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Sulla ‘religiosità’ di Tommaso Campailla

Da ‘L’Apocalisse dell’Apostolo San Paulo’, poema sacro

di Giorgio Colombo*

 

 

1. Dipendenti ad oltranza, dal 1880 ad oggi, dalla biografia di T. Campailla effettuata da Serafino A. Guastella, si sono riferiti non pochi luoghi comuni – accolti quasi dommaticamente – nel delineare i tratti della personalità dello Studioso modicano.

Il Guastella dichiara di attingere alla biografia del C. redatta nel 1783 da Secondo Sinesio. Quest’ultimo, a sua volta, mutua notizie sul C. da G. Trieste Bovio; ma cerca pure dirette informazioni, quarant’anni dopo la morte del C., venendo – come Egli stesso dichiara – per tre volte a Modica.

Anche Guastella – 140 anni dopo la morte del C. – riferisce di avere acquisito informazioni ‘tramandate’: queste però sembrano essere tutte segnate dal sensazionale, dallo stravagante, dall’esagerato, dalla chiacchera da caffè; in realtà, da un’ambigua ed acritica rappresentazione del C.

Inoltre, mentre il Sinesio si esprime costantemente con nobile e sereno rispetto verso le Studioso e la sua Città, il Guastella, forse anche – ma non esclusivamente – a seguito di influssi culturali ottocenteschi (da alcuni Storici già analizzati), appare incline a forzare i toni, non escludendo attribuzioni sprezzanti: “abitudini quasi selvatiche”, “stranezze, pregiudizi, superstizioni”, “cinismo e orgoglio”; “ceffo e ghigno da scimmia”; “arido misticismo”; “tronfiezza ingegnosa”...

Nulla di tutto ciò nel Sinesio, il quale anzi, oltre a sfumare alcune personali e, certo, singolari abitudini del Campailla (connesse peraltro, almeno alcune, con le sue ricerche sperimentali), riferisce sulla sua “sincerità” e “umiltà”; sulla “rettitudine di giudizio”; sul “senno, integrità ed onore nell’assolvere i compiti” di giurato; sull’interesse “per la musica”; sul suo essere “schivo di onori e dignità”; sul riguardo verso la “delicatezza di coscienza” della (prima?) moglie; sull’essere stato oggetto di stima e premure: “Si recarono tosto i suoi a visitarlo, e fra gli altri, i Medici più valenti, che sempre mai in quella Città fiorirono”. Del resto – rileva sempre il Sinesio – non “gli dispiaceva il conversare e trattare urbanamente”; anzi, in campagna con amici, “componeva all’improvviso canzoni e sonetti in lingua siciliana”. “Amante della verità”, non aveva difficoltà di ritrattare le proprie opinioni “quando non istessero a martello”, e rispondeva “sempre modestamente alle critiche osservazioni”.

Il Guastella poi, secondando una tendenza riduttiva e al ribasso, effettua una lettura dell’ambiente urbanistico, sociale e culturale di Modica nei secoli XVII-XVIII, decisamente priva di analisi, nonché certamente di confronto sincronico con altre realtà urbane dell’epoca e secondo valutazioni del tutto anacronistiche.

Egli infine non ci convince quando si avventura in valutazioni di natura filosofica; quasi per nulla, poi, come analista (per così dire) della concezione del mondo e del vissuto religioso della Popolazione oggetto della Sua indagine. Del quale ‘vissuto’, peraltro, come pure della connessa e corretta conoscenza della dottrina cristiana e della vita ecclesiale, il Guastella si dimostra approssimativamente informato e superficiale osservatore. Finisce Egli, pertanto, per esprimere – e con presunzione –  considerazioni estrinsecistiche (relative, ad esempio, all’ironica registrazione di pur effettivi dibattiti/controversie fra Studiosi di diverso orientamento teologico), e decisamente polemiche allorché Guastella osa entrare nel merito della profondità e del rilievo, anche pratico, delle problematiche in questione (alcune delle quali avvertite più intensamente dalla ‘cultura’ e dal ‘sentire’ del secolo XVII), e degne piuttosto di essere affrontate con serietà.

Guastella irride sbrigativamente queste appassionate, ma responsabili e attente dispute: che restano per Lui soltanto “aridità e sottigliezze scolastiche”. In realtà Egli non coglie la gravità di tali questioni sia perché distanti dai suoi interessi culturali sia a seguito dei persistenti e forvianti ‘giudizi’ anacronistici.

 

2. Nel contesto di tali letture non sufficientemente attente alla Società ed all’Uomo del ’600-’700, e, in esse, alla personalità, certo piuttosto complessa, di T. Campailla, anche quella della ‘religiosità’, o – meglio – della fede religiosa cristiana del C., merita di essere rivisitata. Possiamo farlo soltanto a partire dalle sue opere (e nella consapevolezza di non essere esaustivi della questione).

Dopo avere delineato l’atteggiamento di fondo del C., ci soffermeremo poi, più analiticamente, su un momento alto della sua riflessione, da cui si può evincere la sua coscienza ‘religiosa’ in senso stretto (non ci riferiamo, pertanto, a quella ‘etica’)10 .

Certo, da ciò non è possibile – né ci compete farlo – dedurre adeguatamente il grado della sua ‘spiritualità’ vissuta11 .

 

Anzitutto, dunque, alcune considerazioni di carattere generale.

La visione religioso-cristiana del mondo anima ed unifica tutta l’opera del Campailla. In ciò Egli è sulla stessa lunghezza d’onda col ‘sentire’ proprio dell’Uomo europeo – specie se colto – del suo tempo. L’Adamo e L’Apocalisse dell’Apostolo San Paulo – i suoi maggiori componimenti poetici – costituiscono il compendio del suo sguardo sull’universo e, in esso, sull’uomo, creato dall’onnipotenza di Dio e chiamato gratuitamente ad un processo conoscitivo e di amore sino alla beatificante visione ed unione con Lui, nella partecipazione alla Sua vita trinitaria.

