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Le chiese rupestri dello
Spirito Santo e di San Pietro a Scicli
di Vittorio Giovanni Rizzone e Giuseppe
Terranova*
Scicli
mantiene ancora gran parte della sua fisionomia di città rupestre: le evidenze
tuttora permangono soprattutto lungo i ripidi versanti settentrionale e
meridionale del colle di San Matteo perché, a partire dalla seconda metà del
XIV secolo e fino a tutto il XVI, la Città subì un graduale spostamento verso
il fondovalle e sui versanti degli altri colli adiacenti a causa
dell’incremento demografico e della penuria d’acqua; poi, a seguito del
terremoto del 1693, si verifica il progressivo abbandono delle parti più alte
delle pendici1.
Tra le più
interessanti testimonianze monumentali di natura rupestre sono indubbiamente
degne di nota e restano tuttora pienamente leggibili nella loro articolazione
originaria le quattro chiese già note di Santa Lucia, della Madonna
di Piedigrotta, del Monte Calvario, della Madonna della Catena o
della Scalilla2; a queste, però, se ne possono aggiungere almeno
altre tre delle quali dà notizia Antonio Carioti in uno scritto, copiato
da L. Cardaci nel 1898, ma composto fra il 1730 ed il 1760 e recentemente
pubblicato3: oltre agli ambienti rupestri a destinazione sacra,
con le pareti decorate da affreschi, segnalati presso il secondo cortile del
convento di Santa Maria della Croce4, si registrano le chiese
rupestri di Santa Maria di Loreto, ubicata in via Loreto 26, di fronte
al vico Scrofani, anteriore al XVI secolo5, ma purtroppo non più
leggibile nel suo originario sviluppo planimetrico, e, soprattutto, quelle
dedicate allo Spirito Santo e a San Pietro.
(V.G.R. – G.T.)
La chiesa
rupestre dello Spirito Santo, ubicata nella parte alta del Colle di
San Matteo, sul versante della Cava di Santa Maria la Nova, presso il
Castello dei Tre Cantoni6, in un’area in cui vi sono numerosi ipogei
dalla fronte generalmente crollata, in alcuni dei quali è possibile – grazie al
mantenersi di porzioni delle guance e delle riseghe di imposta della copertura
dei loculi – riconoscere ancora l’originaria destinazione funeraria in epoca
tardoantica7.
La prima
menzione di questa chiesa si deve al Carioti il quale ricorda che “...per
essere antichissima lo fu in una grotta presso a cui si comunicò l’erezione di
un tempietto doppo il 1710, di già ne resta terminata”8, e quindi il
Pacetto segnala che: “Sottostante all’attuale rovinata Chiesa dello Spirito
Santo vi è una specie di Catacomba incavata nel vivo sasso, ove tuttora si
osservano avanzi di antichissime pitture rappresentanti colossali figure, che
non possono più distinguersi perché sbiadite dall’umido, ed in parte screpolate
da mano villana...”9. In effetti la cripta (fig. 1) è ubicata al di
sotto della chiesa settecentesca10, con la quale comunicava per
mezzo di un passaggio gradinato scavato nella roccia fra l’abside e la parete
di fondo della chiesa in muratura, dove si apre a destra dell’altare. Questo
passaggio è stato successivamente obliterato da un tampogno in muratura.
La planimetria
della chiesa si presenta molto semplice, nonostante il rovinoso crollo del
costone roccioso in cui è scavata e che ha interessato la parte settentrionale
della cripta comporti necessariamente una lettura parziale dell’articolazione
originaria. Una parete in muratura, prolungata durante l’ultima fase di
frequentazione della grotta, chiude la parte franata. Nell’unica parte non
crollata si conserva lo stipite occidentale di un ingresso dal lato Nord,
presso il quale è scavata una piccola nicchia (alt. m. 0,37, largh. m. 0,26,
prof. m. 0,19).
Si conserva
completo un altro ingresso ad arco a pieno centro largo m. 2,34 ed alto al
colmo m. 2,70 circa, eccentrico rispetto all’asse dell’aula; esso sembra essere
successivo all’ingresso di cui si è già detto ed attualmente introduce
nell’aula; questa è lunga fino a m. 7,80
ed apprezzabile in larghezza per m. 4,80. Nella parete meridionale è ricavato
un subsellium, alto m. 0,35, largo m. 0,40 circa e lungo m. 1,82, e si
apre un secondo ambiente, forse una cappella, che verosimilmente non doveva far
parte del progetto originario. Nella parete di fondo è stata ricavata l’abside
aperta ad occidente, ampia m. 2,33, profonda m. 1,22 ed alta al colmo m. 2,46.
