinzioni giovanili: sentendo quanto Chiocchetti, Masnovo e Olgiati obbiettavano a Gentile e ai moderni immanentisti in genere, e cioè argomenti del tutto inefficaci, fui indotto a domandarmi onde mai nascesse tale debolezza della loro posizione. E ben presto la individuai nella teoria della ‘species’. Anche il modo come pensavano di confutare Hume a proposito del principio di sostanza e di causa (io ricordavo l’insegnamento penetrante di Ciaceri) non era efficace.

Allora mi convinsi che per fondare la mia metafisica dovevo procedere su altre basi che su quelle tomistiche. E scrissi la mia Metafisica del concreto, in cui io stesso ammettevo il potere della mente umana di stampare le leggi del suo pensiero, cioè ‘sue’, sulla realtà oggettiva concepita come materia amorfa, cercando di coordinare ciò con la teoria del soprannaturale che mi doveva portare alla mia metafisica.

Il P. Gemelli, informato evidentemente dal Masnovo, che fu avversario accanito quanto generoso della mia tesi, mi proibì di pubblicare il lavoro: era strano il suo atteggiamento, perché egli permetteva al mio collega Bontadini di dichiararsi apertamente ‘filogentiliano’ (anche oggi egli sostiene che il pensiero di Gentile è una forma di pensiero cattolico!), e a Olgiati di cercare ‘l’anima di verità’ perfino di Berkeley ecc.

Presi allora una grave decisione: lasciare anche l’Università cattolica, nella quale il libero pensiero non poteva allignare, meno che mai una critica al tomismo. Ben presto io mi accorgevo che la mia tesi della Metafisica del concreto non poteva sostenersi e la abbandonavo, orientandomi verso un rigoroso realismo immediato che lasciasse anche da parte la teoria della ‘species’ tomistica, da me sempre più palesemente veduta come radice del pensiero moderno e della stessa mia erronea posizione della Metafisica del concreto.

Avevo già cominciati i miei studi medievali, rivolti soprattutto a vedere chiaro nella teoria della ‘species’ e quindi nel connesso problema degli ‘universali’ (di qui il mio studio su Abelardo, che è il primo pensatore, il quale affronti contro Guglielmo di Champeau la tesi della ‘soggettività della universalità oggettiva’, prima via alla ‘species’ ), e avevo conosciuto, in occasione della pubblicazione del mio Epistolario abelardiano, Orestano (non lo avevo mai conosciuto prima di allora – 1929 – né ho mai insegnato nei Licei di Palermo), allora direttore della Casa Optima, che appunto accettò di pubblicare i miei lavori abelardiani dopo la rottura con il Gemelli.

Trovai nell’Orestano un galantuomo a prova di bomba: mai mi domandò che cosa io pensassi e quali fossero le mie idee. E in quel torno di tempo conobbi il Troilo, il Bodrero, il Pastore, tutti atei o quasi (allora) o panteisti, nonché l’ateo Covotti. Tutti questi galantuomini erano di idee opposte alle mie, e tutti anticattolici; pure mi protessero in tutti i concorsi, portandomi sempre primo tra tutti, mentre l’Università Cattolica mi attaccava violentemente proprio in quei tempi, fornendo armi a Gentile, il quale cominciava a risentirsi dei miei articoli anti-idealistici, che dovevano poi portare alla Critica dell’idealismo (1936).

Mai ho conosciuto galantuomini come quelli menzionati or ora, infinitamente superiori ai cattolici: bisogna onestamente riconoscerlo. Per loro vinsi la cattedra al liceo e ottenni tre libere docenze, come vinsi i concorsi universitari. Per i Cattolici non avrei vinto nulla!

L’influenza dell’Orestano su di me fu soltanto culturale, non formativa, ché anzi io lo indussi a uscire sempre più dall’iniziale fenomenismo e a diventare superrealista, come egli diceva. Ma quel galantuomo mi diede il pane, mentre tutti i Cattolici si alleavano con Gentile contro di me e mi attaccavano nelle loro Riviste e mi facevano attaccare nelle Riviste cattoliche estere. Il Gemelli era molto amico del Gentile, al quale doveva l’Università Cattolica…

Il Gentile mi mandò a chiamare e mi invitò a scrivere articoli sulla sua Rivista: io ne scrissi uno proprio sulla genesi del pensiero medievale. Ma ormai io vedevo chiara la mia strada e non mi lasciavo deviare né da Orestano né da Gentile. Preferivo l’amicizia con chi voleva essermi amico, ma salva la mia assoluta indipendenza di pensiero.

