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Le chiese rupestri dello Spirito Santo e di San Pietro a Scicli

 

di Vittorio Giovanni Rizzone e Giuseppe Terranova*

 

 

Scicli mantiene ancora gran parte della sua fisionomia di città rupestre: le evidenze tuttora permangono soprattutto lungo i ripidi versanti settentrionale e meridionale del colle di San Matteo perché, a partire dalla seconda metà del XIV secolo e fino a tutto il XVI, la Città subì un graduale spostamento verso il fondovalle e sui versanti degli altri colli adiacenti a causa dell’incremento demografico e della penuria d’acqua; poi, a seguito del terremoto del 1693, si verifica il progressivo abbandono delle parti più alte delle      pendici1.

Tra le più interessanti testimonianze monumentali di natura rupestre sono indubbiamente degne di nota e restano tuttora pienamente leggibili nella loro articolazione originaria le quattro chiese già note di Santa Lucia, della Madonna di Piedigrotta, del Monte Calvario, della Madonna della Catena o della Scalilla2; a queste, però, se ne possono aggiungere almeno altre tre delle quali dà notizia Antonio Carioti in uno scritto, copiato da L. Cardaci nel 1898, ma composto fra il 1730 ed il 1760 e recentemente pubblicato3: oltre agli ambienti rupestri a destinazione sacra, con le pareti decorate da affreschi, segnalati presso il secondo cortile del convento di Santa Maria della Croce4, si registrano le chiese rupestri di Santa Maria di Loreto, ubicata in via Loreto 26, di fronte al vico Scrofani, anteriore al XVI secolo5, ma purtroppo non più leggibile nel suo originario sviluppo planimetrico, e, soprattutto, quelle dedicate allo Spirito Santo e a San Pietro.

                                                                                                           (V.G.R. – G.T.)

 

La chiesa rupestre dello Spirito Santo, ubicata nella parte alta del Colle di San Matteo, sul versante della Cava di Santa Maria la Nova, presso il Castello dei Tre Cantoni6, in un’area in cui vi sono numerosi ipogei dalla fronte generalmente crollata, in alcuni dei quali è possibile – grazie al mantenersi di porzioni delle guance e delle riseghe di imposta della copertura dei loculi – riconoscere ancora l’originaria destinazione funeraria in epoca tardoantica7.

La prima menzione di questa chiesa si deve al Carioti il quale ricorda che “...per essere antichissima lo fu in una grotta presso a cui si comunicò l’erezione di un tempietto doppo il 1710, di già ne resta terminata”8, e quindi il Pacetto segnala che: “Sottostante all’attuale rovinata Chiesa dello Spirito Santo vi è una specie di Catacomba incavata nel vivo sasso, ove tuttora si osservano avanzi di antichissime pitture rappresentanti colossali figure, che non possono più distinguersi perché sbiadite dall’umido, ed in parte screpolate da mano villana...”9. In effetti la cripta (fig. 1) è ubicata al di sotto della chiesa settecentesca10, con la quale comunicava per mezzo di un passaggio gradinato scavato nella roccia fra l’abside e la parete di fondo della chiesa in muratura, dove si apre a destra dell’altare. Questo passaggio è stato successivamente obliterato da un tampogno in muratura.

La planimetria della chiesa si presenta molto semplice, nonostante il rovinoso crollo del costone roccioso in cui è scavata e che ha interessato la parte settentrionale della cripta comporti necessariamente una lettura parziale dell’articolazione originaria. Una parete in muratura, prolungata durante l’ultima fase di frequentazione della grotta, chiude la parte franata. Nell’unica parte non crollata si conserva lo stipite occidentale di un ingresso dal lato Nord, presso il quale è scavata una piccola nicchia (alt. m. 0,37, largh. m. 0,26, prof. m. 0,19).