In tale unitario sguardo ‘contemplativo’ sul creato si pone anche il suo appassionato impegno di ricerca scientifica – condotta certamente, con laica autonomia, iuxta propria principia –, che Egli pone di fatto nell’orizzonte del primo movimento di ‘preghiera’  (di cui diremo), dal momento che questo è pure costitutivo dalla riflessione sulla natura:

 

Or pria ciascun di voi nell’uomo pensi

quanto d’arte vi scoprì Anotomia,

con qual provido modo vi dispendi

gli umori l’animale economia,

quanto sottili idee mandano i sensi

al comun senso ed alla Fantasia,

e con qual regolato e giusto corso

varcar gli spiriti, ove si fa il discorso.

 

Allor dopo di aver ponderato

l’artificio del Corpo uman mortale,

di organi sì mirabili formato

il qual al fine è simile al brutale…12 

 

L’interpretazione di un cosmo regolato con ‘mirabile’ armonia non è data da una sorta di influsso religioso acriticamente recepito da un ambiente socioculturale. C. ha studiato le S. Scritture e riflettuto teologicamente13  poiché – Egli né è pienamente convinto – attraverso la Teologia, che sul Sacro Testo riflette con ammirazione di Dio e della Sua opera di salvezza, ‘si disvelano’ meglio i contenuti della fede e se ne coglie – benché solo inadeguatamente – la ragionevolezza14 :

 

Di angelica beltà Donna pietosa (la Teologia)

dinnanzi al santo Altar seder si mira:

de’ sacri libri il testo, il qual si posa

su desco d’or, legge, rilegge, e ammira.

Considera, riflette, ed ansiosa,

l’occhio or al libro, or a l’Imago gira…15 

 

Delle problematiche teologiche, il Campailla coglie in particolare (ma non esclusivamente) quelle dibattute nel ’600-primi decenni del ’700, come quelle sul rapporto natura-grazia e grazia-libertà; anzi è pure (non soltanto) a seguito di un’attenzione a queste che Egli scrive L’Apocalisse16 .

In tale Poema C. effettua una densa sintesi dottrinale, soprattutto teologica. Non però con distacco meramente speculativo: Egli dimostra di avvertire con intensità tali vitali questioni; né si tratta di ossequio ad una ‘estrinseca’ ortodossia, cui attendere quasi perché imposta o vigilata da un’Autorità ‘esterna’.

Osserviamo di passaggio che il robusto impianto dottrinale-teologico delle opere poetiche maggiori17 , espresso con viva partecipazione – e perciò costitutivo della fede personale del Campailla – non può essere diminuito dalla sua ‘devozione’ all’arcangelo Raffaele18 , poiché le ‘devozioni’ ai Santi (o agli Angeli) fanno legittimamente parte del tessuto quotidiano della vita del credente cattolico se poste nel contesto di una vita di fede, speranza e carità – virtù teologali ed infuse, tipiche del cristiano, di cui C. ampiamente tratta nel canto 2 –. Non fa stupore, ancor di più, una tale devozione, ‘costante’ nella vita di un Uomo del sei/settecento, in un secolo cioè in cui la predicazione e la prassi pastorale non mancavano di promuovere anche riferimenti di tal genere19 .

Tanto meno costituisce una singolarità20  – anzi è espressione di fede cristiana autentica – la frequenza della Comunione eucaristica negli ultimi tre anni di vita, effettuata quotidianamente dal C. in preparazione – e forse anche nel timore, degno di riconoscimento nell’umana esperienza, tanto più se consideriamo l’animo, a quanto pare, ansioso dell’Uomo – della prefigurata morte. Peraltro, al di là di tale circostanza, piena è la sua fede nella presenza e comunione eucaristica:

 

In mezzo l’Arca star del Dio Signore,

ma di novello Patto, ivi si mira,

dentro ha la Manna vera, in cui l’amore

serba se stesso in Cibo a chi vi aspira,

che chiude d’un Uom Dio con fe’ sincera

in ispecie di Pane la Carne vera.

…………………………….

Ristora ed alimenta, e non apprezza,

chi l’assaggia, mai più cibo terreno…21 

 

3. Non reca alcuna ‘meraviglia’ – come presuntuosamente si esprime ancora S. A. Guastella22  – il fatto che Campailla abbia dedicato tre canti23  de L’Apocalisse dell’Apostolo San Paulo – l’opera, che riteniamo della ‘maturità’ umana del C. – ai tre ‘movimenti’ dell’attività meditativo/contemplativa, o, se si preferisce, ai tre gradi di preghiera.

Anche qui, precisione concettuale ed essenzialità di sviluppo espositivo manifestano conoscenza dottrinale e prudenza in merito al ponderato riconoscimento dell’esperienza soprannaturale nel processo di elevazione dell’uomo a Dio.

 

Nel delineare gradi e modalità dell’orazione/contemplazione, C. preferisce fare riferimento – fra le varie ‘Scuole di spiritualità’24  – a Tommaso d’Aquino25 , il quale sulla predetta questione a sua volta fa propria la dottrina neoplatonico-mistica di Dionigi l’Areopagita (sec. V-VI)26 , mentre non condivide l’esposizione dei gradi della contemplazione, proposta nel Beniamin minor e Beniamin maior da Riccardo di S. Vittore († 1173)27 , anch’essa pertanto espressamente non accolta dal Campailla. Questi, di fatto, si rifà all’Aquinate tramite l’opera voluminosa del carmelitano spagnolo Giuseppe di Gesù Maria La Salita dell’Anima a Dio – nella traduzione in italiano del carmelitano Baldassare di S. Caterina da Siena, edita a Venezia nel 1681 – il quale, nella seconda parte dell’opera, ripropone appunto l’itinerario indicato da Dionigi il Mistico (o Areopagita)28 .

Tali precisazioni circa le fonti ed i riferimenti culturali non sono superflue, poiché, nell’esplorare un terreno ‘minato’ – per la possibilità di incidere in discutibili arrovellamenti su se stessi e in misticismi – ed alto, benché proprio di ciascun credente nel processo di maturazione di fede, il Campailla esclude piste complesse ed artificiose per volgersi – e proporlo – ad un itinerario caratterizzato da semplicità e concretezza, qual è quello tomistico29 .

