Da Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia, "Società Tarquiniense d'Arte e Storia" e Regione Lazio, 1998
Alberto Palmucci
T A R C O N T E
E
M A N T O V A,
1.
Tarconte
fonda Mantova
Tito
Livio scrisse:
<<Gli
Etruschi abitarono in gruppi di dodici città, con le terre rivolte verso l'uno
e l'altro mare, prima quella al di qua dell'Appennino fino al Mare Infero, poi
quella al di là dell'Appennino dove avevano inviato tante colonie quante erano
le capitali di origine; e queste occuparono tutto il territorio a nord del Po,
eccetto l'angolo dei Veneti i quali sono stanziati attorno al golfo formato dal
Mare Adriatico>>[1].
In
precedenza, Polibio (ca. 205- 125/120 a. C.), nelle Storie,
aveva detto che la Pianura Padana
<<era
stata anticamente abitata dagli Etruschi all'epoca in cui essi occupavano anche
i Campi Flegrei, presso Capua e Nola>>[2].
Marta
Sordi ha fatto notare il sincronismo, posto da Polibio, fra l'occupazione
etrusca della Padania e quella della Campania. Ma questo sincronismo, come
osserva la Sordi, non risolve il problema dell’epoca in cui avvennero le due
colonizzazioni. Catone collocava agli inizi del VI sec. a. C., se non
addirittura nel 470, la fondazione etrusca di Capua e Nola. Velleio la datava,
invece, agli inizi dell'VIII secolo[3].
Anche
per la Padania si pongono due differenti tesi e due diverse epoche di
occupazione. La più antica menzione si trova in un passo di Diodoro Siculo (II
sec. a. C.) dove è detto che gli Etruschi della Padania,
<<secondo
alcuni autori, erano coloni provenienti dalle dodici Città dell'Etruria, ma che
altri li consideravano come Pelasgi che, cacciati
dalla Tessaglia per il diluvio di Deucalione, vennero a stabilirsi in questa
regione prima della guerra di Troia>>[4].
Strabone
dice, poi, che i Tessali di Ravenna, tuttavia,
<<non
potendo più resistere alle aggressioni violente degli Etruschi [...],
ritornarono nelle loro sedi>>[5].
L'esistenza
di due fasi di colonizzazione trova riscontro anche nelle tradizioni sulla
fondazione di Mantova.
Per
Virgilio, la città fu fondata da Ocno.
Elio
Donato (IV sec.d.C.) spiega che Ocno, proveniente da Perugia, dopo aver fondato
Felsina, consentì al suo esercito la munitio
di alcuni castelli, fra cui Mantova. Aggiunge, poi, senza citare la fonte della
notizia, che, secondo altri, era stato Tarconte a fondare Mantova e le altre
città della Padania[6].
La
fonte ci è trasmessa, invece, dall'ignoto autore (IV sec.) degli Scholia
Veronensia. Costui riferisce che lo scrittore etrusco Cecina (I sec. a.C.)
disse:
<<Tarconte,
dopo aver varcato l'Appennino con l'esercito, dapprima fondò la città che
allora chiamò Mantova dal nome che Padre Dite ha nella lingua etrusca>>[7].
Il
testo, pur soffrendo delle lacune con le quali ci è pervenuto, aggiunge che
Tarconte, istituì il calendario, e fondò e consacrò a al dio Manto le altre
undici città della Padania.
Lo
stesso ignoto commentatore, che noi chiameremo Scoliasta Veronese, ci informa
che anche Verrio Flacco (I sec.a.C.-I sec.d.C.), nel primo libro della Storia
etrusca, disse:
<<Tarconte,
passato l'Appennino, fondò Mantova>>.
2.
Aulo Cecina
Cecina,
di cui parla lo Scoliasta Veronese, è stato riconosciuto in Aulo Cecina, autore
di un trattato di aruspicina, amico di Cicerone.
Attraverso
Cicerone, sappiamo che Aulo era cittadino di Volterra, ma che aveva vissuto a
Roma, ed era stato suo intimo amico fin dalla fanciullezza. Nel 69 a. C.,
Cicerone lo difese, nel foro di Roma, contro un certo Ebuzio che voleva
estorcergli un fondo, nel territorio Tarquiniese, lasciatogli in eredità dalla
defunta moglie Cesennia della città di Tarquinia.
Nell'arringa,
Cicerone racconta che Cesennia dapprima era andata sposa a Marco Fulcino, un
cittadino di Tarquinia, il quale
non solo nel suo paese era annoverato fra le persone più rispettabili, ma che
era assai noto anche a Roma come banchiere. Questi, per garantire alla moglie
una sicura situazione economica, le aveva venduto un fondo nel territorio di
Tarquinia. In seguito, dopo aver cessato l'attività di banchiere, morì,
lasciando al figlio Marco l'eredità, e a Cesennia l'usufrutto di tutti i beni.
Poco tempo dopo, anche il figlio morì lasciando alla madre una grossa somma.
Con il denaro, Cesennia decise di comprare un fondo contiguo a quello che lei
possedeva da tanto tempo; ed incaricò dell'acquisto un certo Ebuzio. Non era
passato molto tempo quando sposò Aulo Cecina. Quattro anni dopo, morì anche
lei, lasciando il marito erede dei suoi beni. Ma Ebuzio rivendicava la proprietà
del fondo perché sosteneva di averlo comperato per sé[8].
Aulo, difeso da Cicerone, vinse la causa.
Molti
anni dopo, Cecina scrisse un libro contro Giulio Cesare[9].
Ma questi, quando si impadronì di Roma, lo bandì dall'Italia pur
risparmiandogli la vita[10].
Per ammansire il vincitore, Cecina scrisse, allora, il libro Dei
rimproveri, che tuttavia non gli fece ottenere il ritorno[11].
Del periodo dell'esilio possediamo la corrispondenza che intercorse fra lui e
Cicerone che nel frattempo faceva
di tutto per farlo rientrare. Fra loro c'era una vecchia e profonda amicizia.
Cecina dimostrava di essergli molto legato, e ricordava, in una lettera, di
essere stato un tempo suo <<antico cliente>>[12].
Dal canto suo, Cicerone, oltre ad aver pubblicato il testo dell'arringa (Pro
Cecina) con la quale lo aveva difeso, menzionava, nelle lettere, la antica
amicizia che aveva avuto con il padre[13],
nonché il profondo affetto che nutriva per il figlio[14].
Questi poteva esser nato a Roma, dove i genitori vivevano, o nella vicina
Tarquinia, donde la madre proveniva, o a Castel d'Asso, nel Tarquiniese, dove la
madre possedeva due fondi.
In
un lettera al proconsole Furfanio, Cicerone parla del suo amico Aulo in questi
termini:
<<Aulo
Cecina è sempre stato in tale amicizia e intimità con me da non poterne io
concepire una maggiore. Infatti, con il padre suo, persona nobile e coraggiosa,
ho avuto grande dimestichezza; e quanto a lui, fin da quando era ragazzo (a
puero), mi faceva sperare in una grande perfezione di probità e di somma
eloquenza, ed è stato così unito a me, non solo in termini di amicizia, ma
anche di comunanza di propositi, e gli ho voluto tanto bene da non vivere con
nessuno in così completo affiatamento come con lui>>[15].
Quale
rovescio della medaglia, Seneca sosteneva che Cecina fu
<<uomo
facondo, e che, se l'ombra di Cicerone non lo avesse schiacciato, si sarebbe
acquistato, un giorno o l'altro, un nome nell'eloquenza>>[16].
Cecina
scrisse un'opera di aruspicina. Non ne conosciamo il titolo, ma la chiameremo Trattato
di aruspicina.
Plinio,
nell'indice del secondo libro della Storia
Naturale, parla di Cecina, fra le proprie fonti, prima di Tarquizio Prisco e
di Giulio Aquila che pure avevano trattato la stessa materia. Seneca, poi, cita
passi presi da lui[17].
Cicerone
dice che Aulo aveva ereditato dal padre[18],
che era un aruspice,
<<una
certa meravigliosa ratio della disciplina etrusca (ratio quaedam mira tuscae disciplinae)>>[19].
Non
sappiamo se Cecina conobbe la moglie Cesennia a Tarquinia o a Roma. Comunque,
grazie alla moglie che era di Tarquinia, e aveva possedimenti nel Tarquiniese,
egli poté entrare a contatto con gli ambienti culturali della città patria
dell'aruspicina, e approfondire le nozioni che aveva ricevute dal padre.
