IL PESSIMISMO

Nel linguaggio comune si definisce il pessimismo come l'attitudine psicologica a considerare la realtà nei suoi aspetti peggiori o, anche, come la disposizione dell'animo a cogliere soprattutto gli aspetti negativi della vita e della realtà.

In senso lato è ogni posizione che insista sulla prevalenza del male sul bene; più precisamente, la dottrina secondo la quale l'esistenza umana è dominata e governata dall'infelicità e dal dolore, e tutta la realtà è assoggettata a una forza cieca e irrazionale.

 

IL PESSIMISMO IN FILOSOFIA

In filosofia il pessimismo è costituito dal tentativo di dare un senso a un'esperienza negativa e dolorosa del mondo e si distingue in "pessimismo empirico", quando la valutazione negativa colpisce solamente il mondo terreno e visibile, in antitesi a un migliore aldilà, e in "pessimismo metafisico" quando la valutazione negativa si estende alla realtà dell'universo.

Nell'età classica solo Egesia di Cirene apparve decisamente pessimista. Il filosofo greco, vissuto in Alessandria verso il 300 a. C., trasformò l'edonismo positivo di Aristippo (di cui fu discepolo) in un edonismo negativo: per Egesia il fine ultimo della vita umana è il piacere (come per Aristippo) ma questo viene concepito come stato negativo, ossia come assenza di dolore e di affanno. Ma poiché ciò è molto difficile a conseguirsi nella vita, gli appare desiderabile la morte come insensibilità e tranquillità assoluta, come assenza di ogni dolore. La posizione di Egesia fu piuttosto isolata, ma elementi pessimistici si ritrovano ampiamente nella cultura comune, soprattutto in campo religioso. Ad esempio, ritornando alla suddivisione tra pessimismo empirico e metafisico, il cristianesimo è sicuramente pessimistico nella sua esperienza della vita terrena, ma è ottimistico nella sua concezione universale della realtà, con la prospettiva di un migliore aldilà.

 

IL PESSIMISMO IN SCHOPENHAUER

E' quindi empirico, cioè ristretto al mondo dell'immediata esperienza, il pessimismo antico e medioevale, mentre è invece assoluto o metafisico quello della prima metà dell'Ottocento, teorizzato soprattutto da Arthur Schopenhauer (1788-1860). In sintesi si può dire che secondo Schopenhauer la radice dell'universo è la volontà: ma poiché si vuole in quanto si tende a colmare una mancanza (si desidera ciò che non si ha), a evitare una deficienza e quindi un dolore, il mondo è condannato a un'imperfezione e a un'insoddisfazione eterna. Il dolore è così intrinseco alla volontà e cioè alla vita universale: donde il pessimismo che, necessariamente, discende da questa concezione basata su una valutazione non positiva della natura, concepita come la manifestazione non dell'idea ma della volontà di vivere e quindi vista come lotta e lacerazione continua senza alcun fine, espressione di quel cieco principio che è alla radice di tutte le manifestazioni reali. Il pensiero di Schopenhauer si riconnette a quello orientale e alla ascesi buddistica, che considera la volontà dell'individuo come principio del dolore: l'obiettivo è allora il nirvana, cioè quella condizione di suprema salvezza raggiungibile attraverso un progressivo distacco dalle cose del mondo e dalle passioni, fino al punto che, negando la sua volontà particolare che lo contrappone agli altri, l'individuo si dissolve nell'universalità (è parte, insieme a ogni altra creatura, di quel tutt'uno che è l'universo).

 

IL PESSIMISMO IN LEOPARDI

Per Leopardi le ragioni storiche della tragedia propria dell'età in cui egli vive risiedono nel conflitto fra natura e ragione o civiltà: si tratta del conflitto esaminato proprio da Rousseau.

Quando nel 1828, a Pisa in una fase della sua vita più serena, ritorna a dedicarsi totalmente alla poesia, la sua sensibilità non è però cambiata e la sua visione della vita continua ad essere improntata a un deciso pessimismo intellettuale. Nasce così la seconda grande stagione della sua poesia, quella che i posteri hanno poi definito de "i grandi idilli". Fra questi, in particolare, "A Silvia", "La quiete dopo la tempesta", "Il passero solitario". Nel ricordo delle cose passate sa che queste sono lontane e morte, che la vita è dolore, che la sua adolescenza è stata tutta pianto o speranze deluse. Silvia è morta e non ha conosciuto le gioie umili e semplici della giovinezza e dell'amore. E, con la sua morte, il Leopardi vede scomparire le sue speranze giovanili, cadere miseramente tutto quel mondo di sogni.

Nel crollo egli perde in apparenza molto più di Silvia: "i diletti, l'amor, l'opra, gli eventi" indicano un mondo ricco di varie gioie che egli sperava di poter raggiungere nel futuro. "La quiete dopo la tempesta" dà un senso gioioso di festa, ma solo perché il solo conforto che la natura offre all'uomo è la cessazione momentanea della sofferenza. Nel "Passero solitario" il tema è la solitudine che accomuna il passero che canta sulla "torre antica" sfuggendo ai suoi compagni, e il poeta, estraneo a ogni compagnia e noncurante dei piaceri. Ma il "solingo uccellin" alla fine della sua vita non dovrà pentirsi di essere vissuto come la natura gli imponeva; il poeta, invece, giunto alla vecchiaia, si pentirà, ma invano, di aver sprecato in tal modo la giovinezza.

