C O
R N E
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(oggi Tarquinia) E T
R U
S C
A ?
Corneto
Etrusca?
Non dovrebbe essere privo di importanza il fatto che il Ponte di Bernascone, dal
quale partivano tutte le sopra menzionate strade per il sud, non era
direttamente collegato al colle di Tarquinii,
ma a quello attiguo che noi chiameremo Cornetum. Proprio sotto Cornetum, sulla attuale Via Aurelia,
c’era poi l’altro ponte romano che garantiva
i collegamenti sia con le strade che andavano al ovest lungo la costa, sia con
quelle che, attraverso la valle della Marta,
conducevano nell’Etruria interna e settentrionale.
Già Hugh Hencken, esaminando l’insieme delle strade
tarquiniesi, notava che mentre la via Latina <<andava direttamente verso
l’interno partendo dall’antica città (Tarqunii),
la comunicazione con la costa passava
sopra i Monterozzi (Cornetum) e attraverso la odierna
Tarquinia (Corneto) che è come una via di
congiunzione e un punto strategico costruito sulla sommità dalla quale si
poteva dominare il mare dall’alto>>[1].
Lo studioso americano, inoltre, dopo aver rilevato
l’esistenza di documenti archeologi risalenti sia all’età del ferro che a
quella etrusca e romana, ha ipotizzato che <<la moderna città potrebbe
essere stata un luogo antichissimo>>.
Ha poi aggiunto che, a preferenza del più grande, ma meno accessibile
vicino colle di Tarquinii,
<<il sito della presente Tarquinia, posto sullo sperone di Monterozzi,
potrebbe essere stato un luogo importante che divenne l’anello di congiunzione
delle strade che conducevano sull’Aurelia ed altrove>>[2].
Tutta
la collina è cosparsa di villaggi
e necropoli dell’età del Ferro. Alcuni resti di mura, l'esistenza di un
tempietto extraurbano e di un acquedotto di tipo etrusco nel sottosuolo della
città, nonché il fatto che l’antica viabilità era centrata sul colle di Cornetum, portarono il Pasqui[3]
ed altri studiosi a ritenere che questa fosse la sede più antica di Tarquinii.
Questa tesi fu demolita dagli argomenti del Cultrera e del
Pallottino, ma fu lo stesso Pallottino a ipotizzare che sul luogo fosse
tuttavia esistito un centro premedioevale diverso da Tarquinii; anzi, nel 1978, egli ha poi rivalutato gli studi del
Pasqui, ed ha auspicato <<una verifica da rigorose ricerche attuali, se
ancora possibili>>[4].
A
nostro avviso, il fatto che le antiche strade confluissero primariamente sul
colle di Cornetum,
piuttosto che su quello della vicina Tarquinii,
richiama alla mente, la funzione di
centro di riunioni federali che i colli e la città di Corythus
o Corinthus (Cornetum?) assumono nella tradizione virgiliana (vedi ultra).
Nel
1004, l’abitato medioevale fino ad allora chiamato<<torre di Corgnito
(turris de Corgnitus)>> si amplia ed assume la qualifica di
Castello di Corgetu[5].
La forma particolare Corgetus e Corgitus
del nuovo nome dato al recente castello apparirà per nove volte fra il 1004 e
il 1018, nei Documenti Amiatini. Nel
1006, la torre e il castello di Corgitus
vengono chiamati <<vico del castello e torre di Corgetu>>[6].
Dal 1011, troviamo espressioni come <<castello della torre di Corgnitus
che è chiamato Civita (Città)>>[7],
oppure <<castello che si chiama Civitas
di Corgnito>>[8].
Tutto ciò non vuol dire che, a partire dal 1011, Corneto abbia assunto la
qualifica di Civitas. Infatti, già
dal 1014, il luogo è ridefinito a volte vico, altre castello o torre. In alcuni
documenti riapparirà la denominazione di Civitas;
che però scomparirà presto e definitivamente già dallo stesso XI sec. .
L’abitato sarà eretto veramente a Civitas
solo nel 1435 quando diverrà sede di diocesi. Civitas era, infatti la denominazione che nel Medioevo veniva data
solo alle sedi od alle ex sedi vescovili, oppure agli avanzi di città di epoca
etrusco-romana. E’ però pensabile che negli anni attorno al 1000, il vico e
il castello di Corgitus si siano estesi su un’area che, per la presenza
di resti etrusco-romani, era già
denominata Civitas. Stefano Del Lungo ipotizza che la zona <<coincida con
il luogo dove nella tarda antichità i vescovi di Tarquinia hanno edificato una
chiesa o comunque una sede di appoggio, nella quale spostarsi in particolari
momenti dell’anno senza dover necessariamente recarsi a Graviscae>>.
Del Lungo sostiene infatti, a ragione, che il vescovo della diocesi di Tarquinii sia stato in taluni momenti lo stesso di quella di Graviscae[9].
Ma, poiché è paradossale che, nell’XI sec., Corgnitus
(che non era diocesi) era denominato
Civitas mentre Tarquinii (che era
stata diocesi) era definita castrum,
è anche ipotizzabile che, nel tardo impero, Corgnitus,
che era in mezzo fra Tarquinii e Graviscae,
ed era al centro delle grandi vie di comunicazione, fosse stata
la residenza di fatto, se non la sede stessa, del vescovo della diocesi
di Tarquinii e Graviscae. Nel Castello, dentro la chiesa di Santa Maria (XII
sec.), sono state trovate lapidi di sepolture cristiane di epoca romana,
reinserite nella costruzione. Dietro la chiesa è stato rinvenuto un cimitero
cristiano di epoca più antica. E la chiesa stessa è prossima a precedenti muri
di grosse dimensioni poggiati sulla roccia[10].
La contemporaneità, infine, di documenti che denominano Civitas il castello di Corgnitum,
e di altri che lo chiamano Corgitus
(da Corythus?)[11],
ci fa pensare che quest’ultima possa essere stata la forma medioevale del nome
portato dall’antica civitas. Nel
1224 è attestata la variante *Crugentus
(da Corinthus?)[12].
Paolo Perugino (1280? – 1348) e Giovanni Boccaccio sostenevano, infatti, che
il castello di Cornetum corrispondeva
alla virgiliana etrusca città di Corythus
(o Corinthus) patria di Dardano
capostipite dei Troiani[13].
In
una serie di precedenti lavori, ai quali rimandiamo, abbiamo assunto la
testimonianza del Perugino e del Boccaccio come ipotesi di lavoro; e, a tal fine
abbiamo condotto una lunga ricerca durante la quale abbiamo riletto l’Eneide
di Virgilio, e gli antichi commenti al poema di epoca romana, siamo andati a
scandagliare gli antecedenti mitologici dei personaggi di Corito e di Dardano,
ed abbiamo confrontato miti, leggende e la stessa Eneide
con i moderni ritrovamenti archeologici. I risultati sono stati via via
pubblicati nelle opere elencate in nota[14].
In esse abbiamo riproposto la tradizione medioevale perché l’abbiamo trovata
in linea con gli antichi commenti di epoca
romana, coerente con l’universo mitologico e con la geografia dell’Eneide,
e produttiva per la comprensione di alcuni passi oscuri del poema.
Corito,
Virgilio e i Micenei. Il nome <<Co-ri-(n)to>>
è presente nelle Tavolette micenee, e
pare che non sia riferibile alla città greca di Corinto, ma a un luogo non
ancora identificato[15].
Esistono documenti archeologici che testimoniano come, a
partire dal XIV sec. a.C., i mercanti micenei dalla Grecia siano venuti a
sbarcare sulla spiaggia della futura lucumonia tarquiniese, ed abbiano risalito
la valle del fiume Mignone almeno fino a Monte Rovello (Allumiere), a Luni
(Monte Romano) e a S. Giovenale (Blera)[16].
Nella stessa Tarquinia è stato rinvenuto uno specchio miceneo del XIII-XI sec.
a.C.[17].
Dal suo canto, Micene presenta reperti archeologici che testimoniano la presenza
di maestranze venute dall'occidente[18].