Si conserva completo un altro ingresso ad arco a pieno centro largo m. 2,34 ed alto al colmo m. 2,70 circa, eccentrico rispetto all’asse dell’aula; esso sembra essere successivo all’ingresso di cui si è già detto ed attualmente introduce nell’aula; questa è  lunga fino a m. 7,80 ed apprezzabile in larghezza per m. 4,80. Nella parete meridionale è ricavato un subsellium, alto m. 0,35, largo m. 0,40 circa e lungo m. 1,82, e si apre un secondo ambiente, forse una cappella, che verosimilmente non doveva far parte del progetto originario. Nella parete di fondo è stata ricavata l’abside aperta ad occidente, ampia m. 2,33, profonda m. 1,22 ed alta al colmo m. 2,46. Qui interessanti sono i resti di un risarcimento in muratura effettuato per regolarizzare la curva del catino absidale, resosi necessario forse per un distacco della parete rocciosa durante lo scavo: si conservano per una lunghezza di m. 0,90, una larghezza di m. 0,24 ed uno spessore di m. 0,05. Il fondo dell’abside, inoltre, è stato danneggiato per l’apertura del passaggio alla nuova chiesa costruita.

L’altezza dell’aula è di m. 2,75 circa, ma nel recesso meridionale raggiunge i m. 3,90. Il soffitto presenta un anello reggilampade e resti di diversi strati di intonaco.

Sono vistose le tracce di manomissioni e di ampliamento delle pareti originarie e si possono riconoscere i colpi inferti con diversi tipi di scalpelli nelle operazioni di scavo: la parete meridionale è stata ulteriormente approfondita ed una piccola nicchia, scavata presso lo spigolo nordoccidentale del piccolo ambiente meridionale – profonda m. 0,15, alta m. 0,34 ed attualmente larga m. 0,33 – è danneggiata nella parte settentrionale.

Nonostante le pareti della chiesa siano state ricoperte da uno strato di scialbo e quindi martoriate dai vandali, si conservano ancora tracce di decorazione pittorica11 soprattutto presso l’abside: a destra di questa la parete calcarea ha subito una maggiore corrosione e rimangono tracce di motivi in grigio, giallo e rosso (forse un tratto della cornice del pannello). A sinistra dell’abside si possono distinguere almeno due strati di affreschi: ad uno più antico appartengono frustuli decorati con motivi color rosso vinaccia; ad uno più recente sono riferibili motivi in rosso ed in grigio o nero degradato, in arancio e giallognolo; ai margini restano due strati con frammenti di cornici con filettature gialle e rosse. In questa parete le tracce di affreschi rimangono per un’altezza di m. 1,60 ed una larghezza di m. 0,80.

Nella parete in corrispondenza del subsellium rimangono tracce più cospicue. Qui si distinguono quattro strati di affreschi: a quello più antico appartiene soltanto una porzione di intonaco con colore bruno; di uno strato successivo si riconoscono tracce di un abito riccamente decorato con motivi a reticolo nero su fondo giallo con punti bianchi sulle filettature nere e punti rossi nel cuore dei rombi del reticolo; restano ancora motivi di colore rosso vinaccia e bruno, in nero su fondo giallo e tracce di un abito chiaro con pieghe indicate da pennellate di colore nero; pochi anche i resti riferibili al terzo strato: tracce di motivi in colore rosso, nero e grigio e di cornici con filettature di colore giallo; lo strato più recente di cui restano frammenti per un’altezza di circa m. 2,00 ed una larghezza di m. 1,60, presenta la Madonna con il capo inclinato verso sinistra – verosimilmente volta verso il Figlio di cui, però, non restano tracce – e coperto da un velo grigio con pieghe indicate da pennellate bianche e con una tunica di colore rosso chiaro ed un mantello grigio; a destra, di minori dimensioni, è un’altra figura nella quale è probabilmente da riconoscersi il Beato Guglielmo canonizzato nel 153812: di questa rimangono parte della testa barbata appena volta verso sinistra, circondata da un nimbo delimitato da una filettatura rossastra, parte del saio reso con colore grigio, ed un piede che calza il sandalo. Questo pannello presenta uno sfondo di colore rosa nella parte superiore e di colore verde in quella inferiore ed è inquadrato da tre cornici viepiù larghe verso l’esterno, di colore rosso, giallo e grigio con i margini di una tonalità più scura.

Quest’ultimo strato è stato datato tra la seconda metà del Quattrocento e il Cinquecento, da parte di P. Nifosì, il quale ha richiamato, dal punto di vista stilistico, gli affreschi dell’oratorio di Santa Maria della Croce nella stessa Scicli13.