Attraverso questi ambienti, che egli continuò a frequentare anche dopo la morte
della moglie, grazie alla proprietà dei due fondi che ella gli aveva lasciato,
egli poté verosimilmente entrare a contatto con i membri della scuola dell'Ordine
dei Sessanta Aruspici, e leggere, nella originaria stesura etrusca, i Libri
Tagetici dove Tarconte, che se ne diceva autore, raccontava che, mentre
arava la terra di Tarquinia, da un solco più profondo emerse un fanciullo
divino, di nome Tagete, che gli dettò le norme dell'aruspicina. Nel
bassorilievo del cosiddetto Trono di Claudio, a Cerveteri, il popolo tarquiniese è
personificato da Tarconte che tiene in mano il libro degli insegnamenti tagetici[20].
Possiamo
ben comprendere l'interesse che Cecina dovette nutrire verso la figura di
Tarconte "inventore" dell'aruspicina.
Inoltre,
i Cecina e i Cesennia erano stati fra gli antichi colonizzatori della Padania.
Alcuni di loro, i Kaikna e i Keisna, vivevano a Felsina (oggi Bologna) rispettivamente nel
quinto-quarto[21] e nel quarto?[22]
secolo a. C..
Ai Cesennia (lat. Caesennia, etr. Ceisinia/Keisna)
dovrebbe riallacciarsi il nome di Cesena (lat.
Caesena, etr. *Keisna), altra città
della pianura padana[23].
Il
nome dei Cesennia, comunemente attestato a Tarquinia nella forma latina Caesennia,
é documentato, in Etrusco, quattro volte a Tarquinia (Ceisinia, IV sec. a.C.)[24],
una volta a Perugia e a Chiusi[25],
e un'altra a Felsina-Bologna (Keisna)
(vedi nota 23).
Aulo,
sia perché appartenente alla famiglia dei Cecina, sia perché sposato a una
Cesennia, doveva avere un interesse in più verso Tarconte colonizzatore della
Padania.
A
Tarquinia si trova anche la tomba della famiglia dei Felsna
(III sec. a. C.), il cui gentilizio corrisponde all'originario nome etrusco
della città di Felsna (lat. Felsina, oggi Bologna). I Felsna
ed i Felzna si riscontrano pure a S.
Quirico d'Orcia[26].
Per
testimonianza di Cicerone, la famiglia di Aulo Cecina proveniva da Volterra[27].
Il gentilizio è largamente attestato nella città (Ceicna). Altrove, è documentato a Felsina-Bologna (Kaiknas,
V e IV sec. a.C.), a Tarquinia (Ceicnas,
III sec. a. C.), a Perugia (Cecinia),
a Sovana (Cecna), a Bolsena e nel suo
territorio (Caicnas, Ceicna, Cecna), e nella
regione di Chiusi (Ceicna, Cecna)[28].
Quanto
al nome di Mantova, il gentilizio etrusco *Manthu/*Manthura è attestato a San Giuliano (Barbarano)[29].
La località è comunemente identificata con la antica cittadina di Cortuosa,
che Tito Livio poneva nel territorio tarquiniese[30].
Vedi pure il nome della Silva Mantiana
lungo il corso finale del Mignone, presso Tarquinia.
Secondo
Carlo De Simone, il nome di Larth
Manthu-reie rappresenta la più antica attestazione (530-520 a. C.) di un
gentilizio formato sul nome della divinità infernale etrusca *Manthu
(lat. Mantus). Si tratta della stessa
divinità sulla quale, Tarconte,
come testimonia Cecina, aveva coniato il nome della città di Mantova[31].
Gentilizi
connessi al nome di Mantova si trovano anche a Perugia ed a Chiusi, ma sono più
recenti, e più che presupporre il nome della città sembrano derivarne[32].
Invece, la famiglia dei Manthu-ra
(530-520 a.C.) di San Giuliano, nel Tarquiniese, è coeva con più antichi
ritrovamenti archeologici di Mantova[33].
Raffaele
De Marinis[34]
ha notato il parallelismo fra il toponimo Andes,
luogo natale di Virgilio, presso Mantova, ed il nome personale o gentilizio Anthu
(Anthus Markes) impresso sul fondo di una ciotola etrusca rinvenuta
nella città, nonché la corrispondenza con il nome di Antho, figlia di Amulio, re di Alba[35].
In una versione più antica, il posto di Amulio e di Antho è occupato da Tarchezio (Tarquinio) e da una figlia della
quale non conosciamo il nome[36].
Maristella
Pandolfini ha poi evidenziato la corrispondenza della forma mantovana Anthu
con quella del nome personale femminile Anthaia[37]
conosciuto solo nella Tarquinia del VII sec.a.C.[38].
E'
significativo che la compresenza della figura mitostorica di Tarconte, fondatore
di Mantova, con le attestazioni archeologiche del gentilizio Manthu-ra
(VI sec.a.C.) e del prenome Anthaia (VII
sec.a.C.), rispettivamente corrispondenti al nome di Mantova ed a quello di
Andes, dove nacque Virgilio, si trova solo a Tarquinia e nella sua regione[39].
3.
Tarquinia, Tarconte, Tagete e l'aruspicina
Nel
manoscritto degli Scholia Veronensia, il titolo dell'opera di Cecina donde il
frammento fu tratto, non è più leggibile. Poiché il Cecina, menzionato
negli Scholia, è stato
riconosciuto in Aulo Cecina, è dal suo Trattato che provengono le notizie fornite dallo Scoliasta[40].
Del resto, un trattato di aruspicina poteva ben contenere notizie mitostoriche
su Tarconte. Anzi, esse potevano esser già contenute negli originari Libri
Tagetici, che si dicevano scritti dallo stesso Tarconte, sia che ve le
avesse riferite lo stesso originario compositore, sia che ve le avesse inserite
un più recente redattore o commentatore.
In
Strabone,
Tarconte
è un uomo <<nato con i capelli bianchi, tanta era la saggezza che aveva
posseduto fin da bambino>>[41],
proprio
come quella del fanciullo Tagete. E' probabile che, in certi momenti della
tradizione aruspicina, le due figure siano state confuse, oppure che entrambe
siano lo sdoppiamento di un unico originario personaggio. Se è possibile, come
alcuni ritengono, che la forma etrusca del nome di Tagete sia Tarch-ies,
questa avrebbe la radice Tarch in
comune con il nome di Tarconte (Tarch-unus?)
e con quello di Tarquinia (Tarch-nas)[42].
Nell'Eneide,
Tarconte è re e capo dell'esercito della Lega Etrusca, nonché guerriero,
aruspice e sacerdote. Negli Scholia
Veronensia, egli è capo dell'esercito e fondatore sia di Mantova che delle
altre undici città della Lega
Padana, ma è anche una figura sacerdotale che consacra al dio Manto le città
fondate, ed organizza il calendario, vale a dire stabilisce quali debbano essere
le feste religiose e ne fissa le ricorrenze. Nel contesto etrusco del
bassorilievo del Trono di Claudio (I sec. d.C.), la città di Tarquinia è
rappresentata da Tarconte che tiene in mano i Libri
Tagetici dove si diceva che lui stesso avesse trascritto gli insegnamenti
del divino fanciullo. Ma è, soprattutto, nel contesto tarquiniese di quei libri
che ogni aspetto della figura di Tarconte doveva far corpo con quello
sacerdotale.
Nella
tradizione greca, Tarconte è originario dell'Asia Minore, ed è figlio di
Telefo, e fratello di Tirreno.
Ma
nella tradizione aruspicina e, comunque, in quella legata a fonti etrusche quali
Strabone[43]
e Giovanni Lido, egli è un eroe autoctono legato a Tagete e a Tarquinia dove il
divino fanciullo è nato.
Giovanni
Lido, nel VI secolo dopo Cristo, poté ancora leggere, come egli stesso asserì,
una versione latina dei Libri Tagetici,
poco contaminata, e contenente brani in lingua etrusca[44].
Egli, nella prefazione al De magistratibus
populi romani, scrisse che
<<Tirreno,
trasferitosi dalla Lidia in occidente, insegnò le cerimonie lidie agli
Etruschi; questi erano un popolo di Sicani, ai quali comunemente fu cambiato il
nome in Thuschi, a causa dell'osservazione delle vittime sacrificali (Thuscopein)>>.
Poi,
nel De ostentis, specificò che
Tarconte
<<era
un aruspice, di quelli istruiti dal lidio Tirreno, come dice Tarconte stesso nel
libro>>[45].
Sembra,
quindi, che lo stesso Tarconte, nella traduzione dei Libri
Tagetici letti da Giovanni Lidio, dichiari di appartenere a quegli
Etruschi-Sicani ai quali Tirreno, venuto dalla Lidia, aveva insegnato l’aruspicina.
Infatti,
in altri autori dai quali apprendiamo alcune varianti del mito di Tagete, colui
che trae il bambino dalla terra è un sacerdote di nome Tarquinio oppure un
contadino tarquiniese (vedi più avanti).
