Il racconto di nonna Rosa

Era l'epoca in cui gli anni non si contavano, ma venivano definiti in base a qualche accadimento importante o particolare.

Quell'anno il raccolto fu distrutto completamente dalle cavallette e venne chiamata, l'anno "de su pibitziu", preceduto da un altro anno detto "de sa siccidadi ", perché nessuno aveva raccolto niente, in quanto la mancanza d'acqua aveva completamente distrutto i raccolti.

Era un periodo in cui la gente per poter sopravvivere si inoltrava nel bosco per raccogliere ciò che esso dava. Si raccoglievano corbezzoli, si andava a caccia e le prede erano abbondanti: cinghiali, capre selvatiche, uccelli, lepri, cacciagione varia.

Nello stesso periodo, al limite del bosco, si era verificato qualcosa di nuovo: l'arrivo di un gruppo di Mori, che si erano stabiliti nella zona di "Mogurus", che vuol dire nuraghe.

I Mori non vennero accolti con grande entusiasmo e avevano una gran paura dei locali, che a loro volta erano terrorizzati all'idea che i Mori venuti potessero portarli via l'unica risorsa che gli proveniva dal bosco.

I Mori tutte le notti accendevano dei grandi fuochi, forse per riscaldarsi o per illuminare il loro territorio e così tenerlo sotto controllo.

Una notte una bambina mora, affascinata dai fuochi che si riflettevano in un laghetto che stava sotto il costone del nuraghe attorno al quale la sua gente si era accampata, si mise a giocare saltellando ai bordi del laghetto.

I fuochi che si specchiavano sull'acqua, alla bambina in continuo movimento sembravano moltiplicarsi.

Completamente immersa nel gioco, la bambina senza accorgersene si allontanò di molto dall'accampamento, così presa com'era dalla ricerca di un punto di vista ideale per godere dello spettacolo che aveva scoperto.

Percorse molta strada, quando si fermò a contemplare quella magia di luci che si riflettevano sul laghetto. Ad un certo punto, forse per la stanchezza, catturata dal sonno si addormentò, sognando quella stessa meravigliosa visione.

Prima dell'alba i cacciatori del paese di Escolca si avventurarono verso il nuraghe attraversando il bosco.

Nel bosco, sia i battitori che i cacciatori riuscirono a stanare il cinghiale. All'abbaiare dei cani e al rumore infernale che facevano i battitori la bambina si svegliò.

Terrorizzata, invece di scappare verso l'accampamento della sua gente, disorientata, si diresse da tutt'altra parte, penetrando nel bosco, dove paralizzata dal frastuono dei battitori e dall'abbaiare dei cani, vinta dalla stanchezza e dalla fame cominciò a piangere disperata e a gridare.

Le sue grida vennero sentite dai battitori e dagli stessi cacciatori, che, sorpresi, abbandonarono la preda per dirigersi verso il luogo da cui provenivano le grida ed il pianto della bambina.

Venne immediatamente soccorsa e confortata e ad uno dei battitori venne ordinato di accompagnarla giù nel paese in groppa ad un cavallo.

La bambina venne portata a casa de "su Majori", il quale, già sveglio, ebbe l'accortezza di fare un'ottima accoglienza alla bambina.

La piccola moretta, rassicurata dalle premure di quella gente,non ebbe più paura e stette lì ad aspettare, senza comprendere bene quanto stava accadendo.

Nel frattempo il Majore decise di inviare quello stesso battitore che aveva accompagnato la bambina a casa sua presso il vicino convento della Madonna delle Grazie, tenuto dai frati Trinitari, a cui, in realtà apparteneva il territorio in cui si erano stabiliti i Mori.

Il battitore bussò al convento, ebbe aperta la porta e raccontò il fatto.

I frati si interessarono subito alla questione.

Preso un altro compagno, il padre superiore si diresse al nuraghe. I Mori fecero loro buona accoglienza, anche perché avevano già abbracciato la religione Cristiana. Bisogna dire che quei Mori non venivano direttamente dall'Africa, ma da altri gruppi che già risiedevano in Sardegna.

Insomma, il padre superiore incontrò il capo dei Mori e raccontò quanto si era verificato. La bambina trovata nel bosco dai cacciatori era proprio la figlia del capo dei Mori, già disperato per la sua scomparsa.

Il frate, contento di aver portato tra quella gente una lieta novella, propose al capo della comunità mora che lui ed il suo seguito scendessero ad Escolca per riprendersi la bambina.

Il Majore di Escolca fece un'ottima accoglienza al capo dei Mori ed al suo seguito. Il padre della bambina, profondamente colpito dall'inaspettata ospitalità delgli escolchesi, poté riabbracciare la sua bambina.

Questo fatto creò l'opportunità per avvicinare le due comunità, che fino ad allora erano rimaste separate e diffidenti l'una nei confronti dell'altra.

Venne organizzata una festa a cui parteciparono gli Escolchesi ed i Mori. Fu una festa che durò diversi giorni in cui si strinsero amicizie e vennero stabiliti accordi e patti che portarono successivamente alla fusione delle due comunità.

Il tempo passò e questa fusione divenne completa quando la figlia del capo dei Mori, divenuta una bella ragazza, si sposò con il figlio de "su Majori" di Escolca.

Questa storiella mi venne raccontata da mia nonna Rosa, mentre tesseva al telaio; aveva circa 70 anni ed io ero un bambino di circa 8-10 anni.

Alberto Cadoni

 

Su contu de tzia Antonietta

Si racconta che un giorno un uomo diretto al lavoro nelle campagne vicino al villaggio di San Simone, mentre attraversava il fiume in piena, venne trascinato dalla corrente e stava per affogare, quando gli apparve un vecchio con la barba che lo salvò. Quando l’uomo si voltò per ringraziare il suo salvatore il vecchio era scomparso.

Si dice che il misterioso salvatore fosse San Simone

Questa storia si è tramandata di generazione in generazione.

Sig.ra Antonietta Porru

 

La leggenda di San Simone

I fatti che si raccontano narrano di una comunità di Mori abitanti del villaggio di San Simone e del paese di Escolca .

I Mori decimati dalla pestilenza , avevano dovuto abbandonare il loro villaggio in cui si erano stanziati e chiesero aiuto ai paesi vicini che gli rifiutarono. Solo il paese di Escolca gli ospitò e i Mori riconoscenti gli offrirono il loro territorio. Però gli abitanti di Mandas non accettarono questa situazione e cercarono in ogni modo di disturbare in ogni modo gli escolchesi. Stanchi di questa lotta si decise che sarebbe stato il Santo a decidere di chi sarebbero stati quei territori. Si decise che la statua venisse messa sopra un carro, a cui venne aggiogato sulla sinistra un bue di Escolca e sulla destra un bue di Mandas. Il carro venne lasciato verso le due direzioni dove i buoi avrebbero potuto condurre il carro. Il bue di destra, nel tentativo di voler andare verso il suo paese, con un grande strappo spezzò il punto in cui si formano i due rami del giogo e si diresse da solo verso Mandas, abbandonò il carro del santo e lasciando che il bue di Escolca si introducesse nella stradina ai piedi de "su Nuraxi Mannu" e potesse portare il carro a Escolca. Il carro venne trasportato fino a Escolca. Il paese di Mandas, volle che la processione e i festaioli che andavano a festeggiare San Simone passassero per Mandas. Gli abitanti di Mandas dopo aver rinunciato alle loro pretese sono diventati devotissimi di San Simone.