Qui interessanti sono i resti di un risarcimento in muratura effettuato per
regolarizzare la curva del catino absidale, resosi necessario forse per un
distacco della parete rocciosa durante lo scavo: si conservano per una
lunghezza di m. 0,90, una larghezza di m. 0,24 ed uno spessore di m. 0,05. Il
fondo dell’abside, inoltre, è stato danneggiato per l’apertura del passaggio
alla nuova chiesa costruita.
L’altezza
dell’aula è di m. 2,75 circa, ma nel recesso meridionale raggiunge i m. 3,90.
Il soffitto presenta un anello reggilampade e resti di diversi strati di
intonaco.
Sono vistose
le tracce di manomissioni e di ampliamento delle pareti originarie e si possono
riconoscere i colpi inferti con diversi tipi di scalpelli nelle operazioni di
scavo: la parete meridionale è stata ulteriormente approfondita ed una piccola
nicchia, scavata presso lo spigolo nordoccidentale del piccolo ambiente
meridionale – profonda m. 0,15, alta m. 0,34 ed attualmente larga m. 0,33 – è
danneggiata nella parte settentrionale.
Nonostante le
pareti della chiesa siano state ricoperte da uno strato di scialbo e quindi
martoriate dai vandali, si conservano ancora tracce di decorazione pittorica11
soprattutto presso l’abside: a destra di questa la parete calcarea ha subito
una maggiore corrosione e rimangono tracce di motivi in grigio, giallo e rosso
(forse un tratto della cornice del pannello). A sinistra dell’abside si possono
distinguere almeno due strati di affreschi: ad uno più antico appartengono
frustuli decorati con motivi color rosso vinaccia; ad uno più recente sono
riferibili motivi in rosso ed in grigio o nero degradato, in arancio e
giallognolo; ai margini restano due strati con frammenti di cornici con
filettature gialle e rosse. In questa parete le tracce di affreschi rimangono
per un’altezza di m. 1,60 ed una larghezza di m. 0,80.
Nella parete
in corrispondenza del subsellium rimangono tracce più cospicue. Qui si
distinguono quattro strati di affreschi: a quello più antico appartiene
soltanto una porzione di intonaco con colore bruno; di uno strato successivo si
riconoscono tracce di un abito riccamente decorato con motivi a reticolo nero
su fondo giallo con punti bianchi sulle filettature nere e punti rossi nel
cuore dei rombi del reticolo; restano ancora motivi di colore rosso vinaccia e
bruno, in nero su fondo giallo e tracce di un abito chiaro con pieghe indicate
da pennellate di colore nero; pochi anche i resti riferibili al terzo strato:
tracce di motivi in colore rosso, nero e grigio e di cornici con filettature di
colore giallo; lo strato più recente di cui restano frammenti per un’altezza di
circa m. 2,00 ed una larghezza di m. 1,60, presenta la Madonna con il capo
inclinato verso sinistra – verosimilmente volta verso il Figlio di cui, però,
non restano tracce – e coperto da un velo grigio con pieghe indicate da pennellate
bianche e con una tunica di colore rosso chiaro ed un mantello grigio; a
destra, di minori dimensioni, è un’altra figura nella quale è probabilmente da
riconoscersi il Beato Guglielmo canonizzato nel 153812: di questa
rimangono parte della testa barbata appena volta verso sinistra, circondata da
un nimbo delimitato da una filettatura rossastra, parte del saio reso con
colore grigio, ed un piede che calza il sandalo. Questo pannello presenta uno
sfondo di colore rosa nella parte superiore e di colore verde in quella
inferiore ed è inquadrato da tre cornici viepiù larghe verso l’esterno, di
colore rosso, giallo e grigio con i margini di una tonalità più scura.
Quest’ultimo
strato è stato datato tra la seconda metà del Quattrocento e il Cinquecento, da
parte di P. Nifosì, il quale ha richiamato, dal punto di vista stilistico, gli
affreschi dell’oratorio di Santa Maria della Croce nella stessa Scicli13.
Se nulla si
può dire sulla cronologia degli affreschi più antichi, la semplicità
dell’architettura, la mancanza di partizioni interne, di presbiterio e
dell’orientamento canonico, l’ingresso da uno dei lati lunghi, la piccola
abside alla quale doveva essere addossato l’altare murale, sono caratteristiche
che si riscontrano nelle chiese rupestri dei secoli XIII e XIV14.