Giovanni
Lido continua così:
<<Infatti,
ciò è manifesto dalla scrittura dei Tuschi, [...]. Era poi questa una diversa
forma di scrittura, a noi poco comune, altrimenti non ci sarebbe rimasto nulla
di nascosto fra le cose misteriose e più necessarie. Dice, dunque, Tarconte in
questo scritto (che alcuni pensano sia di Tagete, poiché lì, come in una
specie di dialogo, Tarconte domanda, e Tagete risponde [...]), che un tempo,
mentre lavorava la terra, gli capitò un fatto meraviglioso, tale che non aveva
mai udito che fosse accaduto a nessuno in nessun tempo. Dal solco uscì fuori un
bambino che sembrava neonato, non privo però di denti e di altri segni dell'età
matura. Questo bambino dunque era Tagete, che presso i Greci è anche Hermes
ctonio, come in un luogo afferma anche Proclo Diadoco.
Secondo la norma sacrale, tutto ciò è velato dietro l'allegoria, perché
il discorso sulle cose divine non fu apertamente tramandato ai profani, ma nella
forma ora dei miti, ora delle parabole. Così, invece di dire che l'anima si
incarnò perfetta e nel pieno delle sue facoltà, egli dice che dal solco uscì
il bambino neonato. Tarconte, dunque, il più antico, poiché vi fu anche il
recente che guerreggiò ai tempi di Enea, sollevato il bambino e collocatolo nei
luoghi sacri, pensò di imparare da lui qualcosa sulle cose segrete. Ottenuto
poi ciò che aveva chiesto, compose un libro delle cose trattate, nel quale
Tarconte interroga nella lingua comune degli Itali, e Tagete risponde
attenendosi alle lettere antiche e poco comprensibili a noi. Nondimeno, cercherò,
per quanto possibile, di riferirvi quelle cose facendo uso da un lato delle
informazioni (contenute nel testo etrusco)
e dall'altra di coloro che le tradussero, cioè di Capitone, di Fonteio, di
Vicellio, di Labeone, di Figulo e del naturalista Plinio >>.
I
Libri Tagetici letti da Giovanni Lido
consistevano, forse, in un testo bilingue con commento in lingua latina.
In
questi libri, Tarconte non è fratello di Tirreno. Tuttavia, nelle fonti, o
almeno in una delle fonti utilizzate da Giovanni Lido, si è insinuato un
elemento greco: Tirreno dalla Lidia ha colonizzato gli Etruschi-Sicani, ed ha
insegnato loro l'aruspicina. Che la narrazione sia composita lo dimostra il
fatto che Tarconte viene istruito due volte nell'aruspicina, l'una dal lidio
Tirreno, l'altra dal dio tarquiniese Tagete.
Cicerone,
ne La divinazione, in polemica con il fratello, volendo dimostrare la
vacuità dell'aruspicina, dice:
<<Ma
a che scopo farla lunga? Prendiamo in considerazione come è nata l'aruspicina,
così potremo giudicare nel modo più facile quale autorità essa possa avere.
Si dice che, nel territorio di Tarquinia (in
agro Tarquiniensi), mentre si lavorava la terra, e un solco veniva impresso
più profondamente, un certo Tagete balzò su all'improvviso, e rivolse la
parola all'aratore. Questo Tagete, a quanto si legge nei libri degli Etruschi,
aveva l'aspetto di un bambino, ma la sapienza di un vecchio. Poiché il
contadino, rimasto stupito da questa apparizione, levò un alto grido di
meraviglia, ci fu un accorrere in massa (concursus);
e, in breve tempo, tutta l'Etruria convenne in quel luogo (totamque
brevi tempore in eum locum Etruriam convenisse). Allora Tagete parlò
lungamente dinanzi alla folla di coloro che lo ascoltavano. Questi stettero a
sentire attentamente ogni sua parola e la misero per iscritto. Inoltre, l'intero
discorso fu quello in cui venne contenuta la scienza dell'aruspicina. Essa poi
si accrebbe con nuove conoscenze da ricondurre a quei princìpi. Abbiamo appreso
queste cose dagli stessi Etruschi. Essi conservano questi scritti, e li
considerano fonte della loro disciplina>>[46].
Il
discorso di Cicerone è contro l’aruspicina, e, come tale, tende a svalutare
gli elementi del mito in cui questa scienza sarebbe nata. Così, Tagete diviene
<<un certo Tagete >>, e colui che lo trae dalla terra si riduce a un
aratore senza nome. Tuttavia, le notizie di Cicerone sono importanti perché
contengono significativi elementi locali esenti da contaminazioni greche. Il
grido emesso dall'aratore al verificarsi del miracolo della nascita di Tagete,
è così potente che provoca un
accorrere in massa (concursus) di
gente, tale che in breve tutta l'Etruria è sul luogo (totamque
brevi tempore in eum locum Etruriam convenisse). In chiave mitologica, il
raggio di azione del grido del contadino, che si stende da Tarquinia per tutta
l'Etruria, ripete l'autorità di Tarquinia sull'intera nazione, mentre il
concorso di tutta l'Etruria sul luogo donde era partito il richiamo riflette la
capacità aggregante che Tarquinia aveva nei riguardi dei popoli che componevano
la Lega.
Parimenti,
in Virgilio, il re Tarconte raduna nel lucus
di Silvano presso Tarquinia i contingenti militari dei singoli Stati etruschi[47].
Nell'Eneide, il luogo del raduno
assume la funzione che più tardi sarà attribuita al Fanum Voltumnae dove i capi dei dodici popoli si riunivano per
leggere il supremo magistrato della Confederazione.
Le
notizie di Cicerone e di Giovanni Lidio vanno integrate con quanto riferiscono
Festo, Censorino, Isidoro e lo Scoliasta di Lucano.
Festo (II sec.), nel compendio alfabetico dell'opera di Verrio Flacco (I
sec.a.C.-I d.C.) De verborum fignificatione, dice:
<<Si
chiama Tagete il figlio di Genio, e nepote di Giove. Si dice che da fanciullo
diede l'insegnamento dell'aruspicina ai dodici popoli dell’Etruria>>[48].
Censorino
scrive:
<<Dicono
che nel territorio di Tarquinia, mentre si arava, sia stato tratto fuori dalla
terra un fanciullo divino di nome Tagete il quale cantò la disciplina
aruspicina che i lucumoni regnanti allora in Etruria scrissero accuratamente>>[49]
.
Isidoro
di Siviglia riferisce il fatto così
:
<<Dicono
che l'arte dell'aruspicina sia stata tramandata agli Etruschi da un certo Tagete.
Questi dettò anche l'aruspicina [...], e poi non apparve più [...]. Poiché si
dice favolosamente che mentre un contadino arava, subito costui saltò fuori
dalle zolle, dettò l'aruspicina, e nello stesso giorno morì. I Romani
tradussero questi libri dalla lingua tusca nella loro propria>>[50].
Nel
commento a Lucano è scritto:
<<Tages,
in lingua etrusca vuol dire "voce mandata fuori dalla terra". Si dice
che questo Tagete nacque all'improvviso mentre si lavorava la terra. Egli
scrisse i libri delle profezie.
Tagete.
Dicono che la scienza dell'aruspicina fu proclamata in Etruria. Si dice che
Tarquinio, il flamine Diale (sacerdote di
Giove), mentre arava per fare la semina, scavò il figlio di Genio, e nepote
di Giove. Egli dettò la scienza dell'aruspicina ai dodici figli dei principi, e
poi non comparve più. Poiché nacque dalla terra fu chiamato Tagete (Tages), “apò tes ges”
che in etrusco vuol dire "voce mandata fuori dalla terra">>[51].
***
Nella
tradizione greca, Tarconte è, invece, originario dell'Asia Minore, ed è figlio
di Telefo, e fratello di Tirreno. Ciò è conforme alla tecnica secondo la quale
i Greci facevano diventare fratello o figlio del colonizzatore greco o
microasiatico, il personaggio più significativo del territorio colonizzato o
ritenuto tale.
In
tal modo, Tarconte rimane fondatore di Tarquinia, anche quando vien presentato
come figlio di Telefo[52],
e fratello di Tarconte[53].
Anzi, proprio in questo caso gli viene connessa solo la fondazione di Tarquinia,
e non anche quella di tutte le altri città dell’Etruria.
4.
Aulo
Cecina e Tarquinia
Il
Trattato di aruspicina di Aulo Cecina,
purtroppo perduto, fu utilizzato da altri scrittori. I frammenti si trovano
nella Storia naturale di Plinio, nelle
Questioni naturali di Seneca, e negli Scholia
Veronensia. Verosimilmente, il Trattato
fu utilizzato anche da Verrio Flacco nel libro su Gli Etruschi, dove, secondo quanto è riferito negli Scholia
Veronensia, egli disse che Tarconte fondò Mantova.
