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Appunti su architettura e aspetti
della storia della Chiesa nel Seicento
di Giorgio
Colombo
Poiché le espressioni artistiche più numerose e significative del Seicento,
presenti - benché talvolta con trasformazioni postume, a seguito di
ricostruzioni post-terremoto (1693) e/o di successive integrazioni - nel
Territorio sud-orientale della Sicilia, con particolare riferimento a quello
della Contea di Modica, sono di carattere ecclesiale, può essere di qualche
utilità accennare ad alcuni fattori storici, ossia ai fermenti conseguenti
al Concilio di TrentoA, presenti in quel secolo - tormentato da
pesti, attraversato da ricerche linguistiche e scientifiche, sconvolto da
rivoluzionari movimenti filosofici… - e a qualche riflessione circa la diffusa
identificazione delle varie espressioni artistiche seicentesche, esteticamente
rilevanti o meno, con la Controriforma cattolica.
Occorre
innanzitutto fare riferimento al Decreto del Concilio di Trento (sess. XXV,
dicembre 1563): ‘De
invocatione, veneratione et reliquiis Sanctorum et sacris imaginibus’, anche
se tale documento non dà specifici orientamenti per l’architettura.
Il Decreto
conciliare dava indicazioni di carattere esclusivamente pastorale circa il
culto dei Santi, precisando, contro l’iconoclastia calvinista, come le loro
‘immagini’ siano da mantenere, non perché debba ritenersi presente in queste
una particolare ‘virtus’ (energia, forza taumaturgica…) bensì perché esse
inducono a riferirsi ai ‘prototipi’ che rappresentano.
L’uso di tali
immagini (“per historias
mysteriorum nostrae redemptionis, picturis vel aliis similitudinibus espressas…”)
doveva essere funzionale al far presente visivamente i benefici ed i doni di Dio
in Cristo, ossia al ricordo assiduo, all’istruzione ed alla conferma nella
fede.
Emerge
pertanto il fine didattico
e catechistico dell’arte sacra, con connessa e corretta
rappresentazione ‘visiva’ della storia della salvezza.
Ulteriori e
più specifiche indicazioni verranno date dai Vescovi, in particolare - com’è
noto - da Carlo Borromeo (che insiste sull’esclusione di raffigurazioni
leggendarie) e dal Paleotti, arcivescovo di Bologna (animare l’arte
dall’interno; evitare simboli e allegorie; limitare il ‘visivo’ e ciò che Dio
ha manifestato effettivamente nella ‘natura’ e nella ‘storia’).
Ciò nonostante
gli artisti non mancheranno di sviluppare allegorie, simboli, emblemi, o, con
invenzioni personali, spesso di alta valenza, di sfuggire a quei criteri (cfr.
il moltiplicarsi di putti e angeli vari, l’illustrazione dei rapporti fra
iconografia/mitologia pagana e la ‘novità’ cristiana). Si metterà certamente in
moto anche il meccanismo ‘devozionale’.
Le indicazioni
del Concilio di Trento non costituiscono dunque, di per sé, orientamenti o
sollecitazioni per il sorgere o il diffondersi di questo o quello stile e
tantomeno di quelli schematicamente denominati ‘barocco’ (anche i Protestanti usano il barocco, seppure
questo troverà maggiore diffusione, in quanto arte che afferma la positività
della natura – oltre che la Grazia – nel mondo cattolico).
Che dire,
allora, della identificazione –
perseverante, nonostante i vari studi effettuati su tale questione – dei
movimenti artistico-culturali ecclesiali del Seicento con la Controriforma?