Intanto la pubblicazione della Critica dell’idealismo faceva cambiare l’atteggiamento dei Cattolici verso di me: essi avevano predetto che io sarei diventato idealista. Mi conoscevano male: io continuai imperterrito, ed essi mi si mostrarono amici in varie occasioni, ma continuavano ad attaccarmi, quasi a dire al Gentile: “Ma non è nostro amico, anche se ha ragione obbiettivamente nel criticare l’idealismo!”.

Entra a questo punto in scena Croce… E poi la guerra.

 

* * *

 

Fin qui C. Ottaviano, con le sue precisazioni autobiografiche.

 

Resta oscuro il movente del trasferimento (con decorrenza dal 29 ottobre 1942) dell’Ottaviano da Cagliari alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania (D.M. 1168 del 15 dicembre 1941); alcuni eventi, tuttavia, ci danno elementi di spiegazione forse anche circa tale trasferimento.

In quel momento si rendeva libera a Napoli la cattedra di Storia della Filosofia tenuta, fino ai raggiunti limiti di età, dal Covotti. Per non rimanere lontano dai grandi centri culturali e diventare un “emigrato in patria”, C. Ottaviano volle sottoporsi nel 1942 ad un secondo concorso universitario, ma incontrò l’opposizione del Croce e del Gentile, che temevano l’ascesa in una cattedra importante, qual era quella di Napoli, del più forte campione dell’antiidealismo.

Già infatti nel 1936 l’Ottaviano aveva pubblicata la Critica dell’idealismo, in cui l’immanentismo era polverizzato da argomenti imbattibili. Il Croce (criticato in sole quattro facciate), il Gentile e i vari seguaci (tra cui in prima linea il Carlini, avversario acerrimo e del tutto gratuito dell’Ottaviano) non seppero opporre che sarcasmi, insulti e persecuzioni: non un solo argomento speculativo.

La Facoltà di Napoli, succube al Croce e spinta dall’animosità dell’Aliotta contro l’Ottaviano, chiese pertanto il concorso piuttosto che chiamarlo, pur avendolo posto ‘primo’ in una terna di “preferibili”.

L’Ottaviano affrontò dunque, per la seconda volta, l’alea di un concorso universitario: ma dalla lotta asperrima, nella quale nulla fu risparmiato che potesse ledere l’Ottaviano nelle teorie e nella persona, Egli riuscì vincitore, grazie anche all’onestà dei Commissari.

Il Croce, battuto, tramava la sua vendetta nell’ombra. E pensare che il suo odio contro l’Ottaviano era dovuto a quattro innocentissime pagine da questi dedicategli nella Critica dell’Idealismo (che chiunque può leggere), sulla insostenibilità, nell’idealismo assoluto, di una distinzione tra teoria e pratica. Argomento puramente filosofico, esposto con ogni riguardo formale.

L’Ottaviano non aveva nascosta precedentemente la sua simpatia personale per il Croce – come persona, non come filosofo – ed era andato a trovarlo nel 1935 dietro invito del Croce stesso, ammirato dal coraggio dimostrato dall’Ottaviano nella lotta contro Gentile (che in pieno regime fascista significava lotta contro Mussolini). Va a tal proposito ricordato che il Gentile aveva, tramite il Ministro della Educazione Nazionale Ercole, denunziato l’Ottaviano come antifascista, in occasione dell’episodio del prof. Leisegang in Germania. L’Ottaviano in quella occasione si poté salvare per puro miracolo.

E, però, le quattro innocentissime pagine avevano ora destato l’odio di B. Croce, essendo il suo sistema, nel quale egli riponeva tutta la sua vanità, minato alle basi.