Confronti si possono istituire con le chiese rupestri di contrada Cansisini a
Cava Lazzaro in territorio di Rosolini (fig. 2), cosiddette di Sant’Alessandra
a Ufra presso Modica, di San Nicola a Cava Ispica ed anche nella chiesa di
Santa Maria la Cava a Spaccaforno15.
Pertanto,
risale verosimilmente ad una data non lontana da quella dello scavo la prima
menzione della chiesa, contenuta in una carta notarile del 25 ottobre XIV Ind.
1375: essa costituisce un punto di riferimento per il posizionamento di una
grotta con la quale la chiesa confina e della quale il rogatore dell’atto vanta
diritti censuali16.
Le
informazioni sono più numerose per il XVII secolo: il Pacetto ricorda atti del
notaio Carlo Guarino relativi agli anni 1601 e 1602, che menzionano la contrada
dello Spirito Santo17. I giudici giurati dell’Università di Scicli
nominano procuratore della chiesa per l’anno 1638 un tale Nicola Barbato, e,
per il 1642 un tale Francesco Carpentieri, che riceve l’incarico anche per la
vicina chiesa di Santa Lucia18.
Un’altra
notizia ci viene fornita dall’Itinerario della Processione di San Guglielmo
ordinato nel 1684 dal vescovo di Siracusa, Mons. Francesco Fortezza: “la Cassa
delle Reliquie dalla Chiesa di San Bartolomeo faccia ritorno alla matrice per
la Strada di Chiafura passando per le chiese di S. Margarita, S. Barbara, dalla
Chiesa dello Spirito Santo, e da quelle di S. Lucia, si restituerà nella Chiesa
Matrice”19.
Si devono
molto verosimilmente al gravissimo terremoto del 1693 il crollo del costone roccioso
dove era scavata la chiesa rupestre, e quindi la decisione di ricostruirla in
muratura in un luogo più sicuro. Ed ancora il Pacetto ci informa che
“posteriormente nell’anno 1709 un certo Canonico Alfieri fabbricò una nuova
Chiesa soprastante all’antica, avendo largheggiato d’intagli si nell’interno
che nel Prospetto giovandosi di quelli del vicino Castello di già rovinato per
causa del terremoto del 1693, decorandola di tre Altari e di una elegante
architettura, e le assegnò la dote di onze 8 annue sopra il Fondo Musalli, per
celebrazione di Messe nelle Domeniche e Feste, e per solennizzarsi la Festa del
Titolare in ogni martedì infra l’ottava della Pentecoste, la quale si celebrò
sino al quarto lustro del corrente Secolo”20.
La nuova
chiesa venne completata nel corso della prima metà del XVIII secolo: la data
del 1747 incisa su un concio del prospetto indica il completamento dei lavori
della facciata; una conferma giunge anche dal Carioti che nel suo scritto
anteriore al 1760 la dice già ultimata21. In seguito all’abbandono
del sito ed al completo trasferimento del paese a valle dopo il terremoto, la
nostra chiesa ebbe vita breve, così come è avvenuto per quella di San Matteo:
il Pacetto, come si è detto, ricorda che vi furono celebrate messe fino al 1820
circa e aggiunge che poi “per oscitanza dei Patroni si rovinò la volta di detta
Chiesa; anche ne perdura l’intiero fabbricato ridotto a Casaleno, e l’adiacente
piano fu dai patroni venduto al villico Pietro Blundetto, il quale avendolo
sgombrato dagli avanzi e dalle basi delle antiche fabbriche ne utilizzò il
terreno, ove piantò Alberelli e Viti, e che poi vendette al canonico D. Ignazio
Lutri a cui oggi appartiene”22.
(V.G.R.)
La chiesa di San
Pietro, ubicata al civico 16 della via omonima sulle basse pendici
occidentali del colle di San Matteo, risulta orientata ad Ovest.
L’edificio, ad unica navata e a tre campate, versa attualmente in uno stato di
conservazione assai precario soprattutto all’esterno per la notevole erosione
della facciata e lo spanciamento del corpo del piccolo campanile; della
preesistente chiesa rupestre restano due ambienti poi inglobati all’interno
dell’edificio successivo: uno, decisamente il più importante, mantiene lo
stesso orientamento della chiesa.