Va precisato
anzitutto che con i termini:
a) ‘RIFORMA’, non va inteso esclusivamente il movimento
protestante, ma pure – ed incisivamente – la riflessione su di sé attuata
dalla Chiesa cattolica in ordine all’ideale di vita cristiana mediante,
appunto, una ‘riforma’, un rinnovamento interiore ed istituzionale. Tale
possente impegno è connesso con l’opera di larghissima rievangelizzazione dei
popoli da tempo evangelizzati (predicazione rinnovata, partecipazione
sacramentale, profusione di pratiche collettive, moltiplicarsi di nuovi Ordini
religiosi...), oltre che con lo slancio missionario ‘ad Gentes’. Il
tutto in coerenza col compito specifico della Chiesa (Matteo, 28, 18-20);
b) ‘CONTRORIFORMA’, s’intende un’apologetica ( = ‘difesa’
ed ‘affermazione’; non quindi necessariamente ‘apologia’,
ossia esaltazione) della dottrina, della storia e della vita della Chiesa
cattolica “ad condemnandos errores nostri temporis” (Conc. Trid., sess.
XXIII), e perciò per contrastare il Protestantesimo (ma non soltanto).
Già lungo il
secolo XVI la Chiesa era stata protesa a rimuovere modalità paganeggianti che
avevano inquinato la propria vita (specie a livello di vertici) nel secolo
precedente, e ad imprimere un forte movimento di purificazione, di ricerca di
interiorità e di rinnovati (se pur, alcuni, oggi discutibili) stili di vita
conventuali e laicali: si pensi alla vitalità delle confraternite. Ebbene,
anche le espressioni architettoniche sono informate da quelle finalità di essenzialità strutturale e di valenza funzionale,
indicate dal Concilio di Trento (H. Jedin): cfr., a Modica, ad esempio,
il poderoso ma sobrio convento di S. Anna (1639) dei Francescani Osservanti
‘Riformati’ e le ritornanti facciate di non poche chiese della Contea con
semplice facciata piana e a capanna, delimitata da paraste, e, al centro, un
portale con timpano curvilineo spezzato o lineare, sormontato da una finestra;
talvolta, al culmine della stessa facciata: un piccolo campanile.
Successivamente
prendono espansione accentuazioni controriformistiche per ribadire la
dottrina cattolica, proposta e sancita dal Magistero ecclesiale tridentino (e
non solo dal Papa). Ma la stessa Controriforma non va concepita sbrigativamente
quasi tutta caratterizzata da affermazione ‘vittoriosa e trionfalistica’ della
Chiesa cattolica, né si può non attendere a differenziazioni in senso
cronologico e geografico: altra è Roma, sede del Papato e centro del
cattolicesimo, erede e continuatrice della ‘romanità’, fervida di artisti
formatisi alla sua monumentalità, capitale fra capitali, altre le
centinaia di città, piccole o grandi, sparse nell'Europa cattolica. Né vanno
obliterate le vigorose ‘scuole’ e correnti di ‘vita spirituale’ (non
‘spiritualistica’), animate da aneliti mistici, non però evasivi dall'impegno
terreno per il proliferare di scuole e di opere di assistenza e beneficenza, ed
il fatto che, “come tutti i grandi secoli, il Seicento è fondamentalmente
teologico” (P. Chaunu). E la riflessione teologica, che non è soltanto
‘controversistica’, è in quel tempo patrimonio di tutti gli Studiosi
(cfr. Tommaso Campailla) – e degli artisti – e non soltanto dei Religiosi.
In breve: le
opere artistiche del Seicento (lo ribadiamo: siano esse di valenza poetica o
meno) sono animate dai nuovi movimenti ecclesiali, e trovano alimento e
giustificazione, oltre che nelle opere di Trattatisti (Vitruvio/Caporali,
Serlio, Vignola, Palladio, C. Bartoli, V. Barbaro...) e nei, permanenti o meno,
riferimenti architettonici al ’500 e nel dialogo culturale Sicilia-Spagna,
Sicilia-Roma (e, nel '700, Sicilia-Austria...), pure - anzitutto? - nel
profondo ed esteso rinnovamento pastorale
post-conciliare, nel movimento missionario (cfr., a Modica, la grande
tela di S. Francesco Saverio alla Badìa, fond. 1631/32) e nel martirio di
numerosi Testimoni della fede, degni di essere ‘elevati agli onori degli
altari’, oltre che nel dibattito teologico (si pensi, ad esempio, a
quello circa il rapporto ‘natura-grazia’ e... all’abside di S. Andrea al
Quirinale; nonché a quelle diffuse raffigurazioni in cui i Santi soffrono o, ad
un tempo, gioiscono, gemono o si aprono alla beatitudine?!) che attraversò i
secoli XVI e XVII.
