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Tra fisica e metafisica nella Contea di Modica nel sec. XVIII

Nota ad una Nota del Prof. Corrado Dollo

di Giorgio Colombo*

 

 

 

 

 

Non manchiamo di leggere con interesse e rispetto studi del Prof. Corrado Dollo, dell’Ateneo catanese, che da tempo si è occupato anche delle espressioni culturali nella Contea di Modica nel ‘600-’700. Siamo stati perciò lieti di cogliere la Sua attenzione1 per una nostra pubblicazione2.

Rapidamente – poiché in questa breve nota, come in quel saggio storico, ci preme essenzializzare il discorso (e per non tediare i Lettori e in considerazione del contenimento delle spese di stampa...) rimandando, per questioni che non sono direttamente oggetto d’indagine, a studi più generali – ci è d’obbligo precisare:

 

1) noi analizzavamo (pagg. 172-176), allo scopo di evidenziare il tenore degli studi nel Collegio modicano, un diploma di laurea, rilasciato dal medesimo Collegio nel 1752. Esso è uno (non ovviamente l'unico) fra i tanti diplomi conferiti per il conseguimento o del Dottorato in teologia o del grado di Magister Artium (Laurea in Lettere e Filosofia) o di entrambi i gradi accademici: ne sono stati rinvenuti finora tre. (Alcuni volumi, contenenti le registrazioni dei Diplomi, furono purtroppo trascinati via da “una procellosa alluvione” nel 1818; cfr. la nostra ricerca, pag. 162).

L’alunno espone un argomento: ‘Ignis erit exarsio calidi et sicci’3; ma non sappiamo se e fino a qual punto quella tesi aristotelica sia condivisa da lui. Infatti, se alcuni Autori di filosofia/fisica, presenti nella Biblioteca del Collegio, non sono apprezzati dal Prof. Dollo (per le loro dottrine fisiche o filosofiche? in Dollo la distinzione dell’oggetto ‘formale’ e del metodo appare costantemente fluida, e la tensione dinamica tra fisica e metafisica sembra risolversi in direzione del depotenziamento della prospettiva metafisica), resta pure vero – ed il Professore ne riferisce con ampia e puntuale informazione – che già da tempo nella Contea di Modica era intensa una seria attenzione (e in alcuni, come in Tommaso Campailla, una critica condivisione) per il Cartesianesimo o, comunque, per l’atomismo (meccanicistico e/o fermentistico...); ed erano anche vivi la reciproca stima ed un aperto dialogo culturale fra l’intellighentia locale ed i professori gesuiti del Collegio, decisamente onorati dagli Studiosi modicani e per virtù e per sapere pure nel ’7004.

Dollo dà per scontato – e su tale presunzione radica il proprio intervento – che sia i Docenti sia l’alunno candidato avessero fatto propria – ed in essa perseverassero – la dottrina fisica aristotelica del ‘caldo-freddo’ e ‘secco-umido’, considerati dallo Stagirita i principi ‘qualitativi’, semplici ed originari (non sostanziali) che, in virtù della loro combinazione, darebbero luogo al mondo fisico – corpi terrestri e sublunari –5. Davvero più gratuita è, poi, la condivisione – supposta da Dollo – di tale aspetto della  lettura aristotelica del mondo fisico, da parte del sottoscritto. Si prega notare il distacco (pur nel doveroso riguardo) con cui mi esprimo: “...principi ultimi qualitativo-formali..., che Egli – Aristotele – ritenne di individuare nel caldo, freddo...”6.

 

2) Ciò che dal mio studio ritengo emerga chiaramente è piuttosto la (fondatamente) presumibile non accettazione della riduzione della realtà fisica a quantità ed estensione – ossia ai soli fattori geometrici, misurabili matematicamente – e perciò la non esclusione di quelle ‘affezioni’ (tali perché ‘afficiunt’: ineriscono e modificano accidentalmente) della sostanza fisica che sono le ‘qualità’ fisiche7. Sull’aprioristica (e non scientifica) negazione radicale di qualità fisiche oggettive i Professori del Collegio – ma non soltanto Essi – non potevano essere d’accordo con Cartesio (e con Campailla) per molteplici motivi.

