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Elementi topografici sugli ipogei funerari

del centro abitato di Modica

di Anna Maria Sammito*

 

 

 

     In età tardoantica sono distribuiti, nell’altopiano modicano, numerosi ipogei funerari ricavati in piccoli lembi rocciosi oppure lungo i versanti delle cave, riferibili ad un insediamento di tipo sparso per villaggi e casali. Si tratta di camere ipogeiche di notevoli dimensioni con piante articolate in gallerie, come per l’ipogeo della Larderia o di San Marco a Cava Ispica oppure di piccoli ipogei con pochi loculi, come quello cruciforme di C.da Buscello. Molto frequente è la presenza, al loro interno, di soluzioni architettoniche di tipo monumentale, rappresentate dal sepolcro a baldacchino, nelle sue varie tipologie, o dai baldacchini ciechi, che sembra caratterizzare soprattutto l’area sud-orientale della Sicilia. Fra quelli già noti di Cava Ispica, di Treppiedi, della Michelica[1], segnaliamo, nelle zone periferiche di Modica, quelli della c.da San Giuliano alla testata meridionale della cava San Liberale, quelli di Monserrato, i tre gruppi distribuiti lungo la cava Fazio e due ipogei di c.da Vaccalina.

 

     All’interno del centro abitato di Modica la presenza di sepolcreti, “entro antri più o meno paurosi”, è stata spesse volte indicata dagli scrittori locali quasi sempre sulla base di tradizioni orali non  ulteriormente accertate.

     P. Carrafa [2] ricorda vicino la chiesa di Santa Barbara, presso l’altura del ‘Pizzo’, alcuni “sepolcreti” che già da S. Minardo, nonostante le ripetute indagini, non furono rinvenuti in quanto distrutti dall’edilizia moderna [3]. F.L. Belgiorno descrivendo la chiesa di San Vito, nel quartiere “Vausu”, accenna alla presenza di “necropoli cristiane” scoperte da S. Minardo, il quale, molto probabilmente, non fece in tempo a darne comunicazione [4].

     L’indagine condotta sul campo ha permesso di confermare quest’ultima notizia e di arricchire il numero degli ipogei, apportando interessanti contributi allo studio dell’antico assetto topografico della città. Infatti questi gruppi sepolcrali sono dislocati lungo i versanti dello sperone roccioso del Castello, svettante fra la cava Pozzo Pruni ad est ed Ianni Mauro ad ovest, roccaforte della città fin da tempi della conquista araba [5] (tav. I, fig. 1).

 

     Il versante orientale, morfologicamente caratterizzato da una forte pendenza, si suddivide in almeno quattro balzi rocciosi su cui si inerpicano filari di grotte determinando uno dei quartieri rupestri più vasti all’interno della città (“Vausu”). Lungo questo versante sono state individuate due zone sepolcrali poste rispettivamente nel terzo balzo roccioso, sotto le cosiddette ‘grotte del conte Ruggero’ e sulla via Sbalzo, lungo il secondo balzo roccioso (fig. 2).

     Il primo complesso ipogeico (tav. I.1) occupa un piccolo balzo, contenuto da un alto muro nella parte più settentrionale del versante. Si articola in almeno quattro ipogei funerari contigui (D, B, A, C) fortemente rimaneggiati. Gli ingressi non si sono conservati e le cause sono da ravvisare in almeno due fattori: la trasformazione di essi in cave per l’estrazione della pietra e i crolli continui dovuti alla particolare composizione del calcare giallastro molto poroso che sottopone la roccia a continui sgretolamenti.

     Superando il dislivello che conduce a questo piccolo balzo ha subito inizio la zona funeraria con l’ipogeo D, il primo da ovest, completamente devastato: rimangono tracce di tre loculi sulla parete occidentale. Tra questo ipogeo ed il successivo (B) sulla parete rocciosa si notano quattro arcosoli monosomi parzialmente conservati con il lato lungo disposto parallelamente all’asse dell’attuale percorso.

     L’ipogeo B (tav. II. B), dopo un largo invaso di circa 10 m., si divide in due gallerie: quella ovest, lunga 13 m. e quella est lunga 16 m.; la loro larghezza è circa 6 m.