Le leggendarie scambievoli migrazioni di popolazioni tirreno-pelasgiche fra Corinto
d'Etruria e il bacino orientale del Mediterraneo, cantate da Virgilio,
potrebbero dunque essere il riflesso di antichissimi
contatti[19].
Pare, del resto, che anche un’altra iscrizione micenea, ataro (Aitalia? = Elba) turupteija ono, possa essere riferita a
contatti fra il mondo miceneo e l’Etruria[20].
Le necropoli di Tarquinii nell’età del ferro e nell’orientalizzante
1)
Poggio Selciatello (78 tombe). Sul luogo sono stati trovati frammenti fittili del’età del Bronzo
finale (fine XI sec.). La maggior
parte delle sepolture appartiene alla prima età del Ferro (X-IX sec.); ma, nelle zone marginali, se ne trovano di appartenenti
alla fase recente del primo ferro (ca. 750-700).
2)
Poggio Sopra Selciatello (204 tombe). Qui
predominano le tombe della fase iniziale del primo Ferro (X-IX
sec.), ma sono presenti anche numerosi resti riferibili alla fase recente
del primo ferro (ca. 750-700).
3)
Poggio Dell’Impiccato (110 tombe).
Sono presenti strutture cimiteriali quasi tutte attribuibili alla prima età del
Ferro (X-IX sec.). Ricerche di
superficie, effettuate nel settore nord-orientale del poggio, hanno evidenziato
materiale assegnabile quasi totalmente alla fase recente del primo ferro (ca.
750-700).
4)
Poggio Della Sorgente. Ha
restituitouna poche sepolture comprese tra la fine
del IX e gli inizi dell’VIII sec. a.C. , e una maggioranza di tombe
appartenenti alla fase recente del primo Ferro ed alla fase orientalizante
(VII sec.).
5)
Poggio Quarto DEgli Archi I. La
sua necropoli ha restituito in superficie numerosi reperti della fase recente
del primo Ferro e dell’età orientalizzante arcaica (fine VIII-inizi VII sec.).
6)
Poggio Quarto Degli Archi II. Presenta
solo poche sepolture della fase recente del primo ferro (ca. 750-700) e dell’età orientalizzante (VII sec.).
7)
San Savino.
Le testimonianze vanno da alcuni reperti risalenti al Bronzo
finale avanzato fino alle fasi
iniziali e recenti della prima età del Ferro (ca. 750-700).
8)
Civitucola. Ricerche di superficie hanno reperito frammenti del Bronzo
finale e della prima età del Ferro
iniziale (X-IX sec. a.C) e recente (ca. 750-700).
9)
Poggio Gallinaro. La
necropoli presenta sepolture che dal Bronzo
finale vanno alla fase antica del
primo Ferro sino alla fase recente
ed all’età orientalizzante. Assume
importanza particolare soprattutto fra
l’VIII ed il VII sec..
10)
Poggio Cretoncini.
La sua piccola necropoli è stata individuata da A. Mandolesi nel 1989 per il
ritrovamento in superficie di pochi frammenti appartenenti alla fase
recente del primo Ferro[21]
(ca. 750-700).
11)
Orsetto.
Sul terreno sono affiorate solo testimonianze del primo
Ferro recente (ca. 750-700).
12)
Le Bottine.
Sul terreno sono stati trovati reperti appartenenti solo alla fase
recente dl primo Ferro (ca. 750-700).
13)
Macchia Della turchina-Nasso.
La necropoli appartiene all’inizio del
periodo orientalizzante (fine VIII-
inizi VII sec.).
Solo
la piccola necropoli di Poggio Cretoncini, testimoniata dagli sporadici
frammenti di superficie trovati sul luogo da Mandolesi, pare che limiti la sua
esistenza alla fase iniziale del primo Ferro. Nella
fase recente del primo Ferro (ca. 750-700), le necropoli orientali di Poggio
Selciatello, Poggio Sopra Selciatello e Poggio dell’Impiccato presentano
un’estensione pari (Impiccato) o inferiore a quella della fase iniziale. In
contemporanea, tuttavia, si sviluppano, sullo stesso allineamento di questi
poggi, i sepolcreti recenti di Poggio della Sorgente (che si affiancano al
modesto nucleo della fine del IX e dell’inizio dell’VIII sec.), e la vasta
area cimiteriale della Macchia della Turchina-Nasso che appartiene alla fine
dell’VIII sec. (primo orientalizzante). Fra le necropoli protoetrusche più
vaste che perdurano fino all’orientalizzante, risalta in particolare Poggio
Gallinaro, che assume notevole rilievo proprio fra l’VIII e il VII sec. .
SITI PROTOETRUSCHI
DEL COLLE
DI CORNETO
a) Insediamenti
del colle di Corneto. Sul finire dell’800, sul colle di Corneto, a
Ripagretta,
furono scoperte due tombe con
loculi sotterranei a pianta curvilinea e deposizione multipla di ossa, che
richiamano il tipo di tombe a forno conosciute nelle necropoli sicule di età
eneolitica od enea[22].
Sul declivio di Ripagreppa, Massimo Pallottino trovò poi un’ascia levigata
assegnabile alla stessa epoca. Altri materiali della medesima età, come punte
di frecce scheggiate, erano state rinvenute qua e là sulla collina. Il
Pallattino ha già rilevato come i due sepolcri e i relativi manufatti litici
siano indicativi della presenza di un abitato eneolitico ed attestino
l’esistenza sulla collina di Corneto di fasi di vita precedenti in Etruria la
prima età del ferro[23].
Presso il fontanile detto Trocche
di Casalta (frequentato anche in epoca etrusca), in località
Pisciarello, sono stati raccolti in superficie reperti che risalgono al Neolitico
ed all’antica e media età del
Bronzo. Sono stati anche segnalati frammenti
sub-appenninici in prossimità del Casale del Piasciarello. Sulla sommità
della appendice meridionale del pianoro, l’età dei reperti scende sino al Bronzo
recente e finale[24].
Anche nell’area del Castello
di Corneto, sotto la cosiddetta Ripa, nei pressi della via che dal
Mattatoio conduce all’Ortaccio, pare sia stato individuato un giacimento
preistorico contenente oggetti di industria litica, resti faunistici di età
paleolitica e neolitica, nonché frammenti ceramici di cui uno con
decorazione appenninica della media età
del Bronzo[25]. Lungo tutti i fianchi e
i pendii del pianoro di Castello si è poi trovato che le strutture medioevali
poggiano su strati protostorici. Fra i materiali rinvenuti, alcuni <<sono
forse databili alle fasi più antiche dell’età del bronzo mentre altri
dovrebbero scendere all’età del ferro>>[26].
Sono stati infine trovati anche <<materiali sporadici di età
orientalizzante-arcaica>>[27].
Gli scavi effettuati sul luogo sono stati purtroppo molto brevi, limitati e
certamente inadeguati rispetto alle potenziali implicazioni storiche offerte dal
luogo. L’attribuzione di materiali all’età del Ferro rimane, pertanto,
dubbia; ma la mancanza di elementi certi per un’età intermedia tra Bronzo ed
orientalizzante, può dipendere dai limiti occasionali delle esplorazioni, tanto
più comprensibili nel caso di una zona che ha subito, nei secoli, tante e
profonde ristrutturazioni.
All’età del Bronzo finale dovrebbe appartenere il
villaggio del Calvario. Si tratta del
più vasto insediamento umano del comprensorio tarquiniese, ma è stato
esplorato per soli due ettari. Ha restituito finora una trentina di capanne
alcune a pianta ovale (ca mq. 80), altre, più numerose, rettangolare (ca mq.
35), distanti fra loro dai 4 ai 20 metri. Si è supposto che le capanne
potessero ospitare dai 4 ai 10 occupanti, e che il villaggio, nel suo intero
sviluppo, ne contenesse un migliaio (R. Peroni). Secondo Giovanni Colonna, la
struttura delle capanne ovali del Calvario presenta analogie con quella delle
capanne del Bronzo Finale di San Giovenale, Luni sul Mignone, Narce e Sorgenti
della Nova; le capanne rettangolari apparterrebbero invece all’età del Ferro[28].