Non ci dilunghiamo su tali motivi (alcuni dei quali in qualche modo connessi pure con una lettura piuttosto ‘naturalistica’, permanente ancora in quel tempo, delle qualità).

Certo: né Cartesio (e prescindiamo da Galilei) né, in loco, Campailla ammettevano le ‘qualità’, non soltanto perché queste non sono misurabili matematicamente (anche se pure l’intensità della qualità è in qualche modo misurabile...), ma anche perché non possono essere presenti nella sostanza corporea se non in virtù di ciò che la determina e specifica, ossia della ‘forma sostanziale’ (ratione formae) – la morphè (morf») aristotelica –, non certo in virtù della ‘materia prima/úle-Ûlh (e, di conseguenza, della ‘quantità’).

Ma essi – e con loro il Prof. Dollo – rifuggivano dall’ ilemorfismo8, anzi vi si opponevano frontalmente per varie ragioni.

Anzitutto perché Cartesio e Campailla9 intendevano, erroneamente, la ‘materia’ e la ‘forma’ aristoteliche come ‘entia quae’ (sostanze in se compiute, specie la forma sostanziale/anima umana), laddove esse andavano intese come ‘entia quibus’ ossia, correttamente, come ‘principi metafisici’ – in quanto tali, soltanto intelligibili (non immaginabili)10 –, i quali – insieme – si configurano come principi esplicativi della costituzione dell’ente materiale, che, però, a noi si presenta in atto11.

Secondo: sulla repulsione dell’ilemorfismo aveva influito, nel ‘600, anche una giustificabile ‘nausea’ per la moltiplicazione, sottile ma esasperata, nella scolastica del tempo, delle ‘forme’ sostanziali, o una (forviante) accentuazione della ‘forma s.’ come costitutivo della ‘struttura’ della sostanza12. Invece, un’attenzione – non da tutti smarrita anche nel ‘600 e nel ‘700 – per la sobria interpretazione tomistica dell’ilemorfismo secondo l’unicità della forma sostanziale e la passività-disponibilità della materia prima, avrebbe potuto indurre a condividere una valida spiegazione e della mutazione sostanziale e della struttura metafisica della sostanza fisica: non si trattava, infatti, di volere restare ad oltranza legati (‘affezionati’) ad una posizione teoretica con animo ‘conservatore’, bensì di avvertire come il rifiuto o il misconoscimento dell’ ilemorfismo non potevano dare, né di fatto davano, convincenti spiegazioni sia della mutazione ‘intrinseca’ dell’ente corporeo (la cenere di un albero bruciato non è più un albero), e perciò della mutazione sostanziale – tutto sbrigativamente riducendo a quantità e moto locale –, sia dell’unità della sostanza (pur fra mutazioni stagionali quell'albero resta quell'albero; e, nonostante conflitti interiori e malanni fisici quell'uomo è pur sempre quella sostanza umana).

Di fatto, o si perverrà al monismo (nelle sue vari declinazioni), oppure, nella progressiva13 critica radicale di ogni possibilità di lettura metafisica della realtà, si finirà per eludere qualsiasi risposta (benchè non perentoria) a quelle fondamentali questioni filosofiche, che però restano tuttavia14.

Negata, e snobbata (cfr. Campailla), l’interpretazione ilemorfica, non si poteva dare fondata ragione neppure delle ‘qualità’. Si ondeggerà pertanto fra la riduzione di queste a ‘soggettive’ (identificazione di ‘qualità’ e ‘sensazioni’) e la distinzione di q. primarie e secondarie: ma l’esito non potrà non essere se non il dissolvere la sostanza umana – ciascun uomo – in un fascio di impressioni (Hume) oppure lo scientismo, anzi l’empirismo (anzi, la riduzione dell’Uomo ad un fascio di linguaggi...).