 

4.  L’anima, “sospinta da Sua (di Dio) grazia e suo favore30  – come si esprime Campailla –, ossia sotto l’influsso soprannaturale di Dio, e protesa a volgersi a Lui “in union d’amore”, non è in uno stato di ‘quiete’, ossia quasi di inazione – come potrebbe equivocamente intendersi l’itinerario ‘mistico’ –. La contemplazione è ‘motus’, movimento altissimo, con carattere anzi di perfezione, poiché si tratta di un ‘motus’ dell’intelletto (theoreticòs bíos)31  e, cristianamente, pure dell’amore (agápe):

 

Ma qualor col suo vel (della fede) ei guarda e crede,

con occhio vede Dio vie’ più perfetto:

né il vede sì, che qual suo Ben, nol brami;

né il brama sì, che, sommo Ben, non l’ami.32 

 

Ebbene – osserva l’Aquinate al fine di chiarire in qualche modo un cammino interiore – il ‘muoversi’ della ragione nel suo orientarsi verso la Verità, nonché quello, sempre più profondo e soprannaturale, dell’orazione, presentano analogie con i movimenti corporali/locali.

Quest’ultimi sono riducibili a tre: un moto circolare, che si sviluppa intorno ad un centro; un altro, retto, se si procede da un punto ad un altro: in alto o in basso, verso destra o verso sinistra, avanti o indietro; il terzo può essere considerato obliquo, ossia non diretto, o anche misto, poiché partecipa di entrambi i precedenti movimenti, com’è, ad esempio, quello ellittico.

Anche la ragione ‘si muove’ in modo simile. Così, se essa procede dal genere alla specie, o dal tutto alla parte, o dalla causa agli effetti si dirà che tali movimenti teoretici sono  retti; se analizza gli accidenti in quanto riferiti (come ‘orbitanti’) alla sostanza, la ragione effettua quasi un moto circolare; se però il suo sviluppo è segnato da un procedere discorsivo più articolato, esso è caratterizzabile come misto.

 

5.   Qualcosa di analogo avviene in quel movimento, sempre più intenso ed alto, per il quale l’Uomo “unitis virtutibus ad pulchrum et bonum manuducitur33 , ossia nel suo graduale elevarsi, questa volta per grazia, a Dio.

 

Col primo moto, il quale è retto, ascende

pría dalle creature al Creatore…34 

 

La ragione umana, cioè, animata dalla fede – “dee di luce di Fede esser vestita 35  –, meditando sull’esperienza sensibile, leggendo nella natura come in uno specchio, in eventi e nelle parabole evangeliche connesse alla vita quotidiana, comincia a cogliere in qualche modo l’infinita bontà, verità, bellezza, perfezione di Dio.

Il secondo movimento eleva ulteriormente l’animo umano: è un elevarsi misto, quasi, appunto, a spirale. Infatti la meditazione, in tale grado, è raziocinante e perciò ancora connessa alle cose, cui deve a tratti volgersi; è tuttavia pure ‘illuminata’ soprannaturalmente così da intravedere con sempre maggior vigore e, certo, con intuito di fede e di carità, la grandezza, le altezze, le profondità36  di Dio.

 

Fassi il secondo, obliquo detto o misto,

quando Dio dall’essenza Sua divina,

perché non bene esser disposta ha visto,

l’alma abbassa al creato e la declina,

affinché torni a Lui con nuovo acquisto,

che ha da nuovi riflessi, in cui cammina;

e risalendo a Lui con più vigore,

con nuovo lume ammiri, e novo amore.37 

 

Finalmente il terzo e più alto movimento interiore, quello circolare: tale perché, cessati ogni possibile contributo proveniente dall’attività dei sensi esterni ed ogni discorso argomentativo, ci si orienta su Dio con una ‘contemplazione’ – questa volta, in senso stretto – la più intensa possibile, anche se pur sempre secondo le condizioni terrene e perciò in un’oscurità, pregnante tuttavia di certezza e in qualche modo beatificante.

L’anima umana, in questo stadio, contempla ed ama, ama e contempla Dio: grande è il ‘senso di Dio’, inondata d’amore è la volontà. Lo ama e Lo contempla in una lode ed in un’esperienza – impossibile ad essere espressa adeguatamente – che per grazia, e soltanto per grazia, è di ‘pura’ (perché libera da ragionamenti) contemplazione: un ‘theoreín’ 38  altissimo e pervaso di amore, una conoscenza amante, un’amore contemplante. Si tratta di un’orazione ‘passiva’: “non solum discens, sed et patiens divina”39 . Ma, nulla in comune col ‘quietismo’. Con la grande mistica Teresa d’Avila, tale ‘passività’ è da intendersi non nel senso che sia esclusa l’attività dell’Uomo, bensì che a tale altissimo ‘dono’ contemplativo possiamo soltanto disporci, poiché “da noi stessi non vi potremo mai arrivare nonostante ogni nostra possibile diligenza40 .

Tommaso Campailla ora si eleva con versi fluidi, tendenti a celebrare e cantare la liberazione dell’intelletto umano in questo suo supremo ‘movimento’:

 

… la terza via a riconoscer Dio

è in pura luce, e semplice di fede.41 

 

L’anima, come un’aquila, non si muove più nella dispersione e nell’opacità di ragionamenti molteplici, in definitiva poveri, bensì vola alto – quasi con ampio volo circolare – costantemente volgendo lo sguardo su Dio: “Lo contempla in amandolo e Lo ammira / nel lume incomprensibile suo stesso. / Tutta si perde in quella immensa vista…42 .

Tali altezze e profondità ‘mistiche’ non decadono nel ‘misticismo’. Trattasi pur sempre di una “luminosa oscurità” (Eckart), poiché “una luce quanto più è viva tanto più abbaglia” (Giovanni della Croce). Insomma non si presume di pervenire, in tale stadio, ad una visione – come dichiaravano i Molinisti – della stessa essenza di Dio, impossibile per l’uomo nel suo stato terreno:

 

Gli atti del contemplar son somiglianti,

quei, che in terra si fan, con quei, che in Cielo;

sol ciò, che senza velo in Ciel si vede,

si scopre qui col solo vel di Fede43 .

 

La più alta contemplazione-visione-orazione consiste piuttosto in un’esperienza (che può essere di maggiore o minore frequenza, di grado più o meno intenso), nella quale, per l’influsso di Dio, alle facoltà dell’intelletto e della volontà – “di luce l’Alma e di dolcezza il core44  – ma con possibile ridondanza in quelle sensitive45 , viene concessa una forza più alta, in virtù della quale Dio viene attinto in modo nuovo e più intenso. Si ha come una dilatazione della coscienza, per cui le verità di fede e la stessa Realtà soprannaturale vengono colte con più luminosa chiarezza e profondità. Nello stesso tempo si può cogliere con maggiore acutezza tutto ciò che allontana da Dio; né sono da escludersi prove e sofferenze esterne ed interiori (malattie, umiliazioni, dubbi…): non si tratta pertanto di un’esperienza caratterizzata soltanto da intima gioia. Motivo di riserva critica, poi, ogni modalità di esaltazione emotiva o di evasione dagli impegni e dai travagli feriali della vita46 .

