ritorna alla pagina precedente
La chiesa seicentesca di San
Giovanni Battista di Ragusa
di
Gaudenzia Flaccavento*
Il grandioso
fenomeno della ricostruzione dopo il terremoto del 1693 rischia, spesso, di
allontanare l’interesse dal periodo immediatamente precedente. Il pericolo è
quello di perdere elementi importanti, sia per valore proprio, sia per il loro
possibile contributo alla soluzione di tanti nodi irrisolti della storia
successiva, attraverso il recupero di una smarrita linea di continuità.
Un caso
esemplare è l'antica chiesa di San Giovanni Battista di Ragusa, di cui
ci restano pochi avanzi e scarne notizie: il terremoto la colse quando era
ancora fresca di calce e orgoglio massimo di una comunità che ne faceva
bandiera contro la parrocchia rivale, quella di San Giorgio. Il conflitto
campanilistico tra le due chiese, che si contendevano il titolo di Matrice,
nascondeva ragioni politiche, economiche e sociali, che si manifesteranno in
tutta la loro evidenza dopo il terremoto. La parrocchia del Battista
comprendeva gli abitanti della città posta fuori le mura; tra questi si
distingue un’élite che aspira ad ottenere una posizione politica pari al suo
potere economico e alla sua intraprendenza. Nel Seicento, infatti, diventano
visibili le sostanze accumulate tramite le concessioni enfiteutiche: nuovi
ricchi acquistano titoli nobiliari, e sostengono la realizzazione di una
chiesa, che, con forme nuove ma autorevoli, possa fronteggiare l’illustre
antichità della basilica del Santo cavaliere.
Il recupero di
pochi frammenti di memoria getterà qualche squarcio di luce sull’ambiente in
cui l’antica chiesa di San Giovanni Battista sorse, sulle aspirazioni che in
essa furono riversate, e forse potrà spiegare qualcosa della nuova chiesa
innalzata come cuore di Ragusa Nuova, sorta sull’altipiano del Patro. Pochi
mesi dopo il terremoto, infatti, per realizzare l’autonomia, che ottennero nel
1695 e conservarono fino al 1703, i sangiovannari decisero la costruzione di
una nuova chiesa e di una nuova città.
Tale
sorprendente risolutezza significò il completo oblio del tempio in cui per un
secolo avevano profuso le loro energie? O più probabilmente il suo ricordo
diventò modello per il nuovo edificio, testimonianza dell’attaccamento di una
comunità al proprio passato, non completamente rinnegato?
Prima del
terremoto la chiesa di San Giovanni Battista era collocata appena fuori le mura
dell’antica città di Ragusa, sul ripido fianco settentrionale della
collina sopra cui si arroccava l’abitato, appena sotto la mole del castello.
Essa sorgeva in prossimità della Porta dei Cosentini, che dal centro conduceva
ai popolosi quartieri del Raffo, della Pirrera, del Purgatorio. La
fiancheggiava la cosiddetta ciancata, strada di collegamento tra i
quartieri posti dentro e fuori le mura, spina dorsale del pesce, a cui
nel Seicento viene paragonata la Città.
Di questa
chiesa conserviamo solo tre archi su pilastri con capitelli corinzi, sormontati
da una trabeazione, inglobati nella parete laterale dell’odierna chiesa di
Sant’Agnese, e una cripta, a cui si accede da una scala posta sotto il piccolo
sagrato prospiciente la facciata.
Per
comprendere il valore di questi resti proveremo, innanzitutto, a quantificare i
danni causati all’edificio dal terremoto, ed a seguirne i destini dopo il
disastro.