Terzo: catturati dal ‘razionalistico’ criterio epistemologico dell’evidenza secondo ‘chiarezza’ e ‘distinzione’, piuttosto che guidati da quello dell’‘esperienza’ integrale, da alcuni Studiosi richiamata anche a quel tempo15, non restava che una lettura matematica della realtà fisica16: cosa che fu probabilmente inevitabile come forte spinta propulsiva, certamente feconda di positivi sviluppi in campo scientifico “per l’applicazione della matematica alla fisica celeste e terrestre” (Dollo, pag.68), e che costituì alta, pressante e talvolta inquieta (si pensi al siciliano Michelangelo Fardella) ‘passione’ degli Uomini – galileiani, cartesiani, newtoniani... – del ‘600-’700.

Ma tale slancio innovatore che, assecondando l’esigenza, fondamentale per l’intelletto umano, di ricondurre il sensibile ad unità17, tendeva a riconoscere dei fenomeni – nella totale sfiducia verso le sensazioni – soltanto ciò che è pienamente conoscibile, anzi misurabile, così da potere conseguire l’oggettività scientifica, non poteva radicalizzarsi fino a considerare l’estensione come costitutivo essenziale – e non un accidente – della sostanza corporea (ossia ad identificare l’esteso con l’estensione, il principio di unità con la molteplicità, ciò che permane con ciò che varia...) e ad escludere l’ammissione di ‘qualità’ (inerenti alle cose, o, se si preferisce, la realtà di corpi ‘qualificati’). Quest’ultime, sebbene non rilevabili e conoscibili adeguatamente dalla ‘ragione’, non perciò potevano essere negate in una loro consistenza reale e specifica, sia pur non identificabile tout-court con ciò che ci è consegnato dalla percezione sensoriale (o, meglio, psichica, nel cui dinamismo del resto è pure coinvolta l’elaborazione intellettiva...).

Di fatto, negli stessi secoli XVIII e XIX (presupposto, ma superato, Cartesio) c’è un recupero nell’ammissione delle cosiddette ‘qualità occulte’, per non parlare della perentoria affermazione delle qualità da parte di Voltaire, del loro riconoscimento da parte di Hegel, o di Bergson, secondo il quale perfino l’‘estensione’ non è che la qualità che si distende18. Lo stesso sviluppo scientifico riconoscerà nella realtà fisica, ad esempio, ‘stati’ capaci di variare d’intensità, indipendentemente dal moto locale.

Si osservi che, se il ‘matematizzare’ è stato di grande rilievo per lo sviluppo scientifico, l’esclusione della ‘qualità’, ossia il surclassare le stesse esperienze particolari e l’evidenza fenomenologica, induce ad una lettura non analitica della complessità del conoscere (come la stessa psicologia scientifica ha sempre più illustrato) e della realtà: non si tratta di questioni prive di conseguenze rilevanti19.

 

3) Ciò che dunque resta certo, ed è oggetto di riflessione del Candidato alla laurea nel Collegio modicano20, è il dibattito su una teoria di Aristotele (filosofo da aborrire come la peste!...), forse analizzando, e distinguendo fra lettura filosofica e lettura scientifica (distinzione, che anche a quel tempo veniva suggerita)21; forse – ed è ciò che ci è sembrato fondato – condividendo l’ammissione di qualità: in ciò, in tale persistente convinzione e condivisione di quel nucleo valido – e quale nucleo! – del pensiero aristotelico (al di là di elementi caduchi ) lo scrivente ha visto – e l’ha sottolineato (cosa che certamente al Ch.mo Professore catanese non appare “meritevole”) – non una ‘fuga in avanti’, non, enfaticamente, una “portentosa” e “paradossale” dottrina d’avanguardia, ma semplicemente l’apprezzamento per una prudente e profonda posizione teoretica che, secondo altri modelli (ma già pure nel ‘600-’700), ha trovato riscontri notevoli nel nostro tempo, certo, secondo contributi, angolazioni e connotazioni ‘altri’, che però escludono il totalizzante meccanicismo deterministico. Nel percorrere – forse a quel tempo in una crescente impopolarità accademica – un’interpretazione  che mantenesse ‘spazi di libertà’ della stessa realtà fisica, non attingibili more geometrico, quei Professori del Collegio modicano dimostrano (oltre al proposito di mantenere il riferimento critico ad una robusta visione filosofica) lungimiranza e ‘modernità’22.