Se nulla si può dire sulla cronologia degli affreschi più antichi, la semplicità dell’architettura, la mancanza di partizioni interne, di presbiterio e dell’orientamento canonico, l’ingresso da uno dei lati lunghi, la piccola abside alla quale doveva essere addossato l’altare murale, sono caratteristiche che si riscontrano nelle chiese rupestri dei secoli XIII e XIV14. Confronti si possono istituire con le chiese rupestri di contrada Cansisini a Cava Lazzaro in territorio di Rosolini (fig. 2), cosiddette di Sant’Alessandra a Ufra presso Modica, di San Nicola a Cava Ispica ed anche nella chiesa di Santa Maria la Cava a Spaccaforno15.

Pertanto, risale verosimilmente ad una data non lontana da quella dello scavo la prima menzione della chiesa, contenuta in una carta notarile del 25 ottobre XIV Ind. 1375: essa costituisce un punto di riferimento per il posizionamento di una grotta con la quale la chiesa confina e della quale il rogatore dell’atto vanta diritti censuali16.

Le informazioni sono più numerose per il XVII secolo: il Pacetto ricorda atti del notaio Carlo Guarino relativi agli anni 1601 e 1602, che menzionano la contrada dello Spirito Santo17. I giudici giurati dell’Università di Scicli nominano procuratore della chiesa per l’anno 1638 un tale Nicola Barbato, e, per il 1642 un tale Francesco Carpentieri, che riceve l’incarico anche per la vicina chiesa di Santa Lucia18.

Un’altra notizia ci viene fornita dall’Itinerario della Processione di San Guglielmo ordinato nel 1684 dal vescovo di Siracusa, Mons. Francesco Fortezza: “la Cassa delle Reliquie dalla Chiesa di San Bartolomeo faccia ritorno alla matrice per la Strada di Chiafura passando per le chiese di S. Margarita, S. Barbara, dalla Chiesa dello Spirito Santo, e da quelle di S. Lucia, si restituerà nella Chiesa Matrice”19.

Si devono molto verosimilmente al gravissimo terremoto del 1693 il crollo del costone roccioso dove era scavata la chiesa rupestre, e quindi la decisione di ricostruirla in muratura in un luogo più sicuro. Ed ancora il Pacetto ci informa che “posteriormente nell’anno 1709 un certo Canonico Alfieri fabbricò una nuova Chiesa soprastante all’antica, avendo largheggiato d’intagli si nell’interno che nel Prospetto giovandosi di quelli del vicino Castello di già rovinato per causa del terremoto del 1693, decorandola di tre Altari e di una elegante architettura, e le assegnò la dote di onze 8 annue sopra il Fondo Musalli, per celebrazione di Messe nelle Domeniche e Feste, e per solennizzarsi la Festa del Titolare in ogni martedì infra l’ottava della Pentecoste, la quale si celebrò sino al quarto lustro del corrente Secolo”20.

La nuova chiesa venne completata nel corso della prima metà del XVIII secolo: la data del 1747 incisa su un concio del prospetto indica il completamento dei lavori della facciata; una conferma giunge anche dal Carioti che nel suo scritto anteriore al 1760 la dice già ultimata21. In seguito all’abbandono del sito ed al completo trasferimento del paese a valle dopo il terremoto, la nostra chiesa ebbe vita breve, così come è avvenuto per quella di San Matteo: il Pacetto, come si è detto, ricorda che vi furono celebrate messe fino al 1820 circa e aggiunge che poi “per oscitanza dei Patroni si rovinò la volta di detta Chiesa; anche ne perdura l’intiero fabbricato ridotto a Casaleno, e l’adiacente piano fu dai patroni venduto al villico Pietro Blundetto, il quale avendolo sgombrato dagli avanzi e dalle basi delle antiche fabbriche ne utilizzò il terreno, ove piantò Alberelli e Viti, e che poi vendette al canonico D. Ignazio Lutri a cui oggi appartiene”22.

                                                                                                                       (V.G.R.)

 

La chiesa di San Pietro, ubicata al civico 16 della via omonima sulle basse pendici occidentali del colle di San Matteo, risulta orientata ad Ovest. L’edificio, ad unica navata e a tre campate, versa attualmente in uno stato di conservazione assai precario soprattutto all’esterno per la notevole erosione della facciata e lo spanciamento del corpo del piccolo campanile; della preesistente chiesa rupestre restano due ambienti poi inglobati all’interno dell’edificio successivo: uno, decisamente il più importante, mantiene lo stesso orientamento della chiesa.

