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L'arte nella vitaIndice: Presentazione di Fausto Carratori e Rolando Paterniti; Introduzione dei curatori Nicola Biagini, Tiziana Brizzi, Maria Chiara Frizza, Laura Lago, Vanna Torre; L’arte nella vita di Enzo Nicola Terzano.
Il mio intervento all'interno di questo catalogo vuole
dare un piccolo sguardo nel rapporto fra arte e vita. Da una
parte l'arte come pratica e come fruizione e dall'altra la vita
che dall'arte riceve stimoli e nutrimenti in maniera più o meno
profonda. In accordo a questo legame che l'arte intrattiene con
la vita si può cominciare a delineare qualche percorso d’arteterapia,
individuando cioè alcuni modi in cui l'arte può favorire la
vita.
Parto dunque proprio dal tema della manifestazione Arte
e Vita. L'arte è sempre stata legata con la vita dai
dipinti primitivi che risalgono all'incirca al periodo glaciale
(Spagna e Francia meridionale) [1]
fino alle sontuose residenze dei Babilonesi e alla multiforme
arte moderna. L'arte è sempre stata potentemente legata alla
vita. Anche nella surmodernità[2]
ritroviamo valori e funzioni estetiche imprescindibili dalla
vita quotidiana (si pensi alla fabbrica dell'Oréal ad
Aulney-sous-Bois in Francia) [3].
Se noi guardiamo questo problema un po' più da vicino
innanzi tutto incontriamo un'arte che coglie la vita quotidiana.
Questa è un'arte che orna le pareti del vivere attraverso
oggetti funzionali ma anche effimeri, che ci fa vestire, l'arte
degli utensili che usiamo ogni giorno, è un'arte che ci
accompagna, che ci aiuta in qualche modo a trovare una parte di
personalità attraverso eventi culturali (un film, uno
spettacolo di teatro, un concerto, una mostra, un'architettura
ecc.). La personalità dell'individuo per formarsi, in maniera
evoluta, ha bisogno del supporto di una società che fornisce
manufatti e idee di carattere culturale e li dissemina lungo i
percorsi dell'esistenza (la famiglia, la scuola, il luogo di
lavoro, i luoghi di culto, di svago ecc.). Questi percorsi
socioesistenziali costellati di prodotti artistici adatti a
tutti i sensi (vista, udito ma anche gusto, tatto e odorato)
forniscono all'individuo (alla mente) una sorta di faro
interiore costituito da una coscienza sensibile (estetica) che
percepisce spessori di realtà più o meno vasti. Esattamente
l'opposto coglierà individui che nascono e vivono in contesti
privi, quasi o del tutto, di arte, sia dell'arte dei manufatti
(pittura, scultura, architettura ecc.) che dell'arte delle idee
(religione, filosofia, poesia ecc.). In questo caso avremo
individui poco evoluti sul piano della coscienza di sé e del
mondo e anche sul piano delle relazioni famigliari, sociali e
nella produzione di beni materiali ecc.
La personalità individuale, nutrita dai contenuti
provenienti dal mondo dell'arte, interagisce all'interno del
tessuto sociale ed è in grado di comunicare, fra le altre
modalità esistenziali, le proprie esperienze estetiche (delle
sensazioni percepite). Il sociale è il luogo in comune dove ci
sono tanti individui disposti a condividere i frutti dell'arte
che orna l'esistenza d’oggetti più o meno realmente artistici
ma pur sempre ‘pensati’. Ecco che la 'cultura' si definisce
a partire dalle azioni artistiche e dalla loro condivisione e
riconoscibilità sociale.
Immaginate come si possa condividere qualcosa intorno ad
una Piramide dell'Egitto dei Faraoni e come si possa condividere
qualcosa intorno all'Empire State Building di New York. Si
tratta di modi di condividere e di mondi differenti che hanno in
ogni caso delle similitudini. Entrambi sono messaggi
architettonici imponenti che riguardano sempre uomini con la
schiena eretta, messaggi che però portano contenuti chiaramente
provenienti da due tipi d’arte che ornano esistenze
differenti. Da una parte l'architettura come simbolo dell'essere
trascendente, nel caso delle Piramidi, dall'altra
un'architettura materialista emblema del primato tecnologico ed
economico (il grattacielo).