Tommaso Campailla, con autorevole esposizione dottrinale, con un procedere, vibrante ma piano e scevro di enfasi retorica, evitando qui ogni virtuosismo semiotico, coglie ed esprime tale alto dinamismo interiore. Ma non si smarrisce su piste emotive o ambiguamente esaltanti: anzi, sostando e quasi spezzando l’esposizione di un alto processo contemplativo, lo Studioso di fisiologia emerge per avvertire come stati d’animo di ‘malinconia’ o un ‘fervore’ discutibile47  (… specie nella donna48 ) – “d’umore atrabiliare effluvio ardente49  –, possono indurre all’illusione di essere pervenuti a stati ‘mistici’.

Né il Poeta perde di vista la valorizzazione – in tale momento di elevazione soprannaturale – della natura umana.

Egli infatti, dopo tre versi densi di sobria commozione, incalza e sancisce con un ultimo – vigile ed incisivo – tendente a precisare come l’anima “di quanto perdé molto più acquista50 . E’ la notazione, pregnante di concretezza, circa il recupero, a livelli nuovi e più alti ed imprevedibili, delle potenzialità, dell’attività e delle attese dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività, del fondo dell’anima…:

 

“Il terzo è circolare, che ovunque gira,

l’anima, sempre a Dio, suo fine, è presso.

Coi rái de la ragione più non lo mira:

Ma con occhi di Fé lo scorge in esso,

Lo contempla in amandolo, e l’ammira

nel lume incomprensibile suo stesso.

Tutta si perde in quella immensa vista,

ma di quanto perdé molto più acquista.51 

 

 

NOTE

 

 * (Modica, 1934). E’ autore di numerosi articoli su periodici e di tre saggi storici.

E’ presidente, dal 1996, dell’Ente Autonomo ‘Liceo Convitto’, fondazione culturale (Modica), editrice di Archivum Historicum Mothycense.

Risiede a Modica, vanella De Naro Papa, 5/a. Tel. 0932/903195.

 

(1) Di Tommaso Campailla e de’ suoi tempi, Ed. Pro Loco, Modica 1976 (rist. dell’ediz. del 1880).

(2) Vita del celebre filosofo e poeta Sig. D. Tommaso Campailla patrizio modicano, in T. Campailla, L’Adamo, ovvero il mondo creato, Tip. Pulejo, Siracusa 1783.

(3) Su tutte le biografie del C. cfr. G. Criscione, T. Campailla e l’ambiente culturale a Modica fra ’600 e ’700, in questo stesso fascicolo di Archivum…, pag. 71 e segg.

(4) Atti del Convegno su ‘S. A. Guastella e la cultura contadina nel Modicano’, Modica-Chiaramonte Gulfi 1975, in Arch. Storico per la Sicilia Orientale, anno LXXV, 1979, fasc I.

(5) … la quale inoltre pare non abbia condiviso gli interessi di studio del Marito, ma non perciò – come con sbrigativa esasperazione deduce il Chiaramontano – sia stata “resa infelice”. Potrebbe, del resto, essere avvenuto anche il contrario, dal momento che C. così si esprime: “Giro eterno di pene in lui [nel marito] tu vedi, / se sferico in lui vedi anello in mano… / e può mostrar, tenendo i ceppi a’ piedi, / che chi a moglie si lega è vero insano”; Emblema CXXXVIII (o CXXXVI); cfr. anche E. CXXXIX (o CXXXVII). Gli Emblemi furono pubblicati nel 1716; il primo matrimonio è del 1694, il secondo, del 1715.

(6) Op. cit., pag. 20 e segg. Cfr. osservazioni critiche alle medesime in Archivum… n. 4/1998, pag. 4, Nota 3, e lo studio di G. Criscione citato; cfr. anche il nostro Collegium Mothycense degli Studi Secondari e Superiori, in partic. cap. I e II.

(7) Riteniamo che, se ci si misura con una problematica, occorra esserne adeguatamente informati: se si discute di questioni finanziarie, è necessario avere almeno una discreta conoscenza circa la scienza delle finanze!… E’ questione di serietà e scientificità di studio.

(8) Accenniamo, per esemplificare, alla questione del probabilismo/probabiliorismo - cui il Guastella fa riferimento a pag. 99, nota 1 -, ossia alla ricerca di soluzione circa il corretto rapporto fra coscienza soggettiva ed una norma non certa: questione non astratta, da affrontare non solo teoricamente ma pure - talvolta drammaticamente - nella prassi quotidiana. Su tale problematica si misurarono in quei secoli grandi Ingegni, quali Caietano, Vitoria, Domenico Soto, Bartolomeo di Medina, Suarez, Vasquez, Lessio, De Lugo, Bañez, S. Alfonso…, Maestri delle Università di Salamanca e di Parigi, e, in Sicilia, il teatino Antonino Diana ed i gesuiti Tommaso Tamburini e Francesco Bardi, delineando vari ‘sistemi’ morali. Le soluzioni furono diverse e trasversali, ossia non etichettabili come esclusive dei teologi di uno oppure di altro Ordine religioso.

La questione del ‘probabilismo’ fu cruciale nel ’600, al punto da potere essere considerata “luogo di tematizzazione interdisciplinare della convergenza fra storia politica, storia sociale e storia culturale” (cfr. S. Burgio, Teologia barocca. Il probabilismo in Sicilia nell’epoca di Filippo IV; Biblioteca Società Storia Patria Sicilia Orient., maggio 1998, pag. 21), né pertanto può legittimamente – come fa il Guastella – essere snobbata.

