GIACOMO LEOPARDI (1798-1837)

Nasce a Recanati da una famiglia nobile che attraversa un periodo di crisi, avvicinandosi al fallimento a causa delle speculazioni sbagliate del padre, il conte Monaldo, ma che grazie a durissime restrizioni volute dalla madre, la marchesa Adelaide Antici, riesce a ritrovare condizioni economiche dignitose. La madre inciderà decisamente su Giacomo che ne darà una descrizione inquietante nello Zibaldone. Educato da precettori privati come gli altri due fratelli maggiori, Carlo e Paolina, coi quali, specialmente con quest’ultima, manterrà un rapporto epistolare durante tutta la vita. Riceve una formazione classicista-illuminista dai precettori che assecondavano le idee dei suoi genitori al riguardo e Giacomo si mostra in grado già a 10 anni di scrivere composizioni in Latino e anche piccole trattazioni filosofiche. Importanza fondamentale nella sua formazione culturale ha avuto la sterminata biblioteca paterna composta di oltre 15.000 libri dai quali Giacomo è in grado di selezionare i più significativi che lo allontaneranno dalle posizioni reazionarie del padre e della famiglia. Tra il 1809 e il 1816 Leopardi si dedica giorno e notte allo studio danneggiando irrimediabilmente la sua esile struttura fisica. Egli stesso definirà questo periodo "Sette anni di studio matto e disperatissimo" , ma che gli consentiranno di acquisire una padronanza della cultura inimmaginabile. Traduce incessantemente i classici e si dedica molto anche alla filologia, dove raggiungerà livelli pari ai migliori filologi europei. Le posizioni reazionarie della sua famiglia in lui prendono un orientamento antitirannico, rivelando originalità nel carattere di Giacomo. Intorno al 1816 si colloca la sua "conversione letteraria" che lo portò ad una maggiore consapevolezza dei valori artistici e ad una sensazione di oppressione e di ristrettezza dell’ambiente famigliare. Nel 1817 inizia la corrispondenza con il letterato piacentino Pietro Giordani, che risulterà fondamentale incoraggiandolo continuamente, ed inizia a stendere i primi appunti per il futuro Zibaldone. Si innamora per la prima volta di una cugina da cui scrive il Diario del primo Amore dove analizzerà con stupefatta finezza psicologica gli effetti che questo provoca nel suo animo. Rompe completamente con le posizioni reazionarie cattoliche della famiglia e inizia a elaborare un pensiero ordinato, originale e coerente con la sua formazione. Nel 1819 tenta la fuga da Recanati ma viene scoperto e cade in un abbattimento che lo porta ad una brutta malattia agli occhi che ne minerà l’esistenza. Tra il 1819 e il 1822 continua a stare quindi a Recanati subendo le pressioni della famiglia che lo vuole avviare alla carriera ecclesiastica, mentre in lui si sviluppa la cosiddetta "conversione filosofica", ovvero l’adesione ad una concezione materialistica e atea. La sua poesia elabora due filoni: la poesia degli idilli e la poesia impegnata delle canzoni civili. Nel 1822 riesce ad andare a Roma dagli zii, ma l’esperienza è alquanto deludente, sia in campo artistico sia per quanto riguarda l’ambiente letterario, stimolante solo nei rapporti con studiosi stranieri come Niebhur e Von Bunsen. Così torna a Recanati dopo 5 mesi (1823) e il suo pensiero, da materialistico-disincantato arriva addirittura ad un combattivo pessimismo: da qui darà un provvisorio addio alla poesia, che riprenderà fortunatamente tra qualche anno. Nel 1824 inizia le Operette Morali dove critica l’ottimismo del suo tempo e contrapponendogli il proprio pessimismo. Nel 1825 va a Milano dove lavora ad alcuni progetti editoriali dell’editore Stella e vivacchia tra Milano e Bologna con non poche difficoltà a trovare lavoro. A Bologna si innamora di Teresa Carniani Malvezzi. Nel 1826 si trasferisce a Firenze dove però frequenterà un ambiente cattolico moderato a lui distante essendo un antiromantico. Nel 1827 vengono pubblicate le Operette Morali e lui si trasferisce ancora una volta: va a Pisa. Qui troverà un ambiente sereno che lo riavvicina alla scrittura poetica e dando come frutti le poesie "A Silvia" e "Il Risorgimento" (1828). Non potendosi mantenere torna per l’ultimo breve periodo a Recanati (1828-1830) prima di partire definitivamente, invitato dagli amici e Firenze a spese loro. Ma non è l’ultimo viaggio: diventato molto amico di Antonio Ranieri va a vivere con lui a Napoli (1833), mentre si è di nuovo innamorato, stavolta di Fanny Targioni Tozzetti che lo ispirerà per la stesura del "Ciclo di Aspasia". A Napoli le sue condizioni di salute peggiorano proprio mentre il suo desiderio di intervenire nel dibattito culturale si fa sempre più forte. Critica il mito del progresso e la fiducia nella scienza e nella tecnica. Assieme ai due si trasferisce la sorella di Ranieri, Paolina, che ne rende meno doloroso l’isolamento, e i tre si sposteranno infine ai piedi del Vesuvio, per sfuggire ad un epidemia di colera, dove Leopardi comporrà gli ultimi suoi versi (Il Tramonto della Luna e La Ginestra o fiore del deserto). Infine, il 14 giugno 1837 giunge la sua morte dopo un ulteriore peggioramento delle precarie condizioni fisiche e un altro trasferimento a Napoli. Il suo epitaffio fu dettato da Pietro Giordani in persona mentre i resti ora giacciono a Mergellina dove si reputa sia sepolto anche il poeta Virgilio.

 

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