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Il primo ceto politico locale repubblicano a Modica

di Giancarlo Poidomani*

 

 

    1. Le elezioni. Il sette gennaio 1946, con il decreto luogotenenziale ‘Ricostituzione delle amministrazioni comunali su basi elettive’[1], iniziava la procedura necessaria per indire, nelle varie città italiane, le prime elezioni amministrative del dopoguerra: consultazioni di grande rilevanza storica, innanzitutto perché in moltissime città furono le prime libere in assoluto, dopo più di venti anni di assenza di vita democratica, e perché, per la prima volta, alla scelta dei consiglieri comunali concorsero anche le donne in un sistema pienamente democratico e fondato sul suffragio universale.

    Ma le elezioni amministrative rappresentarono anche i primi passi per la realizzazione della complessa rete istituzionale propria della democrazia contemporanea che necessitava, tanto in sede nazionale quanto a livello locale, di una quantità di quadri politici maggiore di quella della fase insurrezionale.

    È da queste elezioni che bisogna partire per una storia delle élites politiche locali dell’Italia repubblicana, della loro genesi ed evoluzione.

 

    A Modica si votò il diciassette novembre del 1946. Essendo la Città con popolazione superiore ai 30.000 abitanti, fu adottato il sistema dello scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale: i consiglieri da eleggere erano quaranta.

    Dalla relazione del prefetto Fontanelli sulle ispezioni delle liste elettorali veniamo a sapere che gli abitanti residenti erano 41.792, gli elettori iscritti 23.880 di cui 11.147 maschi e 12.733 femmine, divisi in 28 sezioni elettorali[2].

    Le liste presentate furono cinque: Dc, Pri, Fronte popolare, Reduci e Uomo qualunque. L’affluenza alle urne fu del 72%, una delle più alte della Sicilia.

 

Questi furono i risultati[3]

Liste                            Voti                     %                  Seggi

Fronte popolare            6.552                  42                 17

D.C.                         6.460                  40                 17

Uomo Qualunque          1.437                    9                   3

P.R.I.                          940                    6                   2

Reduci                         455                    3                   1

 Totale                    15.844                 100                 40

 

 

    Le schede bianche e nulle furono 1.349 e cioè 1’8,5% del totale. Il maggior numero di voti individuali lo ottenne Fedele Romano, uno dei leaders della Democrazia cristiana a Modica e il futuro primo sindaco dell’età repubblicana.

 

    2.1. Gli eletti. Gli eletti rappresentavano il primo, provvisorio embrione della classe politica locale che, con le elezioni del 1952, si sarebbe assestato con la rielezione dello “zoccolo duro” dello stesso ceto politico.

    Chi erano costoro e cosa fecero? Dalla risposta a tali quesiti possiamo avere un iniziale chiarimento circa le caratteristiche di quel ceto politico che per primo tentò di tradurre l’istituzione del governo locale dalla teoria legislativa alla realtà quotidiana.

 

    Undici erano state le donne candidate. Di queste fu eletta soltanto la democristiana Carmela Castaldini: cinquantenne insegnante elementare, impegnata attivamente nella vita politica modicana insieme ad altre donne di estrazione cattolica (e il dato va evidenziato), aveva partecipato nel 1943 alla fondazione della Dc a Modica.

    La maggior parte degli eletti (n. 18) erano 30/40enni, altri sette avevano meno di trenta anni, mentre 14 erano ultra cinquantenni e sessantenni. I più giovani erano concentrati nella Dc e nel Fp.

 

    2.2. Precedenti cariche amministrative. Dieci degli eletti avevano avuto modo di ricoprire cariche pubbliche nei tre anni precedenti: la maggior parte erano stati assessori o membri di commissioni comunali nella giunta Galfo Trombadore, nominata dall’Amgot e in carica dal 1943 al 1944, e nella giunta Aprile, che si era insediata nel momento in cui gli alleati avevano riconsegnato la Sicilia all’amministrazione italiana. Lo stesso sindaco Aprile era stato eletto nella lista del Fp. Tra i democristiani, coloro che avevano avuto esperienze amministrative erano soltanto tre; fra i consiglieri del Fp, ben sette su diciassette.