Una relazione,
compilata nel 1695 per verificare l’entità dei danni prodotti dal terremoto
alle chiese parrocchiali di Ragusa1, e su cui torneremo
successivamente, afferma che era rimasta in piedi una navata con sei colonne,
alcune cappelle e la facciata, e stima il valore dei ruderi l’ingente somma di
onze 4880, circa quattro volte quelli della chiesa di San Giorgio. La
testimonianza, a parte gli interessanti indizi che si ricavano, è da valutare
anche tenendo conto delle possibili deformazioni apportate dagli interessi di
chi l’ha commissionata. Essa fu prodotta su istanza di cittadini dell'antica
Ragusa (il capitano di giustizia e il parroco della chiesa di San Tommaso),
portati ad evidenziare i lievi danni occorsi alla chiesa di San Giovanni. In
tal modo essi speravano di allontanare il Conte dall’intento di sostenere il
progetto della nuova chiesa dei sangiovannari, convincendolo dell’opportunità
di “ristorare” la vecchia chiesa, impedendo così la scissione della
Città. La relazione non era comunque molto lontana dal vero, se qualcosa della
vecchia chiesa di San Giovanni Battista è giunta fino a noi, considerando anche
la notizia riportata dal Sortino-Trono di una carica di polvere fatta esplodere
nel 1696, che distrusse molto di ciò che era sopravvissuto al terremoto2.
Testimonianza indiretta di questo avvenimento ci proviene da un memoriale
scritto nel 1708 da alcuni sangiovannari dell’antico abitato, che si opponevano
al trasferimento nella nuova città, lamentando che la chiesa “può dirsi più
che dal tremuoto dall’altrui empietà rovinata e distrutta”3. La
rimostranza può, però, riferirsi semplicemente al desolante stato in cui
versava l’illustre rudere. Infatti, nel rapporto inviato nel 1703 al viceré dal
procuratore generale Pietro Giuseppe La Grua, quando assunse la giurisdizione
della Contea di Modica al posto dell’esautorato Giovanni Tommaso Enriquez de
Cabrera (fautore della nuova città), si afferma che i sangiovannari dell’antico
abitato non tollerano l’abbandono del tempio antico, ed hanno piuttosto
l’intenzione di ricostruirlo, usando le stesse rovine4. Ed infatti,
sotto gli auspici della nuova classe dirigente si tentò la restaurazione delle
prerogative dell'antica chiesa parrocchiale5. Concordemente a questa
decisione il vescovo di Siracusa, Mons. Termini, durante una visita pastorale
condotta a Ragusa nel 1704, stabilisce che la chiesa di San Giovanni
Battista lo vecchio, dai cui resti era stato ricavato il ‘sacello’ o
oratorio intitolato ‘Delle Cinque Piaghe di Gesù’, venga ricostruita
secondo la forma distrutta, sotto il titolo della Natività di San Giovanni
Battista, anche se ciò non preclude l’edificazione dell’altra chiesa sul Patro6.
Ma la
disposizione non venne attuata, come testimonia il tentativo, avvenuto nel
1733, di costruire al suo posto la nuova chiesa madre di San Giorgio7,
spostandola dal vecchio sito, a cui naturalmente si opponevano i sangiovannari
del nuovo abitato, rivendicando il possesso dei ruderi. In un memoriale dei
procuratori della chiesa di San Giovanni Battista, rivolto al vescovo di
Siracusa nello stesso 1733, essi chiedono che, dovendosi effettuare il
trasferimento, siano almeno risarciti del valore delle rovine, che valutano circa
4000 scudi (intorno a 1700 onze)8. Quando poi, nel 1738, la
questione della collocazione della matrice viene risolta, stabilendo che fosse
edificata al posto della chiesa di San Nicola, in posizione intermedia fra i
resti delle due chiese rivali, il conflitto per i ruderi prosegue. Il nuovo
sito scelto per la fabbrica non era lontano dalla vecchia chiesa di San
Giovanni Battista, dove si cominciò a fare razzia di pietra e di intagli, da
riutilizzare nel nuovo cantiere. Pertanto nel 1740 i procuratori della chiesa
si rivolgono al vescovo, chiedendo che siano impediti ulteriori trasporti o che
almeno siano obbligati “li Sig.ri Canonici a pagarne il prezzo”9.
Il vescovo vieta a chiunque l’uso della pietra della chiesa diruta, ma ordina
anche che non “dovesse la medesima restare come attualm(en)te si trova”.
La disposizione venne però disattesa e così le pietre e gli intagli del vecchio
San Giovanni furono usati per fare la nuova chiesa di S. Giorgio, i cui
registri riportano gli esiti fatti per il trasporto del materiale, ma nessun
risarcimento versato alla chiesa di S. Giovanni10.