Antonio Carioti,
che costituisce la principale fonte documentaria, infatti, riferisce che “... è
antichissima prima assai da che scese su’l piano la città. Era sino al secolo
600 in quella grotta che restò dietro l’altare maggiore, da che si ampliò. Ivi
vi furono altri due altari, de’ quali ancora ne appariscono le vetuste sacre
immagini colorite su le pareti della rocca, una de’ quali rappresenta Gesù
Cristo alla colonna...”23. In effetti, dietro l’altare maggiore è
presente un ambiente ipogeico (fig. 3), unica persistenza del corpo centrale
della originaria chiesa rupestre. Purtroppo anch’esso versa in un totale stato
di abbandono dopo essere stato adottato come rifugio antiaereo durante il
secondo conflitto mondiale; attualmente si presenta parzialmente ingombro di
rifiuti così come l’intera navata della chiesa.
Nella parete
di fondo della navata, simmetricamente disposte ai lati dell’altare maggiore si
notano due strette aperture (largh. m. 0,70-0,73) che conducono al nostro
ambiente ricavato nella roccia; l’ingresso a sinistra dell’altare ha un
piedritto che, all’interno, si appoggia direttamente alla parete rocciosa.
Questo vano, a pianta tendenzialmente rettangolare, ha una larghezza massima di
m. 6,10 circa e raggiunge attualmente una profondità intorno a m. 3,60.
L’altezza massima è di m. 2,57 in corrispondenza della parete in muratura
retrostante all’altare (debitamente tampognata nella parte centrale), laddove è
visibile un tratto del pavimento originario.
Il soffitto, piatto, presenta un anello reggilampade.
Presso
l’angolo sudorientale dell’ambiente, un accumulo regolare di pietrame di grossa
pezzatura (largh. m. 1,96; prof. m. 0,75) ostruisce una ampia cavità irregolare
(largh. m. 1,29; prof. max m. 1,00), forse un tentativo non condotto a termine
di ricavare un’altra nicchia o addirittura un ulteriore vano; l’apertura di una
profonda faglia nella parete di fondo potrebbe spiegare l’improvvisa
interruzione dell’operazione di scavo.
Ancora
leggibili appaiono le due nicchie ricavate in corrispondenza dei due altari a
cui faceva riferimento Carioti: hanno sagoma rettangolare e pianta
trapezoidale, sono poco profonde (m. 0,37) e ricavate quasi dirimpetto l’una
nel lato settentrionale, l’altra in quello meridionale. Entrambe recano tracce
di affreschi attualmente coperti da incrostazioni calcaree.
La nicchia
settentrionale ha una luce di m. 1,59, mentre il fondo risulta largo m. 1,40
circa; si imposta ad una quota di m. 0,73 dall’attuale piano di calpestio ed è
alta m. 1,58. Inoltre appare devastata ai margini destro e sinistro, laddove la
presenza di due brevi riseghe sul piano di imposta indicherebbe una
manipolazione successiva della nicchia volta ad un suo ampliamento: in tal caso
la larghezza originaria si aggirerebbe tra m. 1,31 e m. 1,37. Nel pannello di
fondo, nonostante le incrostazioni calcaree è possibile scorgere una mensa
imbandita che presenta da destra una pisside cilindrica dalla superficie
rosata, un calice color avorio con l’orlo estroflesso e poco più in alto un
pane di color giallo scuro con partizioni brune; contigua a questo è visibile
una mano sinistra con l’indice e l’anulare dalla forma insolitamente allungata
e decisamente sovradimensionata rispetto ai vicini oggetti sulla tavola; il
lembo della tovaglia che scende da questa appare decorato con una sequenza di
partizioni rettangolari; immediatamente al di sotto si scorgono, forse, le
gambe del personaggio e poco più in basso, infine, una fascia dipinta doveva
recare una iscrizione di cui restano leggibili solo le lettere “..NV..”. In
alto, invece, si riescono ad intravedere
soltanto le tracce di un panneggio o di un drappo rosso e non risultano
leggibili ulteriori particolari.
Date le
notevoli dimensioni dei pochi elementi figurati riconoscibili e la ristrettezza
del pannello è ammissibile la presenza di pochi personaggi, cosa davvero
inusuale rispetto all’iconografia canonica di una rappresentazione eucaristica;
dunque vi si potrebbe riconoscere o la raffigurazione dell’episodio
veterotestamentario dell’offerta del pane e del vino da parte di Melchisedek ad
Abramo (Gen. 14,18-20)24, o l’episodio neotestamentario della
cena di Emmaus (Lc. 24,30-35), anche se manca la menzione del vino25,
o, infine, una versione “abbreviata” dell’Istituzione dell’Eucaristia (Mt.