 

 

 

Lungo la parete ovest della galleria occidentale sono ricavati loculi a pila (ne rimangono quattro, di cui due completamente devastati), un arcosolio monosomo e due arcosoli bisomi con soluzione del tipo a baldacchino cieco per il loculo più aggettante. Infatti rimangono nel soffitto tre monconi di pilastrini a circa 0,40 m. dalla parete di fondo, che lasciano supporre la presenza di arcosoli con lati brevi aperti, e fosse disposte parallelamente all’asse della galleria. Tale tipologia è molto frequente nell’area modicana: si ricordano, in particolare, i baldacchini ciechi del decumano maggiore dell’ipogeo della Larderia e quelli degli ipogei di Treppiedi [6] e di Michelica nell’altopiano [7]. Sulla parete di fondo rimangono tracce di riseghe e di piani di posa per almeno quattro loculi disposti con il lato lungo perpendicolare all’asse della galleria. La parete est ospita in tutto quattro loculi, di cui uno a chiusura verticale, tre arcosoli monosomi ed un arcosolio trisomo, parzialmente devastato, con fosse disposte in posizione trasversale rispetto all’asse della galleria.

     La galleria orientale è occupata quasi interamente da materiale di riporto che ingombra non soltanto il piano di calpestio ma anche gran parte degli arcosoli, che nel complesso si presentano meno devastati. Essi sono distribuiti lungo le pareti: tre sulla parete occidentale, polisomi e bisomi, con la presenza anche di tre loculi di cui uno a chiusura verticale, un arcosolio devastato sulla parete di fondo con due fosse disposte ortogonalmente all’asse della galleria ed una terza ortogonale a queste ultime sulla parete orientale. Sette arcosoli si aprono lungo questa parete con curve dal taglio molto regolare raccordate con il soffitto. Gli arcosoli, quasi interamente ingombrati da pietra da taglio o interrati (quelli più esterni), sono polisomi fino a contenere un massimo di tre (?) loculi; alcuni presentano due loculi disposti lungo l’asse della galleria e un loculo (in un caso, di infante) perpendicolare. Un’apertura sulla parete, in parte tamponata da un muretto in pietra, mette in comunicazione questa galleria con l’ipogeo A: sembra essere frutto di posteriori rimaneggiamenti in quanto si apre all’interno di un arcosolio devastato.

     Lungo le pareti delle due gallerie sono graffiti numerosi simboli religiosi pertinenti ad una fase di riutilizzazione degli ambienti. Si tratta di croci del tipo ‘sul Golgota’ (fig. 3), della croce ‘patriarcale’ o della croce ansata, di croci doppie o di simboli stellari. Sono anche presenti disegni a carboncino praticati sulle pareti della galleria ovest [8].

     L’ipogeo A (tav. II.A) si apre subito ad est di quello B e presenta nel complesso una maggiore manomissione non soltanto per l’ingresso quasi del tutto crollato ma anche per il piano di calpestio notevolmente ribassato (di circa 0.80 m., dal piano originario) e per gli arcosoli della parete orientale, le cui guance sono state sistematicamente asportate con l’abbassamento del piano di posa dei locali (la loro profondità e di 0.85 m. rispetto ai 0.68 degli altri loculi). La pianta, non molto regolare, è costituita da un piccolo braccio lungo 12,30 m. ad est e da un ambiente rotondeggiante ad ovest destinato ad accogliere la sepoltura più monumentale caratterizzata da un baldacchino bisomo con 6 pilastrini. Il lato orientale del piccolo braccio è occupato da almeno 8 arcosoli, due più esterni interrati fra i quali si apre una piccola finestrella, uno abbastanza devastato e gli altri di grandi proporzioni (misurano mediamente 0.75 x 1.91 x 0.85 m.) dal taglio arcuato non molto regolare spingentesi fino al soffitto. Le guance sono state sistematicamente asportate; restano sulla parete di fondo le riseghe per l’alloggiamento dei lastroni di copertura del loculo. Sulla parete di fondo del piccolo braccio rimane, nella parte più occidentale, un arcososolio monosomo ben conservato (1.90 x 0.75 x 0.68 m.) con guancia in parte asportata; nella parte più orientale due riseghe, formanti un angolo molto aperto, indicano la presenza di loculi interamente devastati. Al di sotto di queste riseghe: numerose graffiti costituiti da croci greche e da croci di Lorena.