L’intitolazione
a Sant’Agnese precede queste ultime vicende: risulta sotto questo nome già nel
1728, durante la visita di Mons. Marini11, anche se ancora nel 1767
si dichiara che la chiesa di San Giovanni Battista è “rovinata”12.
In questo
complicato gioco di abbandoni, depredazioni e riusi bisogna considerare con
attenzione i resti ‘archeologici’ che possediamo, valutando la possibilità che
essi siano stati in parte manomessi. Da operazioni di montaggio e ripristino
potrebbero, infatti, essere causate le differenze che osserviamo tra i due
archi centrali e l’arco e la porzione di arco posti alle due estremità della
parete.
Questa, in
sintesi, è la storia dei ‘resti’ materiali: ma quali sono i frammenti di
memoria che sono sopravvissuti? Pochissimi i dati sulla forma e la struttura
dell’edificio, che tenteremo di raccogliere, facendo alcune ipotesi, che
restano in attesa di maggiori riscontri.
La cosiddetta
relazione del Lauretta, compilata nei primi del Settecento sulla scorta di una
descrizione di Ragusa di un anonimo seicentesco, ci fornisce qualche notizia
sulla chiesa, come appariva prima del terremoto: “Poco distante di questo
luogo compariva il tempio meraviglioso di S. Giovanni Battista nel quartiero
de’ Cosentini ed il massimo in detto quartiero; prima d’aversi incorporato alla
città allorchè s’intitolava della disciplina (?) accresciuto poscia di
fabbriche e di sito parea un miracolo dell’arte poiché simile al Vaticano di
Roma (!!!) con due ali, nave, tao d’altissima mole tutto incrostato di pietre
sceltissime col tetto dorato e con quadri vagamente ripartiti al vivo
rappresentanti il martirio del glorioso Precursore San Giovanni Battista, con
Cappella assai cospicua per la sontuosità degli intagli alla moderna, vari
fregi ed immagini sacre lavorate dalla mano maestra di Giovanni Portalone o
Pantaleone romano”13.
L’entusiastica
descrizione (lo scrivente è un sangiovannaro) ci presenta una chiesa dal tipico
impianto basilicale a tre navate, riccamente rivestita di materiali lapidei e
provvista di transetto, che è d’altissima mole. Restano in dubbio gli
elementi che la rendevano simile alla basilica di San Pietro di Roma: la
facciata, la planimetria interna, o semplicemente il suo linguaggio ispirato al
classicismo romano?
Oltre al tetto
dorato, altri elementi di pregio sono infatti gli intagli alla moderna della
cappella maggiore14.
La chiesa del
Battista era stata oggetto di lavori di ampliamento e abbellimento, avvenuti
nel corso di un lungo cantiere che occupa, in diverse fasi, l’intero Seicento,
avviati forse già nel secolo precedente. E’ del 1588 il pagamento ad un mastro Leonardo
Ingarao di Modica per lavori “in fabrica ditta Ven. Eccl.a”15.
Testimonianze di lavori si hanno poi nel 1618 (donazione per fare fabbrica
di detta chiesa) e nel 1628 (trasporto di carrichi di pezzi)16.
Dal 1670 al 1682 possediamo testimonianze di una fase di lavori in un libro
d’esito della chiesa17: in quegli anni si procedeva alla
realizzazione della copertura, mentre, sotto la guida del capomastro Francesco
Hodierna, proseguiva ancora il lavoro di intaglio e posa in opera dei “pezzi
di carrico”, che vengono acquistati assieme ai materiali necessari alla
copertura del tetto (travetti d’abete e tegole). L’acquisto di oro e i
contemporanei pagamenti ad un mastro Francesco Di Marco per l’intaglio
delle travi del tetto fanno supporre un soffitto con capriate a vista, o a
cassettoni, con dorature, a conferma della testimonianza del Lauretta. Nel 1673
sono registrati pagamenti a mastri muratori che hanno rivestito le cappelle e “intagliato
e murato...l’ordine bastardo (quello dell’attico) sopra le tre cappelle di S.