Pare, tuttavia, che nessuno dei rari e slavati frustuli
ritrovati sul luogo possa risalire all’età del Bronzo. Alcuni non sono
inquadrabili cronologicamente; degli altri, la maggioranza è da attribuirsi
alla prima età del ferro; un frammento, poi, di piatto, ed alcuni ritrovati
nelle capanne rettangolari farebbero pensare ad un momento poco più avanzato[29].
Comunque, poiché le abitazioni ovali del Calvario hanno la struttura di quelle
dell’età del Bronzo finale, non si può escludere ch’esse risalgano a
quell’età, oppure che la loro tipologia sia dovuta al protrarsi, sul luogo,
fino all’età del Ferro, della tradizione costruttiva del Bronzo finale. Il
che vuol dire che l’esistenza del villaggio potrebbe risalire al tempo del Bronzo finale e protrarsi fino a un momento avanzato del primo Ferro. Il Pallottino ne pone il termine
non oltre il 750 a.C.
[30].
Gilda Bartoloni sostiene, invece, che la fine del Calvario abbia coinciso con
quella delle fase protostorica delle
Arcatelle (fine VIII sec.)[31].
Si tratta del più esteso villaggio rinvenuto nella regione; ed
è opportuno rilevare che esso non si trova né sul pianoro né sui Poggi
di Tarquinii, bensì sul colle di Corneto.
Dislocati sulla stessa altura, troviamo radi
nuclei abitati dell’età del primo
Ferro, decentrati rispetto al grande villaggio del Calvario. Finora, sono
state individuate le aree
insediative dell’Infernaccio[32],
dell’Acquetta[33]
e forse quella della Doganaccia[34].
Un’altra dovette esistere sul luogo della futura città di Corneto perché ne
conosciamo la relativa necropoli in località Le Rose. Potrebbe però trattarsi
dello stesso insediamento di Castello, del quale abbiamo già parlato. Non
sappiamo quanto grande esso fosse stato durante il Bronzo finale, né siamo
certi che perdurasse nell’età del ferro. Alcuni materiali trovati sul luogo scendono tuttavia fino al periodo
Orientalizzante (VII sec.a.C.), per cui la mancanza di elementi certi per
un’età intermedia tra Bronzo ed Orientalizzante, potrebbe
dipendere da circostanze fortuite, tanto più comprensibili nel caso di
una zona sottoposta, nelle varie epoche storiche, a profonde alterazioni
strutturali.
Da Castello alla Fontanaccia, l’area coperta è di quasi 150
ettari, pari a quella occupata dai villaggi del pianoro di Tarquinii. Sembra che gli insediamenti di Tarquinii siano molto più fitti, ma nessuno di essi presenta
l’estensione del Calvario dell’altura di Corneto. Si tratta del più esteso
villaggio della regione, ed è probabile che avesse un ruolo preminente non solo
nei riguardi degli altri abitati del colle dove sorgeva, ma anche su quelli del
pianoro della futura Tarquinii. Si
trovava infatti, in posizione geografica dominante non solo (a nord est) la
valle del San Savino dinanzi alla collina di Tarquinii, ma (a sud ovest) il mare; ed era al centro di quelle che
saranno le principali vie di comunicazione di epoca storica (vedi cap. I).
L’ipotesi del primato degli abitanti dell’altura di Corneto rispetto a
quelli del pianoro di Tarquinii si
configura non solo per l’imponenza del villaggio del Calvario, ma
per la ricchezza e la varietà dei modelli rinvenuti nelle sue necropoli,
soprattutto in quelle delle Arcatelle e de Le Rose (vedi oltre). Verosimilmente,
già dalla fine dell’età del Bronzo, vari mercanti che intendevano
affacciarsi con facilità al mare andarono dal colle di Tarquinii
a incrementare quello di Corneto, ma anche genti nuove venute dalla valle del
Mignone e dai Monti di Tolfa.
b)
Insediamenti marini dinanzi al
colle di Corneto. Al centro della vasta pianura compresa fra la
collina di Corneto e il mare, si trovava l’insediamento del Fontanile
delle Serpi. I reperti trovati appartengono a un momento
tardo del Bronzo finale e fors’anche all’inizio
della prima età del Ferro[35].
Sul mare, dinanzi al colle di Corneto, nell’area
attorno al futuro porto di Gravisca sono stati rinvenuti fittili protostorici fra cui un
frammento appartenente forse alla tarda
età del Bronzo. All’interno poi di alcune vasche vuote delle ex Saline
di Stato, per una lunghezza di circa un chilometro sulla costa ed
un’estensione di almeno 60 ettari, sono stati trovati materiali assegnabili
genericamente alla prima età del Ferro
e forse al periodo orientalizzante[36].
All’eneolitico
ed alla media età del Bronzo
apparterrebbe, invece, l’insediamento di Pian
di spine, posto sulla marina , un paio di chilometri dalla riva
destra della foce della Marta[37].
Non ne possediamo reperti dell’età del ferro.
Nella zona, in epoca storica sorse il porto di Maltano.
Il nome ricorda quello del mitico re Maleo
o Maleoto o Malteo, il quale da questa regione, secondo vari autori antichi,
come Strabone e altri, avrebbe condotto una migrazione etrusco-pelasgica
in Grecia e nelle isole egee[38].
c)
Necropoli relative al colle di
Corneto. In relazione coi centri abitati, la zona abitata del colle
di Corneto era coronata da una serie di necropoli quasi esclusivamente
assegnabili alla fase iniziale della prima età del Ferro.
La
necropoli de “le rose”. Allo
stanziamento del Castello di Corneto o di altro eventualmente rintracciabile
entro il perimetro della futura città, è stata assegnata la necropoli trovata
in località Le Rose sulla parte terminale del pendio del colle fuori le
mura della attuale Barriera S. Giusto. Sono state identificate 85
tombe di cui 78 ad incinerazione
appartenenti alla prima età del Ferro, e
7 ad inumazione del periodo
orientalizzante. E’ stato notato che alcuni elementi decorativi del materiale
ivi trovato non presentano analogie con quelli dei sepolcreti dei Poggi
orientali , ma sono invece comuni alla necropoli delle Arcatelle ed a quelle di
numerose altre località etrusche come Bologna, Vulci, Veio e Pontecagnano[39].
La cosa è indicativa della maggiore vivacità culturale e della maggiore
capacità di contatti esterni degli stanziamenti dell’area di Corneto rispetto
a quella del pinoro di Tarquinii.
Convento di S. Francesco. Alcune
decenni fa, a Tarquinia, voci incontrollate parlavano di tombe dell’età del
Ferro trovate furtivamente in città nel terreno del Convento di S. Francesco.
Ciglio
del Bovo. Si è parlato anche del ritrovamento clandestino di sepolture delletà
del Ferro sul ciglio del colle sopra la Macchia del Bovo.
La
Necropoli delle Arcatelle.
Dagli scavi
iniziati nel 1881 sull’altipiano di Corneto, in località Arcatelle, sono
venute alla luce più di 300 tombe.
Da quel che possiamo rilevare dai vecchi bollettini, le sepolture della fase
iniziale del primo Ferro (X-metà VIII sec.), molto fitte e in gran parte
comunicanti, si trovavano sulla parte più alta del luogo. Quelle della fase
recente del primo Ferro (750-720/700 a.C.), prevalentemente ad inumazione,
coprirono un’area vasta fin presso i Primi Archi, dove la celebre Tomba del
Guerriero (720/700 a. C.) ne segna forse l’estremo limite settentrionale. E’
la più vasta ed importante necropoli della
regione; e, come il grande villaggio del Calvario, si trova anch’essa
significativamente sul colle di Corneto. La distanza
fra i due luoghi è più o meno pari a quella che corre fra i sepolcreti
orientali e gli abitati del pianoro della Civita. Dopo il 700 a.C., con il
periodo orientalizzante, la necropoli si estese ad est fino ai Secondi Archi; e, durante e il VI sec. , raggiunse la località Calvario
dove sommerse gli avanzi dell’omonimo grande villaggio disabitato già dalla
seconda metà dell’VIII sec. a.C., ed inglobò vecchie tombe del VII sec.