Ci fu certamente nel ’600 un pullulare notevole di trattati di ‘casistica’ (studi per l’applicazione della teologia morale ai ‘casi’ particolari). Ma, al di là di successive assolutizzazioni (che oggi rifiutiamo) di tali soluzioni, osserviamo, nell’impegno per un’onesta lettura storica:

1) la soluzione ‘probabilistica’ ai vari ‘casi di coscienza’ andava incontro a problemi concreti di coscienza nell’intento non di opprimerla, bensì di aiutare ad individuare possibili circostanze attenuanti la colpa (…sensi inutili di colpa): da qui le accuse di ‘lassismo’ da parte del rigorismo giansenista;

2) si tratta di responsabili riflessione di Studiosi al fine di adattare la ‘morale cristiana’ a nuove condizioni sociali: “trasformazioni economiche, politiche, culturali…, che non trovano riscontro nei testi della tradizione patristica e medievale” (S. Burgio, op. cit., pag. 9);

3) le ‘strategie di politica religiosa’ – anche quelle, segnalate con sospetto, presso le ‘coscienze’ della classe dirigente (e di regnanti) – costituiscono pur sempre interventi volti ad orientare cristianamente la soluzione di rilevanti questioni teorico/pratiche: il rapporto e la pacificazione fra potenti, il prestito ad usura, le controversie per le eredità, il diritto di guerra, il duello, l’affermazione della libertà di coscienza, la morale coniugale, l’istituzione di scuole, di ospedali…

Certo, nella complessità di ogni intervento umano sono pur sempre possibili ambiguità ed effetti collaterali;

4) coloro che criticano polemicamente l’elefantiasi trattatistica del ’600 e sottili distinzioni di moralisti, dimostrano un’acuta capacità di analisi (alimentata dalla post-moderna cultura del sospetto); per cui, se i Medesimi fossero vissuti a quei tempi, essi stessi probabilmente avrebbero adoperato tali risorse personali in direzione di sviluppi ‘casuistici’ di studio!…;

5) di fronte alle valutazioni circa l’impegno (eccessivo, anche perché barocco…) profuso dai trattisti – probabilisti o no –, e che oggi rifiutiamo per l’appello e la fiducia nella retta e formata coscienza individuale e con riferimenti biblici più consistenti teologicamente e dinamici, è forse opportuno attendere – liberi da snobismi intellettualistici – pure alla irraggiungibilità del mondo di ‘chi non ha le scuole’, nonché alla necessità per tutti – anche per i ‘dotti’ – dello scambio di pareri (‘direttivo’ o meno) con Persone sagge per muoversi con coscienza morale, la più corretta possibile, fra non pochi scogli del vivere quotidiano.

(9) Il Guastella resta, a nostro avviso, attento e prezioso studioso di alcuni aspetti di vita della popolazione dimorante nei vari Comuni facenti parte della Contea di Modica (‘etnologo’ o ‘etnografo’? Non riusciamo a convenire del tutto, per i motivi sopra esposti, sulla qualifica di ‘demopsicologo’…).

Riconosciamo inoltre la Sua passione civile, che costituisce, forse, una delle motivazioni della sua ricerca antropologica (oltre che del suo evidente anacronismo valutativo – o, se si vuole, dell’esclusiva lettura diacronica senza quella sincronica: ma il profeta non è necessariamente un buon storico!). Su tale impegno riformatore analitiche letture e riflessioni sono state effettuate; cfr. ad es. G. Barone, Ideologia e politica in ‘Fra Rocco’ (1860-1862), in S. A. Guastella e la cultura contadina nel Modicano, cit., pagg. 123-147.

(10) Trattando delle opere di Studioso che, per sua stessa dichiarazione, tiene ad essere fedele al Magistero ecclesiale, riteniamo opportuno - per un corretto studio - tenere presente e, in genere, la dottrina cristiana riconosciuta autenticamente tale e, in particolare, le ‘Scuole di spiritualità’ (cfr. Nota 21), in quanto anch’esse accolte e riconosciute dalla Chiesa cattolica.

(11) Sappiamo soltanto dal Sinesio, op. cit., pag. XXXVIII, che Campailla “sempre dirigeva lo studio a Dio, e le cose di quaggiù volle che gli fussero scala a quelle di lassù, e al sommo Fattore il conducessero”.

Le motivazioni del notevole impegno di studio di T. Campailla emergono sempre più essere gli stessi del grande Filosofo, ch’Egli si è dato come guida – e che non intende a cuor leggero abbandonare assecondando, come ‘canna sbattuta dal vento’, ‘mode’ culturali –. Ritorna qui (estendendo l’intuizione interpretativa) l’annotazione di G. Criscione, allorché questi osserva (La concezione di ‘filosofia’ di T. Campailla, in Arch. Hist. Mothic., n. 4/98, pag. 38) come Muratori non avesse colto il ‘significato’ che Campailla conferiva al suo attaccamento a Cartesio.

Gli intenti di Cartesio sono di rinnovamento scientifico, filosofico, religioso. Ebbene, pur nella non assolutizzazione di nessuna – con esclusività – di tali prospettive interpretative del pensiero cartesiano, è certamente da ritenere pure quella connotata “dal divisamento del Pensatore francese di dare alla Chiesa cattolica una nuova filosofia” dopo il tramonto – a suo parere – dei modelli scolastici gnoseologici e metafisici.

Di fatto (al di là del circolo vizioso in cui Cartesio incide, essendo l’esistenza di Dio dimostrata da Lui sulla base di quella chiara ragione che, a sua volta, da Dio è garantita…), Dio è essenziale, in Cartesio, sia per non darla vinta allo scetticismo sia per la fondazione della sua fisica. Cfr. C. Ottaviano, L’unità del pensiero cartesiano, Ed. Muglia, Catania 1962, pagg. 6-12, passim.

Lo stesso dicasi, senza alcun dubbio, per Campailla: “Se idea distinta e chiara ha il pensier mio, / non erra nó, che fora error di Dio” (L’Adamo, c. 1, st. 65; ma cfr. tutto il c. 1, su ‘I princípi delle cose’).

Dunque, anche per Campailla, tutto l’edificio crolla, se crolla il presupposto, ossia Dio stesso.

(12) L’Apocalisse dell’Apostolo San Paulo, poema sacro, a cura di S. Sinesio; stampato da F. M. Pulejo, Siracusa 1784; c. 4, stt. 52 e 54. Cfr. L’Adamo, c. 1, st. 43: “Così l’enemendabile Architetto, / poiché l’ampio universo egli ha costrutto; / e con forza ineffabile d’un Detto, / l’ha in forma perfettissima ridutto; / l’Anel del Tutto a dimostrar perfetto, / medita, l’Uom crear, Gioia del Tutto, / dando a Corpo mortale Anima eterna, del gran Fattore Immagine superna”.