Antonio Carioti, che costituisce la principale fonte documentaria, infatti, riferisce che “... è antichissima prima assai da che scese su’l piano la città. Era sino al secolo 600 in quella grotta che restò dietro l’altare maggiore, da che si ampliò. Ivi vi furono altri due altari, de’ quali ancora ne appariscono le vetuste sacre immagini colorite su le pareti della rocca, una de’ quali rappresenta Gesù Cristo alla colonna...”23. In effetti, dietro l’altare maggiore è presente un ambiente ipogeico (fig. 3), unica persistenza del corpo centrale della originaria chiesa rupestre. Purtroppo anch’esso versa in un totale stato di abbandono dopo essere stato adottato come rifugio antiaereo durante il secondo conflitto mondiale; attualmente si presenta parzialmente ingombro di rifiuti così come l’intera navata della chiesa. 

Nella parete di fondo della navata, simmetricamente disposte ai lati dell’altare maggiore si notano due strette aperture (largh. m. 0,70-0,73) che conducono al nostro ambiente ricavato nella roccia; l’ingresso a sinistra dell’altare ha un piedritto che, all’interno, si appoggia direttamente alla parete rocciosa. Questo vano, a pianta tendenzialmente rettangolare, ha una larghezza massima di m. 6,10 circa e raggiunge attualmente una profondità intorno a m. 3,60. L’altezza massima è di m. 2,57 in corrispondenza della parete in muratura retrostante all’altare (debitamente tampognata nella parte centrale), laddove è visibile un tratto del pavimento originario.  Il soffitto, piatto, presenta un anello reggilampade.

Presso l’angolo sudorientale dell’ambiente, un accumulo regolare di pietrame di grossa pezzatura (largh. m. 1,96; prof. m. 0,75) ostruisce una ampia cavità irregolare (largh. m. 1,29; prof. max m. 1,00), forse un tentativo non condotto a termine di ricavare un’altra nicchia o addirittura un ulteriore vano; l’apertura di una profonda faglia nella parete di fondo potrebbe spiegare l’improvvisa interruzione dell’operazione di scavo.

Ancora leggibili appaiono le due nicchie ricavate in corrispondenza dei due altari a cui faceva riferimento Carioti: hanno sagoma rettangolare e pianta trapezoidale, sono poco profonde (m. 0,37) e ricavate quasi dirimpetto l’una nel lato settentrionale, l’altra in quello meridionale. Entrambe recano tracce di affreschi attualmente coperti da incrostazioni calcaree.

La nicchia settentrionale ha una luce di m. 1,59, mentre il fondo risulta largo m. 1,40 circa; si imposta ad una quota di m. 0,73 dall’attuale piano di calpestio ed è alta m. 1,58. Inoltre appare devastata ai margini destro e sinistro, laddove la presenza di due brevi riseghe sul piano di imposta indicherebbe una manipolazione successiva della nicchia volta ad un suo ampliamento: in tal caso la larghezza originaria si aggirerebbe tra m. 1,31 e m. 1,37. Nel pannello di fondo, nonostante le incrostazioni calcaree è possibile scorgere una mensa imbandita che presenta da destra una pisside cilindrica dalla superficie rosata, un calice color avorio con l’orlo estroflesso e poco più in alto un pane di color giallo scuro con partizioni brune; contigua a questo è visibile una mano sinistra con l’indice e l’anulare dalla forma insolitamente allungata e decisamente sovradimensionata rispetto ai vicini oggetti sulla tavola; il lembo della tovaglia che scende da questa appare decorato con una sequenza di partizioni rettangolari; immediatamente al di sotto si scorgono, forse, le gambe del personaggio e poco più in basso, infine, una fascia dipinta doveva recare una iscrizione di cui restano leggibili solo le lettere “..NV..”. In alto, invece, si riescono ad  intravedere soltanto le tracce di un panneggio o di un drappo rosso e non risultano leggibili ulteriori particolari.

Date le notevoli dimensioni dei pochi elementi figurati riconoscibili e la ristrettezza del pannello è ammissibile la presenza di pochi personaggi, cosa davvero inusuale rispetto all’iconografia canonica di una rappresentazione eucaristica; dunque vi si potrebbe riconoscere o la raffigurazione dell’episodio veterotestamentario dell’offerta del pane e del vino da parte di Melchisedek ad Abramo (Gen. 14,18-20)24, o l’episodio neotestamentario della cena di Emmaus (Lc. 24,30-35), anche se manca la menzione del vino25, o, infine, una versione “abbreviata” dell’Istituzione dell’Eucaristia (Mt. 26,26-29; Mc. 14,22-25; Lc. 22,14-21) 26.