 

    2.3. Precedenti esperienze politiche. La metà dei consiglieri aveva alle spalle una più o meno recente attività politica: dodici democristiani, tra cui quattro già nel Ppi di don Sturzo (oltre a sei provenienti dall’Azione cattolica), uno nel Psi e un liberale; i due repubblicani nel Mis di Finocchiaro Aprile; quattordici socialisti e tre comunisti nel Fp.

    Dunque quella modicana era una classe politica relativamente giovane ma già inserita, per una buona metà, nella vita politica e in parte con una certa esperienza amministrativa.

 

    2.4. Grado d’istruzione. Uno dei dati più significativi riguarda il grado d’istruzione dei consiglieri: più della metà erano laureati; tre erano in possesso di diploma di scuola media superiore e tre di licenza media. Sette avevano la licenza elementare e quattro erano privi di titolo di studio.

    Questi dati divergono da quelli di altre realtà locali italiane[4] dove la maggior parte dei consiglieri erano in possesso della sola licenza elementare.

    Se confrontiamo i dati relativi al grado d’istruzione dei consiglieri con quelli relativi alla popolazione alfabeta dai sei anni in poi, nel 1951 la mancanza di rappresentatività emerge prepotentemente.

 

    Infatti i cittadini modicani privi di titolo di studio erano il 30%, in possesso di licenza elementare il 60%, di licenza media il 4%; i diplomati erano solo il 5% e i laureati appena l’1% [5]. Il 6% della popolazione era dunque rappresentato in consiglio da un buon 70%.

 

    2.5. Composizione socio-professionale. Tra avvocati, professionisti medici, proprietari e appaltatori edili, le professioni ‘alte’ rappresentavano il 50% degli eletti.

    Sedici consiglieri erano insegnanti, impiegati o artigiani (professioni medie); gli operai e i braccianti eletti furono solo quattro.

    Tra i democristiani troviamo: 5 avvocati, 4 insegnanti, 3 professionisti, 2 artigiani, un medico, un appaltatore edile, un proprietario e nessun impiegato, operaio o bracciante agricolo. La rappresentatività del Fp era più varia e comprendeva, oltre ad avvocati, medici e professionisti, 4 impiegati, 3 operai, un artigiano e un bracciante;

    Se la Dc finiva per proporsi come il partito del ceto medio-alto, la sinistra si presentava come rappresentante non solo dei lavoratori della terra ma anche della piccola borghesia e del proletariato urbano: segno che, nonostante l’economia prevalentemente agricola, la lotta politica a Modica si giocava soprattutto a livello urbano.

    Altrove [6] le elezioni amministrative del ‘46 rivelano una classe politica ancora sostanzialmente omogenea alla società che la esprime, con una forte presenza dei ceti operai e dei contadini e con una sottorappresentazione delle tradizionali figure socio-professionali della mediazione politica (avvocati, professionisti, insegnanti).

    A Modica invece comincia, o meglio continua, una divisione della società in due gruppi: uno che partecipa attivamente alla vita politica e amministrativa, formato in prevalenza da professionisti e insegnanti e un altro, che delega, costituito dai ceti economicamente e culturalmente inferiori.

    Certamente bisogna distinguere tra ‘rappresentatività’ e ‘rappresentanza’: il fatto che in alcuni partiti non fossero direttamente rappresentati alcuni ceti non toglie che non potessero esserne rappresentati gli interessi.

    Ma, mentre la Dc pensava che gli interessi dei braccianti e degli operai potessero e anzi dovessero essere tutelati da persone di elevata istruzione, esperte e socialmente note [7], i socialisti e soprattutto i comunisti, oltre a far eleggere stimati professionisti, cercavano di dare una rappresentanza diretta ai vari ceti produttivi per una maggiore  visibilità dei loro problemi.