All'interno del contesto delle civiltà si sono
manifestati tanti modi in cui l'arte ha trovato un posto nella
vita degli individui. Tutti questi erano i modi in cui l'arte si
è intrecciata con la vita. L'arte e la vita hanno un legame
ampiamente dimostrabile e sul piano antropologico s’incontrano
esempi innumerevoli e multiformi. Pensiamo ad un'arte che
collabora con la religione, con il mito, con la medicina, che
entra nella definizione dei rapporti sociali, un’arte che ha
un posto nelle strutture economiche ecc. fatti sociali volti a
definire l'individuo e a identificarlo nella sua cultura, a
dargli quindi un habitat dov'egli si riconosce e interagisce in
grande comfort esistenziale. L'arte è un fatto sociale totale che si integra nei vari aspetti
socioesistenziali dell'uomo (religioso, mitico, economico...) e
si riferisce tanto alla vita della mente ordinaria che a quella
della mente straordinaria collegata alla vita filosofica, alla
vita mistica e a quella metafisica[4].
L'arte dunque non è preposta solo all'ornamento della
vita ordinaria (quotidiana), ma anche della vita straodinaria e
parla a tutti gli uomini questo doppio linguaggio sia
all'interno della stessa civiltà, sia nel corso del tempo, fra
civiltà che si succedono e si integrano anche parzialmente
l'una nell'altra.
Vi è un'arte che conduce alla vita ordinaria, la
scandisce e la rappresenta e allo stesso modo esiste un'altra
arte, che ha modalità decisamente diverse rispetto alla prima,
che conduce ad una vita straordinaria.
Ora è il caso di porsi una prima domanda: la vita
ordinaria cos'è? La risposta è molto complessa e forse anche
molto semplice: la vita ordinaria è quella che ognuno di noi
conosce.
Da un punto di vista interiore la vita ordinaria è
quella volta ad aggregare un ego. L'ego[5],
secondo alcune teorie classiche del pensiero orientale[6],
è un 'aggregato' e come tale si può a volontà modificare,
accrescere e diminuire e anche del tutto dissolvere. La morte
infatti, secondo un punto di vista comune a molti sistemi di
pensiero tradizionali[7],
coincide naturalmente con la disaggregazione dell'ego[8].
L'arte che favorisce l'aggregazione della personalità
ordinaria (l’ego), è possibile chiamarla come l'arte che
consente all'individuo di rimanere e compiacersi nell'ambito
delle passioni (cinque o sette secondo le tradizioni), [9]
le quali diversamente miscelate[10],
consentono alla mente sottoposta all'influsso di quelle
illusioni (passioni) di dispiegare la sua azione nel mondo.
L'arte della vita ordinaria aiuta gli individui a
diventare esseri umani
con vizi e virtù e conduce come frutto al consumo
dell'esistenza dentro la vita ordinaria in un modo più o meno
equilibrato. Ecco su questo punto vorrei fermarmi un poco e
cercare di capire in che modo l'arte della vita ordinaria può
essere utile in termini terapeutici all'interno di un Centro
Diurno dove si usa il laboratorio d'arte come terapia d'appoggio
per la cura dei disagi psichici.
Ho letto i materiali teorici dei Centri Diurni, che mi
sono stati inviati come documentazione e mi sono persuaso che
l'arte ordinaria può lavorare egregiamente all'interno di un
percorso di recupero della personalità disarmonica, verso
un'autonomia relazionale, e per la conquista di uno spazio
individuale riconoscibile e comunicabile agli altri senza traumi
e probabilmente anche verso un recupero, più o meno parziale,
dell'identità o ego.
L'arte ha avuto da sempre il ruolo di favorire modalità
interiori adatte a trovare questi spazi individuali e ha
collaborato senza troppo mistero a collocare l'identità
all'interno di un contesto più vasto com'è quello sociale. Mi
sembra di non dire nulla di nuovo quando ribadisco che lavorare
con l'arte ordinaria rinnova l'aggregazione dell'ego e condivido
le aspettative terapeutiche che possono generarsi al riguardo
soprattutto in ambito psichiatrico e nel mondo delle discipline
che si occupano della psiche.
Il problema è cercare di ritrovare le chiavi di
quest'azione terapeutica poiché non è nella mera manipolazione
di forme e colori la ricetta per un'arterapia. Certamente anche
il semplice gesto di impegnarsi a realizzare delle forme (a
rappresentare), senza dubbio può sortire effetti benefici per
il paziente. Tuttavia mi pare che siano ben altre le questioni
relative all'arteterapia che s'inscriverebbero all'interno di
un'artescienza se questa non avesse mai, nelle condizioni di
pensiero attuali, una teoria della mente universalmente
riconosciuta su cui appoggiarsi.