Pietro, S. Giovanni e delle Sante reliquie” e spese per il gesso che “servio per
gettarlo sopra lo tetto delle suddette cappelle (quelle sul lato sinistro) e
per aggiuto a voltare il tetto sopra detta ala e per involtare la tau sopra il
crocifisso”: questi dati suggeriscono soluzioni con volte per le navate
laterali, per le cappelle e il transetto. E’ probabile, comunque, che, alla
data del terremoto, la costruzione dell’edificio fosse stata appena terminata,
o addirittura non ancora completa, almeno nel prospetto18.
Altri dati ci
provengono da un memoriale redatto nel 1737 da alcuni affezionati della
chiesa di San Giorgio che, durante il dibattito per la scelta del luogo dove
ricostruire il loro tempio, rifiutavano il vecchio sito di San Giovanni proposto
da alcuni, mettendone in evidenza i difetti19. Essi giudicano
inadatto il luogo, che da una parte si affaccia su un “orribile precipizio” e
dall’altra è premuto dalle pendici della collina del castello; per cui sarebbe
necessario, per ampliare il suolo edificabile, rassodare a nord le fondamenta e
scavare a sud la roccia, per non ripetere l’errore dei sangiovannari, che,
allargando la loro chiesa in quel posto, la realizzarono di “mediocre
modello ... corta, stretta nel cappellone e larga nella facciata”, che in
più risentiva dell’umidità proveniente dal monte a destra dell’edificio “essendo
più alto il terreno della strada sopra la Chiesa dal pavimento della medesma di
canne quattro circa, quantoche non fu possibile in detta Ala farvi cappelle,
perché sarebbero state sotterranee, senza lume, e sotto al passaggio delle
bestie per la predetta strada che sta di sopra”. La chiesa si estendeva
forse oltre il limite dell’attuale via Ten. Distefano: l’antica ciancata aveva
probabilmente un tracciato irregolare, più vicino alla parete rocciosa e con
maggiori dislivelli altimetrici.
Ulteriori
notizie ci provengono dalla già citata relazione del 1695, da cui si rileva “intatta
ed illesa un’ala con sei colonne cum capitelli corinzi di pietra di forte”,
oltre che alcune cappelle poste nella stessa ala (quella di sinistra). Tra
queste, notevole appare la cappella del Battista “con tre altari dentro e
due cappellette d’intaglio di forte”, una dedicata al Battista e l’altra
alle Sante reliquie: sono proprio quelle alla cui copertura si lavora nel 1673,
che risultano quindi collocate entro un vano di un certo respiro, con soffitto
a volta e ordine bastardo.
La perizia
parla anche in modo scarno della facciata “con tre porte e balconata di
pietra di forte poco dannegiate”. Nel documento sono ripetutamente citate
le colonne (colonne e piedistalli di dette colonne) che separano le
navate, mentre finora, ritenendo che i pilastri rimasti fossero parte dei resti
di una navata illesa, è stato supposto che la chiesa fosse una basilica a tre
navate spartita da pilastri20. Può certamente trattarsi di
un’imprecisione lessicale dei mastri relatori (che usano il termine ‘colonne’
al posto di pilastri)21, oppure si può ipotizzare che la chiesa
fosse impostata su colonne e che gli archi e i pilastri rimasti siano quelli
che immettevano in due cappelle laterali della navata sinistra, descritte nel
documento.
L’ipotesi che
vede la pianta estesa quasi interamente a sud dei resti si accorda con la
testimonianza del 1737 (la chiesa ha da un lato un disastroso monte) e
trova anche una conferma dall’unica testimonianza grafica dell’antica chiesa
del Battista fornitaci dalla pianta di Ragusa del 1837 redatta da Santo
Puglisi. Questi, seppur con notevole approssimazione, ci mostra la “pianta
di d.a antica Chiesa di S. Gio Batt.a rovinata al 1693”, e colloca la
chiesa di Sant’Agnese, già oratorio delle Cinque Piaghe, nella parte nord dei
resti, in corrispondenza delle cappelle della navata sinistra. In base a tali
considerazioni nulla vieta di pensare che la divisione delle navate fosse
costituita da colonne come riferisce la perizia, e come era più comune nei
modelli dell’epoca (vedi le chiese di San Giorgio e San Pietro a Modica,
dall’impianto pre-terremoto) e come si ritrova anche nella nuova chiesa di San
Giovanni Battista.