26,26-29; Mc. 14,22-25; Lc. 22,14-21) 26.
La nicchia
meridionale ha una luce di m. 1,76, mentre la parete di fondo è larga m. 1,60;
si imposta a m. 0,85 dall’attuale piano di calpestio ed è alta intorno a m.
1,55. Essa appare meglio conservata e con un taglio più regolare della
precedente. Nel fondo, al di sotto di uno strato di scialbo sono ravvisabili
tracce di colore, che fanno presumere probabilmente l’integrità dell’affresco,
anche se non permettono di risalire al soggetto raffigurato. Si riescono a
cogliere le dimensioni del pannello dipinto (largh. m. 1,43; alt. m. 1,31-1,37)
grazie ad una “linea guida” incisa superiormente. Esso dovrebbe presentare una
cornice nera, mentre gli spazi esterni (alt. m. 0,10-0,12) appaiono campiti in
color rosso mattone; all’interno si nota un solo strato di affresco: in
particolare, all’incirca nel tratto centrale, spiccano delle pennellate color
rosso-vinaccia con sfumature dal rosa al rosso scuro e tracce di colore bruno
diluito su fondo color crema. Qui dovrebbe trovarsi la raffigurazione di Cristo
alla colonna registrata dal Carioti.
Sul lato
destro della navata, in prossimità dell’ingresso al suddetto vano, è ricavata
un’altra apertura che immette in un secondo ambiente ipogeico a pianta
quadrangolare. Soltanto la parete settentrionale (largh. m. 4,20) è interamente
in muratura. Nella parete orientale (largh. m. 2,67) sulla sinistra è ancora
visibile, risparmiato nella roccia, il pilone dell’arco di trionfo (alt. max m.
2,85) dell’accesso originario al presbiterio della chiesa rupestre; è
ravvisabile anche l’altezza originaria dell’arco al colmo (m. 2,94). Sulla
destra è presente una nicchia totalmente rivestita in muratura, forse
originariamente una finestra aperta sul retrostante giardino, in seguito
tampognata; impostata ad una quota di m. 1,20 circa rispetto al piano di
calpestio, alta m. 1,42 e profonda m. 0,58, ha una luce di m. 0,78 in basso che
tende a ridursi fino a m. 0,70 alla sommità. Tale nicchia, inoltre, mostra un
profilo irregolare sia in pianta sia in alzato con il lato destro leggermente
più convesso e più profondo dell’altro. Nella parete opposta (largh. m. 1,90) è
stato risparmiato un subsellium a
pianta leggermente trapezoidale, alto soltanto m. 0,40, profondo m. 0,22 e con
una lunghezza massima di m. 1,20; qui il vano raggiunge un’altezza minima di m.
2,24.
La più antica
documentazione relativa alla chiesa risale soltanto alla fine del XV secolo: il
Carioti menziona un atto del 6 luglio XIV Ind. 1495 rogato presso il notaio
Lorenzo Vaccaro con cui “Margherita Arizzi, moglie del nobile Pietro Iozzia,
per testamento legò once due per la fondazione di un altro altare costruendo di
Santo Antonio dentro la detta chiesa, e ne fu eletto Don Antonino Iozzia nel
1558, 16 gennaro, 2 indizione, ne apparisce in Cancelleria di Siracusa
privileggio di esso”27.
Del 13 marzo X
Ind. 1642 è un atto con cui i giudici giurati dell’Università di Scicli,
nominano tal Girolamo Ruffino (“Hieronymum de Ruffino”) quale procuratore della
chiesa28.
Non si hanno
per il momento altre notizie riguardanti la chiesa. Quella costruita in
muratura, già profanata da mons. Marini ed aggregata alla Matrice, nella
seconda metà del XIX secolo venne chiusa al culto29.
(G.T.)
NOTE
* Vittorio Giovanni Rizzone
(Ragusa, 1967). Per il curriculum di studi e per le pubblicazioni, cfr. Archivum
Historicum Mothycense, n. 5/1999, pag. 27.
Giuseppe Terranova (Scicli,
1973). Dopo avere frequentato il Liceo classico ‘T. Campailla’, si è laureato
presso l'Università degli Studi di Catania in Lettere classiche (indirizzo
archeologico).