 

 

 

Intanto la seconda terribile guerra mondiale volgeva al termine. Essa, oltre alle infinite miserie comuni a tutti, cagionò all’Ottaviano la destituzione dall’insegnamento e dalla cattedra di Napoli (1943), senza processo né contestazione né addebiti, da parte delle Autorità angloamericane che prestarono fiducia, senza ombra di prova, a ben quattro denunce presentate da Benedetto Croce e Adolfo Omodeo contro l’Ottaviano con le seguenti accuse: “di essere un protetto di Mussolini (che l’Ottaviano non aveva mai visto nella sua vita), e di aver vinto il concorso a Napoli perché Mussolini intendeva creare a Napoli un controaltare a Croce e alla sua filosofia”. Seguivano altre accuse, di carattere personale: di avere vessati gli studenti, i colleghi ecc., tutte inventate di sana pianta.

I provvedimenti presi dalle autorità angloamericane, in virtù dell’armistizio di Cassibile, avevano valore definitivo.

Così l’Ottaviano fu definitivamente messo fuori dall’insegnamento universitario e si trovò di colpo senza pane né ufficio alcuno. Fu abbandonato da tutti: anche da parte cattolica non fu scritto un solo rigo in sua difesa, né gli fu offerto alcun decoroso modo di vivere. Tutti gli amici fuggivano: non si facevano trovare in casa, né rispondevano al telefono. Anche la famiglia del padre rimase colpita dalla sciagura.

Per tutto il periodo fascista l’Ottaviano era stato avversato dal fascismo e dal terribile implacabile odio del potentissimo Gentile. Riusciva quindi incomprensibile che egli venisse ora destituito come fascista: non aveva mai e in nessun modo partecipato alla vita politica, pur essendo iscritto, come tutti, al Partito per poter vivere, in quanto proveniente dai Circoli giovanili nazionalisti, ai quali si era iscritto nel 1920, in età di 14 anni.

Per un anno e mezzo fu costretto a vivere insegnando ai ragazzi del suo quartiere romano il latino e l’italiano delle prime classi ginnasiali, mancando in un periodo di generali ristrettezze le lezioni private di filosofia.

Un solo amico non lo abbandonò, il generoso Prof. Felice Carpano, proprietario e direttore di un Istituto privato di Roma, il Liceo Carducci, dove l’Ottaviano poté, ritornando dall’Università al Liceo, insegnare per un intero anno scolastico.

Conobbe in questo periodo letteralmente il bisogno, poiché quasi tutte le sere mancava del necessario.

Intanto le Autorità angoloamericane revocarono, secondo civiltà, l’articolo dell’armistizio di Cassibile e ammisero che i condannati senza processo né contestazione né addebiti (fino ad allora l’Ottaviano ignorava chi mai lo avesse denunciato e a che cosa si dovesse tanta persecuzione) potessero discolparsi (fu una fortuna che non li avessero fucilati, come sarebbe potuto anche avvenire in un momento di tensione come quello e, per il caso dell’Ottaviano, in considerazione della gravità della accuse imbastite dal Croce e dall’Omodeo). Carmelo Ottaviano fu pertanto convocato come reo davanti alle Commissioni di epurazione e fu sottoposto (la prima volta in vita sua!) a procedimento disciplinare. Si noti che in questo periodo O. è sempre privo di stipendio (persino di quello liceale, per il quale egli giovanissimo aveva vinto, primo in tutta Italia, il regolare concorso).

Ma nessuna accusa contro di lui era – sia pur lontanamente – fondata: gli si poteva solo rimproverare di avere passata la vita intera in Biblioteca, alla lettera!

Fu dunque dichiarato del tutto innocente: egli finalmente poté prendere visione del fascicolo segreto contro di lui, che gli fu comunicato dopo un anno circa perché – come si usa presso tutte le nazioni civili – potesse difendersi. Poté così Egli vedere da chi fossero provenute le accuse: conservava copia di ben quattro denunce autografe di Croce e di Omodeo, rettore dell’Università di Napoli e sicario del filosofo o sedicente filosofo napoletano (che meglio andrebbe chiamato filibustiere o pirata).

La notizia dell’accertata giustificazione dell’Ottaviano mandò in furore Benedetto Croce, il quale si recò ad insultare i funzionari del Ministero, dott. Vincenzo Marchese e dott. Guido Pafumi, rei di avere compiuto il loro dovere di giusti giudici, e indusse il Ministro dell’epoca Arangio-Ruiz a presentare appello alla commissione di 2a istanza avverso l’Ottaviano, chiedendo di essere ascoltato dalla Commissione quale testimone a carico insieme all’Omodeo. Il Ministro, succube del Croce, invece di difendere il suo professore, lo denunziò.