Cosa che, al di là di superflui polemici accenti, conferma e l’onesto criterio storiografico di non esprimere valutazioni storiche anacronistiche (e perciò anche il non valutare i fatti del passato ‘col senno di poi’), ma pure – non schematicamente – l’altro, secondo cui gli uomini d’altri tempi e quelli di oggi possono, anche alla lunga, ritrovarsi; operazione interpretativa – questa – che richiede un confronto non epidermico dei periodi storici, superamento di simpatie o antipatie, ed una vigilanza critica nelle (esplicite o implicite) valutazioni delle vicende e della riflessione di Uomini di ingegno e di vivo senso di responsabilità, muovendosi con gravità nella ricerca filosofica e/o scientifica. Le categorie ‘apertura/chiusura’, ‘conservazione/progresso’ restano peraltro frutto prelaventemente di soggettive prospettive ‘valutative’, e comunque postulano analisi.

 

4) Il Prof. Dollo conosce bene la realtà culturale della Contea di Modica (specie quella del ’600 e del primo ’700). E però appare ripetutamente carico di riserve nelle valutazioni conseguenti, forse perché Egli si attende, nelle Sue ricerche, di trovare conferme alle proprie consolidate convinzioni, pena il giudizio, inesorabile e ritornante, di ‘decentramenti’ e di stentati ‘adeguamenti’ (Dollo, pag. 55), oppure l’affermazione di limitazioni temporali nella vitalità delle espressioni di Studiosi locali, financo una sorta di ridimensionamento percettivo nella considerazione dello stesso numero di abitanti della Capitale della più consistente Contea della Sicilia23.

 

Ma i Modicani, né hanno preteso di essere luminari nel mondo universo né sono stati e sono inclini a volgersi acriticamente alle nuove voghe, cui “adeguarsi” (e ciò dicasi pure sia di Campailla – cartesiano, ma criticamente tale – sia, ove occorre e con libertà da reticenze di patria..., nei confronti di Campailla). Attenti ed aperti alle sempre nuove pulsioni culturali – ieri ed oggi – , essi tendono però a discernere, ed a riflettere con realismo critico, nonché ad attendere, non catturati da vacuo (o dannoso) culturalismo, alle implicanze pratiche degli sviluppi dei propri studi24. Ciò, anche in virtù di un lunghissimo retaggio storico, che induce a costruttiva ponderazione: che è saggia qualità nel theoreìn e nell’operatività, in virtù di uno sguardo che nulla assolutizza, avuti presenti la relatività di tutti i ‘centri’, o, se si preferisce, la ‘malinconia delle cose’ (C. Ottaviano), nonchè non solo l'uomo             'teoretico' bensì l'uomo 'totale'.

 

 

NOTE

 

 

* Per il curriculum di studi e per le pubblicazioni, cfr. Archivum Historicum Mothycense, n. 5/1999, pag. 103.

 

(1) C. Dollo, I modelli neoterici nella Contea di Modica e l’Empedocles redivivus di G. B. Hodierna, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, fasc. I-II, 1996, pagg. 55-107; in partic. pagg. 67-68, nota 30, e pag.87, nota 90.

(2) G. Colombo, Collegium Mothycense degli Studi Secondari e Superiori – Modica, 1630-1767; 1812-1860, Ed. Ente Liceo Convitto, Modica 1993, in partic. pagg. 172-176.

(3) “Il fuoco sarà ebollizione di secco e di caldo”; Aristotele, De Generatione et Corruptione, Lib. II, Cap.III, 21.