La nicchia meridionale ha una luce di m. 1,76, mentre la parete di fondo è larga m. 1,60; si imposta a m. 0,85 dall’attuale piano di calpestio ed è alta intorno a m. 1,55. Essa appare meglio conservata e con un taglio più regolare della precedente. Nel fondo, al di sotto di uno strato di scialbo sono ravvisabili tracce di colore, che fanno presumere probabilmente l’integrità dell’affresco, anche se non permettono di risalire al soggetto raffigurato. Si riescono a cogliere le dimensioni del pannello dipinto (largh. m. 1,43; alt. m. 1,31-1,37) grazie ad una “linea guida” incisa superiormente. Esso dovrebbe presentare una cornice nera, mentre gli spazi esterni (alt. m. 0,10-0,12) appaiono campiti in color rosso mattone; all’interno si nota un solo strato di affresco: in particolare, all’incirca nel tratto centrale, spiccano delle pennellate color rosso-vinaccia con sfumature dal rosa al rosso scuro e tracce di colore bruno diluito su fondo color crema. Qui dovrebbe trovarsi la raffigurazione di Cristo alla colonna registrata dal Carioti.

Sul lato destro della navata, in prossimità dell’ingresso al suddetto vano, è ricavata un’altra apertura che immette in un secondo ambiente ipogeico a pianta quadrangolare. Soltanto la parete settentrionale (largh. m. 4,20) è interamente in muratura. Nella parete orientale (largh. m. 2,67) sulla sinistra è ancora visibile, risparmiato nella roccia, il pilone dell’arco di trionfo (alt. max m. 2,85) dell’accesso originario al presbiterio della chiesa rupestre; è ravvisabile anche l’altezza originaria dell’arco al colmo (m. 2,94). Sulla destra è presente una nicchia totalmente rivestita in muratura, forse originariamente una finestra aperta sul retrostante giardino, in seguito tampognata; impostata ad una quota di m. 1,20 circa rispetto al piano di calpestio, alta m. 1,42 e profonda m. 0,58, ha una luce di m. 0,78 in basso che tende a ridursi fino a m. 0,70 alla sommità. Tale nicchia, inoltre, mostra un profilo irregolare sia in pianta sia in alzato con il lato destro leggermente più convesso e più profondo dell’altro. Nella parete opposta (largh. m. 1,90) è stato risparmiato un  subsellium a pianta leggermente trapezoidale, alto soltanto m. 0,40, profondo m. 0,22 e con una lunghezza massima di m. 1,20; qui il vano raggiunge un’altezza minima di m. 2,24.

La più antica documentazione relativa alla chiesa risale soltanto alla fine del XV secolo: il Carioti menziona un atto del 6 luglio XIV Ind. 1495 rogato presso il notaio Lorenzo Vaccaro con cui “Margherita Arizzi, moglie del nobile Pietro Iozzia, per testamento legò once due per la fondazione di un altro altare costruendo di Santo Antonio dentro la detta chiesa, e ne fu eletto Don Antonino Iozzia nel 1558, 16 gennaro, 2 indizione, ne apparisce in Cancelleria di Siracusa privileggio di esso”27.

Del 13 marzo X Ind. 1642 è un atto con cui i giudici giurati dell’Università di Scicli, nominano tal Girolamo Ruffino (“Hieronymum de Ruffino”) quale procuratore della chiesa28.

Non si hanno per il momento altre notizie riguardanti la chiesa. Quella costruita in muratura, già profanata da mons. Marini ed aggregata alla Matrice, nella seconda metà del XIX secolo venne chiusa al culto29.

                                                                                                                          (G.T.)

 

 

NOTE

 

* Vittorio Giovanni Rizzone (Ragusa, 1967). Per il curriculum di studi e per le pubblicazioni, cfr. Archivum Historicum Mothycense, n. 5/1999, pag. 27.

Giuseppe Terranova (Scicli, 1973). Dopo avere frequentato il Liceo classico ‘T. Campailla’, si è laureato presso l'Università degli Studi di Catania in Lettere classiche (indirizzo archeologico).