Là dove non intervennero gli uomini, intervenne la Provvidenza: l’Omodeo, interrogato – prima del Croce – davanti ad una Commissione di dodici membri presieduta dal Ministro Iacini, da chi mai avesse apprese le accuse mosse all’Ottaviano, ma non provate dal alcun documento obbiettivo, rispose: “da B. Croce”; quest’ultimo, interrogato all’insaputa ed allo stesso modo, due giorni dopo, rispose: “da A. Omodeo”.

L’Ottaviano veniva assolto dopo un anno e mezzo di privazioni e di sofferenze di ogni genere, ma veniva inviato all’Università di Catania, dopo ulteriori manovre del Croce, che assolutamente non lo voleva a Napoli (il Croce trovò questa volta l’appoggio dell’Aliotta, invidioso del giovane Collega).

Ma ciò che più addolorò l’Ottaviano in tutta questa vicenda fu l’assenza assoluta dei Cattolici in sua difesa: egli era anzi convinto che nella persecuzione i Cattolici, desiderosi di liberarsi di lui, avessero agito di concerto con il Croce. (Si riservava di pubblicare in merito degli opportuni documenti).

Un fatto è comunque certo: non un solo dito fu mosso per aiutare l’Ottaviano nella più grave vicenda della sua vita, nella quale egli si era venuto a trovare unicamente per avere difesa la tesi del realismo e della trascendenza contro l’immanentismo ateo.

Domenico D’Orsi

 

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NOTA

Sul  ‘soprannaturale’ nel pensiero di C. Ottaviano.

di Giorgio Colombo

 

La concezione di ‘soprannaturale’ di Ottaviano è certamente decisiva nel suo sistema filosofico ed illuminante circa i conflitti col mondo accademico di matrice cattolica. Accenniamo pertanto, sinteticamente, alla questione.

 

Posto che ‘soprannaturale’ è ‘ciò che supera le forze e le esigenze della natura’ – definizione in cui convengono tutti gli Scolastici, al di là di irrilevanti differenze terminologiche –, possiamo sintetizzare nel modo seguente:

 

1) Ottaviano afferma certamente l’assoluta libertà di Dio nel creare e nell’elevare all’ordine soprannaturale: ciò – direbbe Giovanni Duns Scoto, sulla cui scía finisce dichiaratamente per muoversi O. – ‘de potentia absoluta’. Però, ‘de potentia ordinata’ (ossia nell’effettivo storico progetto di Dio), “se Dio delibera di creare [l’uomo], fu in obbligo di destinarlo alla felicità”. (C. Ottaviano, La tragicità del reale, ovvero La malinconia delle cose, Ed. Cedam, Padova 1964, pag. 370). Teoria, questa, che rimanda a Leibniz (apprezzato da O.), secondo cui la ‘convenienza’ nel creare – implicante l’esigenza dell’esistenza del ‘migliore’ – impone che “ciascun possibile [abbia] diritto di pretendere all’esistenza secondo la perfezione che racchiude”.

 

2) Di ciò profondamente convinto, Ottaviano sa, nello stesso tempo, di non dovere incidere nell’esigenzialismo, così da compromettere la gratuità della Salvezza. Pertanto Egli tiene a precisare, fondando la ‘propria’ motivazione sulla vigorosa categoria metafisica di ‘condizione’ (dell’essere dell’esistente): “L’elemento che ci conduce alla realtà del soprannaturale non è il desiderio naturale (‘desiderio’, che finirebbe per equivalere a ‘lacuna da colmare’, anzi a ‘pretesa’ di marca pelagiana…) di vedere Dio, bensì la dimostrazione razionale che il condizionato suppone la condizione…”; “Il soprannaturale resta del tutto superiore alle esigenze della natura, essendo ogni ‘condizione’ superiore alle esigenze del ‘condizionato’, che non esiste in linea di diritto né in linea di fatto prescindendo da essa…” (C. Ottaviano, op. cit., pag. 372. Si noti che, circa la non-fondazione filosofica sul ‘desiderio’ innato – della visione beatifica –, O. si distanzia da Scoto).