Ha collaborato a varie campagne
di scavo: Missione Archeologica dell'Università di Catania a Neapaphos
(Cipro), guidata dal prof. Filippo Giudice (1994 e 1997); Scavi del Foro
di Nerva a Roma (1995); Missione Archeologica della Scuola Archeologica
Italiana di Atene a Festos (Creta), nel 2000. Risiede a Scicli, tel.
0932/931583.
Esprimiamo i nostri sentiti
ringraziamenti ai Sigg. Saro Belluardo e Guglielmo Ciavorella per avere
segnalato la cripta dello Spirito Santo, averci aiutato nella realizzazione
degli schizzi planimetrici qui presentati ed accompagnati alla cripta di
contrada Cansisini, alla signora Clotilde Mezzasalma per la liberalità con la
quale ci ha consentito di visitare la chiesa di San Pietro. (Gli
Autori)
(1) Sull’argomento v. da
ultimi, P. MILITELLO, Per una storia del quartiere, in Il Giornale di
Scicli, 2 luglio 1995, pagg. 6-7; P. BELLIA, Città rupestri. Il caso
Chiafura, Firenze 1998.
(2) A. MESSINA, Le chiese
rupestri del Val di Noto, Palermo 1994, pagg. 85-93. Per quanto riguarda
queste chiese, ai documenti citati, si aggiungano, per la chiesa di Santa
Lucia, A. CARIOTI, Notizie storiche della città di Scicli, a cura di
M. Cataudella, Scicli 1994, pag. 427; G. PACETTO, Memorie Istoriche Civili ed Ecclesiastiche della Città di
Scicli, ms. del 1855-1870, conservato presso la Bibl. Com. di Scicli, ff. 389-390; Archivio di Stato, Modica (d’ora
in poi ASM), notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 12, ff. 309R-311V, atto del
7 gennaio VI Ind. 1638 per la nomina del procuratore della chiesa per tale anno; ibidem, vol. 16, ff.
82R-83V, atto del 13 marzo X Ind. 1642 per la nomina del procuratore della
chiesa per tale anno; ibidem, notaio Martino Terranova (528), vol. 11
(?), ff. 77V-78R, atto del 23 agosto IX Ind. 1716. Per la chiesa della
Catena, ubicata nella contrada Bauso (cfr. l’omonimo Vauso/Balzo a Modica),
v. CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pagg. 428-9: “il più volte
apportato ms. che su’l fine del secolo 1500 diede relazione della Madonna
Sciclitana asserisce essere antichissima questa chiesa più di 300 anni prima”;
PACETTO, Memorie Istoriche..., cit., ff. 383-4, ai documenti qui citati
si aggiungano questi altri dell’ASM: notaio Martino Terranova (528), vol. 15,
ff. 47R-50V, atto del 16 novembre XIV Ind. 1720; ibidem, vol. 16, f. 92,
atto del 26 agosto II Ind. 1724; notaio Francesco Fava (565), vol. 26, ff. 2R e
130 per l’anno 1746-1747; ibidem, vol. 28, f. 3V, per l’anno 1748-1749; ibidem,
notaio Mariano Muccio (531), vol. 15, f. 7, del 15 settembre IX ind. 1745; ibidem,
notaio Vincenzo Aparo jr. (532), vol. 10, f. 77, dell’anno 1748-1749. Per Santa
Maria di Piedigrotta, v. CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag.
426: sorta ad “opera di alcuni divoti su’l fine del secolo 1500”, vi fu
fondato un beneficio da Giuseppe Micciché il 26 settembre XIV Ind. 1630 (doc.
in ASM, notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 5, ff. 62V-64V); v. presso lo
stesso notaio, vol. 12, ff. 309R-311V, atto del 7 gennaio VI Ind. 1638 e, vol.
16, ff. 82R-83V, atto del 13 marzo X Ind. 1642; ibidem, notaio Guglielmo
Giuca (526), vol. 11, f. 288, dell’8 giugno II Ind. 1709; ibidem, notaio
Francesco Torres (520), vol. 27, f. 23V, del 21 ottobre II Ind. 1708, e, dello
stesso notaio, vol. 30, f. 8R e f. 16, con atti del 6 e del 12 settembre V Ind.
1711. Per la chiesa del Monte Calvario, v. CARIOTI, Notizie
storiche..., cit., pag. 431; documenti relativi sono all’ASM, notaio
Francesco Munda (460), ff. 222R-223R, atto del 18 novembre XIV Ind. 1585;
notaio Antonino Attardi (513), vol. 1, ff. 172R-177R, atto del 6 maggio IV Ind.
1666.