 

    Alle elezioni del maggio 1952 furono rieletti 16 consiglieri (il 40%), oltre a 5 già candidati nel 1946: 10 democristiani (cioè più della metà), due repubblican i (più altri due che cinque anni prima erano stati candidati), soltanto due del Fp, mentre due dei tre consiglieri della lista dell’Uomo qualunque furono rieletti nella Dc.

    Costoro rappresentavano sempre più il nocciolo duro del primo ceto politico locale, la ristretta area del ‘professionismo politico’ cittadino. Nove di essi negli anni precedenti avevano ricoperto cariche assessoriali non a caso più della metà del consiglieri rieletti erano della Dc, partito che aveva guidato tutte le giunte succedutisi dal 1947 al 1952 e che aveva espresso la maggior parte degli assessori.

    Dunque tra gli elettivi era un gruppo più omogeneo alla società civile, meno legato ai partiti e destinato a un alto ‘turn over’, l’altro già interno al sistema dei partiti e destinato a specializzarsi nell’attività amministrativa, anche in forza del grado d’istruzione e delle capacità professionali necessarie ad una attività di governo sempre più complessa.

    Riassumendo, possiamo dire che la classe politica modicana emersa dalle elezioni amministrative del 1946 era una classe politica maschile, autoctona, abbastanza giovane ma già con una certa esperienza politica e amministrativa, di buon livello culturale [8] e professionalmente qualificata.

    Dunque, almeno dal punto di vista anagrafico, un ceto politico nuovo, non compromesso con il passato; molti avevano militato nel Psi, nel Ppi o più recentemente nell’Azione cattolica. Leaders politici della Dc erano alcuni, come Emanuele Guerrieri e Fedele Romano, degni certamente di stima, anche se durante il fascismo avevano tenuto un atteggiamento quanto meno discutibile. Inoltre, per molti eletti avevano costituito elementi discriminanti e di selezione la posizione sociale, il titolo di studio e la professione: criteri molto simili a quelli del periodo liberale.

 

    3. Maggioranza e opposizione [9] Dal ‘47 al ‘52 la Dc governò quasi indisturbata, esprimendo tutti i sindaci e la maggior parte degli assessori, potendo contare sulla maggioranza relativa dei consiglieri (che diventava assoluta con l’apporto degli altri partiti di centro-destra) e sulle continue assenze di molti consiglieri del Fp.

    In tal modo fu la Dc a compiere le scelte più importanti per la città (politica fiscale, politica urbanistica ecc.) senza che l’opposizione di sinistra fosse in grado di fare proposte alternative e costruttive.

    Così, mentre in molti comuni del nord Italia la sinistra al governo cercava di spostare il carico fiscale dalle imposte di consumo (indirette) all’imposta di famiglia (diretta), spesso con successo, a Modica il Fp non si impegnò in tal senso e finì per accettare la politica fiscale democristiana basata sull’imposizione indiretta e sulle supercontribuzioni.

    Anche per quanto riguarda la politica urbanistica, la sinistra non si pose il problema di un progetto organico per la futura espansione della città e si limitò alla valutazione dell’esistente, senza rendersi adeguatamente conto che l’aumento della popolazione e i mutamenti economici e sociali richiedevano già allora, e avrebbero richiesto sempre di più in futuro, scelte nette e precise. La Dc comprese che l’espansione dell’agglomerato urbano si sarebbe indirizzata verso l’altipiano della Sorda e operò di conseguenza per l’individuazione e l’acquisto di aree idonee.