 

3) Altra caratterizzazione ‘scotista’ del pensiero di O.: le sue argomentazioni filosofiche – sviluppate indubbiamente secondo analisi e procedimenti strettamente razionali e con mente acutamente ‘metafisica’ – hanno tuttavia ‘prae oculis’, anzi presuppongono, il riconoscimento del dato biblico e degli articoli di fede. Ciò perché O. è intimamente toccato – come il francescano Scoto – dall’assoluta bontà di Dio e dal Suo concreto voler scendere, per amore, al livello dell’ente naturale (Incarnazione del Verbo).

 

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La posizione scotista-leibniziana (di cui al n. 1), benché confermi sul piano esistenziale circa la volontà salvifica di Dio e la chiamata dell’Uomo al conseguimento della felicità, induce però a ritenere che le ‘convenienze’, razionalmente evidenziate, rischino di diventare ‘rationes necessariae’ (come opportunemente distingueva Anselmo d’Aosta), quasi costringendo pertanto la libertà di Dio. Pare sommuovere, poi, delicati equilibri dottrinali (ad esempio: perché la necessità della ‘fede’ e ‘carità’ infuse?), rendendo inspiegabile il processo di giustificazione (e affidandone di conseguenza il compimento alla salvifica ma, questa volta, arbitraria – …‘ab-soluta’’? – decisione divina).

La prospettiva, infine, perentoria e priva di alcun cenno di dubbio perché connessa alla posizione teorico-storica scotista (di cui al n. 3), non sembra volere riconoscere adeguatamente la distinzione fra scienza teologica e filosofia (Tomismo): l’una avente come oggetto proprio le verità dedotte dalle verità di fede ed in quest’ultime implicitamente contenute; l’altra, tendente ad una conoscenza dimostrata unicamente sul fondamento dei princípi indimostrabili – in quanto tali privi di presupposti, e perciò, anch’essi, suscettibili di riesame… – (Aristotele), oppure, ‘critica’ della conoscenza (Kant). Ancora: l’una – la filosofia – avente come oggetto della conoscenza (pure) Dio; l’altra – la teologia (cristiana) – avente Dio come soggetto di rivelazione di Verità, e perciò di conoscenza (anche se ‘oggettivato’ per motivi di studio). In breve: appare latente in O. una sorta di razionalismo teologico – secondo cui le più alte realtà-verità rivelate (Trinità, Incarnazione…: del tutto imprevedibili come realtà ed insondabili, benché non assurde, nella loro natura) vengono quasi dedotte metafisicamente e necessariamente – che minaccia e l’autonomia della ragione stessa ed il mistero delle Verità soprannaturali.

Resta indubbiamente – Ottaviano – filosofo che vive intensamente nell’orizzonte della rivelazione cristiana, anche se non specula a partire da questa.

A questa, però, Egli – da autentico filosofo (‘aperto alla Sapienza’) – è orientato con forte convinzione e in pienezza di libertà. Inoltre, con moderna sensibilità, Egli attende al dato metafisico dell’esistente, e pertanto all’esistenza umana ‘storica’ (ossia allo storico progetto salvifico di Dio).

 

Ma forse il Prof. Carmelo Ottaviano, con la Sua grande forza di argomentazione, avrebbe fatto svanire le predette perplessità critiche…             

(Giorgio Colombo)

 

*  *  *

 

 

Curriculum degli studi e dell’insegnamento di Carmelo OTTAVIANO (Modica 1906, † Terni 1980)

 

Dopo aver frequentato il Ginnasio-Liceo classico ‘T. Campailla’ di Modica, C. Ottaviano conseguì la laurea in Filosofia presso l’Università Cattolica di Milano l’8 novembre 1927 con i pieni voti e la lode. Conseguì le seguenti libere docenze: in Storia della filosofia medioevale il 25 novembre 1929, in Storia della filosofia (generale) il 24 dicembre 1933 e in Filosofia teoretica il 30 marzo 1934.

Riuscì primo vincitore nel concorso ministeriale di Filosofia, Storia ed Economia politica per Cattedre di Liceo nel 1930 (ingresso nei ruoli statali il 16 settembre 1930). Destinato prima al Liceo Classico di Fano (Pesaro) e nel corso dello stesso primo anno di insegnamento trasferito al Liceo Classico “E.Q. Visconti” di Roma, nel quale insegnò per quattro anni scolastici consecutivi, dal 1930/31 al 1933/34 e per l’anno scolastico 1935/36.