Oggetto delle altre due tesi di laurea, i cui diplomi sono stati recuperati: 1) ‘Quidquid movetur ab alio movetur’ (dal Lib. VIII Phisicorum) e ‘Actus entis in potentia prout in potentia’ (dal Lib. III Phisic.), alunno Baldassare Castagna Giannone, anno 1752 (diploma rinvenuto da Giorgio Cavallo); 2) ‘Actus entis in potentia prout in potentia’ (loc. cit.), alunno Gaspare Vincenzo Castagna Giannone, anno 1753 (diploma rinvenuto da Francesca Dormiente). Aristotele appare restare il ‘filosofo’ di principale riferimento: la cosa non ci crea stupore per i motivi che adduciamo nel nostro saggio citato, pagg. 110-126 e 172-176. Il ‘giogo’ di A. è avvertito prevalentemente dai fisici (per l’incalzare dell’interesse scientifico) e, solo indirettamente, dai filosofi in senso stretto (costante convinzione circa l’inscindibilità organica tra filosofia, o comunque un quadro teorico-metafisico, e fisica, da cui l'uso ricorrente – nel ’500, ’600, ’700, ed anche in Campailla – del termine ‘filosofo’, attribuito a chi si occupava sia di studio della natura fisica col metodo matematico e/o con la sperimentazione scientifica che di speculazione filosofica).

(4) cfr. Dollo, pag. 56, nota 2, anche se il Medesimo giudica gratuitamente immeritati tali apprezzamenti, cfr. pag. 85.

(5) In realtà, ciò che primum et per se interessava ad Aristotele era la spiegazione della phýsis (fäsij), ossia del movimento, per cui Egli cerca di spiegarsi anche le condizioni del sorgere, dello scomparire, del variare d’intensità delle qualità: vogliamo dire che la fisica aristotelica può essere considerata qualitativa in tanto in quanto si oppone a quella atomistica poiché Aristotele, con ‘riflessione metafisica’ sul ‘dato fisico’, coglie nel movimento una sorta di dinamismo finalistico (la ‘potenza’ aperta e volta all’‘atto’: al ‘suo’ atto; la ‘materia’ alla ‘forma’: alla ‘sua’ forma, la quale perciò si dice anche ‘entelécheia’ (™ntelšceia) perché ‘fine-perfezione’ verso cui la ‘materia prima’ tende) piuttosto che un meccanicismo deterministico (che tutto spiega soltanto con la causa efficiente).

(6) Colombo, pagg. 173-174; ma cfr. pure Archivum Historicum Mothycense, n. 5/1999, pag. 88, 3.

(7) Notiamo di passaggio che l’ammissione delle ‘qualità’ non è inficiata di spiritualismo, come sembra paventare il Prof. Dollo, pag.78, nota 55, anche se la riflessione ‘filosofica’ sulle qualità verte sulla ‘realtà’, sulla valenza ontologica sia di quelle fisiche – colori, suoni, bellezza, bruttezza, figura... – che di quelle morali: bontà, professionalità...

(8) “a quibus – forme sostanziali e qualità reali – abhorreo”; Cartesio, Principia Philosophiae.

(9) cfr. T. Campailla, L’Adamo, c.1, stt. 130-132; c. 5, st. 111.

(10) ‘Intelligibilità’ della realtà dice riferimento al fatto che le cose, attuando la propria natura, sono ontologicamente vere (Platone) e colte come vere (Aristotele), e perciò, appunto, attingibili dall’intelletto (che, conoscendole, sia pur secondo la cifra della provvisorietà e mai adeguatamente nella loro essenza, le ‘as-simila’). Intelligibilità, pertanto, non equivale ad assecondare astrattismi – o, come talvolta sbrigativamente si dichiara, inutili sofismi –. Resta vero che l’impegno intellettivo – se è veramente tale – non può prescindere da un’operazione (comunque spiegata) che si eleva dal particolare: ma per tornare poi a questo con migliore comprensione. Quanto al tentativo di spiegazione del processo conoscitivo secondo l’‘astrazione’, esso non va inteso come un allontanarsi dalla realtà concreta; tale operazione si volge in realtà a ‘distinguere’ una cosa da altra (pertanto a conoscerla in modo più ‘distinto’), e perciò a ‘riferirla’, in profondità, ad altra/altri. La ‘sostanza’ (specie quella umana), tuttavia, nella sua concretezza individuale, irrepetibile ed esistenziale, resterà pur sempre irriducibile ad ogni ‘universalizzazione’: di ciò l’autentico ‘metafisico’ è pienamente consapevole. Né però, in considerazione di tale limite, l’istanza metafisica può essere  ‘bruciata’, perché da interpretarsi come – di per sé – esigenza di ‘mantenimento dell’ordine esistente’, di ‘autoritarismo’, espressione di ‘antistoricità’, ecc...