Secondo
alcuni, ci sono due Aulo Cecina: il padre ed il figlio. Il primo sarebbe colui
che fu difeso da Cicerone contro chi voleva estorcergli uno dei fondi dell'agro
tarquiniese. Il secondo, nato evidentemente dal matrimonio di Aulo con Cesennia,
sarebbe quello che ebbe la relazione epistolare con Cicerone. L'autore del Trattato di aruspicina sarebbe il secondo. In effetti, Cicerone,
nella lettera inviata al proconsole Furfanio, nel 46 a.C., parla di due Cecina:
il padre, con il quale dice di aver avuto grande dimestichezza, ed il figlio che
aveva conosciuto fin da fanciullo[54].
Fra
i sostenitori della diversità si annoverano F. Munzer, M. Torelli e D. Vottero[55].
Dice
Mario Torelli:
<<A.
Caecina, cliente di Cicerone nel 69 a.C., sposato ad una Caesennia, "summo
loco nata", di Tarquinia [...]. Loro figliolo è A. Caecina, noto
cultore di disciplina etrusca, fonte di Cicerone>>[56].
Questo
Cecina, figlio della tarquiniese Cesennia, poteva esser
nato a Tarquinia, città della madre, o nella vicina Roma, dove la madre
si era trasferita, o nel Tarquiniese, dove ella doveva recarsi spesso perché
proprietaria di due fondi. Ma, ovunque fosse nato, egli era figlio di un Cecina
di Volterra e di una Cesennia di Tarquinia. Si comprende allora l'interesse che
poteva avere verso Tarquinia ed, in particolare, verso la figura di Tarconte sia
in relazione all'aruspicina che alle imprese nella Padania.
Tuttavia,
noi riteniamo più probabile che esistette un solo Aulo Cecina[57].
In
ogni caso, Aulo Cecina, padre o figlio che fosse, ebbe stretti rapporti con
Tarquinia. D'altra parte, come osserva Dominique Briquel,
<<al
tempo della tarda repubblica e degli inizi dell'Impero, Cere era ridotta ad un
ruolo insignificante, e Tarquinia appariva come la metropoli dell'Etruria
meridionale, interlocutrice etrusca privilegiata di Roma. La Pro
Caecina ci introduce in un ambiente di possidenti che hanno le loro entrate
nell'Urbs. Soprattutto Tarquinia
riveste allora la funzione di mediatrice culturale fra Roma e l'Etruria per quel
che interessava soprattutto i Romani: l' Etrusca disciplina. E' senza Dubbio
impossibile decidere se Tarquitius Priscus,
autore dei Libri Tarquitiani ai quali
si rapporteranno i secoli seguenti, appartenga a questa città, ma resta
probabile che Tarquinia sia stata la sede dell'Ordine dei Sessanta Aruspici, istituito da Augusto per
mantenere l'antica scienza etrusca>>[58](la
traduzione dal Francese è nostra).
Precisiamo,
però, che il Collegio dei Sessanta Aruspici era stato istituito molto prima del
tempo di Augusto[59].
5.
Aulo
Cecina e Virgilio
In
una lettera del Settembre del 46 a.C., Cicerone, polemizzando amichevolmente con
Aulo, diceva:
<<Se
un certo meraviglioso sistema (ratio)
della scienza etrusca, che avevi ereditato da tuo padre[60],
uomo nobilissimo ed ottimo, non ti ha ingannato, nemmeno il mio senso profetico
fallirà>>[61].
Se
Cecina avesse già scritto il Trattato,
probabilmente l'amico vi avrebbe alluso. Né Cicerone vi allude in altre
epistole, nemmeno quando apertamente loda Aulo e ne ricorda i meriti.
Non
sappiamo se Cicerone riuscì a far rientrare in patria l'amico. Nel Gennaio del
45, Cecina era ancora in esilio[62].
Probabilmente, rientrò in Italia, dopo la morte di Cesare, avvenuta nel marzo
del quarantaquattro[63].
Nel 42, morì Cicerone, assassinato a Formia dai sicari di Antonio. Dunque, Aulo
dovette scrivere il Trattato di aruspicina
dopo il suo rientro in Italia.
Stando
all'ordine con cui vengono elencati, in Plinio, gli autori di lingua latina che
si sono occupati di quella scienza, egli fu il primo a trattarne.
Egli
poté integrare e approfondire le nozioni ricevute dal padre, attraverso i
contatti che aveva avuto con gli ambienti tarquiniesi, e che poteva continuare
ad avere grazie ai possedimenti nell'agro di Tarquinia. La città era sede della
scuola e del collegio sacerdotale dell'Ordine
dei Sessanta Aruspici, istituito sul luogo dove si diceva che il divino
Tagete aveva rivelato l'aruspicina a Tarconte.
E'
probabile che il vecchio e colto Cecina sia vissuto abbastanza a lungo da aver
qualche contatto con il circolo dell'etrusco Mecenate, dove potrebbe aver
conosciuto Virgilio, e che si fosse preoccupato di rivendicare a Tarconte la
fondazione di Mantova rispetto a quella di Ocno, utilizzata dal poeta. Se poi
l'autore del Trattato dovesse essere stato Aulo il giovane, ci troveremmo davanti
a un autore maggiormente motivato perché era di nascita o, comunque, di origine
tarquiniese. D'altra parte, a torto o a ragione, la scelta di Virgilio verrà
molto contestata anche dai suoi ammiratori.
6.
Gli Etruschi nella Padania
Strabone
raccontava che quando Tirreno, dalla Lidia, giunse in Etruria, chiamò Tirrenia
la regione,
<<e
fondò dodici città, assegnando loro come ecista Tarconte dal quale prende il
nome la città di Tarquinia, e del quale si narra che era tanto saggio da
nascere con i capelli bianchi. A quel tempo, dunque, Gli Etruschi, governati da
un solo capo, erano molto potenti; ma pare che in seguito la loro unità si
sciolse, e si divisero in singole città, cedendo alla violenza dei popoli
vicini>>[64].
Massimo
Pallottino sosteneva che la grande preminenza che ha Tarquinia nelle leggende
primitive dell'Etruria fa pensare
ad un periodo di egemonia Tarquiniese. Più tardi quella antica unità si
sarebbe rotta, e potrebbe aver assunto il carattere di confederazione religiosa[65].
Mario
Cristofani teorizzava che nel nome di Tarconte, <<ricostruibile in etrusco
come Tarchnte (= colui che viene da Tarquinia)>>, appare ovvio il
legame con il nome etrusco di Tarquinia (Tarchna).
Da qui l'ipotesi, continua Cristofani, che il complesso delle leggende
incentrate sulla figura di Tarconte, in qualità di fondatore di Tarquinia e, in
subordine, di molte altre città etrusche, possa essere rappresentativo del
momento storico in cui la città assunse notevole importanza[66].
Se
poi confrontiamo i dati della tradizione letteraria con quelli forniti dalle
scoperte archeologiche, ci troviamo di fronte a concordanze di notevole valore.
Tarquinia e i suoi vicini Monti di Tolfa hanno restituito le più ricche e più
antiche testimonianze archeologiche di epoca protovillanoviana e villanoviana.
Dice
Mario Torelli:
<<L'importanza
e lo spessore storico di questa fase formativa nell'area tarquiniese, tra Bronzo
finale e prima età del ferro, trasferiti nella sfera della narrazione
mitostorica, si incarna nella figura di Tarconte, ecista di Tarquinia, dell'Etruria
propria e di quella padana>>[67].
Ciò
spiega la presenza a Villanova
(Bologna) e a Verucchio (Rimini) di ceramica molto antica, ma posteriore a
quella dello stesso tipo che si ritrova a Tarquinia.
Ma
i territori padani, osserva Torelli, si imbarbarirono nel giro di poche
generazioni, fino a che, durante il VI sec. a. C., assistiamo ad una seconda
colonizzazione incentrata soprattutto su Bologna.
A
questa seconda fase parteciparono varie città dell'Etruria metropolitana, per
cui è a questo livello, come dice Torelli, che dobbiamo collocare l'altro
filone di tradizioni mitiche, non più incarnato da Tarconte, ma da Aucno
proveniente da Perugia.
***
I
primi coloni etruschi non dovrebbero essere giunti sul luogo della futura
Mantova prima della fine del VI
sec.a.C. . Ma la leggenda etrusca fece risalire il fatto ad epoca arcaica (Tarconte).