Villa Falgari. All’inizio
della Via dell’Acquetta, fuori villa Falgari, durante lavori effettuati nel
1998, sono emerse circa 114 tombe di
cui 110 circa ad incinerazione
(appartenenti alla fase iniziale del primo Ferro) e 4 a fossa dell’inizio del periodo recente della prima età del
Ferro e del periodo orientalizzante più antico[40].
Nel 2000, all’interno della villa sono state recuperate altre e 20 tombe circa.
Dentro la stessa villa, sui poggi che ne limitano a nord e a
sud l’area pianeggiante, già dal 1969 erano state rinvenute 5 tombe orientalizzanti (la più antica risale al 700
a.C., la più recente al 630-610 a.C.),
più 2 tardo-arcaiche (ca. 400
a.C. e ca. 50 a.C.)[41].
Acquetta. Il sepolcreto relativo all’insediamento
dell’Acquetta è stato individuato da Mandolesi nel 1989 per il ritrovamento
di resti di materiale sepolcrale sparsi in supercficie. I reperti raccolti
attestano uno sviluppo della necropoli limitato alla fase iniziale del primo Ferro[42].
Fontanaccia. Piccola necropoli in località Casale Fontanaccia a
valle della strada provinciale dei Monterozzi, alla quale compete la cosiddetta
tomba Romanelli 66. I reperti sembrano appartenere a un momento avanzato della fase
iniziale della prima età del Ferro, ed all’inizio
di quella recente[43].
4. Diversità
fra i sepolcreti di Corneto e quelli di Tarquinii. E’ stato notato
che gli abitanti dei villaggi dell’area di Corneto hanno depositato nelle
tombe delle loro necropoli
materiali non solo più vari e più ricchi, ma anche più innovativi, e talora
unici rispetto a quelli depositati
dagli abitanti del pianoro di Tarquinii
nei sepolcreti dei poggi. Evidentemente, i primi erano più aperti dei secondi,
e con ciò più attivi e determinanti verso l’esterno.
Come lo studioso americano Hugh Hencken ha acutamente
osservato, i sepolcreti orientali dei poggi di Tarquinii
rimasero sempre legati a vecchi costumi mentre la grande necropoli delle
Arcatelle fu un <<sepolcreto alla moda>> e rappresentò un
<<avanposto di mutamenti>> fin dal periodo iniziale del primo Ferro.
Nel periodo recente (750-700 a.C), poi, dice lo Hencken <<divenne il
centro di innovazione delle usanze funerarie […]. La grande novità di questo
periodo fu l’inumazione […]; e più di un terzo di tutti i sepolcri di
questo periodo fu ad inumazione, ma la stragrande maggioranza di queste
inumazioni avvenne alle Arcatelle […]. Nello stesso periodo la cremazione
rimase la voga favorita, specialmente nei cimiteri orientali>> [44].
Valeria D’Atri, a sua volta ha evidenziato che i pozzi
comunicanti trovati nel nucleo più antico delle Arcatelle non trovano riscontro
nei sepolcreti dei Poggi,
bensì in quelli di Vulci e di Cerveteri. Alle Arcatelle, inoltre,
dice la D’Atri, <<si nota una grande varietà tipologica degli oggetti,
non riscontrabile negli altri sepolcreti tarquiniesi, e che in alcuni esemplari
si presenta con caratteri, allo stato attuale delle nostre conoscenze, di
unicità […]. Anche per la decorazione ci si è trovati in presenza di una
ricchezza ed esuberanza difficilmente confrontabili. Si è rilevato, ad esempio,
come alcune urne biconiche siano decorate non solo sulle consuete zone del collo
e della spalla, ma anche sul margine interno del labbro, e in un caso anche
all’esterno. A Tarquinia questo elemento decorativo non è attestato ai Poggi
orientali, secondo la documentazione fornita dallo Hencken, mentre si trova
nella necropoli “alle Rose”;
isolato appare a Bologna S. Vitale, Numana, Furbara, Pontecagnano. Sempre sulle
urne biconiche i motivi angolari contrapposti con il tratto inferiore
arrotondato, probabilmente antropomorfi, incisi al di sopra della o delle anse
(“figure sedute” dello Hencken), compaiono alle Arcatelle e nella necropoli
“alle Rose”; fuori Tarquinia li troviamo a Veio Quattro Fontanili e Valle la
Fata, e a Vulci. E ancora va segnalata la presenza di due elementi zoomorfi
incisi sulla parte superiore del collo di un’urna biconica, e sul bacino di
una grossa ciotola con alto piede troncoconico forato. Questi motivi nuovi per
il repertorio ceramico villanoviano, trovano attestazione nella bronzistica
coeva […]. Tra la fine della prima e l’inizio della seconda fase
villanoviana sembra, dunque, verificarsi un intenso sfruttamento della necropoli
testimoniato inoltre da una ricchezza materiale e da una varietà tipologia
superiori a quelle degli altri sepolcreti tarquiniesi: Lo stesso momento
cronologico è attestato anche da numerosi corredi di Selciatello Sopra e Poggio
dell'Impiccato, i quali, però, pur presentando un’articolata gamma tipologia,
sembrano qualitativamente inferiori a quelli delle “Arcatelle”>>[45].
Notevole è poi il caso dei tre cosiddetti “candelabri” di
derivazione cretese (“albero” di Fortetsa). Si tratta di esemplari unici dei
quali due sono stati trovati alle Arcatelle ed uno a Le Rose.[…]. Si rileva,
infine, la recente scoperta di fondi di capanne villanoviane di notevoli
dimensioni, sul colle dei Monterozzi, nella zona del “Calvario”, i quali per
la relativa vicinanza al sepolcreto in questione potrebbero risultare in
connessione con questo>>[46].
La
straordinaria documentazione archeologica emersa dalla
necropoli delle Arcatelle ci consente di seguire fin dall’inizio
dell’età del Ferro l’intero ciclo di sviluppo degli abitanti di un centro
protourbano, cosa che non avviene per gli altri sepolcreti protostorici del
Tarquiniese.
Questo
primato “cornetano” dovette esser favorito dal più facile controllo delle
grandi vie di comunicazione terrestre e marine, che si poteva esercitare dal
colle di Corneto. Questo era in posizione dominante tutta la prospiciente marina
e l’accesso dal mare alle valli del Marta e del Mignone per i commerci con
l’entroterra.
5. Il
momento recente della prima età del Ferro. Attorno alla metà
dell’VIII sec.a.C. ha inizio la colonizzazione greca delle coste tirreniche
dell’Italia meridionale ed il conseguente nascere delle prime città in
Italia. I contatti con le colonie greche segnano, in Etruria, il passaggio alla
fase recente dell’età Ferro. Nelle necropoli etrusche si assiste al passaggio
dal rito funerario ad incinerazione a quello ad inumazione.
In
questo periodo, sul colle di Tarquinii
si riscontra una fitta rete di villaggi, forse uniti in una federazione di tribù
precittadine, e la presenza di riti religiosi forse comuni. Su un vaso della
fine del secolo troviamo la più antica iscrizione etrusca che si conosca. Nelle
varie necropoli si riscontra una quantità di materiali dovuti a contatti con le
colonie greche; ma, rispetto alle città dell’Etruria marittima, come Cere e
Populonia, i sepolcreti dei poggi si attardano nel rito incineratorio.