     Una rozza apertura, causata da crolli, al di sotto del terzultimo arcosolio della parete est dell’ipogeo A, permette il passaggio all’ipogeo C (tav. II.C), di pianta approssimativamente rotondeggiante con nicchia arcuata (1.65 x 0.70 x 0.85 m.) sulla parete di fondo. L’ipogeo si allarga verso est con un altro piccolo ambiente absidato con incassi per pali praticati sulla parete di fondo e su quella destra. La parte anteriore è completamente crollata creando una apertura a strapiombo sul balzo sottostante. Allo stato attuale non vi sono elementi sufficientemente evidenti della destinazione funeraria anche di questo ipogeo [9].

     La tipologia architettonica della necropoli con la presenza della sepoltura di tipo monumentale del baldacchino bisomo inquadra cronologicamente il complesso cimiteriale tra il IV ed il V sec. d.C. Le sistematiche devastazioni segnalate per alcuni ipogei e la presenza di numerosi simboli religiosi ne indicano una riutilizzazione a carattere religioso. Appare molto frequente la utilizzazione di aree cemeteriali precedenti come chiese o anche come complessi cenobitici [10] in un momento cronologico oscillante tra il periodo bizantino e quello della ricristianizzazione normanna.

     Un altro piccolo ipogeo si trova lungo la via Sbalzo ed esattamente sul tetto della grotta-casa con n.c. 35 (tav. 1.2 e fig. 2) nel secondo balzo roccioso poco più a sud del precedente complesso.

     L’ipogeo (tav. III) è di ridotte dimensioni ed in gran parte crollato; si conservano tracce di almeno tre fosse terragne sul pavimento ed un arcosolio monosomo. Sul tetto della grotta-casa sono visibili tagli di roccia per altre fosse terragne abbattute quando la grotta sottostante venne trasformata in casa.

     Tracce di necropoli sono da segnalare anche nel quartiere della Catena, la continuazione a nord del quartiere Vausu, all’interno della casa-grotta n.c. 7 di via G. Cannizzaro, vicino la chiesa rupestre di Santa Venera (tav. I.3 e fig. 4). La grotta è costituita da due vani sovrapposti nella parte posteriore. L’ambiente superiore è un arcosolio bisomo devastato, che ha utilizzato una celletta a forno del tipo preistorico abbassandone il piano per scavare i loculi [11]. Lungo questa parete rocciosa in alto, all’esterno della casa-grotta, si nota una nicchia arcuata (arcosolio monosomo?).

     Il versante occidentale dello sperone del Castello, dalle pareti meno strapiombanti, conserva tracce di sepolcreti sia lungo la gradinata verso il Castello, all’interno di case private, sia lungo l’attuale viale che immette al Castello dal corso F. Crispi (fig. 5).

Le case della strada Castello nascondono quasi tutto questo versante, lasciando intravvedere qualche lembo roccioso fra una casa e l’altra. Casa Castorina al n.c. 62 (tav. 1.4.) si appoggia alla parete rocciosa strapiombante in questo punto a causa dello scavo per la costruzione dell’edificio. Nella parte più alta si nota un arcosolio monosomo, il resto di una zona funeraria oramai completamente demolita. A tale zona funeraria è certamente da collegare la presenza di arcosoli lungo il viale del Castello (tav. 1.5). Sulla parete rocciosa, coperta uniformemente da un folto rampicante, si notano due arcosoli monosomi posti l’uno di seguito all’altro e un piccolo ipogeo in parte murato con quattro loculi disposti lungo le pareti e con soffitto molto basso. A livello inferiore restano tracce di riseghe di loculi completamente interrati e devastati, che testimoniano la vastità di questa zona funeraria. Inoltre la fitta vegetazione può nascondere altri ipogei opportunamente murati per consolidare la roccaforte su cui doveva sorgere il Castello di Modica[12].

 

     La presenza di questi ipogei distribuiti lungo i versanti della rupe del Castello permette di fare alcune considerazioni di carattere topografico sulle varie fasi di vita dell’insediamento. Allo stato attuale nessuna evidenza archeologica è riferibile all’abitato della necropoli tardoantica, che possiamo ipotizzare distribuito, sotto forma di villaggi o casali, nei pianori immediatamente a nord dello sperone del Castello.