Il pessimismo di Giacomo Leopardi non costituisce un vero e proprio sistema filosofico, sebbene nasca da una continua e coerente meditazione del poeta. E proprio negli anni (dal 1823 al 1828) in cui tace come poeta il Leopardi porta alle ultime conseguenze il suo pessimismo, lo sistema in un ordine che gli sembra definitivo.L'infelicità umana non è frutto di situazioni particolari e non nasce neppure da particolari situazioni storiche, dal prevalere della ragione sulla fantasia per effetto dell'avanzare della civiltà, dalla nascita della società che, con le sue necessarie regole, limita la libertà e la spontaneità individuale.L'infelicità è invece una legge di natura, alla quale nessun essere può sottrarsi. L'uomo cerca la sua felicità ma la natura non ha come fine la felicità degli individui: essa tende solamente alla propria conservazione.La vita non è che un più o meno lento morire, un'inutile miseria. Da queste premesse deriva il tedio, la grande malattia spirituale dei romantici di cui Leopardi è il rappresentante italiano più alto: cioè il senso che fare o non fare, sperare o disperare sono ugualmente inutili e vani.Molto sommariamente si può dire che l'influenza delle concezioni filosofiche di Schopenhauer nella coscienza, nel pensiero e nell'agire degli uomini è stata vasta e profonda.Ad esempio, per quanto riguarda la teoria del catastrofismo, una forma di pessimismo estremo che vede l'evoluzione delle forme di vita e della società come conseguenza di imprevedibili catastrofi.Oppure con riguardo al nichilismo, sia come concezione filosofica (che conclude alla "negazione" rispetto a tutte le realtà) che come movimento politico-filosofico, come quello sviluppatosi in Russia poco dopo il 1860. Movimento che, partendo dalla negazione della morale tradizionale, della famiglia e dell'ideologia della precedente generazione, giungeva a teorizzare la soppressione violenta della situazione sociale e politica del tempo.

 

IL PESSIMISMO IN LUCANO

Nella letteratura latina un intellettuale in particolare ha vissuto il dramma della sua epoca, traducendolo in un'opera letteraria da cui traspare la visione pessimistica delle cose terrene: Marco Anneo Lucano (39 d. C. ­ 65 d. C.). Poeta latino nato a Cordova, fu portato a Roma dai suoi genitori e qui fu educato mostrando da subito un impegno precoce. Nerone lo volle fra i suoi amici e Lucano ne cantò le lodi con il carme "Laude Neronis", per cui fu coronato poeta ed ebbe anche il sacerdozio augurale. Poco dopo, però, avvenne la rottura con Nerone che gli vietò di recitare versi e di difendere cause. Era il tempo in cui Nerone, insofferente dell'influenza di Seneca, manifestava la sua natura di principe libertino, despota e crudele. La crudeltà di Nerone e le misure finanziarie che il fasto di corte imponevano, allargarono alle classi popolari l'opposizione già forte presso i nobili e le persone colte quando, nel 64 d.C., un incendio distrusse gran parte di Roma; Nerone, per distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica dall'accusa di esserne stato l'autore, infierì contro i cristiani da lui accusati di averlo provocato. Fu a causa di questi fatti che Lucano, saturo di propaganda stoica, assalì con i suoi scritti l'imperatore e fece del suo poema un'opera di protesta contro la tirannia e la violenza, a difesa della libertà. Nel 62 d. C. egli fu tra coloro che parteciparono alla congiura organizzata da Pisone, ma questa venne scoperta ed egli venne arrestato: resistette prima di confessare e, ricevuto l'ordine di morire, si tagliò le vene declamando un suo brano poetico.

 

IL PESSIMISMO NELLA LETTERATURA INGLESE: GEORGE ORWELL

Poeta vissuto tra il 1903 e il 1950, visse una vita "diversa" viaggiando e, anche se borghese, cercando di vivere la vita dei più poveri; ciò lo portò a lavorare in Francia come lavapiatti e a sviluppare idee anti-imperialistiche e socialiste, infatti, pur essendo nato in una colonia inglese del tempo, l’India, non condivide la politica della madre-patria e anzi, è in opposizione con essa. In generale poi, si oppone con i suoi scritti a tutti i regimi totalitari della storia, criticando e satireggiando regimi quale quello Stalinista, satireggiando anche Napoleone, e prendendo di mira tutti i principali governi totalitari. Il suo pessimismo meglio si esprime nel libro "1984" dove esso riguarda la visione del futuro. Un po’ come Lucano egli vuole ammonire il presente, ma questa volta l’ammonimento arriva dal futuro, con un mondo stravolto dalle guerre e dove la libertà umana è scomparsa a scapito di un monitoraggio continuo di ogni attività prima normale, oggi sovversiva contro lo stato che regna nella utopica Oceania. In base a ciò viene considerato il creatore di un nuovo tipo di romanzo: il romanzo anti-utopico.

 

IL PESSIMISMO IN PITTURA: EDVARD MUNCH

Pittore Norvegese espressionista che, nei suoi quadri ha rappresentato in maniera incisiva temi quali angoscia, disperazione, disagio esistenziale, dolore raggiungendo l’apice nel suo capolavoro "Il Grido". Un ispirazione fondamentale era sicuramente la sua vita, durante la quale numerosi lutti familiari lo segnarono profondamente convincendolo ad essere un predestinato alla sofferenza. "E io vivo con i miei morti, mia madre, mia sorella, mio nonno , mio padre soprattutto…" diceva il pittore, e poi anche "La mia pittura è, in realtà, un esame di coscienza e un tentativo di comprendere i miei rapporti con l’esistenza. E’, dunque, una forma di egoismo. Ma spero di riuscire, grazie a lei, ad aiutare gli altri a vedere chiaro". I suoi quadri sono quindi espressione di ciò che lui sentiva dentro e il frutto degli interrogativi esistenziali che egli si poneva, o che la natura umana lo obbligava a porsi.

 

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