Diverso
è il caso della necropli delle Arcatelle sul colle di Corneto. Dice Hugh
Hencken : <<A Tarquinia, il periodo che va dal 750 al 700 a.C., è in
realtà un momento di transizione fra il Villanoviano vero e proprio (fase antica del primo Ferro)
ed il Periodo III Orientalizzante>>. Quanto ai <<costumi funerari,
una difficoltà nel procedere in questo argomento è che la
grande necropoli dei Monterozzi (Arcatelle)
[ …] sembra essere stata un avamposto di mutamenti. Essa è sempre stata
chiaramente il cimitero alla moda, ed ora diventa il centro delle innovazioni
delle usanze funerarie. In questo stesso periodo, le necropoli orientali (dei
Poggi di Tarquinii) mostrano una maggiore aderenza ai vecchi costumi,
sebbene in modo meno osservante rispetto al passato. Ma alla fine del
Villanoviano II (cioè attorno al
700 a.C.) i cimiteri orientali caddero in disuso, mentre
l’importanza di quello di Monterozzi (Arcatelle) aumentò. La grande innovazione del Villanoviano II (fase
recente del primo ferro) fu l’inumazione, cioè la sepoltura di corpi non
cremati; e più di un terzo di tutti i sepolcri di questo periodo fu ad
inumazione. La stragrande maggioranza di queste inumazioni si verificò a
Monterozzi (Arcatelle) […]. Nello stesso periodo la cremazione rimase la voga
favorita delle esequie durante il Villanoviano II, specialmente nelle necropoli
cimiteri orientali>>[47].
Tuttavia,
nonostante la presenza di questo importante ed innovativo sepolcreto, non
abbiamo documentazione archeologica, per questo periodo, dell’esistenza sul
colle di Corneto di alcun consistente abitato né di altre necropoli. Lo stesso
grande villaggio del Calvario non sembra aver superato la metà dell’VIII sec.
a.C.. Gilda Bartoloni ritiene, però, che esso abbia utilizzato il sepolcreto
delle Arcatelle sino alla
fine del secolo[48].
Alessandro
Mandolesi sostiene che Le Arcatelle siano state utilizzate fino alla metà del
secolo dagli abitanti del Calvario, e da questo momento reimpiegate da quelli di
Tarquinii[49].
Mandolesi, però, lascia indefinite le motivazioni che avrebbero condotto ad una
così radicale trasformazione, né considera che i corredi delle Arcatelle erano
stati fin da principio e rimasero più vari e più ricchi di quelli dei Poggi di
Tarquinii, né tiene conto del fatto
che nello stesso periodo in cui sui Poggi si continuava a praticare
l’incinerazione, alle Arcatelle si praticava il nuovo rito funerario
dell’inumazione. Dovremmo, dunque, spiegarci
·
perché
mai coloro che risiedevano sulla altura di Corneto abbiano abbandonato le loro
sedi e i loro sepolcreti,
·
e perché
mai gli abitanti dei vari villaggi del pianoro di Tarquinii da un lato abbiano continuato a praticare
l’incinerazione nelle loro relative necropoli dei poggi, e dall’altro
sarebbero invece andati a praticare
il nuovo rito dell’inumazione proprio nel cimitero che sarebbe stato
abbandonato dai “Cornetani”.
Bruciare
una salma perché l’impurità della carne perisca, e l’anima si liberi,
oppure sotterrare un cadavere con il suo corpo intatto perché si disfaccia nel
grembo della madre terra, o chiuderlo addirittura in un sargofago perché si
mantenga quanto più possibile non
è un’opzione qualsiasi. La scelta implica
divergenti visioni religiose della morte e dell’oltretomba; e non è cosa che
possa cambiare in pochi anni. Indicativamente, l’incinerazione era tipica
delle genti ariane, mentre l’inumazione lo era delle popolazioni mediterranee.
Senza voler entrare qui nella spinosa questione delle varie componenti etniche
del popolo etrusco, e di quello tarquiniese in particolare, dobbiamo però
supporre che passaggio in tempi brevi da un rito funerario come quello
dell’incinerazione a quello opposto dell’inumazione sia dovuto alla
provenienza di determinati individui o di nuclei
familiari da comunità esterne. Accanto
alla diversa circolazione degli oggetti e alla
differenza del rito funerario
riscontrabile alle Arcatelle, rispetto ai poggi di Tarquinii, dovremo considerare anche la diversa frequentazione delle
persone: coloro che seppellivano alle Arcatelle del colle di
Corneto non appartenevano alla stessa comunità di quelli che
seppellivano sui Poggi di Tarquinii.
Cristiano
Iaia, ha evidenziato la ricchezza
dei corredi delle Arcatelle rispetto a quelli delle necropoli dei poggi
orientali, ma non la diversità del rito funerario e delle strutture tombali. Ha
comunque opposto a Mandolesi una teoria secondo
la quale il ceto dominante degli abitanti dei vari villaggi del pianoro di Tarquinii
avrebbe da sempre utilizzato la necropoli delle Arcatelle. Costoro, anche se
posti sull’altra collina che è al di là della valle del S. Savino, avrebbe
facilmente raggiunto il sepolcreto attraverso un <<probabile itinerario
che conduceva al mare>> quasi <<volessero sottolineare
simbolicamente la loro vocazione marittima>>[50].
Iaia, tuttavia, come già Madolesi, non dà peso al fatto che la
struttura a rete di cunicoli che unisce i nuclei
più antichi dei sepolcri delle
Arcatelle non ha riscontro sui poggi di Tarquinii,
né fa mai cenno alla diversità del rito funebre esistente fra la prima
necropli e le altre. Quanto al fatto che gli abitanti dei villaggi di Tarquinii avrebbero raggiunto le Arcatelle servendosi di un
<<probabile itinerario che conduceva al mare>>, si tratta di
un’ipotesi presentata dal
Pallottino nel lontano 1937[51], ma da lui stesso
rigettata già dal 1978 quando fu scoperto l’abitato del Calvario. In questa
occasione, il Pallottino disse: << La possibilità che il sepolcreto delle
Arcatelle sia da spiegare in funzione della salita d’accesso dalla Civita (Tarquinii),
come primo attacco verso il futuro sviluppo della necropoli su tutta
l’estensione dell’altura appare ormai superata o quanto meno integrabile con
altre e più complesse illazioni. La prova dell’esistenza di agglomerazioni
abitate sullo stesso crinale dei Monterozzi rende verosimile la funzione locale
dei sepolcreti, non più da considerare necessariamente, almeno in origine, in
rapporto con il centro della Civita […]. Se non abbiamo ancora tracce di
abitazioni nella zona delle Arcatelle e se non conosciamo un consistente
sepolcreto immediatamente riferibile al complesso di costruzioni individuato al
Calvario, ciò sarà verosimilmente da attribuire ai limiti occasionali delle
esplorazioni>>[52].
Dal
canto nostro, ci domandiamo come mai, alla metà dell’VIII sec. a.C., proprio
nel momento in cui sulle coste dell’Italia meridionale nascevano le prime città
greche, e l’Etruria si apriva via mare e via terra alle influenze loro e della
Grecia stessa , gli abitanti del Calvario e degli altri insediamenti periferici
abbiano potuto o dovuto abbandonare le alture della collina cornetana, posta
com’era in posizione dominante il mare ed al centro delle grandi vie di
comunicazione. Anzi, l’abbandono del colle avrebbe significato esporlo alla
facile conquista da parte di genti straniere. Queste avrebbero acquisito il
controllo del mare e degli accessi alle valli del Marta e del Mignone, con grave
pericolo non solo per l’economia, ma per la stessa incolumità degli abitanti
dei villaggi di Tarquinii.
Riponiamoci, infine, la domanda: perché alle Arcatelle i morti venivano
inumati, e sui poggi di Tarquinii
invece no?
Iaia (loc. cit)
sostiene giustamente che i dati emersi dalle necropoli delle Arcatelle non solo
ci offrono uno spaccato straordinario sull’<<intero sviluppo di un
centro protourbano>>, ma ci consentono di seguire <<fin dagli inizi
dell’età del Ferro>>, il processo di formazione di un ceto
sociale privilegiato nell’ambito di una comunità, aspetto che al
contrario emergerebbe a fatica, o non emergerebbe affatto, dall’analisi delle
altre necropoli protostoriche del Tarquiniese. Questo però non vuol dire, come
vorrebbe Iaia, che la necropoli delle Arcatelle fin dalla sua origine sia stata
utilizzata in comune da membri privilegiati estratti dai singoli villaggi del
colle di Tarquinii. L’ipotesi sembra macchinosa perché non è facile
pensare che <<fin dall’inizio dell’età del Ferro>> singole
aristocratiche famiglie abbiano fatto astrazione dai loro singoli villaggi
e siano andate a seppellire in comune i propri morti sul colle di Corneto.