Ha collaborato a varie campagne di scavo: Missione Archeologica dell'Università di Catania a Neapaphos (Cipro), guidata dal prof. Filippo Giudice (1994 e 1997); Scavi del Foro di Nerva a Roma (1995); Missione Archeologica della Scuola Archeologica Italiana di Atene a Festos (Creta), nel 2000. Risiede a Scicli, tel. 0932/931583.

 

Esprimiamo i nostri sentiti ringraziamenti ai Sigg. Saro Belluardo e Guglielmo Ciavorella per avere segnalato la cripta dello Spirito Santo, averci aiutato nella realizzazione degli schizzi planimetrici qui presentati ed accompagnati alla cripta di contrada Cansisini, alla signora Clotilde Mezzasalma per la liberalità con la quale ci ha consentito di visitare la chiesa di San Pietro. (Gli Autori)

 

(1) Sull’argomento v. da ultimi, P. MILITELLO, Per una storia del quartiere, in Il Giornale di Scicli, 2 luglio 1995, pagg. 6-7; P. BELLIA, Città rupestri. Il caso Chiafura, Firenze 1998.

(2) A. MESSINA, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo 1994, pagg. 85-93. Per quanto riguarda queste chiese, ai documenti citati, si aggiungano, per la chiesa di Santa Lucia, A. CARIOTI, Notizie storiche della città di Scicli, a cura di M. Cataudella, Scicli 1994, pag. 427; G. PACETTO, Memorie Istoriche  Civili ed Ecclesiastiche della Città di Scicli, ms. del 1855-1870, conservato presso la Bibl. Com. di Scicli,  ff. 389-390; Archivio di Stato, Modica (d’ora in poi ASM), notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 12, ff. 309R-311V, atto del 7 gennaio VI Ind. 1638 per la nomina del procuratore della chiesa per  tale anno; ibidem, vol. 16, ff. 82R-83V, atto del 13 marzo X Ind. 1642 per la nomina del procuratore della chiesa per tale anno; ibidem, notaio Martino Terranova (528), vol. 11 (?), ff. 77V-78R, atto del 23 agosto IX Ind. 1716. Per la chiesa della Catena, ubicata nella contrada Bauso (cfr. l’omonimo Vauso/Balzo a Modica), v. CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pagg. 428-9: “il più volte apportato ms. che su’l fine del secolo 1500 diede relazione della Madonna Sciclitana asserisce essere antichissima questa chiesa più di 300 anni prima”; PACETTO, Memorie Istoriche..., cit., ff. 383-4, ai documenti qui citati si aggiungano questi altri dell’ASM: notaio Martino Terranova (528), vol. 15, ff. 47R-50V, atto del 16 novembre XIV Ind. 1720; ibidem, vol. 16, f. 92, atto del 26 agosto II Ind. 1724; notaio Francesco Fava (565), vol. 26, ff. 2R e 130 per l’anno 1746-1747; ibidem, vol. 28, f. 3V, per l’anno 1748-1749; ibidem, notaio Mariano Muccio (531), vol. 15, f. 7, del 15 settembre IX ind. 1745; ibidem, notaio Vincenzo Aparo jr. (532), vol. 10, f. 77, dell’anno 1748-1749. Per Santa Maria di Piedigrotta, v. CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 426: sorta ad “opera di alcuni divoti su’l fine del secolo 1500”, vi fu fondato un beneficio da Giuseppe Micciché il 26 settembre XIV Ind. 1630 (doc. in ASM, notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 5, ff. 62V-64V); v. presso lo stesso notaio, vol. 12, ff. 309R-311V, atto del 7 gennaio VI Ind. 1638 e, vol. 16, ff. 82R-83V, atto del 13 marzo X Ind. 1642; ibidem, notaio Guglielmo Giuca (526), vol. 11, f. 288, dell’8 giugno II Ind. 1709; ibidem, notaio Francesco Torres (520), vol. 27, f. 23V, del 21 ottobre II Ind. 1708, e, dello stesso notaio, vol. 30, f. 8R e f. 16, con atti del 6 e del 12 settembre V Ind. 1711. Per la chiesa del Monte Calvario, v. CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 431; documenti relativi sono all’ASM, notaio Francesco Munda (460), ff. 222R-223R, atto del 18 novembre XIV Ind. 1585; notaio Antonino Attardi (513), vol. 1, ff. 172R-177R, atto del 6 maggio IV Ind. 1666.