Al fine
pertanto di leggere più adeguatamente ed in profondità tali espressioni,
riteniamo che occorra attendere al complesso rapporto
tra la vita cristiana del ‘600 e le arti figurative, distinguendo – ma non
nettamente – due momenti: la tensione fra il primo e prioritario
slancio per la riforma interna della Chiesa ed un contestuale (tale perché
non sostituisce l’altra componente) sviluppo in direzione apologetica,
col conseguente graduale passaggio – non del tutto e dovunque rapido o
definito e definitivo, come appunto nel Territorio sud-orientale della SiciliaB – da modalità architettoniche
prevalentemente austere e funzionali al Barocco (K.M. Swoboda).
Peraltro,
anche le varie espressioni classificate con la
denominazione di ‘barocco’ si caratterizzano tutt’altro o esclusivamente
che con indici d’esteriorità, di spettacolarità o di vistosità celebrativa
(come un diffuso immaginario induce a ritenere), supponendo ben altre e
profonde motivazioni umane spesso pregnanti d'un irenismo stilistico e linee
spezzati: di drammaticità e di dolorante esperienza ed interpretazione della
vita, anche se talvolta apparentemente enfatiche; o anche la consapevolezza,
quotidiana e grave, della morte; o la lotta ad un ‘quietismo’ ambiguamente
misticheggiante, privo di passioni e di operosità, propugnatore di pigrizia
intellettuale e di una contemplazione sradicata dalla terrestrità (C. A.
Jemolo); o l’orrore per la gravità del peccato; o l’esaltazione della verità
contro l'errore; o la visione del fulgore della 'gloria’ di Dio che si diffonde
nel mondo (e che non doveva certo celebrarsi e manifestarsi all'Uomo di ‘quel’
tempo, nel ‘segno’ rituale, nell'arredo liturgico e nelle strutture
architettoniche, inferiore a quella del
Potenti di questa Terra con i loro troni e le loro regge); o l’altissimo
concetto dell’universalità della Chiesa; o l’affermazione polifonica e la
valorizzazione tutta cattolica (non interpretabile ad ogni costo come
polemicamente antiprotestante, ma frutto di convinzione), certamente della
potenza ‘giustificante’ ed elevante della Fede (Speranza e Carità), ma
decisamente pure della ‘natura’ –
vulnerata, ma non luteranamente corrotta, dal peccato d'origine –;... sino al
forte ‘senso di appartenenza’ della Popolazione al proprio quartiere o alla
propria città, che trova ‘identità’ in un Santo (le cui gesta sono talvolta
seminventate e circonfuse di un alone mitico, e le cui – presumibili – spoglie
mortali sono esaltate in una grande ‘cassa’ d'argento) ed in una chiesa grande
o piccola a lui dedicata, non per ciò soltanto proiezione dei ceti abbienti, ma
motivo (oltre che di occupazione lavorativa) di fierezza e di incontro, anche
esaltante, per tutta la popolazioneC. E’ tutta una possente
ed inquieta onda di fede e di passioni che si leva nel Seicento, fermentandolo
ed elevandolo.
Né la Chiesa
(e tantomeno i Gesuiti, che continuano a costruire in stile gotico nei Paesi
ove questo permane) inventò un nuovo stile, che era già avviato prescindendo dalle espressioni artistiche
sacre; ma essa, fornendo certamente alti motivi d’ispirazione, influì notevolmente
sull’arte del secolo (E. Kirschbaum).