Sarebbe più ovvio pensare agli abitanti di un singolo villaggio che sia stato
grande, potente e ricco <<fin dagli inizi dell’età del Ferro>>.
Ma il più grande villaggio finora rinvenuto nel Tarquiniese è proprio del
quello del Calvario (risale agli inizi del Ferro e forse al Bronzo), e non si
trova sul colle di Tarquinii, bensì
su quello di Corneto, insieme al cimitero delle Arcatelle. Il Pallottino diceva: <<Le costruzioni del Calvario,
”capanne” più che imponenti, mostrano un livello sociale di grosso respiro.
E’ impossibile immaginare le proporzioni, le articolazioni, i rapporti dei
vari nuclei abitati per i quali esito ad impiegare il termine “villaggi”;
solo l’ampliarsi della ricerca del Calvario ci consentirà sperabilmente di
formarci qualche idea in proposito>>[53].
Purtroppo le ricerche non sono mai continuate.
Forse,
nel momento in cui i villaggi interni della regione, attraverso la valle del
Marta, avrebbero potuto profittare del commercio coi Greci approdati sulla
marina, gli abitanti del Calvario e degli altri insediamenti del pianoro
andarono a concentrarsi nell’agglomerato della parte occidentale del colle[54],
da dove oltre che a controllare il mare e le foci del Mignone e del Marta si
aveva il dominio assoluto delle vie di transito della valle del Marta; ciò ad
imitazione del processo di formazione delle città greche dell’Italia
meridionale e per infiltrazioni di genti venute dalla Grecia. Costoro dovettero
andare a seppellire i loro morti nella vasta necropli delle Arcatelle attratti
dall’uso che già ne facevano i ricchi e potenti ex abitanti del grande
villaggio del Calvario o altro che
fosse. In questa necropoli, un terzo di essi adottò il nuovo rito funerario
dell’inumazione, venuto dall’esterno. Forse agli inizi, la nuova usanza fu
praticata solo da elementi immigrati.
Nello stesso periodo, nella tradizionalista Tarquinii,
non solo si continuò ad adottare il vecchio rito incineratorio, ma i corredi
delle sue tombe continuarono ad esser meno ricchi e vari di quelli delle
Arcatelle.
Sul luogo del supposto nuovo agglomerato troveremo la città
che conosciamo col nome medioevale di Corgnitus
o Corgitus o Crugentus. Una antica leggenda voleva che questa città fosse la
stessa che nella tradizione virgiliana fu chiamata Corythus o Corinthus. Essa
sarebbe stata fondata da Corito capostipite dei Troiani oppure da Corito o
Corinto figlio di Paride figlio di Priamo re di Troia. Costui dopo la rovina
della sua patria, avrebbe condotto i superstiti troiani in Etruria dove avrebbe
fondato Corito. Nella tradizione virgiliana, la città e il colle omonimo (mons
Corythi), sarebbero stati il
centro della Lega Etrusca, e la sua necropoli (le Arcatelle?) sarebbe stato il
luogo della tomba di Corito. Si tratta di una leggenda, ma la sua esistenza
potrebbe essere indicativa del fatto che il colle di Corneto potrebbe essere
stato il luogo del primo aggregato urbano del Tarquiniese e forse il centro
della Lega Etrusca in epoca arcaica.
Sul
finire del secolo, anche le
necropoli dei Poggi di Tarquinii
verranno abbandonate, e tutte le sepolture saranno concentrate attorno alle
Archatelle dove la tradizione virgiliana porrà la sepoltura del capostipite
Corito e il centro della Lega Etrusca.. Questo dovrebbe indicare che gli
abitanti delle due colline ormai costituivano un’unica comunità. Sul colle di
Tarquinii si sviluppò un centro abitato di 130 ettari, chiuso
dentro un perimetro di 12 chilometri di cui 8 cinti di mura; ma è probabile che
la piccola Corneto abbia mantenuto almeno il primato morale[55].
Il sistema stradale tarquiniese di età etrusco-romana era
centrato, come abbiamo visto su Corneto. Ciò è importante perché Virgilio,
come sappiamo, presenta la città di Corito proprio come centro federale della
Lega Etrusca in epoca arcaica. E’ qui, infatti, che Tarconte, secondo il
poeta, riunì i capi della federazione etrusca con i rispettivi eserciti; da
qui, poi, inviò sul Palatino di
Roma le insegne del potere centrale; qui, infine, cedette al troiano Enea la
propria carica. Il luogo aveva forse qualche cosa a che vedere con quello in
cui, secondo il mito, le grida di stupore, emesse dallo stesso Tarconte dinanzi
al prodigio della nascita del divino Tagete, convocarono sul posto tutti i prìncipi
etruschi.
Corythus, detta anche Corinthus, o
comunque il suo colle omonimo, fu probabilmente il particolare luogo dove si stanziò, nel VII sec. a.C. ,
Demarato Corinthius con la sua gente,
quando dalla città greca di Corinthos
(detta anche Choritus)[56]
emigrò a Tarquinia. Egli, secondo Strabone, <<portò con sé dalla sua
patria tanta ricchezza che non solo
regnò sulla città che lo
ospitò, ma suo figlio divenne re
anche dei Romani>>(VIII, 6,20). Dionigi di Alicarnasso (III, 61) riferisce
poi una diffusa tradizione secondo la quale Lucumone, il figlio di Demarato,
divenne pure capo supremo della Lega Etrusca. Forse il racconto
dello stanziamento di Demarato
Corinthius fra i Tarquinieses
riflette in forma romanzesca il momento del
maggior prestigio goduto da Corneto sullo Stato Tarquiniese.
Secondo
Marta Sordi[57], l’altura di Corneto
sarebbe il luogo dove poi, tra il 133 e il 121 a.C. , i Romani dedussero una
colonia Tarquinius che Frontino (I
sec. d. C.) diceva occupare la zona
che andava dal colle al mare[58].
Abbiamo
pochi dati archeologici del formarsi di
questa ipotetica città attorno alla metà dell’VIII sec.a C.; ma esse
potrebbero giacere sotto le fondamenta della mediovale Corneto (la odierna
Tarquinia). Nella zona del Castello, sono stati travati avanzi dell’età della
pietra e di quella del bronzo, alcuni che potrebbero scendere all’età del
Ferro, ed altri che appartengo al periodo orientalizzante. Gli scavi effettuati
sul luogo sono stati purtroppo molto brevi, limitati e certamente inadeguati
rispetto alle potenziali implicazioni storiche offerte dal luogo.
L’attribuzione di materiali all’età del Ferro rimane, pertanto, dubbia; ma
la mancanza di elementi certi per un’età intermedia tra Bronzo ed
orientalizzante, può dipendere da circostanze fortuite, tanto più
comprensibili nel caso di una zona sottoposta, nelle varie epoche storiche, a
tante profonde alterazioni strutturali..
Per il periodo orientalizzante (VII sec. a.C.), oltre ai sopra
menzionati indizi di abitato riscontrati presso il Castello di Corneto, si sono
varie tombe disseminate attorno alla città (soprattutto alla Cartiera? a Le
Rose e a villa Falgari). Queste sepolture sono indicative dell’esistenza, in
zona, di abitazioni. Né il loro uso contrasta con quello del cimitero unico dei
Monterozzi (nato dagli sviluppi di
quello delle Arcatelle), in quanto, al cimitero unico di
ogni città etrusca, si affiancavano sempre piccoli nuclei sepolcrali
sparsi qua e là intorno alla città.
Tutta la città medioevale è attraversata da un cunicolo con
pozzi, la cui tipologia etrusca è identica ad altri trovati a Tarquinii[59].