Lo stesso Virgilio presentò Ocno nell’ambito dell’esercito federale etrusco
comandato da Tarconte. Evidentemente, anche i Tarquiniesi parteciparono alla
seconda colonizzazione; ma, nelle
loro storie, la retrodatarono al tempo del loro mitico condottiero Tarconte, e
la confusero con la prima.
7.
Mantova in Virgilio e nei commenti
all'Eneide
Virgilio
racconta che Enea e Tarconte, dopo aver concluso il patto di alleanza, si
imbarcano insieme, di sera, evidentemente da Rapinium,
che era lo scalo marittimo di coloro che abitavano nella valle del Mignone, e
pervengono, in pieno mattino, alla foce del Tevere.
Questo
viaggio ripete la leggenda previrgiliana secondo la quale
Enea, sbarcato in Etruria alla foce del Linceo (il Mignone), si univa a
Tarconte, Tirreno e Ulisse, poi
scendeva a colonizzare il Lazio vetus.
Nella
descrizione del viaggio via mare, Virgilio coglie l'occasione per esporre il
catalogo dei popoli che componevano l'esercito etrusco. Il poeta elenca Chiusi,
Cosa e Pisa.
Egli
dice che quest'ultima era stata fondata dai Greci in terra etrusca[68].
Tuttavia, Elio Donato, nel commentare il passo, dice:
<<Ma
si trova che Tarconte [...] fondò Pisa>>[69].
Rileviamo
che Virgilio attribuisce a Pisa, come poi farà con Mantova,
una fondazione diversa da quella di Tarconte.
Egli,
proseguendo nella rassegna dell'esercito, elenca Vetulonia, e finisce con
<<quelli
che abitano a Cere, che sono nei campi del Mignone, e Pirgi antica e la intempesta
Gravisca>>[70].
Poi,
dopo aver incluso un contingente di Liguri, fa chiudere la rassegna ad un
esercito di Mantovani:
<<Segue
Ocno che conduce un esercito dalle rive paterne. Ocno, figlio della indovina
Manto e del fiume etrusco. Ocno che ti diede le mura, o Mantova, ed il nome di
sua madre. Mantova è ricca di antenati, ma non tutti della stessa stirpe. Ci
sono tre genti, ognuna divisa in quattro popoli. Essa stessa è a capo dei
popoli, lei che trae la sua forza dal sangue etrusco>>[71].
Come
si vede, Virgilio assegna a Mantova, come già aveva fatto con Pisa, un
fondatore diverso da Tarconte, che pure è uno dei principali personaggi della
seconda parte dell'Eneide.
In
nota a questo passo, Servio (IV-V sec.), poneva i seguenti commenti[72].
<<“OCNO”.
Ocno è colui che Virgilio, nelle Bucoliche chiama Bianore, quando appunto dice:
"incomincia ad apparire il sepolcro di Bianore". Si dice che costui
fondò Mantova, e che la chiamò così dal nome della propria madre. Infatti,
egli era figlio del Tevere e di Manto, figlia dell'indovino tebano Tiresia,
venuta in Italia dopo la morte del padre>>.
<<“RICCA
DI ANTENATI”. Cioè molto potente a causa degli antenati.
“MA NON TUTTI DELLA MEDESIMA STIRPE” poiché l'origine dei Mantovani
deriva sia dagli Etruschi che regnavano a Mantova, sia dai Veneti. Infatti essa
è situata nella Venezia che è detta anche Gallia cisalpina>>.
A
proposito, poi della particolare posizione politica di cui, secondo Virgilio,
Mantova aveva goduto, Servio spiegava:
<<“ESSA
HA TRE STIRPI OGNUNA DIVISA IN QUATTRO POPOLI” poiché, nella sua
popolazione, Mantova ebbe tre tribù che si dividevano in quattro curie, e su
ognuna regnava un lucumone; è noto che questi furono dodici in tutta l'Etruria,
tra i quali uno era il capo supremo. Costoro poi regnavano su tutta l'Etruria
come se fosse divisa in prefetture, però Mantova aveva il comando su tutti i
popoli, per cui l'espressione "essa
stessa è a capo dei popoli">>.
Elio
Donato ci fornisce un commento più dettagliato e differenziato[73].
A
proposito della madre di Ocno, egli dice:
<<Altri
dicono che si trattasse della profetessa Manto figlia di Ercole. Di questo Ocno,
poi, altri tramandano che era fratello di Auleste, fondatore di Perugia, e che
per non aver contrasti con il fratello, fondò, nel territorio gallico, Felsina
che ora è detta Bononia (Bologna). Permise anche al suo esercito la munitio di castelli, fra cui Mantova. Altri dicono che la città fu
fondata da Tarconte fratello di Tirreno, e che fu chiamata Mantova perché, in
lingua etrusca, Padre Dite è chiamato Manto, al quale egli, insieme alle altre
città, consacrò anche questa>>.
Come
si vede, Elio Donato, diversamente da Servio, svaluta la posizione di Virgilio,
al punto che Ocno è presentato come il fondatore di Felsina, mentre Mantova si
riduce ad uno di quei castelli affidati agli uomini del suo esercito.
Elio Donato aggiunge che, secondo altri, Mantova fu fondata da Tarconte.
Nel
punto in cui Virgilio definisce
<<ricca di antenati>> la città, Donato annota:
<<Opportunamente
"ricca di antenati" perché, non da Ocno, ma pure (?) da
altri fu fondata. Prima, infatti, dai Tebani, poi dagli Etruschi, infine dai
Galli, o, come altri dicono, dai Sarsinati (Salpinati?) che erano stabiliti a
Perugia>>.
Infine,
a proposito del fatto che il poeta dice che Mantova era <<a capo dei
popoli>>, Elio Donato osserva:
<<Virgilio,
quindi, fonde la nuova e l'antica Etruria per
attribuire alla sua patria il primato su entrambe, poiché altrimenti Mantova
non dovrebbe far parte di questi aiuti, visto che Enea, nel momento in cui
l'esercito avverso a Mezenzio si era accampato in un unico luogo, non aveva
chiesto nessun aiuto ai Transpadani. Perciò si ritiene che il poeta abbia
parlato così in favore della sua patria per far venire da questa sola, a nord
del Po, gli aiuti in favore di Enea contro Mezenzio. Infatti, non ha riferito né
i nomi dei popoli, né quelli dei lucumoni>>(X, 203).
Dei
versi del brano dell'Eneide che stiamo
esaminando, possediamo anche il commento dell'ignoto autore degli Scholia
Veronensia. Costui, fra le righe del testo, scrisse quanto segue:
<<...n idem Verg., ut Ocnus Mantus filius Mantuam
condiderit et a matris suae nomine appellaverit./
... [Flacc]us Etruscarum I: In Appenninum, inquit,
transgressum Tarchon (cod. Archon) Mantuam condidit. Item Caecina/
... [Ta]rchon, inquit, cum exercitu Appenninum transgressus
primum oppidum constituit, quod tum/
[Mantuam] nominavit voca[tumque] Tusca lingua [a] Dite patre
est nomen. Deinde undecim dedicavit Diti patri/
... ibi constituit annum et item locum consecravit, quo
duodecim oppida condere ................ /
...nem Vergilius ait: Mantua, dives avis, sed non genus o. u.
G. i. t. p. s. g. q. .A Tarchonte (cod. Draconte) enim in gen/
[te Etrus]corum palam est Mamtuam conditam et alia undecim
oppida. Descriptio tamen de qua loqui/
[tur in vet]ere Etruria
invenitur. Sed Vergilius (miscet duas Etrurias,) veterem et inferiorem, ut
utriusque prin/
[cipia Etru]riae suae
adsignet, cum aliquoi Mantua ad haec auxilia non pertineat./>>.
Il
manoscritto ci è giunto qua e là rovinato e lacunoso, ma abbastanza
ricostruibile. Della prima parte ci è rimasto solo il discorso finale dove lo
scoliasta ripete con
<<[...]
lo stesso Virgilio, come Ocno, figlio di Manto, abbia fondato Mantova e le abbia
dato il nome della propria madre ([...] idem
Vergilius, ut Ocnus Mantus filius Mantuam condiderit et a matris suae nomine
appellaverit)>>.
Poi
lo scoliasta passa a riportare le parole di
Verrio Flacco e di Cecina, secondo i quali Mantova era stata, invece, fondata da
Tarconte. Egli dice:
<<Flacco,
nel primo libro de Gli Etruschi disse: Tarconte, passato l'Appennino, fondò
Mantova. Ugualmente Cecina [...] disse: Tarconte, dopo aver attraversato
l'Appennino con l'esercito, dapprima fondò la città che allora chiamò
Mantova, e il nome deriva da quello che ha Padre Dite nella lingua etrusca
[...]. Lì ordinò il calendario, e parimenti consacrò il luogo dove fondare
dodici città>>.