In particolare
le Congregazioni religiose ‘moderne’ (non più Ordini ‘monastici’) maschili e
femminiliD, numerose come non mai, e le varie confraternite, con la
moltiplicazione delle loro sedi e delle connesse chiese, austere o più sontuose
a seconda dei rispettivi orientamenti anche statutari (oltre che dei
riferimenti a modelli delle loro sedi romane), e, comunque, più essenziali prima (cfr. il ‘600 nella Contea di Modica) e più
estroverse, ma non esteriori, nel barocco (cfr. il ‘700 del Val di Noto)
– tutte però accomunate dal senso della ‘divina maiestas’, da una
ricchezza di immagini scolpite o dipinte o a stucchi nei moltiplicati altari e
cappelle, e dalla... competizione reciproca –, nonché certamente a seguito del
mecenatismo e di donazioni (spesso distanziate lungo i decenni, e non sempre
cospicue perché talvolta espressione pure di umili offerte e del contributo
lavorativo dei cittadini “con le proprie mani”: cfr., a Modica, la
costruzione della chiesa di S. Maria di la Gratia), finirono per dare
luogo ampiamente all’esplosione edilizia sacra del ‘600 (e del ’700). Gli
stessi Ordini costituirono inoltre veicolo di comunicazioni, anche su
questioni di architettura, mediante l'apporto di Trattati, antichi o contemporanei
(cfr. Biblioteche, pure nei conventi della Contea di Modica).
(Giorgio Colombo)
NOTE
A) Ogni grande Concilio
ecumenico è seguito da profondi e diffusi rinnovamenti nella vita della Chiesa
cattolica.
Un’analogia - e perciò
secondo diverse connotazioni storiche - può rilevarsi fra le espressioni del
rinnovamento post-tridentino ed i sommovimenti teologici, le riforme pastorali,
il sorgere dei nuovi ‘movimenti’ ecclesiali (modalità attuali dell’istituzione
dei numerosi Ordini religiosi nel ‘500 e nel ‘600) seguiti al recente Concilio
Vaticano II, nonché i connessi orientamenti liturgici, cui si collegano le
rinnovate espressioni costruttive degli
edifici sacri (in alcuni Paesi peraltro già avviate anche prima del
Concilio) che riflettono anch’esse il dibattito di questo ultimo secolo
sull’architettura.
(B) Accenniamo qui appena che,
nel Territorio sud-orientale della Sicilia, anche nel barocco settecentesco non
emergeranno toni da considerare propriamente ‘apologetici’ in alcuna delle due
accezioni sopra indicate, bensì di un'esplicitata, festiva, solenne, ma in
qualche modo razionalizzata, vitalità corale.
(C) Tale intenso, e talvolta
battagliero, ‘senso di appartenenza’ al quartiere o alla città, e le connesse
controversie per matricità e patronati di Santi, che in quei secoli danno luogo
al gareggiare pure nella costruzione di edifici sacri e che -
certamente oggi da superare o già da
tempo superate, talvolta anche con impegno pastorale opportunemente ‘militante’
- vengono irrise come espressione di un Sud sottosviluppato, oppure
schematicamente o ideologicamente spiegate soltanto come manifestazione di
alienanti sottesi condizionamenti socioeconomici, andrebbero – e in qualche
modo già lo sono state – più attentamente analizzate pure secondo riflessioni e
contributi interdisciplinari (e perciò anche di carattere sociologico e di
psicologia religiosa) nonché con
valutazioni non anacronistiche, e confrontate con analoghe espressioni,
nient'affatto vituperate, perseveranti tuttóra ed in altri territori (ove
non sono certo da motivarsi soltanto col richiamo turistico): basti accennare
alla competizione - anche dura - fra le contrade di Siena...
(D) ...non certo riducibili allo stereotipo del fenomeno, in
parte vero, delle monacazioni forzate, ma anzitutto configurazione
istituzionale dei movimenti ecclesiali post-conciliari.