La pratica dell'arte, sia ordinaria sia straordinaria, ha
quindi senza dubbio un'efficacia terapeutica altrimenti non si
spiegherebbe quest'azione del fare arte che sul piano
antropologico percorre trasversalmente e sincronicamente epoche,
civiltà e società differenti.
L'uomo, dall'epoca glaciale fino ad oggi, non si è mai
stancato di fare arte e un motivo, veramente fondato, per
quest’azione incessantemente ripetuta dai primordi, c'è
senz'altro e non sarà nell'effimera definizione di un'esteticità
fine a se stessa che troveremo risposta a quest’arduo quesito,
ma nella necessità che l'essere umano ha di rappresentarsi
attraverso l'arte. Che questa rappresentazione coinvolga poi
oggetti funzionali od oggetti simbolici, poco importa, entrambi
questi oggetti partecipano alla vita dell'uomo, sia alla vita
ordinaria (del corpo e della mente dedicata al mondo) che di
quella straordinaria (dell'essere sulla via della liberazione).
La vita transitoria e la vita perenne, l'ego e il sé, sono
l'oggetto del fare arte, il soggetto è l'uomo e il suo mondo.
Da questo punto di vista è facile ammettere una capacità
terapeutica all'arte.
L'arte che lavora all'aggregazione della personalità,
che abbiamo chiamato ego, è un'arte che lavora per far emergere
le passioni individuali. Sviluppare questi tipi di sentimenti,
che in genere accompagnano tutti, è parte della costruzione di
un ego. Nel caso in cui l'individuo, l’ego non c'è la più
aggregato, con la compattezza minima che gli può essere utile a
relazionarsi con gli altri in maniera tranquilla e immediata e
il suo mondo è fatto di una personalità frammentata, o
disarmonica, dispersa tra fobie e paranoie, sdoppiata o sfumata
o implosa, è necessario in questo caso fare qualcosa per
aggregare l'ego. E in questo aggregare l'ego non c'è niente di
male. L'ego ci rende consapevoli del mondo ordinario ed è
ancora l'ego che ci rende consapevoli dei limiti dell'ego e
della necessità di un suo superamento. Anche lavorando con
l'arte ordinaria stiamo seguendo un percorso verso la
liberazione. Anche aggregando l'ego stiamo compiendo un'azione
terapeutica su noi stessi, e l'azione terapeutica non c'è solo
quando disaggreghiamo l'ego all'interno di un percorso
spirituale consapevole.
Quando un individuo deve trovare parte della sua identità
e deve ritrovare parte dei suoi spazi d’autonomia, è
necessaria un'arte che aggrega l'ego, quando invece l'ego è ben
strutturato uno è consapevole di se stesso, allora è
necessaria l'arte che crea la causa per la liberazione dall'ego,
tutte e due le arti dovrebbero vivere contemporaneamente nello
stesso posto ed essere tutelate nelle loro rispettive conoscenze
e finalità.
L'arte che crea la causa ed è supporto per la
liberazione dall'ego, cioè l'arte sacra (si pensi ad una icona,
un thangka, un tempio
tradizionale, una musica composta secondo determinate conoscenze
del rapporto uomo-suono ecc.) ci dagli strumenti, per sciogliere
quell'orgoglio, per sciogliere tutte le passioni che sono lo
zoccolo duro dell'ego.
L'individuo quando è frammentato e disperso
all’interno d’impulsi contraddittori, non ha una chiara
nozione di sé e quindi non ha un giusto grado d’autonomia,
allora di che arte ha bisogno? Ha bisogno di un'arte che
aggrega. E quando invece l'individuo è maturo ed è stanco
della ripetizione dei meccanismi del mondo e vuole liberarsi
dalla schiavitù delle passioni e dalle illusioni, di che arte
ha bisogno? Dell'arte che libera, dell'arte sacra.
Tutte e due le arti, dell'aggregazione e della
liberazione, ordinaria e straordinaria, sono molto importanti
per la vita dell'essere umano ed entrambe hanno un ruolo
terapeutico specifico, la prima cura l'essere nel mondo, l'altra
prepara l'uscita dal mondo (estasi). Le due arti sono alleate e
l'uomo le coltiva in tutte le circostanze: quando è 'malato',
quando è nel disagio ma anche quando è nel benessere e nella
pace interiore.