(3) Cfr. nota precedente.
(4) G. DRAGO - P. NIFOSI’, Aspetti
Storico-Artistici della Contea di Modica in Santa Maria della Croce di Scicli,
Ispica s.d., pag. 69.
(5) CARIOTI, Notizie
storiche..., cit., pag. 427: “La chiesa di Santa Maria di Loreto, detta
della Porticella perché a canto un tempo di una delle sette porte per cui si
saliva alla città antica. Il detto oratorio lo fu ove al presente è la
sagristia e che poi incavata la rupe vi si fece la detta chiesa. Il ms
replicato più volte la porta prima del secolo 1500”; PACETTO, Memorie
Istoriche..., ff. 398-399: “questa Chiesa fu capricciosamente abolita,
giacché tuttora intiera esiste, ed osservasi nella Strada Loreto contigua alla
Casa palazzata di D. Pietro Beneventano, sebbene oggi destinata ad altro
uso...”; M. PLUCHINOTTA, Memorie di Scicli, Scicli 19322, pag. 133.
Nella chiesa vi erano seppelliti membri della famiglia D’Angelo: Pietro
(CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 427) e Giuseppe; per
quest’ultimo v. ASM, notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 16, ff. 74V-80R,
testamento del 9 marzo X Ind. 1642, in cui il testatore “cadaver vero suum
cum ex hoc seculo migrare contigerit humari et sepeliri voluit intus ven.
ecclesiam S.te Marie dello Ritu huius predicte civitatis Siclis” (f. 75R) e
“vuole, et, dispone esso Testatore che la ditta Tutrice secuta la morte di
esso Testatore habbi da fare le porte di lignami alla porta nova di detta
chiesa a spese dell’heredità di esso Testatore con di tavole di Abete veneziano
che tieni esso Testatore” (f. 79V); per altri documenti relativi alla
chiesa, v. ASM, notaio Antonio Infilio (487), vol. 7, ff. 407R-409V, atto del
31 dicembre IX Ind. 1610 “Procuratio ecclesie Sancte Marie dello Rito”,
e, dello stesso notaio, vol. 21, f. 8, atto del 4 settembre I Ind. 1617.
(6) Per il sistema di
fortificazioni del colle San Matteo, v. P. MILITELLO, “L’oppidum triquetrum”
di Scicli (Ragusa), in Archivio Storico Messinese, III s., XLIV,
1989, pagg. 5-47.
(7) Alcuni ipogei sono stati
segnalati da B. CATAUDELLA, Scicli. Storia e tradizioni, Catania 1970,
pag. 71, fig.; e da G. NIFOSI’, Tombe paleocristiane e bizantine a Scicli
nel IV-IX sec., in Il Giornale di Scicli, 11 ottobre 1981, pag. 3,
con riferimento alla tesi di laurea di G. RUSSINO, Resti paleocristiani e
bizantini nel territorio di Scicli; per la documentazione finora acquisita
relativa al tardo-antico, v. P. MILITELLO, Due note in margine all’opera di
A. Carioti, in AA.VV., Archeologia Urbana e Centri Storici negli Iblei,
Ragusa 1998, pagg. 128-129; per le testimonianze archeologiche del colle San
Matteo, v. anche IDEM, Dinamiche territoriali tra bronzo antico e
colonizzazione greca: il caso di Scicli (RG), ibidem, pagg. 51-52 e
54.
(8) CARIOTI, Notizie
storiche..., cit., pag. 426.
(9) PACETTO, Memorie
Istoriche..., cit., f. 417.
(10) Recentemente la chiesa è
stata restaurata, dopo un rovinoso crollo del prospetto: v. P. NIFOSI’, In
pezzi la chiesa dello Spirito Santo, in Il Giornale di Scicli, 20
febbraio 1994, pag. 4; foto relative a prima e dopo il restauro anche in Il
Giornale di Scicli, 8 settembre 1996, pag. 10.
(11) P. NIFOSI’, Sul Colle
San Matteo interessanti frammenti di affreschi rinascimentali, in Il
Giornale di Scicli, 22 gennaio 1995, pag. 7.
(12) E. SIGONA, Guglielmo di
Noto, beato, in AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, diretta da F.
Caraffa, VII, Roma 1966, coll. 477-478; sull’iconografia del Beato, v. P.
NIFOSI’, L’urna del Beato Guglielmo di Scicli, in Notiziario Storico
di Scicli 1, Modica 1985, pagg. 69-106.