Notiamo
che mentre le parole di Virgilio vengono parafrasate con una proposizione
costruita al congiuntivo (Vergilius, ut
Ocnus [...] Mantuam condiderit
[...] ecc.), quelle di Flacco e di Cecina sono espresse attraverso i due punti
seguiti da una proposizione dichiarativa (Flaccus
Etruscarum I: in Appenninum, inquit, transgressus Tarchon Mantuam condidit. Item
Caecina [...] etc.).
E'
evidente che lo scoliasta, esprimendo la versione di Virgilio attraverso una
proposizione costruita con ut ed
il congiuntivo, dimostra di considerarla una posizione opinabile, meno
convincente di quella di Flacco e di Cecina che subito dopo riporta, nella forma
che dovrebbe essere l'originaria, attraverso i due punti seguiti da una
proposizione dichiarativa con il verbo all'indicativo.
In
merito, poi, alla rilevante posizione politica assegnata da Virgilio a Mantova,
l'autore degli Scholia Veronensia osserva:
<<Virgilio
dice: Mantova è ricca di antenati; ma non tutti sono della stessa stirpe. Ci
sono tre genti, ognuna divisa in quattro popoli. Infatti, fra la gente etrusca
è palesemente noto che Mantova e le altre undici città furono fondate da
Tarconte. Però la descrizione di
cui si parla si riferisce dell'Etruria antica. Ma egli mescola le due Etrurie,
l'antica e la posteriore, per attribuire alla propria Etruria l'organizzazione
che avevano entrambe, altrimenti Mantova non apparterrebbe a questi aiuti>>.
***
A
proposito del fatto che Virgilio, fra le città della Padania, aveva incluso
solo Mantova nell'elenco dei contingenti militari che avevano composto
l'esercito federale comandato da Tarconte, abbiamo una sconcertante posizione
assunta da Silio Italico, dopo un secolo dalla morte di Virgilio, quando le città
escluse dal catalogo rivendicavano privilegi che il poeta non aveva loro
concesso.
Silio
scrisse un poema sulle Guerre Puniche,
dove, ad imitazione di Virgilio, passò in rassegna i vari reparti
dell’esercito italico che era andato in aiuto di Scipione contro Annibale.
Dopo
aver elencato vari contingenti etruschi, egli passa in rassegna gli altri
reparti italici che completavano l'esercito; e, tra quelli include le genti
della Pianura Padana.
Egli
dice:
<<
Anche voi popolazioni dell'Eridano, sebbene prostrate e povere d'uomini, correte
senza far voti alla battaglia. E Piacenza, pur se affranta dalla guerra, gareggiò
nel mandar soldati con Modena, Cremona e con la stessa Mantova, Mantova dimora
delle muse, innalzata al cielo dal canto Aonio, ed emula di Smirne per il
plettro. Seguivano i popoli di Verona, bagnata dall'Adige, e quelli di Faenza
che coltiva i pini dei quali tutta si incorona, e mandarono i loro figli
Vercelli e Pollenzia, ricca di pecore nere, e l'antica città di Ocno, un tempo
alleata dei Troiani nelle guerre Laurentine, e Bologna vicina al piccolo Reno (et quondam Teucris comes in Laurentia bella Ocni prisca domus parvique
Bononia Rheni), nonché coloro che fendono a stento con il pesante remo le
pigre onde fangose degli stagni di Ravenna>>[74].
Paola
Venini osserva che, in analogia con L'Eneide,
dove Ocno figura come fondatore di Mantova fra gli alleati etruschi dei Troiani,
si potrebbe esser portati ad indentificare con Mantova <<l'antica città
di Ocno>>, di cui parla Silio. Ma a tale identificazione, dice la Venini,
osta irrimediabilmente il fatto che la città è già comparsa nell'elenco, ai
versi 592-93. Poiché, come abbiamo visto, Elio Donato sostiene che Ocno fondò
Felsina (Bologna), ed in subordine permise ai suoi soldati la munitio
di alcuni castelli, fra cui Mantova, la Venini conclude giustamente che la
<<antica città di Ocno>>, di cui parla Silio, sarà allora Bologna,
sulla quale pertanto verrà a gravitare anche la notizia
di essere stata <<un tempo alleata dei Troiani nelle guerre
Laurentine>>. Paola Venini conclude:
<<Ravvisando
in Bononia, invece che in Mantova, la fondazione principale di Ocno e l'alleata
di Enea, Silio si contrappone a Virgilio, e questa contrapposizione in un "virgiliano"
ha certo un particolare sapore>>[75].
8.
Tarquinia e Mantova nell'Eneide
Elio
Donato e lo Scoliasta Veronese sostengono che Virgilio attribuisce a Mantova il
tipo di organizzazione politica e amministrativa caratteristico dell'Etruria
Tirrenica. Il poeta lo avrebbe fatto per i seguenti motivi.
a)
Mescolare le
due Etrurie onde attribuire alla sua patria il primato su entrambe.
b)
Poter
includere i Mantovani nell'esercito di Tarconte
anche se <<Enea, quando l'esercito era accampato in un solo luogo
contro Mezenzio, non aveva chiesto nessun aiuto ai Transpadani>>.
Tuttavia,
nell'Eneide, ciò che unisce le due Etrurie non è l'arbitrio di
Virgilio, bensì la figura di Tarconte capo supremo dell'esercito confederale. A
questi la tradizione attribuiva sia la fondazione di Tarquinia e, in subordine,
delle altre città dell'Etruria Tirrenica, sia la fondazione di Mantova e, in
subordine, delle altre città dell'Etruria Padana.
Nonostante
le critiche dei commentatori antichi e moderni, noi riteniamo che Virgilio,
inserendo solo Mantova nell'esercito di Tarconte, fosse stato sorretto dalla
tradizione secondo cui essa era il primo e più importante centro fondato
dall’eroe tarquiniese nell'Etruria padana.
Tanto
meno corretto sembra Silio Italico quando
pretende di cambiare il catalogo etrusco di Virgilio presentando Bologna, invece
di Mantova, fra le città che erano state alleate di Enea nella guerra contro i
Latini.
La
posizione di Silio verso Virgilio non sarebbe corretta nemmeno se si potesse
dimostrare che egli avesse disposto di una fonte più antica dell'Eneide.
Ma è probabile che, nei cento anni intercorsi fra la pubblicazione del
poema e l'opera di Silio Italico, molte città si siano appropriate dell'onore
di aver appartenuto all'esercito che Tarconte aveva condotto in aiuto di Enea.
Opportuna
è, invece, la perplessità di Ettore
Paratore quando, a proposito di Tarconte fondatore di Mantova, osserva che
<<è
singolare che questa leggenda non sia stata seguita da Virgilio, che fa di
Tarconte il capo degli Etruschi unitisi ad Enea>>[76].
Noi
abbiamo già notato che il poeta si comporta allo stesso modo anche con Pisa.
Fra
le varie città nominate nel catalogo etrusco, Pisa e Mantova sono le uniche per
le quali Virgilio specifica chi le avesse fondate. Tuttavia, il poeta non solo
ne ignora le connessioni con Tarconte, ma parla di un fondatore diverso.
Potrebbe
darsi che egli avesse una personale preferenza per Ocno, o che la avessero i
Mantovani, specialmente di epoca romana. Ma verosimilmente la ragione è
un'altra.
Nell'Eneide,
Tarconte, capo supremo della Lega Etrusca, riunisce l'esercito confederale
presso il lucus del dio Silvano, nella
pianura compresa tra la foce del fiume Mignone e la città di Tarquinia, che il
poeta chiama Corito.
Ma,
una volta lasciate al livello implicito le connessioni di Tarconte con
Tarquinia, che era la sua città per eccellenza, Virgilio non poteva esplicitare
le connessioni di Tarconte né con Pisa, né con Mantova. Se lo avesse fatto, i
Pisani o i Mantovani avrebbero assunto dinanzi agli altrri popoli presenti nel
catalogo delle forze federali guidate da Tarconte, il ruolo che storicamente
spettava a Tarquinia.
Così utilizzò altre tradizioni, e disse che Pisa era stata fondata dai
Greci in terra etrusca, e che Mantova era stata fondata da Ocno. Poteva,
tuttavia, utilizzare il prestigio che la tradizione centrata su Tarconte
conferiva a Mantova, ed affermare che la città era a capo dei popoli della
Padania, senza per questo meritare i rimproveri mossigli dagli antichi
commentatori.
Il
fatto è che essi, pur riferendo la tradizione che faceva di Mantova la
principale città fondata da Tarconte nella Padania, non erano disposti ad
accettare che Virgilio potesse aver implicitamente utilizzato tradizioni legate
alla figura di Tarconte. Prova ne
sia che Servio ed Elio Donato si soffermarono a commentare tutti i personaggi
del poema, e a fornire notizie storiche e mitostoriche anche dei più secondari;
ma non commentarono mai la figura di Tarconte. Eppure si trattava di una delle principali della seconda parte del poema.