Nella surmodernità, mancano le conoscenze tradizionali
dell'arteterapia, tuttavia esse affiorano spontaneamente nelle
opere d'arte senza che nessuno abbia capito come ci siano
finite.
Guardando le opere prodotte dai Centri Diurni della
Toscana troviamo in più di un'opera tracce di simboli complessi
che riguardano la sfera degli archetipi della psiche[11]
e segni più semplici ma significativi[12]
Segni e simboli che sommessamente ogni uomo, non importa quale
sia la sua attuale condizione, porta connaturati dentro di sé e
li esprime, quando gli si offrono le occasioni, con incantevole
spontaneità. Enzo
Terzano [1] La storia dell'arte raccontata da E. H. Gombrich, Torino, Einaudi, 1966, p. 28. [2] Il termine 'surmodernità' è usato in rifermento alle produzioni socio-culturali della fine del secondo millennio da M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1997. [3] M. Augé, Dysneyland e altri nonluoghi, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, pp. 71 sgg. [4] Per quanto riguarda questa problematica di notevole complessità e vastità rimando al testo E. N. Terzano, Materialismo artistico e arte spirituale, Diomedea, Arcidosso, 1996 (tir. limitata fuori commercio, es.) e alla relativa bibliografia (Diomedea c/o Cas. Post. n. 7, 58031 Arcidosso Gr). [5] L'ego a cui facciamo riferimento nel testo non ha alcun legame con la concezione e la classificazione tripartita di S. Freud in Es, Superego ed Ego. [6] Ad esempio all'interno della psicologia buddhista, cioé all'interno di un sistema di comprensione della natura della mente nato da una scienza tradizionale autentica. [7] Si usa il termine 'tradizione', come sopra (Cfr. nota 7), con la complessità che gli è attribuita, nel novecento, nel pensiero di René Guénon e ampiamente discussa nelle sue opere. [8] Si tratta tuttavia, nel momento della morte, di una disaggregazione temporanea dell'ego destinata a riaggregarsi, secondo quelle concezioni, nella futura rinascita. [9] Cinque secondo il Buddhismo e sette secondo il Cristianesimo. [10]L'ego è composto di orgoglio, di ira, di attaccamento, di avarizia e di gelosia ma è in parte composto anche delle virtù corrispondenti alle cinque passioni. L'ego sembra essere il risultato della miscelazione di un pò di orgoglio e di un pò di altruismo; odio in mezzo alla capacità del perdono; avarizia ma anche istinto alla generosità ecc. Immagino l'ego come un'entità transitoria composta da passioni piene e virtù accennate e, per usare un paradigma logico legato al mondo cotemporaneo, risponde ad una logica fuzzy o logica sfumata (Lofti A. Zadeh, Fuzzy Sets, 1965), dove le virtù e i vizi sono non assoluti ma miscelati in una percentuale che va da O a 100. E' evidente secondo questa definizione, di cui va perdonata la sintesi estrema, che non si dà pienezza di virtù se non attraverso un percorso che implica la dissoluzione dell'ego (o liberazione). [11] Penso ai seguenti lavori: Divinità, di Carboni (tempera su carta) giocata sui simboli: luna-stella (legati all'umido-secco celeste); piramide-fulmine-occhio tutti legati al fuoco-luce; temi in parte ripresi in Magica Fontana, di Macaione (cera su carta), in Aria e Fuoco, opera collettiva (impasto e collante a uovo su tela). Penso anche alle opere a tema sacro che seguono iconografie note: S. Giorgio, di Pellicci (opera in creta) e al grazioso L'Angelo, di Petri (acrilico su tela). [12] Opere che recano segni interessanti da un punto di vista psicologico sono le opere di Zuanee; Ceselli; Mazzantini; Bardawil; Ceccherini; Ruotolo; Lasciafare; Cerna; Di Stefano e in un modo a volte esteticamente notevole e comunque interessanti sono Viviani e D'Olivo; e poi anche gli altri Marcantelli; Vatali; Prosperi; Letizia; D'Agostino; Bertelli; Angeletti; Cassettari; Pellegrini; Spadoni; Capriotti; Borracelli; Comani; Fracassini; Lombardi ecc. |
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