Per gli anni scolastici 1934/35, 1936/37 e 1937/38 fu comandato dal Ministero dell’Educazione Nazionale a prestare servizio presso la Regia Accademia d’Italia per la ricerca e la pubblicazione di materiale manoscritto di Filosofia e Teologia da servire per la Storia del pensiero medievale e moderno. Esplorò così archivi e biblioteche della Calabria, della Sicilia, della Campania, del Lazio, dell’Umbria e della Lombardia.

Esercitò per due anni accademici consecutivi, 1929/30 e 1930/31 la libera docenza in Storia della filosofia medioevale presso la R. Università di Roma, ottenendo la conferma definitiva per tale disciplina in data 13 luglio 1935; nell’anno accademico 1937/38 esercitò presso la stessa Università le libere docenze in Storia della filosofia (generale) e in Filosofia teoretica.

Dichiarato maturo nel concorso del 1936 per cattedre universitarie, riuscì vincitore nel concorso del 1938 bandito per la cattedra di Storia della filosofia presso l’Università di Messina, e fu nominato a decorrere dal 1 gennaio 1939 titolare per questa disciplina presso la Facoltà di Magistero della R. Università di Cagliari dove insegnò per gli anni accademici 1938/39, 1939/40, 1940/41 e 1941/42.

Fu nominato ordinario per la Storia della filosofia a decorrere al 1° gennaio 1942.

Tenne per incarico il corso di Filosofia teoretica presso la Facoltà di Magistero della R. Università di Cagliari negli anni accademici 1939/40, 1940/41 e 1941/42.

Fu nominato Preside ff. della detta Facoltà per gli anni accademici 1938/39, 1939/40, 1940/41, nonché preside effettivo a decorrere dall’anno accademico 1941/42. Fu trasferito alla cattedra di Storia della filosofia della Facoltà di Lettere di Catania con decorrenza dal 29 ottobre 1942.

Riuscì primo vincitore nel concorso per la cattedra di Storia della Filosofia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Napoli (1942), dove venne trasferito a decorrere dal 1° dicembre 1942 e insegnò soltanto per l’anno accademico 1942/43. (Per le vicende dell’O. di questo periodo, cfr. gli Appunti autobiografici… qui pubblicati).

Dopo la sospensione dell’attività accademica dovuta alla parentesi bellica e alle denunce politiche da parte di Benedetto Croce e di Adolfo Omodeo, ritornò con l’anno accademico 1943/44 alla Facoltà di Lettere dell’Università di Catania alla cattedra di Storia della filosofia, che tenne ininterrottamente sino al collocamento a riposo il 1° novembre 1977.

Durante il periodo catanese tenne per incarico presso la Facoltà di Lettere l’insegnamento di Filosofia morale e per svariati anni quello di Paleografia. Ebbe altresì per incarico gli insegnamenti di Psicologia (dal 1954/55 al 1977/78) e di Pedagogia (dal 1968/69 al 1975/76) presso l’Istituto Universitario pareggiato di Magistero di Catania, del quale fu Direttore per nove anni, dal 1954/55 al 1962/63 (bruciante il ricordo dell’allontanamento da tale carica di Direttore dell’Istituto Universitario di Magistero: “carica dalla quale fui allontanato per volontà della D.C. locale, complici i Colleghi del Consiglio Direttivo”).

 

 

NOTE

 

 Si ringrazia sentitamente il Prof. Domenico D’Orsi per il suo autorevole contributo, tendente a tenere viva la memoria ed il pensiero del compianto Prof. C. Ottaviano, uno dei più alti filosofi italiani – e della nostra area culturale – di questo secolo.          (La Redazione)

 

* Domenico D’Orsi (Palma di Montechiaro, 1930), fra i più attenti, limpidi e ‘responsabili’ Studiosi italiani della filosofia moderna e contemporanea, è Professore di ruolo di Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Catania.