9.
Tarconte,
Bianore e Tusco
Virgilio
scrisse le Bucoliche una ventina
d'anni prima dell'Eneide, al tempo in
cui i triunviri romani confiscarono le terre di Mantova e Cremona per assegnarle
ai veterani di guerra.
In
un primo tempo, il poeta riuscì a salvare il suo podere grazie alla protezione
di Alfeno Varo che l’aveva raccomandato ad Ottaviano. Tuttavia, egli condivise
tutta la disperazione dei suoi concittadini. Nella prima egloca delle Bucoliche,
il pastore Melibeo, dopo aver espresso la tristezza di dover lasciare la propria
terra, conclude indignato:
<<Un
empio soldato possederà maggesi così coltivati?
Un
barbaro queste messi?>>.
E'
notevole che, in questa occasione, Virgilio definisca barbari i coloni romani.
Più
tardi, anche Virgilio fu espropriato del podere,
ed espresse la sua tristezza e la sua rabbia nella nona egloca delle Bucoliche. Qui, il pastore Meri, dice al suo compagno Licida:
<<Siamo arrivati a vivere a un punto che uno straniero, non lo avrei mai temuto, diventato possessore del campicello, dicesse: "Sono mie queste cose, andate via vecchi coloni". Ora vinti, tristi perché tutto è in balìa della Fortuna, gli portiamo, che bene non gli venga, questi capretti>>.
Nell'ambito
della contrapposizione fra vecchi coloni e confiscatori romani definiti
<<barbari>> e <<stranieri>>, Virgilio passa a rievocare
la figura del fondatore di Mantova.
I
due pastori, Licida e Meri stanno andando dalla campagna in città per
consegnare i capretti al nuovo padrone; e, in un momento di intensa suggestione
lirica, Licida descrive a Meri l'incanto del paesaggio della loro terra:
<<E
ora tace per te distesa tutta la pianura; e, guarda, son caduti tutti i moti e i
sussurri dell'aria. Da qui, siamo a metà strada; infatti, il sepolcro di
Bianore comincia ad apparire: qui, dove i contadini diradano le dense frasche,
qui, Meri cantiamo>>.
Bianore,
secondo Servio, era lo stesso Ocno, che Virgilio presenterà, nell'Eneide
come fondatore di Mantova[77].
Ma Servio è l'unico commentatore di Virgilio, che non conosce altro fondatore della città che Ocno. Altri
menzionano Tarconte oppure Manto, figlia di Ercole. Pertanto, è ovvio che
Servio non possa proporre per
Bianore una identificazione diversa da quella con Ocno. Altri commentatori,
invece, presentano Bianore come
il figlio di Tusco.
Nel
commento alle Bucoliche, che va sotto il nome di Giunio Filargirio, si legge:
<<Bianore
cioè è un eroe, si dice che era figlio di Tusco, il quale anche lui (et
ipse) fondò Mantova; Bianore cioè agricoltore fortissimo di animo e di
corpo (Bianoris idest heros est; filius
Tusci dicitur, qui et ipse condidit Mantuam; Bianoris idest animo et corpore
fortissimus agricola)>>.
La
stessa notizia è ripetuta, poi, in forma
quasi identica, negli Scholia Bernensia,
con la aggiunta che Bianore fu assunto a divinità:
<<Bianor,
filius Tusci, qui et ipse Mantuam condidit, animo et corpore fortissimus
agricola; inde Bianor dictus est, sed postea deus erat, hoc est: forsitan
adiuvet (te) cantantem>>[78].
Il
commento attribuito al Filargirio è, in realtà, un'opera composta durante vari
secoli, della quale esistono due stesure. L'una è più antica, l'altra è un
riassunto della prima con variazioni ed aggiunte desunte da altri scoliasti[79].
Nella seconda stesura, la nota su Bianore è rimasta inalterata nel contenuto e
nella forma.
Quanto
agli Scholia Bernensia, si tratta di un commento collazionato attraverso
le note più antiche di tre grammatici: Tito Gallo, Gaudenzio e lo stesso Giunio
Filargirio.
Dunque,
l'identificazione di Bianore come figlio di Tusco,
presentata dal Filargirio e
dagli Scholia Bernensia ebbe non solo larga diffusione e continuità nel
tempo, ma anche sicurezza nella forma del testo.
L'espressione
<<anche lui (et ipse)>>
presuppone un altro che sia diverso
da <<lui>>. Ora, se, nell'Eneide,
Virgilio dice che il fondatore di Mantova fu Ocno, il Filargirio e gli Scholia
Bernensia dovrebbero intendere che stavolta il poeta si riferisca ad
un personaggio diverso.
Bisogna
osservare che quando Virgilio, nell'Eneide,
dice che Ocno era figlio del <<fiume tusco (tusci
amnis)>>, non intende dire che il fiume
si chiami Tusco (Tuscus), bensì
che si tratta di un fiume tusco cioè etrusco. Così, infatti, i Romani, a
volte, qualificavano il Tevere, e con tale qualifica il poeta lo nomina anche in
altri passi dell'Eneide e delle Georgiche[80].
Quando invece il Filargirio e gli Scholia
Bernensia dicono che Bianore era figlio di Tusco (filius Tusci), intendono riferirsi a un uomo che si chiama Tusco.
Perciò, nell'Eneide, Ocno è figlio
del <<fiume tusco (tusci amnis)>>,
cioè del Tevere; invece, nel Filargirio e negli Scholia Bernensia, Bianore è
figlio di un personaggio che si chiama Tusco. Secondo una tradizione riferita da
Verrio Flacco, scrittore di cose etrusche,
<<I
Tusci (cioè gli Etruschi) avevano preso il nome dal re Tusco figlio di
Ercole (Tuscos, quidam dictos aiunt a
Tusco rege Herculis filius)>>[81].
Anche
Tirreno, in alcune versioni, era figlio di Ercole[82], aveva dato il proprio
nome ai Tirreni (Etruschi), ed era fratello[83],
o padre (ma vedi nota 70), di Tarconte. Questi, poi, similmente a Bianore, era
considerato fondatore di Mantova.
Bianore
è nome greco, che significa "forte". Ma il poeta, nelle Bucoliche
copre sempre i personaggi con una denominazione greca.
Probabilmente Virgilio ha voluto alludere a Tarconte.
E’
opportuno ricordare che Virgilio, nell'Eneide,
era impegnato a cantare la gloria di Roma. Con ciò aveva evitato di esplicitare
che Tarconte era il fondatore di Tarquinia e di Mantova. Aveva chiamato
Tarquinia col suo alter nomen Corito
(ovvero Corinto), ed aveva assegnato a Mantova un fondatore diverso da Tarconte.
Il poeta aveva, invece, scritto le Bucoliche,
una ventina d'anni prima, nel periodo in cui i Romani avevano confiscato le
terre di Mantova e Cremona. A quel tempo, egli non era impegnato a cantare la
gloria di Roma, e il suo atteggiamento spirituale nei confronti dei coloni
romani era di sostanziale rifiuto. Nel momento acuto della contrapposizione tra
i <<vecchi coloni>> e i confiscatori romani definiti
<<barbari>> e <<stranieri>>, Virgilio poteva ben
contrapporre ai Romani la figura del più prestigioso colono etrusco, il mitico
Tarconte che, dopo aver fondato Tarquinia ed averla posta a capo dell'Etruria
Tirrenica, aveva fondato Mantova e la aveva parimenti posta a capo dell'Etruria
Padana.
[1] Tito Livio, Storia
di Roma, V, 33.
[2] Polibio, Storie,
II, 17.
[3] Marta Sordi, Etruschi
e Celti nella pianura padana: analisi delle fonti antiche, in Gli
Etruschi a nord del Po, a cura di R. De Marinis, Campanotto, 1988, I,
pag. 111.
[4] Diodoro Siculo, Biblioteca
storica, XIV, 113, 2.
[5] Strabone, Geografia,
V, 7.
[6] Servio Danielino, All'Eneide,
X, 198.
[7] Scholia
veronensia, X, 200.
[8] Cicerone, Pro
Caecina, 4, 11.
[9] Svetonio, Vita
dei Cesari: Il divo Giulio, LXXV.
[10] Pesudo Cesare, La
guerra africana, LXXXIX, 5.
[11] Cicerone, Lettere
famigliari, VI, 6; 7.
[12] Cicerone, Loc.u.
cit., VI, 7.
[13] Cicerone, Loc.
u. cit., VI, 9; XIII, 66.