Avanzi di mura di tipologia etrusco-romana si trovano inglobati in vari punti
delle mura medioevali[60],
ma soprattutto presso Porta Castello e alla Barriera San Giusto[61]
dove appaiono fin dalle fondamenta. Sulla stessa linea, poi, degli avanzi della
Barriera S.Giusto, sotto il piano dei locali delle caldaie (Piazzetta Soderini
n.1) per il riscaldamento di Palazzo Vitelleschi si vedono avanzi di mura mediovali che corrono paralleli a
quelli di un muro più antico. I blocchi di macco sono allineati per una
lughezza di circa cinque metri e un’altezza di circa due metri. Ne ho misurati
alcuni di l. cm. 92 x p. 50 x h.
41; l. cm. 81 x p. 48 x h. 35; l. cm. 90 x p.50 x h. 44. Sotto le mura di Porta
Nuova, in località Ortaccio, esistono avanzi di un tempietto extraurbano del
III sec. a.C.. Nella medesima zona si trovano tombe etrusche di epoca tarda (?).
[1] H. Hencken, Tarquinia and Etruscan Origins, London, Hudson, 1968, p. 25. La traduzione dall’Inglese è nostra.
[2]
H. Hencken, Tarquinia, Villanovians and Early Etruscans, Cambridge
(Massachusetts, USA), Peabody Museum, 1968, pp. 10-17. La traduzione
dall’Inglese è nostra.
[3] A. Pasqui, op. cit., pp. 515-516.
[4] A. Pasqui, op. cit. , pp. 513-524 e t. XV; G. Cultrera, Questione relativa all’ubicazione dell’antica Tarquinia, “NSc”, 1920, pp.266-276; M. Pallottino, Tarquinia, “Monumenti AntAccNazLincei”, 1937; R. E. Linington, F. Delpino, M.Pallottino, Alle origini di Tarquinia, scoperta di un abitato villanoviano sui Monterozzi, “StEtr” (46), 1978, pp.3-23.
[5] CDA. , II, pp. 54-55, n.319 (gennaio 1004.): castello de Corgetu.
[6] C.D.A. , II, p. 63, n. 223 ( aprile 1006): vico de castellu et turre de Corgetu.
[7] C.D.A. , II, pp. 90-93, n. 233 ( aprile 1011): castellu ture de Corgnitus qui Civita vocatur.
[8] R.F. , V, p. 49, doc. 1049 (anno 1080): castellum quod nominatur Civitas de Corgnito.
[9] Stefano Del Lungo, Insediamenti della bassa valla del Marta nella tarda antichità e nell’altomedioevo (secoli V-IX), cit. pp. 30-36; 67.
[10] II campagna di scavo sullo sperone nord di S. Maria di Castello, “BollStas” (21), 1992, pp. 175-176. Stefano Del Lungo ( op. u. cit. p. 44, n. 110) avvicina le sepolture di S. Maria di Castello a quelle rinvenute dal Romanelli presso l’Ara della Regina a Tarquinii, riferibili ai secoli VII-VIII.
[11] Devo al compianto amico Francesco Della Corte, titolare della cattedra di letteratura latina all’Università di Genova, il suggerimento della possibile trasformazione di Corythus in Corijto, Corigito, Corgitus. Vedi A. Palmucci, La virgiliana città di Corito, “Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova”, LVI, 1988, p. 55, n. 43; e da ultimo Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia. La leggenda troiana in Etruria, Tarquinia, STAS-Regione Lazio, 1998, p. 26.
[12] Si ricava da Crugentanus (Theiner, Cod. diplom. Temp. S.S. , I, CXXXIV).
[13] G. Boccaccio, Genealogie Deorum Gentilium, VI, 51; Esposizioni sopra la Comedia di Dante.
[14]
Per l'identificazione della città di Corneto (Tarquinia), o comunque di Tarquinii,
con la virgiliana città di Corythus
o Corinthus, vedi Alberto Palmucci, Tarquinia
e la virgiliana città di Corito, Silver Press, Genova, 1987; La
virgiliana città di Corito, “Atti e Memorie della Acc. Naz.
Virgiliana di Mantova” (56), 1988; Il ruolo della città di Corito-Tarquinia nell'Eneide, “Atti e
Memorie , cit. “ (58), 1990; Analisi
della mitologia propedeutica alla figura di Dardano e alla città di
Corito-Tarquinia nell'Eneide, “Atti e Memorie, cit.
“ (59), 1991; Ancora sugli
antecedenti mitologici della figura di Dardano e della città. di
Corito-Tarquinia nell'Eneide, “Atti e Memorie, cit.”
(60), 1992; La figura di Dardano e la
città. di Corito-Tarquinia nell'Eneide, in Latina
Didaxis, atti del congresso, Bogliasco 28-29 Marzo 1992, Università
degli Studi di Genova (Compagnia dei librai), Genova, 1992; Corito-Tarquinia e il porto dei "Ceretani", “Atti e
Memorie, cit.” (61), 1993; Gli
Etruschi e Corito-Tarquinia nell'Eneide (Risvolti scolastici),
“Bollettino Informazioni IRRSAE Liguria” (26) Maggio- Agosto 1994; Virgilio
e gli Etruschi, “Aufidus” (24), 1994; Tarconte
e Mantova, Virgilio e Corito-Tarquinia, “Atti e Memorie, cit.”
(62), 1994; Mantova, Corito-Tarquinia e Roma (Mantua, Corito-Tarquinia and Rome),
in Il Messaggero Italiano, 4, 25,
Manchester, Genn. 1997;
Corito-Tarquinia, “Archeologia” (5), 1997; I
Troiani a Corito-Tarquinia (13 Agosto), “BollSTAS” (25), 1996; Cori(n)to-Tarquinia e la leggenda di Dardano, “Aufidus” (31),
1997; Ulisse in Etruria,
“BollStas” (26), 1997; Virgilio e
Cori(n)to-Tarquinia. La leggenda troiana in Etruria, Tarquinia, STAS,
1988; Enea, Tarquinia e Roma, “Archeologia” (7/8/9), 1998; La figura Tarconte:
un ponte mitostorico fra Tarquinia e Troia, in Atti
del Colloquio della Indogermanische Gesellschaft “Anatolico ed Indoeuropeo”,
Pavia 22-25 Settembre 1998, Università
degli studi di Pavia, dipartimento Scienze dell’Antichità (in corso di
stampa); I re Tarquiniesi: Demarato
Corinto e suo figlio Lucumone, “BollSTAS” (28), 1999; Odisseo
in Etruria, “Aufidus”, in corso di stampa.
[15]
J, Chadwich, Lineare B, Torino,
Einaudi, 1959, p. 147 e 208; A. Morpurgo, Mycenaeae
Graecitatis Lexicon, Roma, Ed. Dell'Ateneo, 1963, p. 138; El. Bennet
Jr. EJ. P. Olivier, The Pylos
Tablettes Transcribed, Roma, Ateneo, 1976, II, p. 97.
[16]
B. Biancofiore, O. Toti, Monte
Rovello, testimonianze dei Micenei nel Lazio, Roma, Ed. Dell'Ateneo,
1973; Emilio Peruzzi, Mycenaeans in Early Latium, Roma, Ed. Dell'Ateneo,
1980.
[17] Lo specchio, di importazione micenea, passò di mano in mano per più generazioni finché fu deposto nella tomba 77 di Poggio Selciatello a Tarquinia durante il IX sec. a.C. (vedi F. Delpino, Rapporti e scambi nell’Etruria meridionale villanoviana con particolare riferimento al Mezzogiorno, “Archeologia nella Tuscia” (2), C.N.R., 1986, II, pp. 167-168).
[18]
A. M. Mietti Sestieri, The Metal Industry of Contineltal Italy (13th
to 11th Century b.C.) and its Connections with the Aegean,
“Proceedings of the Prehistoric Society”, 39, 1973, pagg. 383, sgg.
[19] R. Peroni, Presenze micenee e forme socioeconomiche nell’Italia protostorica, in Magna Grecia e mondo miceneo (Atti del XXII convegno di studi sulla Magna Grecia), Taranto 1982, Napoli 1983, pagg. 212 segg.
[20] G. Pugliese Carratelli, Scritti sul mondo antico, Napoli, 1976, p. 262 segg.