     Questa rupe, in un successivo momento, viene occupata con la conseguente invasione dell’area della necropoli. Non conosciamo con esattezza il momento di questa occupazione, ma sembra plausibile l’ipotesi dell’utilizzazione della roccaforte, come fortificazione, intorno alla fine del VII sec. d.C., quando il territorio viene organizzato, con la creazione del thema, in kastra posizionati in luoghi naturalmente fortificati [13]. La rupe pertanto perde il suo carattere di area funeraria per essere destinata a fortificazione dell’abitato, e la necropoli viene spostata nel pianoro settentrionale. Infatti tale fase di insediamento è documentata dalla presenza di una necropoli nella zona più orientale dei pianori alti, esattamente nel piano di Santa Teresa. Da un contesto tombale rinvenuto nel 1877 si segnalano, fra i materiali conservati presso il Museo civico ‘F. L. Belgiorno’ di Modica, anche quattro fiaschette monoansate e biansate con collo rigonfio da inquadrare nel VII sec. (tav. IV.1,2) [14].

 

     Si ha l’impressione che l’insediamento in questo turbolento periodo si concreti di conseguenza verso lo sperone del Castello, abbandonando in parte i pianori settentrionali. Questo “arroccamento” avrebbe favorito l’inizio di quel lento processo di escavazione, lungo i versanti, degli ambienti rupestri [15] che hanno in parte sfruttato la necropoli tardoantica devastandone l’originario aspetto e mimetizzandone la distribuzione topografica attorno alla roccaforte.

 

 

 



     

* (Modica, 1965). Ha conseguito la laurea in Lettere classiche - indirizzo archeologico - presso l’Università di Catania.

     È specializzanda presso la Scuola di Archeologia classica della medesima Università, attualmente è catalogatrice-archeologa presso la Sovrintendenza BB.CC.AA. di RG.

 

     [1] Per una rassegna dei cimiteri ipogeici e sub-divo v. G. Di Stefano, Recenti lavori di manutenzione nelle catacombe dell’altopiano ibleo e nuove scoperte nel teritorio, in Atti del VI Congresso nazionale di Archeologica Cristiana, Pesaro-Ancona, 19-23 Settembre, Ancona, 1985, pagg. 679-683.

 

     [2] Placido Carrafa, Motucae illustratae Descriptio seu Delineatio, Panormi 1653, volgarizzato da E. Renda, Prospetto corografico istorico di Modica Modica 1869 (rist. anast. Forni, ed. 1977) pag. 32.

 

     [3] Salvatore Minardo, Modica antica. Ricerche topografiche archeologiche e storiche, Palermo 1952; rist. anast. 1983, pag. 150 nota 7.

 

     [4] F.L. Belgiorno, Modica e le sue chiese dalle origini del Cristianesimo ad oggi,  Modica 1955, pag. 198.

 

     [5] Le rocche di Mùdiqah furono conquistate tra 1’844-45, secondo la Cronaca di Cambridge (v. E. Gabrieli-U. Scerrato, Gli Arabi in Italia, Milano 1979, pag. 695).

 

 

     [6] Per l’ipogeo della Larderia v. G. Di Stefano, Cava Ispica: recenti scavi e scoperte, Modica 1983, pag. 49, fig. 17; per gli ipogei di Treppiedi Id., Recenti lavori..., op. cit., pagg. 681-682.

 

     [7] L’ipogeo di contrada Michelica, segnalato da P. Orsi, Modica. Esplorazioni varie sull’altipiano, in ‘Notizie Scavi dell’Antichirà’ 1915, pag. 212-214, presenta al centro una serie di loculi con un lato corto addossato alla parete e con pilastrini agli angoli.

 

     [8] La presenza di questi simboli a carattere religioso è molto frequente negli insediamenti rupestri sia in ambienti cultuali e sia, anche se in minor misura, negli ambienti civili (v. La Scaletta, Le chiese rupestri di Matera, Roma 1966, pagg. 228 246, etc.; C.D. Fonseca - A.R. Rubino - V. Ingrosso - A. Marotta, Gli insediamenti medievali del Basso Salento, Galatina, 1979, pag. 21). In particolare per la croce montante su triangolo (croce sul Golgota) con o senza la variante delle scalette si rimanda, per alcuni esempio siciliani, a V.G. Rizzone, Un’anonima chiesa rupestre nell’agro modicano, Modica 1995, pag. 32 note 6 e 9. I disegni a carboncino fin’ora notati si collocano sul soffitto all’ingresso (quadrupede?), sulla parete di fondo di un loculo della parete occidentale (campana) e al di sotto di un altro loculo sempre su questa parete (croce a braccia patenti e volatile).