Infatti
un’ulteriore testimonianza, può essere quella ‘riflessa’, ovvero quella offerta
dalla basilica ricostruita a Ragusa Nuova. La struttura compositiva degli archi
su pilastri che incorniciano i vani delle cappelle laterali è analoga a quella
osservata nei resti della vecchia chiesa, seppur con lievi aggiornamenti nelle
modanature. L’ipotesi che anche il precedente edificio fosse impostato su
colonne spiegherebbe meglio la soluzione scelta per l’odierna cattedrale, che
finora è apparsa come un passo indietro sia rispetto alla fabbrica anteriore,
che al gusto settecentesco, che predilige l’uso del pilastro nei progetti delle
grandi chiese basilicali. La nuova chiesa poté ispirarsi alla vecchia anche per
la struttura della facciata: dall’antico modello può provenire l’articolazione
tramite un ordine gigante (risolto poco felicemente con un debole secondo
ordine) e forse l’uso delle semicolonne, che non ha altri esempi locali. Non
dimentichiamo che la vecchia chiesa era simile al “Vaticano di Roma”. La
nuova, maestosa fabbrica fu realizzata, probabilmente, mediante un processo di
imitazione ‘migliorativa’, ovvero operando e contrario, attuando le
potenzialità presenti in quella vecchia ed eliminandone i difetti evidenti.
Anche in questo caso troviamo conferma della tendenza che informa di sé l’era
post-terremoto: quella di liberare forze ed energie già presenti ed attive, ma
compresse all’interno di un tessuto economico, sociale e urbanistico poco
adatto allo sviluppo. Così come si libera la spinta verso l’altopiano, già
attiva prima, così la voglia di monumentalità dello stile moderno, presente nel
vecchio tempio, si esprime in tutta la sua pienezza nella nuova e
grandiosa basilica.
Un tale
processo imitativo, dettato da rispettoso attaccamento al passato, spiegherebbe
gli anacronismi e la scarsa originalità, spesso lamentati nell’imponente chiesa
di Ragusa Nuova. Ciò sarebbe ancora più plausibile, ipotizzando nel vecchio
edificio la presenza di qualche firma illustre. L’unico nome accostabile alla
fabbrica è, al momento, quello di Antonino Di Marco: architetto
ragusano, sangiovannaro, presente assieme a Giovanni Battista Hodierna alla
fondazione di Palma di Montechiaro al seguito dei Tomasi-Caro. La già citata
relazione del Lauretta22 gli attribuisce il disegno della cappella
maggiore della chiesa del Battista “d’ammirabile struttura”, già
definita notevole per gli “intagli alla moderna”23. E’
riferita anche la sua presenza a Roma durante il pontificato di Innocenzo X
(della famiglia Panphili, 1644-1655), nel cantiere dell’obelisco Panphilio
diretto dal Bernini; ma non è solo questa l’unica possibile fonte di contatti
diretti tra il nostro cantiere e l’ambiente romano. Il promotore della prima
separazione della parrocchia di San Giovanni Battista da quella di San Giorgio,
è Don Ascenzo Gurrieri (1587-1645), primo parroco della nostra chiesa dal 1620
al 162624. Uomo molto colto, vicino al Papa Urbano VIII (al secolo
Maffeo Barberini, pontefice dal 1623 al 1644), che gli affidò l’educazione del
cardinal nepote Francesco Barberini. Pur risiedendo poco a Ragusa (solo dal
1609 al 1620), fu sicuramente direttamente interessato all’edificazione in
nuove forme della chiesa del Battista.
Vicino al
pontefice Barberini era anche il fratello uterino del Gurrieri, Vincenzo
Laurifici, anche lui acceso sostenitore della causa sangiovannara. Nunzio
apostolico, nominato vescovo di Monreale, morì però prima di prendere possesso
della sede, nel 1624, e fu sepolto a Ragusa nel tempio del Battista. Da tali
illustri patroni venne forse l’ispirazione moderna, così come possiamo
immaginare che, grazie a loro, il Di Marco poté tentare l’esperienza romana,
che proseguì, stante la scarna testimonianza, oltre la morte dei prelati
ragusani e del pontefice loro protettore.