    La mancanza di una vera e propria opposizione da parte del Fp fu dovuta a due ordini di motivi: innanzitutto la ‘sinistra’ preferì impegnarsi nelle lotte sociali e sindacali; il monopolio dell’attività amministrativa pertanto rimase prevalentemente nelle mani della Dc; in secondo luogo dobbiamo ricordare che il Fronte era stato costituito in occasione delle elezioni comunali da un Psi ancora molto forte (14 consiglieri su 17) e da un Pci ancora disorganizzato.

    Con il ritorno di Virgilio Failla e l’impegno di altri comunisti tra cui Gaetano Romano, iniziò l’azione di ricostituzione e di rafforzamento del PCI a Modica; ma cominciò a venir meno anche l’unità di intenti e di azione politica del Fronte all’interno del consiglio comunale. Infatti, da una parte parecchi consiglieri socialisti cominciarono a disertare le sedute e a dimostrare una minore combattività (due consiglieri eletti nella lista del Fp, Finocchiaro e Maltese, addirittura entrarono nella giunta), dall’altra i pochi consiglieri comunisti intervenivano spesso per attaccare frontalmente la giunta (il consigliere Puglisi avanzò dei gravi sospetti sulla gestione delle finanze comunali, il consigliere Di Stefano accusò la giunta di favorire gli arricchiti di guerra): si trattava tuttavia non infrequentemente di interventi isolati.

    Alle elezioni del ‘52 la Dc avrebbe raccolto i frutti di una azione di governo che, nel bene o nel male, aveva esercitato con destrezza e decisione.


BIANCA

 



      * (Modica, 1969). È laureato in Lettere moderne - indirizzo storico-artistico - presso l’Università di Catania con una tesi su ‘Economia e Società a Modica nell’‘800: il catasto borbonico’ (relatore il prof. Nino Recupero).

     È in corso di pubblicazione, presso la Ed. C.U.E.C.M. dell’Univ. di Catania, un suo saggio: ‘Le elezioni del 1946 a Modica: il primo ceto politico lorale repubblicano’, di cui pubblichiamo nel presente fascicolo una sintesi.

     Sta effettuando una ricerca sulla Contea di Modica nel periodo del governo sabaudo in Sicilia (1713-1720).

 

     [1] Archivio Storico di Ragusa (ASR), Fondo: Prefettura, busta n. 2221.

 

     [2] ASR, Fondo: Prefettura, busta n. 2204.

 

     [3] ASR, ibidem.

 

     [4] M. Revelli, Il primo ceto politico locale piemontese. Gli eletti nel 1946, in A. Mastropaolo (a cura di), Le élites politiche locali e la fondazione della Repubblica, Milano, Angeli, pp. 35-38.

 

     [5] IX Censimento ISTAT (1951), Roma, 1955, Vol. I, Fasc. 87, pp. 14-15.

 

     [6] G. De Luna, Il ceto politico locale in Piemonte, in A. Mastropaolo, op. cit., pp. 42-43.

 

     [7] «Gli intellettuali credenti (...) già militanti nell’Azione cattolica (...) rispettavano la ‘povera gente’ (di cui occorreva migliorare sì le condizioni, ma senza una ‘chiara’ presa di coscienza del ruolo del proletariato) e votavano uniti democrazia cristiana», in G. Colombo, Le erbe amare, Modica, Dialogo 1978, pp. 136-137.

 

     [8] ... ma si trattava di «una cultura strettamente professionale. Ampie problematiche o grandi orizzonti politici non ne avevano»; G. Colombo, ibidem, p. 137. Quanto ai democristiani, possiamo dire che essi, non avendo approfondito gli insegnamenti sociali della Chiesa, «apprezzavano il ‘concetto’ di ‘persona umana’, abbracciandone però fortemente la connotazione individualistica (e perciò liberal-borghese) piuttosto che, quella relazionale (e perciò comunitario-cristiana)»; ibidem, pagg. 136-137.

 

     [9] Per tutto questo paragrafo: Atti del Consiglio comunale di Modica e Atti della Giunta comunale di Modica (1946-1952).