Situata nella Sicilia centro-orientale
* , occupa tre colline che congiungono
gli Erei agli Iblei (o viceversa) ad una quota di circa 600 m sul livello
del mare.Una posizione che ne ha favorito sempre lo sviluppo nelle più
diverse direzioni.E' stata sede di Università, di un'Accademia dell'Arcadia
e di altri luoghi di produzione culturale.
Economicamente avvantaggiata
dalla benevolenza dei vari "governanti" avvicendatisi in Sicilia, trasse
vantaggio dall'esenzione dai dazi negli scambi commerciali
interni, per diventare una delle città più benestanti della
Sicilia.
Fino all'annessione all'Italia,
che l'ha resa una remota cittadina di una provincia geograficamente,
e non solo, periferica.
Il siciliano
Pur non essendo più
in uso presso tutti gli strati della popolazione, a Caltagirone il siciliano
è ancora abbastanza diffuso,
nel suo ormai non vastissimo vocabolario, ma purtroppo non gode
più di particolare prestigio.
Questo, a mio avviso, è
un dato da inquadrare nel più generale panorama di svalutazione
che investe, ancor più che il "semplice" dialetto, le parlate alloglotte
e i dialetti galloitalici,
di Sicilia o di qualsiasi altro luogo che le si possa paragonare
per storia e cultura.
In realtà la parlata
di Caltagirone non è, o almeno non è "più" un dialetto
galloitalico (cioè
un dialetto che trae origine nella parte d'Italia con substrato celtico),
al contrario di alcuni paesi
dell'interno come San Fratello, nei Nebrodi, per esempio.
Alcune "isole" linguistiche
sono rimaste tali in virtù della loro posizione geografica,
mentre Caltagirone è
stata al centro di importanti vie di comunicazione che ne hanno garantito
un'assorbimento maggiore da
parte della cultura regionale.
* * *
Il substrato
e le influenze
Il territorio fu abitato
fin dai tempi più remoti, tanto
da ipotizzare che sia stata la mitica Morgantina, capitale dei siculi.
Partecipò alla lega
di villaggi siculi che, unico esempio in Sicilia, cercò di
opporsi militarmente e culturalmente
all'invasione greca, peraltro senza riuscirci. Per
questo , in seguito, non fu mai pienamente greca; o almeno non quanto la
fascia costiera a sud
e ad est dell'Isola.
Durante i molti secoli che
dominò la Sicilia, Roma non riuscì a sostituire l'uso
del greco con il latino,ma
si limitò solo a depredare e sfruttare il popolo e la terra, disboscandola
quasi completamente per costuire navi, compromettendone così per
sempre l'equilibrio climatico ed
ecologico e rendendo alcune zone quasi desertiche.
Al contrario invece, l'esperienza
araba la arricchì in tutti i sensi, furono loro a portare
a Caltagirone l'arte della majolica,
una delle tradizioni più celebrate ad oggi, ed influirono anche
a livello della lingua. "Qalat
Al Giran" è il nome che le diedero (Qalat = Monte o Castello,
il significato di Giran
o Ghiran è incerto, forse "grotta" o "vaso" o addirittura risalente
al nome del tiranno greco-gelese
Gerone).
La fine del dominio arabo
si deve all'arrivo dei normanni, di lingua francese, che operarono
la latinizzazione dell'Isola.
E' infatti evidente la somiglianza di molti termini siciliani con
il francese antico, in special
modo nella Sicilia centrale.
A partire dal tardo medioevo
la Sicilia fu meta di immigrazione da diverse parti del mondo allora
conosciuto: albanesi, greci, africani, ma anche italiani, attratti dalla
ricchezza ancora notevole
della terra. Fu soprattutto nella zona centro orientale che questi si stabilirono;
questi popoli portarono con
sè i loro usi e le loro lingue (es: Piana degli Albanesi nelle Madonie),
e non sempre accettarono di
integrarsi con le popolazioni già stanziate nell'Isola (il
che, in alcuni casi, perdura ancora adesso).
In particolare a Caltagirone
si stabilì una colonia di liguri, che sostituì gran
parte della popolazione
araba che ne era stata cacciata. Ancora oggi è possibile scorgere
qualche avanzo di lingua
ligure nell'intercalare caltagironese (o calatino che dir si voglia), come
l'esempio più
conosciuto che è: "carruggiu", vicolo di Caltagirone e di
Genova (lì detto "carrogio").
I genovesi arricchirono la
città grazie ad una politica di supporto ai vari potenti al governo,
normanni e spagnoli. Il Primo
passo fu quello di conquistare l'ultima roccaforte musulmana: Castel
Di Judica, grazie a questa impresa Caltagirone divenne uno dei comuni
col territorio più esteso della Sicilia e, più tardi, d'Italia.
Si susseguirono numerose
dominazioni da parte dei più svariati popoli: catalani e spagnoli,
francesi, inglesi, nel quadro
più generale della storia siciliana e infine dell' Italia meridionale.
Fino all'annessione all'Italia,
di cui attualmente la Sicilia è regione a statuto speciale.
* * *
Osservazioni
Nell'insieme il dialetto,
o parlata, di Caltagirone si presenta con certi caratteri decisamente
"alieni" al contesto regionale, pur restando nel quadro della koinè
linguistica siciliana,
e più precisamente orientale.
Per alcuni tratti peculiari
non esiste nei paesi o città limitrofe alcun esempio somigliante.
Mi riferisco innanzi tutto alle
regole fonetiche come la presenza delle vocali nasali, ma anche
all'avarizia nell'uso del passato
remoto, così tipicamente siciliano, a favore del passato prossimo...
Ho creduto di individuare,
accanto a quel substrato ligure di cui dicevo, una discreta somiglianza
con il catalano (popolo che dominò la Sicilia), nella pronuncia
e nella morfologia. E
d'altra parte è evidente l'influsso francese, come nel resto delle
parlate siciliane (vedi sopra)
A questo punto, considerato
il mio obiettivo di descrivere una lingua, il problema che mi si
pone è "scrivere" in
calatino. Purtroppo non esiste una ortografia fissata ed ufficiale.
Ho provato a fare scrivere
alcune frasi a dei parlanti, il risultato è penoso: non esiste una
coerenza nella trascrizione,
anche all'interno di una stessa frase, e in realtà il compito è
arduo. La maggioranza
utilizza l'unico sistema ortografico che conosce bene, l'italiano, per
rendere dei suoni che
sono incompatibili con il piano alfabeto toscano.
Senza saperlo entrano così
in una delle questioni più spinose per chi si occupa di lingue
minoritarie: l'influenza della
lingua egemone non solo nel vocabolario e a livello orale, ma, e
ciò ch'è peggio, anche nella forma scritta.
Tanto per non ripetersi,
è ciò che è successo al catalano, che pure è
riuscito ad opporre alcune
alternative valide alla grafia castigliana; ma lo stesso problema esiste
in tutta l'area romanza. Ciò
che mi propongo, nel pieno rispetto di una tradizione scritta che, anche
se non codificata, comunque
esiste, è dare una mia soluzione a questo problema a due diversi
livelli: da una parte
rifacendomi al volere o alle consuetudini dei fruitori della lingua, quindi
cercando di non stravolgere
più di tanto le idee correnti sul tema; da un'altra parte invece
basandomi sui testi di antichi
o vecchi documenti, scritti presumibilmente da chi doveva avere più
consuetudine con uno
standard ortografico. |