Osserviamo infine di passaggio che l’‘intelletto’ si dice ed è tale in quanto l’essere degli enti è il primo dato della conoscenza – in quanto tale, ‘intelligibile’: almeno in qualche modo – e pertanto può essere o è in atto nella facoltà intellettiva, e viceversa: la realtà non è chiusa, serrata in sé, assurda, ma si offre e si va svelando, per essere ‘intelletta’ (non per restare inesorabilmente incognita) con un sempre più profondo ‘insight’, anche se essa permane come ‘compito’ costante per la visione dell’Uomo nell’avventura storica e nella drammaticità della sua ricerca, segnata da un complesso processo ‘interpretativo’, ‘conciliativo’ di posizioni teoriche diverse, analitico ma tendente alla ‘sintesi vitale’, ‘pragmatico’ ed anche ‘decisionale’. C’è insomma relazione, apertura strutturale, trascendentale – logica ed ontologica – fra ‘essere’ ed ‘intelletto’, fra ‘intelletto’ ed ‘essere’...

(11) La ‘forma’ non si dà allo stato universale né va confusa con l’universale platonico; essa, principio determinante e specificativo della sostanza, è sempre concreta in virtù della sua strutturale – sostanziale – unità con la ‘materia prima’. (Il considerare la ‘forma’ come l’ ‘universale’ è stato anch’esso fonte di notevole fraintendimento, e non solo per i Cartesiani).

(12) ... che indurrà Cartesio (e Campailla) a svisare la ‘forma’ e ad identificarla con la ‘res cogitans’, considerata la sostanza (spirituale). Cfr. Cartesio, Principia philosophiae, II, 91.

Si aggiunga, di passaggio, che per Cartesio ogni funzione vegetativo-sensitiva è compiuta dagli ‘spiriti animali’ (trasportati dalle arterie): non è l'anima a dar movimento al corpo.

In breve, venendo meno l'interpretazione ilemorfica, il dualismo nell'uomo è inevitabile.

(13) ...e, talvolta, angosciata, o perfezionistica, o arrendevole, o scettica, o adagiata interessatamente soltanto sull’hic et nunc; o, ancora, sviluppata secondo una identificazione della lettura filosofica con un’analisi esperienziale di natura religiosa (e perciò, tendenzialmente, secondo una possibile confusione tra filosofia e teologia).

(14) Al Prof. Dollo che liquida perentoriamente l’ilemorfismo aristotelico, come interpretazione da considerarsi morta e sepolta già nel ’600-’700 da parte di tutta (?) la più illuminata schiera di Studiosi, ci permettiamo segnalare, non necessariamente per condividerle ma per considerarle con estremo riguardo, alcune pubblicazioni di vigorosi Studiosi del nostro stesso secolo (che indichamo in Nota nel nostro saggio), sostenitori dell’ilemorfismo.

(15) ... così da condividere eventualmente il fisico Cartesio, e, pur salvando taluni ‘appelli’ cartesiani come l’esigenza critica e metodica e l’accento sul soggetto, non lasciarsi però trascinare da una metafisica aprioristica, che condizionava paradossalmente l’auspicata autonomia della scienza empirica dalla filosofia e che induceva al deduttivismo matematico ed a letture non accettabili, come quella dualistica dell’Uomo o quella di un Dio, affermato aprioristicamente oltre che garante dell’ordine di un mondo meramente geometrico e della sua corretta conoscenza.

(16) “in purae matheseos obiecto”; Cartesio, Principia Philosophiae.     

(17) Faremmo osservare a T. Campailla (che pur apprezza la profondità speculativa di Aristotele, L’Adamo, c.5, st. 33) come non sia ‘stolido’ né Aristotele né Cartesio. In realtà, entrambi cercano l’unità del sensibile (com’è proprio dell’intelletto umano): l’uno, astraendo dal sensibile, l’altro affermandola a priori, e riconducendo drasticamente tutto sotto l’unità della misura.