(3) Cfr. nota precedente.

(4) G. DRAGO - P. NIFOSI’, Aspetti Storico-Artistici della Contea di Modica in Santa Maria della Croce di Scicli, Ispica s.d., pag. 69.

(5) CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 427: “La chiesa di Santa Maria di Loreto, detta della Porticella perché a canto un tempo di una delle sette porte per cui si saliva alla città antica. Il detto oratorio lo fu ove al presente è la sagristia e che poi incavata la rupe vi si fece la detta chiesa. Il ms replicato più volte la porta prima del secolo 1500”; PACETTO, Memorie Istoriche..., ff. 398-399: “questa Chiesa fu capricciosamente abolita, giacché tuttora intiera esiste, ed osservasi nella Strada Loreto contigua alla Casa palazzata di D. Pietro Beneventano, sebbene oggi destinata ad altro uso...”; M. PLUCHINOTTA, Memorie di Scicli, Scicli 19322, pag. 133. Nella chiesa vi erano seppelliti membri della famiglia D’Angelo: Pietro (CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 427) e Giuseppe; per quest’ultimo v. ASM, notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 16, ff. 74V-80R, testamento del 9 marzo X Ind. 1642, in cui il testatore “cadaver vero suum cum ex hoc seculo migrare contigerit humari et sepeliri voluit intus ven. ecclesiam S.te Marie dello Ritu huius predicte civitatis Siclis” (f. 75R) e “vuole, et, dispone esso Testatore che la ditta Tutrice secuta la morte di esso Testatore habbi da fare le porte di lignami alla porta nova di detta chiesa a spese dell’heredità di esso Testatore con di tavole di Abete veneziano che tieni esso Testatore” (f. 79V); per altri documenti relativi alla chiesa, v. ASM, notaio Antonio Infilio (487), vol. 7, ff. 407R-409V, atto del 31 dicembre IX Ind. 1610 “Procuratio ecclesie Sancte Marie dello Rito”, e, dello stesso notaio, vol. 21, f. 8, atto del 4 settembre I Ind. 1617.

(6) Per il sistema di fortificazioni del colle San Matteo, v. P. MILITELLO, “L’oppidum triquetrum” di Scicli (Ragusa), in Archivio Storico Messinese, III s., XLIV, 1989, pagg. 5-47.

(7) Alcuni ipogei sono stati segnalati da B. CATAUDELLA, Scicli. Storia e tradizioni, Catania 1970, pag. 71, fig.; e da G. NIFOSI’, Tombe paleocristiane e bizantine a Scicli nel IV-IX sec., in Il Giornale di Scicli, 11 ottobre 1981, pag. 3, con riferimento alla tesi di laurea di G. RUSSINO, Resti paleocristiani e bizantini nel territorio di Scicli; per la documentazione finora acquisita relativa al tardo-antico, v. P. MILITELLO, Due note in margine all’opera di A. Carioti, in AA.VV., Archeologia Urbana e Centri Storici negli Iblei, Ragusa 1998, pagg. 128-129; per le testimonianze archeologiche del colle San Matteo, v. anche IDEM, Dinamiche territoriali tra bronzo antico e colonizzazione greca: il caso di Scicli (RG), ibidem, pagg. 51-52 e 54.

(8) CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 426.

(9) PACETTO, Memorie Istoriche..., cit., f. 417.

(10) Recentemente la chiesa è stata restaurata, dopo un rovinoso crollo del prospetto: v. P. NIFOSI’, In pezzi la chiesa dello Spirito Santo, in Il Giornale di Scicli, 20 febbraio 1994, pag. 4; foto relative a prima e dopo il restauro anche in Il Giornale di Scicli, 8 settembre 1996, pag. 10.

(11) P. NIFOSI’, Sul Colle San Matteo interessanti frammenti di affreschi rinascimentali, in Il Giornale di Scicli, 22 gennaio 1995, pag. 7.

(12) E. SIGONA, Guglielmo di Noto, beato, in AA.VV., Bibliotheca Sanctorum, diretta da F. Caraffa, VII, Roma 1966, coll. 477-478; sull’iconografia del Beato, v. P. NIFOSI’, L’urna del Beato Guglielmo di Scicli, in Notiziario Storico di Scicli 1, Modica 1985, pagg. 69-106.