 

     [9] Non è improbabile, per la presenza del vano absidato orientato ad est, la destinazione cultuale di quest’ultimo ipogeo.

 

     [10] Per la riutilizzazione della necropoli tardo romana del teatro greco di Siracusa v. S.L. Agnello - G. Marchese, La necropoli tardoromana in Il teatro antico di Siracusa, pars altera, Rimini 1991, pagg. 67-78.

     Numerose sono le chiese rupestri che hanno sfruttato ipogei paleocristiani; ne citiamo di seguito qualche esempio: Grotta di S. Gaetano (Ispica), Grotta di S. Lio (Ragusa), Grotte dei Santi di c.da Alia presso Monterosso Almo, Grotta di S. Elia (Avola), Chiesa di c.da Stafenna (Rosolini) (A. Messina, Le chiese rupestri del Val di Noto, Palermo, 1994, pagg. 83, 98, 104-105, 153-154). Fra gli esempi modicani possiamo includere la chiesetta di Cava Ddieri e quella anonima di c.da Martorina (V.G. Rizzone, cit. pag. 16). Molte altre chiese sono affiancate da ipogei sepolcrali e diventa più difficile determinare il loro rapporto con la necropoli, se cioè si tratta di una riutilizzazione o di una imitazione di sepolture paleocristiane in età medievale (chiese del Palazzo Platamone a Rosolini, di S. Nicola a Buccheri e di S. Pietro a Buscemi; v. Aldo Messina, cit., pag. 22)

 

     [11] Nella zona di notano altre cellette a forno che restimoniano la presenza di una necropoli di età preistorica e protostorica. Non è esclusa un’originaria funzione sepolcrale anche per l’ambiente ipogeico che ospita la chiesa di Santa Venera.

 

     [12] Per completare il quadro degli ipogei all’interno del centto abitato di Modica è doveroso segnalare la recentissima scoperta di un piccolo ipogeo (1.50 x 3 m.) nel quartiere Cartellone, in via Rosso, sul versante orientale della collina dell’Itria. L’irogeo si presenta completamente rimaneggiato per essere adattato ad abitazione.

 

     [13] A. Messina, cit., pag. 40.

     «‘Tema’: circoscrizione territoriale bizantina, retta da uno ‘stratega’.

     La prima notizia certa di un ‘tema’ in Sicilia è del 701 ... Il ‘tema’ aveva una serie di uffici periferici nelle città più importanti della circoscrizione, sedi di una ‘turma’. Il ‘turmaca’ riproduceva, in scala ridotta, i poteri dello stratega». G. Modica Scala, Sicilia medievale, cit., pagg. 8-9 (N.d.C.).

 

     [14] Due fiaschette (inv. 063 e 305; h. 16 cm., diam. orlo 4 cm.) presentano anse a gomito, sono ingubbiate con decorazione a pettine sulla spalla, le altre due (inv. 064 e 066) sono monoansate con ingobbio, una di esse (inv. 066: h. 18 cm., diam. orlo 4 cm.) presenta un beccuccio di versatoio. Appartiene al contesto anche un boccale monoansato (inv. 065) con decorazione a pettine sul corpo. Cfr. H. Dannheimer, Byzantinis Grabfunde aus Sizilien, Munchen 1989 pag. 55, tav. XII, 9 e pag. 43, tav. XXV,46; v. anche T. Mannoni, La ceramica medievale a Genova e nella Liguria, Genova 1975, tav. VII.

     Per il rinvenimento nel 1877 v. S. Minardo, cit., pagg. 165-170.

 

     [15] Per la problematica cronologica legata al fenomeno del trogloditismo v. A. Messina, op. cit., appendice II, pagg. 155-157.

 

     Desidero esprimere la mia gratitudine alla prof.ssa S. Lagona, ordinario della Cattedra di topografia Antica, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Catania, ed al Dott. G. Di Stefano, direttore della sezione archeologica della S.B.C.A. (Sovrintendenza per i Beni Culturali ed Ambientali) di RG, per aver seguito ed incoraggiato questa ricerca. Le indagini sul campo si sono avvalse della collaborazione del Dott. V. G. Rizzone (Modica) e della gentile assistenza di Corrado Padova (Modica); i disegni dei materiali sono stati realizzati da D. Belgiorno, direttore del Museo Civico di Modica; i rilievi degli ipogei dall’arch. E. Pompei (Modica).