(18) Come acutamente osserva Emanuele Barone, professore di matematica e fisica al Liceo Scientifico modicano: il fatto stesso che la realtà fisica è strutturata secondo leggi esprimibili in formule matematiche – e perciò, ontologicamente, espressione di perfezione/bellezza/armonia – non è già di per se stesso indice di una possente ‘qualità’ immanente alla realtà quanta?

(19) Il Prof. Dollo tiene ad evidenziare che Studiosi ‘cattolicissimi’ (pag. 68, nota 30) della Contea di Modica condividevano l’atomismo. Fatta salva l’autentica ed ortodossa ‘fede’ cristiana (non la ‘devozionalità’, come si esprime Dollo, pag.69, nota 34. Cfr. G. Colombo, Sulla ‘religiosità’ di Tommaso Campailla. Da ‘L’Apocalisse dell’Apostolo S.Paulo’, in Archivum..., n.5/1999, pagg. 103-117) dei Medesimi, e fermo restando che il Cristianesimo non va confuso con alcuna metafisica – né aristotelica né cartesiana –, osserviamo come siano da dimostrare una convincente idoneità dello strumento culturale scelto e la coerenza teoretica laddove la filosofia andava a misurarsi con implicanze della scienza teologica.

Ne sono esempio eclatante le osservazioni proposte, con rispetto, umiltà e garbo, da Antonio Grana (oltre che da Rosario Castro) a T. Campailla circa le contraddizioni che insorgono dal tentativo di spiegazione cartesiana (cfr. anche le obiezioni di A. Arnauld a Cartesio e le risposte di quest'ultimo nell'Appendice alle Meditazioni metafisiche...) della presenza - ‘vera e reale’ - di Cristo nell'Eucaristia. Si noti che le difficoltà provenienti dall'intendere cartesianamente la sostanza corporea come ‘estensione’, e perciò la possibilità evidente di incidere – nonostante le migliori intenzioni del cattolicissimo ‘Gran Renato’ – in singolari interpretazioni (‘impanazione’, ‘condensazione’...), non sono legate ad una inevitabile necessità di interpretare la presenza eucaristica secondo la dottrina metafisica aristotelico-tomistica della ‘transustanziazione’ (neanche il Concilio di Trento ‘definiva’ tale interpretazione, ma la considerava soltanto ‘conveniens’ e ‘aptissima’: cfr. sess. XIX, cap. 4 e can. 2).

L'accenno conseguente di Campailla (che rimanda ad una sua annunziata più ampia pubblicazione di risposta alle ‘opposizioni’ fattegli da Rosario Castro: pubblicazione che non pare sia venuta alla luce, forse nel timore di cadere in censure ecclesiastiche) sfugge in una posizione che, se da una parte manifesta vera conoscenza di C. della teologia patristica (riferimento alla presenza ‘sacramentaliter’, propria della mistagogía patristica), appare tuttavia, nel secolo XVIII, pregnante di una connotazione polemica - “che il Corpo santissimo di Gesù Cristo sia tutto in tutta l'Ostia sagrata, e tutto in ogni sua massoletta, allora lo spiegherò quando sarà dalla Santa Cattolica Chiesa determinato, come debbiasi intendere l'esser di Cristo nell'Ostia ‘sacramentaliter’ ” -, e perciò, in definitiva, evasiva del grave problema della ‘conversio totalis’ del pane e del vino nel corpo di Cristo, che teologi cattolici del XIII e del XVII secolo avevano chiarito in maniera accettabile, sia pur secondo divergenze di scuola (ma non certo cartesianamente). Per tutta la questione, cfr. Riflessioni del Signor Dottore Don Antonio Grana, ecc., sopra alcuni passi del Poema filosofico del Signor Don Tommaso Campailla, patrizio modicano, e Risposte del Signor D. T. Campailla alle riflessioni fattegli... dal Signor Dottore Fr. D. Antonio Grana, in Appendice a L’Adamo, ed. del 1737 (a cura di J. da Mazara), pag. 345, par. 5, e pag. 366, par. 5.