(13) NIFOSI’, Sul Colle San Matteo..., cit., pag. 7. Per gli affreschi di Santa Maria della Croce, v. DRAGO - NIFOSI’, Aspetti Storico-Artistici..., cit., pagg. 45-53.

(14) Cfr. MESSINA, Le chiese rupestri..., cit., pagg. 24-25.

(15) Cfr. V.G. RIZZONE - A.M. SAMMITO, Nuovi dati sulla tarda architettura sacra a carattere rupestre a Modica, in Archivum Historicum Mothycense 4, 1998, pag. 69; IDEM, La chiesa di Sant’Isidoro e nuovi documenti sacri a carattere rupestre a Cava Ispica e nei dintorni, in Archivum Historicum Mothycense 5, 1999, pag. 36.

(16) E. SIPIONE, Tre documenti trecenteschi (Gabella Caxe et dohane - traditio feudi - emptio et redemptio), in Archivio Storico Sicilia Orientale LXIV, 1968, pagg. 230-231 e 249-250: “...tarenorum auri trium et grana decem debitorum ipsi exponenti per Nicolaum de Bunchillo pro quadam cripta ditti Nicolai, sitam et positam in ditta terra Sicli in contrata Sancti Spiritus prope domos Pini de Fasula, prope ecclesiam Sancti Spiritus, viam puplicam et alios confines...”. Da questa menzione A. Messina (Le chiese rupestri ..., cit., pagg. 89 e 139, nota n. 35) ha felicemente arguito che doveva verosimilmente trattarsi di una chiesa rupestre.

(17) PACETTO, Memorie Istoriche..., cit., f. 418: “... uno de’ quali del giorno 29 Xbre 1601 ove leggesi che “Angila d’Agnello accaptao d’Alessandro di Gallo uno Palazzo in contrada dello Spirito Santo”. Ed in un altro del 20 Gen.ro 1602 sta scritto che “Disiata la Laguna accaptao da Joseph Colluzzo una “Casa in contrada di lo Spirito Santo seu di Sta. Lucia conf. cum Casa di Joanna Stornello”. Questi documenti si conservano all’ASM, notaio Carlo Guarino (454), vol. 39, ff. 140V-141V e ff. 179R-180V.

(18) ASM, notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 12, f. 309V, atto del 7 gennaio VI Ind. 1638: “Nicolaum de Barbato”; ibidem, vol. 16, f. 82V, atto del 13 marzo X Ind. 1642: “Franciscum condam Mariani Carpentieri”.

(19) PACETTO, Memorie Istoriche..., cit., ff. 389-390 e 418.

(20) PACETTO, Memorie Istoriche..., cit., ff. 417-418.

(21) Cfr. supra e nota n. 8.

(22) PACETTO, Memorie Istoriche..., cit., f. 418.

(23) CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pagg. 427-428.

(24) Cfr. L. RÉAU, Iconographie de l’art chrétien, Paris 1957, rist. Nendenl 1979, vol. II,1, pagg. 128-129.

(25) Ibidem, vol. II,2, pagg. 561-567.

(26) Ibidem, vol. II,2, pagg. 416-424. Un altro esempio di raffigurazione “abbreviata” è la scena della Pentecoste raffigurata nella parete Nord dell’ambiente ipogeico a destra dell’abside della chiesa rupestre di Santa Lucia di Mendola presso Palazzolo Acreide: è possibile riconoscere, infatti, due o tre apostoli, accompagnati dalla legenda APO(S)TO (L...) e le lingue di fuoco che scendono su di loro procedendo dall’angolo superiore destro.; v. anche A. MESSINA, Le chiese rupestri del Siracusano, Palermo 1979, pag. 122.

(27) CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 428. Non è stato possibile reperire questo atto presso l’ASM: gli atti del notaio Lorenzo Vaccaro di Scicli (434) si sono conservati soltanto a partire dal 1503. Non sono più reperibili anche i volumi del notaio Pietro Stornello (444) relativi agli anni 1539-1540 e 1557-1558, in cui dovevano trovarsi atti afferenti alla chiesa.

(28) ASM, notaio Vincenzo Aparo sr. (496), vol. 16, f. 82V.

(29) CARIOTI, Notizie storiche..., cit., pag. 427; PLUCHINOTTA, Memorie..., cit., pag. 136.