L’ispirazione
classicista, che rendeva la chiesa simile al Vaticano, sarà giunta
grazie a questi, o tramite un progetto realizzato ad hoc, o più facilmente
attraverso l’imitazione di illustri modelli romani. Il mito dello stile moderno
romano (anche se per questo si intende il classicismo tardo cinquecentesco,
e difficilmente le ultime innovazioni pienamente ‘barocche’ di Bernini e
Borromini) è tanto forte da trasformare anche il Portalone, pittore seicentesco
nato a Licata, e presente nella nostra chiesa, in “romano”.
La raccolta e
l’esame delle scarne notizie su questa chiesa ci hanno permesso, comunque, di
gettare uno sguardo sulla Ragusa della prima metà del Seicento, e di rilevare,
soprattutto nella parrocchia di San Giovanni Battista, un ambiente fertile e
ricco di rapporti con l’esterno, forse tra i più interessanti della storia di
questa Città.
Contemporaneamente,
infatti, ai fratelli Laurefice e Gurrieri e all’architetto Di Marco vive l’illustre
filosofo Giovan Battista Hodierna, figlio di un mastro murifabro, e
certamente imparentato con i Dierna od Hodierna, che abbiamo rilevato in questo
cantiere.
Un filo di relazioni, appena intravisto, e tutto da dipanare,
potrebbe gettare luce, non solo sulla storia dell’architettura del Seicento in
area iblea, ma sulla storia della cultura, che meglio di tutte potrebbe
spiegare i molti nodi irrisolti delle diverse storie ‘particolari’.
NOTE
* (Ragusa, 1972). Si è laureata
presso l'Università degli Studi di Catania in lettere moderne, discutendo una
tesi di Storia dell'Arte moderna (relatore prof. Vito Librando). Ha continuato
poi le sue ricerche nell'ambito della storia dell'architettura barocca della
Sicilia sud orientale, effettuando diverse indagini storiche su edifici da
restaurare. E' stata membro dell'équipe che ha effettuato la ricerca storico
archivistica sulla Cattedrale di Noto, condotta dal Prof. Stephen Tobriner
dell'Università di Berkeley (California). Al momento lavora presso l'Università
di Catania, nell'ambito del progetto per l'istituendo Museo dello Studio.
Ha pubblicato: Un esempio di
urbanistica barocca: il quartiere degli Archi e la chiesa del Purgatorio di
Ragusa dopo il terremoto del 1693,
sta in ‘Barocco e tardo barocco negli Iblei occidentali’, a cura
di Marco Rosario Nobile, Distretto scolastico 52, Ragusa 1997, pagg. 99-105; Musica
e scultura nell'ultima opera di Biagio Miceli, sta in ‘Pagine dal Sud’,
Ragusa dicembre 1997, anno XIII n. 4, pagg. 27-28.
Risiede a Ragusa, via Veneto,
450/b - tel. 0338 2413682
(1) Modica, Archivio
di Stato (A.S.M.), Not. Santoro Spatula, vol. 14, ff. 170v/173v, 6/3/1695,
relazione dei mastri Giuseppe Dierna, Teodoro Antoci e Giorgio Calabrese. La
relazione era stata resa nota - senza però l'indicazione della fonte - da
VENINATA GIORGIO, Due chiese dell’antica Ragusa, che sta in Pagine
dal Sud, Ragusa, nov.-dic. 1989, anno V, n. 5-6, pag. 31.
(2) SORTINO-TRONO EUGENIO, I
conti di Ragusa (1093-1296) e della Contea di Modica (1296-1812), Ragusa,
1907, pag. 273; la notizia non ha mai però trovato un riscontro documentario.
(3) Archivio Capitolare
della Cattedrale di Ragusa (A.C.C.R.), vol. IV scritture della chiesa, ff.
444r e segg.
(4) FLACCAVENTO GAUDENZIA, Un esempio
di urbanistica barocca: il quartiere degli Archi e la chiesa del Purgatorio di
Ragusa dopo il terremoto del 1693, in Barocco e tardobarocco negli iblei
occidentali, Ragusa, 1997, pag. 102.