[21] A. Mandolesi, La ‘Prima’ Tarquinia, Firenze, 1999, p. 148.
[22] Mengarelli, “NotSc”, 1900, p. 563 sgg. , 568 sgg. Figg. 6 e 7.
[23] <<Resterebbe inoltre assodato>>, continua il Pallottino, <<l’uso da parte degli enolitici della media Italia tirrena di un tipo di tombe assai simile a quello siculo, uso comune con altre genti del Mediterraneo (come il Lazio e la Toscana) e già supposto per altri indizi>>(M. Pallottino, Tarquinia, “MonumAntAccadLincei”, (36), 1937,, col.125).
[24] A. Mandolesi, op. cit. , p. 159-160 (8).
[25] A. Mandolesi, La ‘Prima’ Tarquinia, Firenze, 1999, p. 166, n. 139.
[26] M. Cataldi, V. Bartoloni, Saggio di scavo sullo sperone-nord di S. Maria in Castello, “Boll. STAS”, 18, 1989, pp. 5-9. Secondo A. Mandolesi (op. cit., p. 166), invece, <<sono emersi finora materiali assegnabili con certezza solo all’età del Bronzo finale>>.
[27] A. Mandolesi, op. cit., p. 196, n. 194.
[28] G. Colonna, Urbanistica e architettura, in Rasenna, Milano, p. 390.
[29] F. Delpino, Alle origini di Tarquinia. Scoperta di un abitato villanoviano sui Monterozzi (Proposte d’inquadramento culturale dei rinvenimenti protostorici), “StEtr” (46), 1978, pp. 17 e 18.
[30] M. Pallottino, Alle origini di Tarquinia. Scoperta di un abitato villanoviano sui Monterozzi (Considerazioni storiche topografiche generali), “StEtr” (46), 1978, pp. 19 e 20.
[31] G. Bartoloni, loc. u. cit.
[32] Il materiale relativo a questo insediamento è stato recuperato in superficie e durante l’esecuzione di lavori. E’ riconducibile alla fase iniziale del primo Ferro e, in minima parte all’inizio di quella recente (A. Mandolesi, op. cit. , p. 169 nr. 26).
[33] Il sepolcreto relativo all’insediamento dell’Acquetta è stato individuato da Mandolesi nel 1989 per il ritrovamento di resti di materiale sepolcrale sparsi in superficie. I reperti raccolti attestano uno sviluppo della necropoli limitato alla fase iniziale del primo Ferro (A. Mandolesi, op. cit. , p. 173 nr. 33).
[34] In due punti diversi della proprietà Malvezzi, a 50 metri l’uno dall’altro, sono stati rinvenuti diversi fittili appartenenti alla fase iniziale del primo Ferro unitamente ad altri materiali di epoca etrusca. Sembra che i materiali possano esser stati trasportati sul luogo dal vicino sito dell’Acquetta già in epoca etrusca per la costruzione di un opera di scorrimento delle acque (O. Tortolini, Monterozzi-Doganaccia, scavo per costruzione depuratore e fognatura comune di Tarquinia, relazione alla S.A.E.M. del 22-11-1996; A. Mandolesi, op. cit. , p. 170 nr. 28). E’ tuttavia possibile ch’essi appartengano ad uno stanziamento autonomo.
[35] A. Mandolesi, op. cit. , p. 168 (25).
[36] A. Mandolesi, op. cit. , p. 174 (35).
[37] A. Mandolesi, op. cit. , p. 164 (15).
[38] Vedi A. Palmucci, Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia. La leggenda Troiana in Etruria, Traquinia, STAS, 1998, cap. XV.
[39] Valeria D’Atri, La necropoli delle <<Arcatelle>>: dati inediti sul villanoviano tarquiniese, “ArchClassica” (29, 1), 1977, pp. 13 e 14.
[40] F. Trucco, Tarquinia (Viterbo). Località Villa Bruschi Falgari – La necropoli della prima età del ferro, “BollArch”, in corso di stampa.
[41] L. Magrini, M. Milla, C.V. Petrizzi, La necropoli orientalizzante e tardo-arcaica di Villa Bruschi-Falgari a Tarquinia, “Boll. STAS” (22), 1993, pp.75-172.
[42] A. Mandolesi, op. cit. , p. 173 (33).
[43] A. Mandolesi, op. cit. , p. 172 (30).
[44] H. Hencken, Tarquinia and Etruscan Origins, London, Hudson, 1968, pp. 22; 53-54. La traduzione dall’Inglese è nostra.
[45] V. D’Atri, La necropoli delle <<Arcatelle>>: dati inediti sul vilanoviano tarquiniese, “Archeologia Classica” (29, 1), 1977, pp. 12 sgg.
[46] V. D’Atri, La necropoli delle <<Arcatelle>>: dati inediti sul vilanoviano tarquiniese, “Archeologia Classica” (29, 1), 1977, pp. 12 sgg.
[47] H. Hencken, Tarquinia and Etruscan Origins, cit. , pp. 53-54. La traduzione dall’Inglese è nostra.
[48] G. Bartoloni, La cultura villanovia, Roma, NIS, 1989, pp. 109 e 193.
[49] A. Mandolesi, La ‘prima’ Tarquinia, Firenze, All’ins. del giglio, 1999, p.199
[50] C. Iaia, Le Arcatelle di Tarquinia, “BollSTAS” (28), 1999, pp. 16-17.
[51] M. Pallottino, Tarquinia, “AccNazLincei”, 1937, coll. 113-114.
[52] M. Pallottino, Alle origini di Tarquinia, “StEtr”, (46) 1978, p. 22.
[53] M. Pallottino, loc. u. cit.
[54] Dove esisteva già almeno il villaggio che utilizzava il sepolcreto de Le Rose.
[55] Il Nissen, nel lontano 1902, ipotizzò l’esistenza di un primo nucleo abitato sul colle di Corneto dal quale la città si sarebbe poi estesa verso il pianoro di Tarquinii, in modo analogo allo sviluppo della Roma serviana (Italische Landskunde, 1902, II2, p. 329).
[56] Dictys Cretensis Ephemeridos Belli Troiani, IV, 7. Vedi A. Palmucci, Cori(n)to-Tarquinia e la leggenda di Dardano, “Aufidus” (31), pp. 55-58; Virgilio e Cori(n)to Tarquinia, Tarquinia, STAS-Regione Lazio, 1998, pp. 76-79.
[57] M. Sordi, Tarquinia e Roma, in Tarquinia: ricerche, scavi e prospettive (Atti del Convegno Internazionale di Studi “La Lombardia per gli Etruschi”), a cura di M. Bonghi Jovino e C. Chiaramonte Treré, 1986, p. 168; Tarquinia nelle fonti classiche, in Gli Etruschi di Tarquinia, a cura di M. Bonghi Jovino, Modena, Panini, 1986, p. 35.
[58] Frontino (I sec. d.C.), nel Liber Coloniarum, riferisce che al tempo dei Gracchi (!33-121 a.C.), <<con legge Sempronia fu assegnata una colonia a Tarquinia (Colonia Tarquinius lege Sempronia est adsignata)>>. Da questa isolata notizia non si può ricavare che Tarqunii divenne veramente colonia romana. Le epigrafi non presentano mai Tarquinii come colonia, bensì come municipio retto da quattorviri (CIL, XI, 3367; 3375; 3379; 3381; ecc.). Cicerone (Pro Cecina, 4, 10) presenta la città come municipio, e testimonia che la competenza di questo giungeva almeno fino a Castel d’Asso presso Viterbo. E’ poi epigraficamente documentato che, ancora in epoca imperiale, Tarquinii mantenne la qualifica di città federata (Tarquinienses Federati , N. S. , 248, 267).
[59] A. Pasqui, op. cit., pp. 515-516; M. Gori, L’antico cunicolo di Corneto, “BollSTAS”, 1998, p. 75.
[60] A. Pasqui, op. cit. , pp. 520-521.
[61] M. Moretti, La necropoli villanoviana “Alle Rose”, “NotScavi”, 1959, p. 113.