Numerose le Sue pubblicazioni: 12 volumi (specie su B. Spaventa), 22 fra saggi e contributi vari pubblicati in gran parte sulla prestigiosa rivista di studi filosofici Sophia (fondata da C. Ottaviano), oltre a decine di recensioni, articoli…

Alunno ‘primogenito’ di Carmelo Ottaviano ed erede eminente (non assecondando ‘mode’ culturali) della Sua elaborazione critica e teorica, nonché delle amare e scandalose prevaricazioni subíte dal Maestro negli ambienti accademici, ha curato ultimamente, dando organicità agli scritti recuperati, la pubblicazione degli studi effettuati da C. Ottaviano, lungo gli anni del Suo insegnamento, su T. Campailla: T. Campailla – Contributo all’interpretazione e alla storia del Cartesianesimo in Italia, Ed. Cedam, Padova 1999. (Essendoci pervenuta tale opera – fresca di stampa – al momento di andare in macchina, ci ripromettiamo di presentarla sul prossimo fascicolo di Archivum Historicum Mothycense).

Il Prof. D’Orsi risiede a Catania, via F. Ciccaglione, 27. Tel. 095/447979.

 

 (1) C. Ottaviano, Tommaso Campailla – Contributo all’interpretazione e alla storia del Cartesianesimo in Italia, a cura di D. D’Orsi, Ed. Cedam, Padova 1999, pp. 459.

 (2) Assai probabilmente trattasi del Padre Mario da Ostra, al secolo Gino Pigini, professore poi di Filosofia nel Liceo dei Padri Cappuccini di Ancona, ed estensore della voce Carmelo Ottaviano nella Enciclopedia Filosofica, vol. IV, Sansoni, Firenze 1967, coll. 1242-1243.

(3) Firma autografa, a penna.

(4) L’unico scritto, che finora si conosce, è un saggio su Tommaso Campailla.

(5) I Gesuiti, dal 1610 operanti a Modica secondo molteplici attività, specie in quella d’insegnamento nel grande Collegio (1630-1767; 1812-1860) – idoneo a conferire i gradi accademici uniformiter alle più rinomate Università europee –, erano tornati in Città nel 1899 presso la Residenza di San Giuseppe, ove, fra l’altro, tennero vivo per molti anni un Centro giovanile. Oggi curano un corso universitario di studi sociali.

(6) Cfr. SANTI CORRENTI, La religiosità siciliana attraverso i secoli, in “Rivista storica siciliana”, a. XIII, n. 27 Catania, ottobre 1990 p. 12. L’insigne Autore ricorda “quel meraviglioso Pietro Fullone del XVII sec., che fu capace di trovare un’immagine originale e potente per spiegare uno dei misteri più profondi della religione cattolica, quello della verginità della Madonna:

 

“Pigghia lu cchiù gran specchiu ca ci sia ,

sia di cristallu finu, o sia ‘na massa:

tu guardi ad iddu, ed iddu guarda a tía

pirchì l’ùmmira tua dintra ci passa;

tu t’alluntani, ed iddu cancia via,

lu specchiu senza màcula si lassa:

cussì fu Cristu in ventre di Maria,

s’incarna, nasci e virgini la lassa !”

(“prendi il più grande specchio che ci sia / sia di cristallo fine, o sia una massa: / tu guardi lui, e lui guarda te / perché la tua immagine ci passa dentro; / tu ti allontani, e lui cambia aspetto, / lo specchio rimane senza macchia: / così fu Cristo nel ventre di Maria, / s’incarna, nasce e la lascia Vergine!”).

 

 (7) Cfr. CARMELO OTTAVIANO, Tommaso Campailla, cit., p. 15, là dove Omodeo dipinge agli alleati l’Ottaviano come un versipelle, cinico e opportunista traditore del maestro Buonaiuti. L’atteggiamento critico corretto dell’O. nei confronti di E. Bonaiuti è quello sopra indicato.

 (8) Hans Leisegang, ordinario nell’Università di Berlino, acceso antinazista, fu esonerato dall’insegnamento dopo avere pronunziato in un pubblico discorso una frase che fece il giro dell’Europa: “Chi mai avrebbe potuto predire al Maresciallo Hindenburg, che sarebbe stato commemorato dal caporale Hitler?…”.

Il Prof. Leisegang aveva effettuato la traduzione della prima edizione tedesca (1941) della Critica dell’Idealismo di Ottaviano.