(13) Sarà soltanto verso la fine del sec. XVIII che “la teologia, ch’era stata [anche] in Sicilia da tutti - non erano i soli ecclesiastici, ma anche i secolari [ad occuparsene]… - e con grande ardore coltivata,… decaderà poi dal suo splendore… Conferì in prima a tal mutazione la novella filosofica che… rotto avea l’alleanza tra le idee filosofiche e religiose… Vi si aggiunse di più la galante letteratura che… ritraeva gli spiriti da quegli studi, ch’erano seri e gravi”. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel sec. XVIII, Ristampa Ed. Regione Siciliana, Palermo 1969, pag. 199.

(14) Cfr. L’Apocalisse…, c. 4, v. 34:

(15) L’Apocalisse…, c. 4, st. 28.

(16) …occasionalmente anche contro il/i movimenti ereticali dei Molinisti/quetisti, e perciò pure in vista degli Alumbrados - ‘illuminati’ -, che lambirono agli inizi del sec. XVIII l’antico monastero delle Benedettine di Modica.

Queste, in breve, le tesi dei Molinisti e degli Illuminati (“lor molli sentenze”; cfr. sintesi introduttiva in versi al canto 3 - tutto su ‘La falsa contemplazione’ -), contestate da Campailla:

- l’anima finisce per essere ‘impeccabile’, poiché, in virtù del suo stato di ‘visione’, non può vedere altro da ciò che Dio vuole;

- il suo stato è d’una immobile ed imperturbabile pace;

- l’anima ‘perfetta’ è esentata anche dagli atti di virtù; anzi pure dal ringraziare l’“Autor divino” (stt. 64-65), e, a fortiori, Maria, Angeli e Santi.

In radice: C. dimostra con determinazione come il contemplante - per la sua condizione psichica nello stadio storico-terreno - non può restare fisso nella divina essenza; c. 3, stt. 32-61.

 

L’Apocalisse dell’Apostolo San Paulo è del 1738; cfr. G. Criscione, Produzione scientifica e letteraria di T. Campailla, in Archivum…, n. 4/1998, pagg. 13-21. Il poema trae il titolo di ‘Apocalisse’, per analogia di contenuto, dall’Apocalisse, riconosciuta canonicamente ‘ispirata’, dell’apostolo Giovanni, e mutua lo stesso significato di ‘rivelazione-manifestazione di realtà nascosta’. Quanto al fondamento biblico – di cui il poema del C. tenderebbe ad essere un’immaginaria esplicazione –, esso va individuato nella Seconda lettera di Paolo ai Corinzi, 12,1-3: “Se è proprio necessario gloriarsi, benché non sia utile, parlerò dell’estasi e delle rivelazioni che ebbi da parte del Signore. Conosco un uomo, in Cristo, il quale quattordici anni or sono fu rapito fino al terzo cielo, ignoro se col corpo o senza il corpo, perché Dio solo lo sa. E so che quest’uomo, se in corpo o fuori del corpo non so, Dio lo sa, fu rapito in Paradiso e udì parole arcane che uomo non può udire”.

Può costituire informazione di qualche interesse riferire che Uriele - guida di Paolo nel racconto del Campailla - è uno dei sette arcangeli che stanno al cospetto dell’Altissimo, sono preposti al creato (cfr. Ezechiele, 9, 2 e segg.; Tobia, 3, 17 e 12, 15; Apocalisse di Giovanni, 8, 2) e costituiscono un fattore caratteristico delle Apocalissi (Daniele, 8, 15-19; 9, 21 e segg.). Il nome, insieme a quello degli altri sei, è però dato da Henoch Etiopico (pseudonimo di un Autore di scritti composti nel tardo-giudaismo: II sec. a.C.). Cfr. Grande lessico del Nuovo Testamento, a cura di G. Kittel, ed. Paideia, Brescia 1965, vol. 1, pag. 37*, e ivi, alla voce ‘¢rc£ggeloj’, col. 231.

(17) Non ci compete entrare nel merito della valenza poetica delle medesime, su cui un attento studio è stato effettuato da D. Di Trapani, I poemi di T. Campailla - Fonti ed elementi per una rilettura critica, in Archivum…, n. 4/1998, pagg. 23-32, e ivi, l’Editoriale, pagg. 7-8. Aggiungiamo soltanto come, a nostro avviso, non può essere, di per sé, la densità contenutistica - le ‘disquisizioni teologiche’, di cui S. A. Guastella, op. cit. pag. 100 - ad inficiare una eventuale positiva valutazione, dal momento che anche il lettore (critico) deve conoscere ed avvertire (ri-avvertire) quei ‘contenuti’, avvertiti intimamente e proposti dal Poeta: diversamente tali contenuti - qualunque essi siano (anche se si ‘canta l’amore’!..) - resteranno incomprensibili e giudicati ‘aridi’, e perciò, inesorabilmente ed ‘a priori’, non poetici.

(18) … su cui il Guastella sembra fondare tutta la ‘religiosità’ del C.

Il nome ‘Raffaele’ equivale a ‘Dio guarisce’: una devozione di C. a tale ‘potente’ Arcangelo in virtù del suo interesse scientifico-medico? Ci sembra peregrino il riferimento ad un Raffaele ‘paraninfo’… Cfr. S. A. Guastella, op. cit., pagg. 19-20 e ivi, nota 3.

(19) … che, semmai, potevano alimentare eccessivamente gli ‘affetti’ (cfr. G. C. Argan, L’arte barocca, Ed. Newton Compton, Roma 1989, pagg. 19, 42, …), cioè emozioni e sentimenti, e non - come afferma Guastella, op. cit., pag. 98 - ‘aridità’. (In ogni caso, il Cristianesimo non è un ‘sentimento religioso’ schleiermacheriano, o una congerie di emozioni). Il moltiplicarsi delle ‘devozioni’ ai Santi (ma non è il caso del Campailla) poteva certamente indurre i credenti a distogliere il proprio orientamento dall’unico Salvatore. Vanno comunque tenute presenti e la ‘cultura’ del tempo e la pedagogia pastorale della Chiesa.