Ma, prescindendo da considerazioni teologiche, ci sembra plausibile che non si possono condividere – quasi per moda, senza discernimento e solo per non essere accusati di ‘conservatorismo’ – i sistemi filosofici via via emergenti (per non parlare dei ‘romanzi scientifici’, con tutta la congerie fantastico-quantitativa – ipotesi certamente legittime per il ricercatore scientifico – di ignicoli, di piccoli corpi cilindrici, prismatici, rotondi..., di cui è pervaso il pur rinnovato e proficuo interesse del ‘600-’700 secondo le ‘sensate esperienze’).

(20) Il Collegio dei Gesuiti fu istituito a Modica solo nel 1629 (benché auspicato già nel 1610; la sua opera si svilupperà per circa 190 anni: dal 1630 al 1767, e dal 1812 al 1860) presumibilmente anche perché in Città erano già da secoli operanti (ed aperti, anche se non ampiamente, pure a studenti laici) lo Studium dell’Annunziata (Carmelitani) e l’Almum Gymnasium Generale dei Francescani Osservanti. (A meno che il Prof. Dollo – che a pag.56 pare voler sottolineare tale ‘ritardo’ nell’istituzione rispetto a quella di altri collegi – non ritiene che ‘per essere moderni’ occorreva avere necessariamente e prestissimo i Gesuiti: ma, i Gesuiti siciliani non erano biecamente aristotelici e reazionari?!...).

(21) La lettura (ilemorfica) metafisica risponde alla domanda: “perché i corpi hanno una certa unità ed una certa molteplicità, una certa determinatezza ed una certa indeterminatezza?” Le teorie scientifiche rispondono alla domanda: “come deve essere costituito un corpo affinché si verifichino costantemente certi fatti che l’esperienza mi attesta (cfr. ad es. le leggi di Lavoisier, di Proust, di Dalton, ecc.)? come va pensata la molteplicità inerente ad ogni corpo, come si svolgono quelle mutazioni sostanziali che osservo?”; S.Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, ed. La Scuola, Brescia 1963, vol. 3, pag. 58.

(22) Esclusa, nell’attività didattica, una mera rassegna di sistemi filosofici ( pur necessaria), chiediamo al Prof. Dollo: quale sistema filosofico Egli avrebbe ritenuto preferibile ed opportunemente orientativo nella formazione intellettuale degli alunni di un Collegio nel 1752? Quello di Malebranche (occasionalismo ed ontologismo), di Spinoza (panteismo matematico), di Leibnz (profondo ed affascinante metafisico, ma caratterizzato da ottimismo deterministico), di Hobbes..., di Locke..., di Berkeley (una realtà ridotta al suo ‘essere percepita’), di Hume...? o nessuno, e limitarsi ad aspetti scientifici (‘scienza’, nell'accezione positivo-sperimentale)?

(23) cfr. ad esempio l’Introduzione di C. Dollo a L’Adamo di T. Campailla, ristampa del 1998 dell’ediz. 1737, pag. XV. Non è superfluo menzionare che, per secoli, Modica è stata quarta Città della Sicilia per numero di abitanti...

(24) Cfr. la schiera di Studiosi modicani che, nel ’600, nel ’700 – unitamente a Campailla, attivo e costante promotore di ricerche scientifiche – e nell’ ’800, sono organici alla vita sociale cittadina non soltanto perché attivi politicamente in essa, ma pure perché le loro ricerche nei vari campi del Sapere sono orientate anche all’individuazione di rimedi terapeutici e di contributi utili all’agricoltura locale ed all’esercizio della giustizia nelle Corti modicane; li ricordiamo inoltre per l’attenzione circa la ricaduta del loro interesse per gli studi sulla promozione scolastica cittadina e su una robusta formazione culturale dei giovani studenti.

Forse anche per tali motivi, pur nell’alto apprezzamento di Campailla per G.B. Hodierna (L’Adamo, c. 5, st. 55), quest’ultimo appare (e lo fu di fatto anche per la sua stessa distante residenza) avulso dalla Sua Città natale (Ragusa) ed appartato rispetto al gruppo di Studiosi della Contea di Modica, che però conoscevano le sue opere (presenti anch’esse, ad esempio, nella Biblioteca del Collegio Moticense).