(5) Come testimonia una lapide
conservata nell’odierna chiesa di Sant’Agnese, e precedentemente murata sul
fianco esterno: Sub auspiciis invict.mi catholici n.ri regis Phi V cui
semper a Deo salus et templum D.vi Ioanis Baptistae a devoto populo erectum ac
re a citum anno 1703 ad maiorem de n.ri
catholici Regis gloriam.
(6) FLACCAVENTO GAUDENZIA, Un
esempio ... cit., pag. 102.
(7) FLACCAVENTO GIORGIO, Uomini,
campagne e chiese nelle due Raguse, Ragusa – Modica, 1982, pag. 187.
(8) A.C.C.R., vol. V delle
scritture della Chiesa di San Giovanni Battista, fasc. 21, 15/12/1733
(9) A.C.C.R., vol. V delle
scritture della Chiesa di San Giovanni Battista, fasc. 43, 4/2/1740.
(10) Archivio della Curia
Vicariale di Ragusa, presso la chiesa di San Giorgio (A.C.V.R.), vol. 25,
Raccolta fatti e questioni, fogli non numerati, anni 1740 e segg.
(11) SORTINO TRONO EUGENIO, Ragusa
Ibla Sacra. Università (Municipio) di Ragusa Ibla (1619-20, 1818-22),
Ragusa, 1928, pag. 122.
(12) NIFOSÌ PAOLO, Ibla
delle meraviglie. Ragusa tra tardobarocco e rococò. Il cantiere del Settecento,
Modica 1997, pag. 194.
(13) Pubblicata in appendice in
SORTINO TRONO EUGENIO, I conti di Ragusa (1093-1296) e della Contea di
Modica (1296-1812), Ragusa, 1907, pag. 340.
(14) Dall’antico tempio del
Battista proviene forse un altare lapideo che si trova ora nella navata sinistra
della chiesa del Purgatorio: la ‘cona’ bidimensionale ripete il modello di un
prospetto chiesastico a due ordini, spartito da paraste. Il riferimento
obbligato è ai trattati classicistici del Cinquecento, e soprattutto al Serlio,
interpretato però con ricchezza di decorazioni. Anche se non direttamente,
questo ci può fornire una testimonianza del gusto, e di che cosa si intendeva
per ‘intagli alla moderna’.
(15) A.S.M., Not. Blundo
Giuseppe, anno 1587/88, f. 255r/v.
(16) VENINATA GIORGIO, Due
chiese...cit., pag. 33.
(17) A.C.C.R., vol. 27, Libro
d’esito della chiesa di San Giovanni Battista dal 1657 al 1682, ff. 110 e segg.
(18) SORTINO TRONO EUGENIO, Ragusa
... cit., pag. 26.
(19) FLACCAVENTO GIORGIO, Uomini...cit.,
pag. 193.
(20) GURRIERI OTTORINO, Il
casato Gurrieri. Ricerche storiche e personaggi. Perugia, 1977, pagg.
36-38; è allegata anche la ricostruzione realizzata dall’architetto E. P.
Puppo. L’ipotesi è confermata anche da NOBILE MARCO ROSARIO, Architettura
religiosa negli Iblei. Dal Rinascimento al barocco, Siracusa, 1990, pag.
34.
(21) Sebbene in un’altra
relazione del 1697, redatta per la chiesa di San Giorgio di Modica da tre
mastri delle stesso ambiente culturale (due sono imparentati con quelli del
1695), è espressa chiaramente la distinzione tra colonni e pillastroni. NIFOSÌ PAOLO - MORANA
GIOVANNI, La chiesa di S. Giorgio di Modica, 1993, pagg. 33-34.
(22) SORTINO-TRONO E., I
conti... cit., pag. 349.
(23) Lo stesso Di Marco figura
tra i mastri che partecipano dell’allestimento della festa del SS. Sacramento
nella chiesa di San Giovanni (PAVONE MARIO, La scienza nuova ed assoluta.
Profilo biografico e scientifico e scritti inediti di Giovan Battista Hodierna,
Ragusa 1997, pag. 101); esisteva inoltre nella chiesa una cappella delli
Marchi (NOBILE M. R., L’architettura...cit., pag. 47.
(24) Le notizie su Ascenzo Gurrieri e Vincenzo Laurifici
provengono da GURRIERI OTTORINO, Il casato Gurrieri...cit, pagg. 27-48.