Una seria critica fondata, relativa a quei secoli (cui accenniamo perché tocca problemi che stiamo trattando, ma che viene superata di fatto dal Campailla dal momento che Egli sceglie e privilegia il genere letterario poetico) avrebbe potuto essere piuttosto quella riferibile ad una certa marcata distinzione fra la teologia teoretica e apologetica, e la teologia ‘spirituale’. Quest’ultima inoltre, da parte sua, tendeva ad un certo antropocentrismo ed individualismo (sia pur profondamente ‘interiore’) piuttosto che ad evidenziare gli aspetti Kerigmatico-soteriologici, comunitari ed escatologici, non manifestando, forse, una vera immersione biblica, e procedendo nel rischio del ripiegamento del credente su se stesso e della non apertura al mondo in funzione di un impegno di incisiva trasformazione della Società. (Forse sta qui un ‘barlume’ di critica fondata da parte del Guastella, là dove questi usa brutalmente il termine ‘egoismo’; op. cit., pag. 98). Tale limite – assenza di modelli politici alternativi - viene invece attentamene ed acutamente evidenziato da C. Dollo (che però segnala altre ‘cause’..; cfr. C. Dollo, La ragione signorile nell’etica di T. Campailla, in Siculorum Gymnasium, 2, 1979, pagg. 379-412) in merito ai conseguenti orizzonti etico-politici del Campailla, non caratterizzabili tuttavia - a nostro avviso - come tipicamente ed esclusivamente ‘signorili’, né come ‘provinciali’ (per motivi che qui non ci compete analizzare).

Peraltro, che si trattasse soltanto di un ‘rischio’ (di intimo ripiegamento), lo dimostra il fatto che il sistema sociale modicano (intriso di religiosità cristiana) era, in realtà, un sistema ‘in movimento’, segnato, già nel ’600, da una certa mobilità – e, comunque, interazione – fra i diversi ceti sociali, dall’attivo associazionismo artigianale, dal fervore di attività commerciali, da trasformazioni agricole (cfr. il nostro Collegium Mothycense degli Studi Secondari e Superiori, Modica 1630-1767; 1812-1860; Modica 1993, pagg. 64-68); né vanno messi in ombra ospedali, scuole, orfanotrofi, ‘opere pie’ aventi molteplici finalità, che emergono largamente in quei secoli nella Contea ad opera di cristiani; e finalmente, con riferimento a Campailla, il suo personale impegno di ‘scienziato’, motivato seriamente nella ricerca – anche a seguito di morbi ed epidemie - a trovare efficaci terapie, oltre al suo impegno di ‘giurato’,  ruolo per molti anni assolto, per sua stessa dichiarazione (cfr. Lettera a Muratori del 2.1.1731), non certo come un ambìto svago.

(20) S. A. Guastella, op. cit., pag. 15.

(21) L’Apocalisse…, c. 1, stt. 71 e 56.

(22) S. A. Guastella, op. cit., pag. 99.

(23) Il 4° - 5° - 6°; più il 7° su ‘Le purgazioni passive e la Notte oscura’.

(24) Il termine ‘spiritualità’ denota qui l’esperienza interiore dell’Uomo, in quanto guidato dallo Spirito Santo (‘Pneúma’). Non va inteso, pertanto, in direzione spiritualistica, ossia come esclusione del coinvolgimento del corpo, che anzi può essere implicato per vari aspetti in quel processo.

Le ‘Scuole cristiane’ di spiritualità, che cioè tendono a dare un’esposizione, in qualche modo sistematica, al progredire di elevazione soprannaturale dell’uomo verso Dio, e prospettano metodi d’orazione diversi, sono state lungo i secoli numerose. Accenniamo soltanto a quelle Patristiche greca e latina, alla spiritualità benedettina (e cistercense, certosina), di S. Vittore, domenicana, francescana, mistica fiamminga; e poi, nell’età moderna, alla scuola carmelitana, ignaziana (della Compagnia di Gesù), di S. Alfonso de’ Liguori, dei Passionisti, di S. Filippo Neri, salesiana…

Va infine rilevato che l’itinerario contemplativo non è proprio soltanto del monaco, bensì del cristiano tout-court, come dimostra la consapevolezza stessa del Campailla.

(25) Summa Theologiae, 2a 2ae, questione 180, art. 6.

(26) … o meglio, dello Pseudo-Dionigi, De divinis nominibus, cap. 4, § 8, in Migne Greco, 3, 704.

(27) Riccardo di S. Vittore espone “con le più minute suddivisioni ed i più accurati confronti la dottrina della contemplatio”. Quello di Riccardo è un “misticismo speculativo (e non volitivo o affettivo)”, per via del “primato dell’intelletto sulla volontà”: è “l’intelligenza (per Riccardo) che va a Dio, non il cuore”. R. “è un filosofo, un tecnico della mistica, e forse più che della mistica, dei correlativi filosofici di essa, la psicologia e la morale”. C. Ottaviano, R. di S.V., la vita, le opere, il pensiero, Memorie dell’Accademia dei Lincei, Serie VI, vol. IV, fasc. V, Roma 1993, pagg. 451-452 e 531. (Questo studio monografico di C. Ottaviano su R. di S.V. è il primo saggio completo, analitico, acuto che sia stato compiuto sul grande Maestro medievale).

(28)  Copia di tale opera tradotta, dal Campailla letta e ‘postillata’, fu riscontrata dal Sinesio nella biblioteca del can. Pietro Campailla, nipote del Nostro; cfr. l’ediz. 1784 de L’Apocalisse…, annotazioni al c. 4, pag. 42.

(29) “Unde patet quod Dionysius multo sufficientius et subtilius motus contemplationis describit”; S. Th., 2a 2ae, q. 180, a. 6, ad tertium.

È certamente attenzione, particolarmente avvertita dai cristiani tra la fine del ’500 e tutto il ’700, quella di analizzare i percorsi di profonda purificazione e di partecipazione ai misteri di Cristo e, in definitiva, di processo interiore, nonché di darne quasi schematiche (ma sempre di valenza relativa) sistematizzazioni: ciò, anche allo scopo di proporre itinerari e guide valide per l’ ‘autenticità’ del ‘cammino di perfezione’.