(13) NIFOSI’, Sul Colle San
Matteo..., cit., pag. 7. Per gli affreschi di Santa Maria della Croce, v.
DRAGO - NIFOSI’, Aspetti Storico-Artistici..., cit., pagg. 45-53.
(14) Cfr. MESSINA, Le chiese
rupestri..., cit., pagg. 24-25.
(15) Cfr. V.G. RIZZONE - A.M.
SAMMITO, Nuovi dati sulla tarda architettura sacra a carattere rupestre a
Modica, in Archivum Historicum Mothycense 4, 1998, pag. 69; IDEM, La
chiesa di Sant’Isidoro e nuovi documenti sacri a carattere rupestre a Cava
Ispica e nei dintorni, in Archivum Historicum Mothycense 5, 1999, pag. 36.
(16) E. SIPIONE, Tre
documenti trecenteschi (Gabella Caxe et dohane - traditio feudi - emptio et
redemptio), in Archivio Storico Sicilia Orientale LXIV, 1968, pagg.
230-231 e 249-250: “...tarenorum auri trium et grana decem debitorum ipsi
exponenti per Nicolaum de Bunchillo pro quadam cripta ditti Nicolai, sitam et
positam in ditta terra Sicli in contrata Sancti Spiritus prope domos Pini de
Fasula, prope ecclesiam Sancti Spiritus, viam puplicam et alios confines...”.
Da questa menzione A. Messina (Le chiese rupestri ..., cit., pagg. 89 e
139, nota n. 35) ha felicemente arguito che doveva verosimilmente trattarsi di
una chiesa rupestre.
(17) PACETTO, Memorie
Istoriche..., cit., f. 418: “... uno de’ quali del giorno 29 Xbre 1601
ove leggesi che “Angila d’Agnello accaptao d’Alessandro di Gallo uno Palazzo in
contrada dello Spirito Santo”. Ed in un altro del 20 Gen.ro 1602 sta scritto
che “Disiata la Laguna accaptao da Joseph Colluzzo una “Casa in contrada di lo
Spirito Santo seu di Sta. Lucia conf. cum Casa di Joanna Stornello”. Questi
documenti si conservano all’ASM, notaio Carlo Guarino (454), vol. 39, ff.
140V-141V e ff. 179R-180V.
(18) ASM, notaio Vincenzo Aparo
sr. (496), vol. 12, f. 309V, atto del 7 gennaio VI Ind. 1638: “Nicolaum de
Barbato”; ibidem, vol. 16, f. 82V, atto del 13 marzo X Ind. 1642: “Franciscum
condam Mariani Carpentieri”.
(19) PACETTO, Memorie
Istoriche..., cit., ff. 389-390 e 418.
(20) PACETTO, Memorie
Istoriche..., cit., ff. 417-418.
(21) Cfr. supra e nota n. 8.
(22) PACETTO, Memorie
Istoriche..., cit., f. 418.
(23) CARIOTI, Notizie
storiche..., cit., pagg. 427-428.
(24) Cfr.
L. RÉAU, Iconographie de l’art chrétien, Paris 1957, rist. Nendenl 1979,
vol. II,1, pagg. 128-129.
(25) Ibidem,
vol. II,2, pagg. 561-567.
(26) Ibidem,
vol. II,2,
pagg. 416-424. Un altro esempio di raffigurazione “abbreviata” è la scena della
Pentecoste raffigurata nella parete Nord dell’ambiente ipogeico a destra
dell’abside della chiesa rupestre di Santa Lucia di Mendola presso Palazzolo
Acreide: è possibile riconoscere, infatti, due o tre apostoli, accompagnati
dalla legenda APO(S)TO (L...) e le lingue di fuoco che scendono su di loro
procedendo dall’angolo superiore destro.; v. anche A. MESSINA, Le chiese
rupestri del Siracusano, Palermo 1979, pag. 122.
(27) CARIOTI, Notizie
storiche..., cit., pag. 428. Non è stato possibile reperire questo atto
presso l’ASM: gli atti del notaio Lorenzo Vaccaro di Scicli (434) si sono
conservati soltanto a partire dal 1503. Non sono più reperibili anche i volumi
del notaio Pietro Stornello (444) relativi agli anni 1539-1540 e 1557-1558, in
cui dovevano trovarsi atti afferenti alla chiesa.
(28) ASM, notaio Vincenzo Aparo
sr. (496), vol. 16, f. 82V.
(29) CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 427; PLUCHINOTTA, Memorie..., cit., pag. 136.