Un’attenzione a tali itinerari di vita e profonda esperienza cristiana non è tuttavia esclusa dalla esposizione ed elaborazione teologico-spirituale pure del nostro secolo: basti accennare alla riflessione del grande teologo H. U. von Balthasar (†1988) sull’esperienza ‘mistica’ di Adrienne von Speyr. Infatti - come si esprime il medesimo Studioso - la conoscenza del patto di alleanza fra Dio e l’Uomo non si realizza “in una comprensione statica:…la conoscenza si realizza in atto, e al tempo stesso nel trascendimento di sé… verso il compimento a venire”. H. U. von Balthasar, L’unità fra teologia e spiritualità, in Con occhi semplici, Ed. Herder-Morcelliana, Brescia 1970, pag. 19.

(30) L’Apocalisse…, c. 4, st. 44.

(31) Cfr. Aristotele, De anima, VII, 1; Ethica nicomachea, X, 7.

(32) L’Apocalisse…, c. 2, st. 67.

(33) Dionigi il Mistico, De caelesti hierarchia, cap. 1 § 2, in MG, 3, 121; cit. da T. d’Aquino.

(34) L’Apocalisse…, c. 4, st. 44.

(35) Ivi.

(36) “… Possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e possiate anche intendere quella carità di Cristo che sorpassa ogni comprensione, e così siate ripieni di tutta la pienezza di Dio”.      S. Paolo, Agli Efesini, 3, 18-19.

(37) L’Apocalisse…, c. 4, st. 45.

(38) Si tratta pur sempre di ‘conoscenza’: “essentiam habet in intellectu”; S.Th., 2a 2ae, q. 45, a. 2.

(39) Dionigi, De divinis niminibus, in S.Th., 2a 2ae, q. 45, art. 2.

(40) S. Teresa di Gesù, Cammino di perfezione, cap. XXXI, 2.

(41) L’Apocalisse…, c. 5, st. 34.

(42) L’Apocalisse…, c. 4, st. 46.

(43) L’Apocalisse…, c. 6, st. 58.

“Questa conoscenza è ancora ‘in enigma e come in uno specchio’: la soggettività [di Dio] è ancora oggettivata per essere colta da noi, ma nello specchio della sovranalogia della fede, nei concetti scelti da Dio stesso per dirsi a noi, finché alla fine ogni specchio cadrà… e conosceremo veramente la soggettività divina in quanto soggettività, nella visione in cui l’essenza divina stessa attua il nostro intelletto per estasiarlo in essa. Nell’attesa, la connaturalità di amore ci dà, nella contemplazione apofatica, una specie di… oscura pregustazione di tale unione”. J. Maritain, Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, Ed. Morcelliana, Brescia 1965, pag. 59.

(44) L’Apocalisse…, c. 4, st. 65.

(45) “… sino por cierta redundancia del espíritu…”; Giovanni della Croce, Opere, Burgos 1929-1931, v. 3, pag. 179.

(46) L’Apocalisse…, canto7: Le purgazioni passive e la notte oscura.

(47) L’Apocalisse…, c. 5, st. 31.

(48) Seguendo C. Dollo, op. cit., si rileva, specie nelle opere giovanili del C. - Vagiti della penna ed Emblemi - una visione piuttosto riduttiva della donna.

In questa rapida annotazione osserviamo tuttavia come, in merito a tale questione, l’atteggiamento del Campailla non può – a nostro avviso – essere qualificato tout-court come ‘misogino’. Peraltro Egli si sposa – per due volte – ed ha un figlio…, anzi due (il secondo, Romualdo, pare sia morto in fasce nel 1700).

La riflessione del C. sulla ‘natura femminile’ (non ci riferiamo, dunque, qui al ‘matrimonio’) pare ondeggiare fra l’essere motivata dalla sua lettura fisiologica della donna, e da un’aristocratica (come reazione di uomo colto) e/o patrizia (come ceto sociale) prospettiva. Infatti, a parte le analisi fisiologiche proposte dal C. (‘scientifiche’, per quel tempo?), talune attribuzioni, rilevate dal Dollo negli Emblemi, poco lusinghiere per le espressioni comportamentali della donna - come Campailla le coglie comunemente (… nel mondo popolano?) - vanno bilanciate con le altre, non certo esaltanti, per i ‘vizi innumerabili’ del maschio, ma pure con quelle di alto (‘iperbolico’?) apprezzamento per la donna e la bellezza e grazia femminili, pur queste riconosciute presenti in una donna - certo, colta ed ‘educata’ - qual era Gerolama Grimaldi; cfr. G. Finocchiaro Chimirri, introduzione a La dama in Parnaso di G. Grimaldi, (ristampa) Ed. Tringale, Catania 1983.

E’ da chiedersi inoltre, quanto, in merito all’affermata inferiorità femminile rispetto al maschio, abbia influito il contesto societario gerarchizzato (come rileva il Dollo), oltre ad influssi di Aristotele, di Cartesio, di un certo filone platonico-agostiniano, e ad interpretazioni inesatte d’influsso socio-culturale – ma a quel tempo correnti – di Paolo (Ai Colossesi, 3, 18).

Di fronte, infine, alle esasperazioni sillogistiche del Campailla, tese “a ribadire la sudditanza femminile, affiora il sorriso e la convinzione che ci si trovi di fronte ad un’accentuazione dovuta al divertissement accademico”…; C. Dollo, ivi, pag. 388.

 

Quanto poi, alla questione - che spesso viene connessa alla precedente - relativa ad una lettura non positiva della sessualità, osserviamo:

a) C. non solo non evade moralisticamente tale problema, ma lo analizza con palese e diffusa esplicazione scientifica dei fattori fisiologici;

b) occorre distinguere quelle gravezze valutative di matrice culturale - cui prima si è accennato - dal corretto (non ‘giansenistico’) riconoscimento ascetico e pedagogico cristiano (non ‘tradizionale’, ma permanente), secondo cui - assetto gerarchizzato, o meno, della Società - ragione e volontà devono pur guidare, anche eventualmente con motivata e libera rinunzia, il dinamismo fisico.

(49) L’Apocalisse…, c. 5, st. 32.

(50) …esattamente l’opposto di quanto - ancora una volta - Guastella afferma, del tutto arbitrariamente, circa una “prostrazione di tutto l’essere umano”; S. A. Guastella, op. cit., pag. 98.

(51) L’Apocalisse…, c. 4, st. 46.