[14] Cicerone, Loc.
u. cit., VI, 5; 6.
[15] Cicerone, Loc.
u. cit., VI, 9, traduzione di L. Rusca.
[16] Seneca, Questioni
naturali, II, 56.
[17] Seneca, Loc.
u. loc., II, 39, 1; 49, 1; 56, 1.
[18] Di lui, Plinio riferisce: <<Si dice che per
un felice portento, Cecina di Volterra abbia visto dei draghi slanciarsi
fuori dalle viscere delle vittime>>(H.N.,XI,
77, -197-).
[19] Cicerone,
Loc. u. cit., VI, 6.
[20] M. Pallottino, Uno
specchio di Tuscania, e la leggenda etrusca di Tarchon,
<<Rendiconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei>>, 1930
(Marzo-Aprile), vol. VI, pag. 67.
[21] Kaiknas,
C.I.I., app. 16 (T.L.E., 698), V sec. a. C.; C.I.I.,
app. 19 (T.L.E., 699), V-IV sec.
a. C..
[22] Keisnas,
N.R.I.E., 115. per l'equivalenza
del gentilizio latino-tarquiniese Caesennia
con l'etrusco-tarquiniese Ceisinia
e con l'etrusco-felsinese Keisna,
vedi C. De Simone, Ancora sul nome di
Cere, <<Studi Etruschi>>,
XLIV, 1976, pagg. 171 e 172.
[23] M. Pallottino, Etruscologia,
Milano, Hoepli, 1957, pag. 166: <<Cesena - Caesena, probabilmente con l'etrusco Keisna attestato a Bologna come nome gentilizio>>; Michael
Grant, Le città e i metalli,
Firenze, Sansoni, 1982, trad. D. Bigalli, pag. 141: <<Il nome di Caesena,
l'etrusca Keisna?, la moderna Cesena [...], probabilmente fornisce un
ulteriore esempio di relazione con il nome di un clan etrusco che troviamo anche a Bononia>>.
[24] Ceisinia,
C. I. E., 5525 (T.L.E., 98); 5526 (T.L.E.
99); 5713; 6318.
[25] Perugia, C.I.E.,
3505; Chiusi, C.I.E., 2057.
[26] Thesaurus
Linguae Etruscae, pagg. 368-369.
[27] Cicerone, Pro
Caecina, 7,18. Vedi pure Plinio, Storia
naturale, XI, 77 (197).
[28] Per le varie forme citate del gentilizio, vedi Thesaurus
Linguae Etruscae, pagg. 89, 100, 101, 198. Per la tomba dei Ceicnas
a Tarquinia, vedi C.I.E., 5494;
5495.
[29] *Manthu/*Manthura
si ricava dal nome Larth Mantu-reie
attestato in una tomba di S.Giuliano. Vedi C. De Simone, Il
nome etrusco del poleonimo Mantua, <<
Studi Etruschi>>, LVIII, 1993, pag. 197.
[30] Tito Livio, op.
cit., VI, 4: <<in agrum
tarquiniensem>>. Per la pertinenza di San Giuliano allo Stato
tarquiniese, vedi, fra gi altri, M. Torelli, Etruria,
Bari, Laterza, 1980, pag. 239.
[31] C. De Simone, <<Studi Etruschi>>,
LVIII, 1933, cit.
[32] Manthvate,
C.I.E., 4417, Perugia; Manthvatnei
(femminile di Manthvate), C.I.E., 2420, Chiusi; Manthvatesa
(moglie di Manthvate), C.I.E.,
4422, Chiusi. Secondo G. Colonna, (<<Archeologia Classica>>,
XXXII, 1980, pag. 14, n.73) e M. Cristofani (<<Studi Etruschi>>,
LVI, 1991, pag. 360), a Montecchio, nel Cortonese, sarebbe documentato il
nome etrusco del dio Manto nella forma del genitivo Mantrnsl.
Tuttavia, M. Pallottino, in TLE
653, presenta Muantrnsl, e
riferisce solo in nota l'altra forma; poi, nel Th.L.E.
(pag. 250) pubblica decisamente .
La lettura più sicura è Muantrnsl,
come riportato correttamente dal C. I.
E., 447 e da Studi Etruschi,
XIX, pag. 183. Parimenti, a Tarquinia, si è incerti se leggere Mantual (genitivo del
gentilizio Mantua) oppure Santual
sulla costa del coperchio di una cassa con figura di uomo giacente, in cui
le lettere dell'iscrizione, che è piuttosto recente, sono molto trascurate
e dipinte con il minio (C.I.E.,
5475).
[33] R. De Marinis, Mantua,
<<Sudi Etruschi>>, LI, 1983, pagg. 196-213; M. Cristofani, Sulle
iscrizioni di Mantova, <<Studi Etruschi>>, LI, 1983; M.
Sordi, in Gli Etruschi a Nord del Po, a cura di R. De Marinis, Mantova,
Campanotto, 1988, pag. 111.
[34] R. De Marinis, op.
cit. , pag. 202.
[35] Plutarco, Romolo,
III.
[36] Plutarco, op.
cit. , I.
[37] C.I.E.,
10161.
[38] M. Pandolfini, Le
iscrizioni etrusche nel Mantovano, in Gli
Etruschi a nord del Po, a cura di R. De Marinis, I, pag. 117.
[39] Dopo la conquista romana, Mantova fu inclusa nella
Tribù Sabatina, il cui nome derivava da quello del Lago Sabatino (Lago di
Bracciano) e dai Monti Sabatini (Festo, s.v. Sabatina)
prossimi al colle di Coccia dove nasce il fiume Mignone. Questo fiume va a
sfociare a pochi chilometri a sud di Tarquinia.
[40] D. Briquel, L'origine
lidienne des Etrusques, Ecole Française de Rome, Roma, 1991, pagg.
286-289.
[41] Strabone, op.
cit., V, 2, 2.
[42] M. Pallotino, op
cit. , passim.
[43] Ibidem.
[44] D. Briquel, op.
cit. , pagg. 489-559.
[45] Giovanni Lidio, De
ostentis, II, 6, B.
[46]Cicerone, L'aruspicina,
II, 50
[47] Virgilio, Eneide,
597-608.
[48] Festo, De verborum significatione, s.v. Tages.
[49] Censorino, De die natale, IV, 13.
[50] Isidoro di Siviglia, Etimologie,
VIII, 9.
[51] Commento
Bernense a Lucano, I, 636, H. Usener, pag. 41.
[52] Stefano di Bisanzio, De
urbibus, s.v. Tarconion.
[53] Scolii a
Licofrone, vv. 1242-1246.
[54] Cicerone, Lettere
famigliari, VI.
[55] F. Munzer, in Pauly-Wissova, Real Enciclopadie der Classischen Altertumswisseuschaft, 1899, s.v. Caecina
(7); M. Torelli, Senatori etruschi
della tarda repubblica e dell'impero, <<Dialoghi di
Archeologia>>, III, 3, 1969, pag. 295; D. Vottero, in L. A. Seneca, Questioni
naturali, a cura di, Torino, UTET, 1989, pag. 344, n. 1.
[56] M. Torelli, Senatori
etruschi della tarda repubblica e dell'impero, cit. .
[57] Quando Cicerone, nel 69 a.C., difese Aulo contro
Ebuzio che voleva estorcergli uno dei fondi lasciatigli in eredità dalla
moglie, disse esplicitamente che questa era morta quattro anni dopo averlo
sposato. Il matrimonio doveva essere avvenuto nel 73
o poco prima; e Cesennia
doveva esser morta nel 70, o poco prima. Dunque, il figlio doveva
esser nato grossomodo fra il 73 e 70, ed avere circa venticinque anni nel
46. In quell'anno avrebbe dovuto essere in esilio.
In
quello stesso anno, Cicerone riceve una lettera dove Aulo Cecina dall'esilio
gli chiede di aiutarlo per farlo tornare in Italia. Nella lettera, Cecina
parla di un proprio figlio in questi termini: <<Non è il caso, caro
Cicerone, che tu attenda mio figlio. E' adolescente (adulescens).
I suoi studi, la sua età e il timore non gli consentono di pensare ad ogni
cosa. Occorre che tu affronti da solo tutta la faccenda>>(Fam.,VI,7).
Non
conosciamo il nome e l'età di questo giovane. Il padre lo definisce
adolescente. Presso i Romani l'adolescenza andava dai quindici ai trenta
anni di età. Ora, pare poco verosimile che Aulo Cecina, a circa venticinque
anni, avesse un figlio che al minimo ne aveva quindici. Avrebbe dovuto
sposarsi all'età di dieci anni.
Sembra
più simile al vero che l' Aulo Cecina, difeso da Cicerone nel 69 sia lo
stesso Aulo Cecina che nel 46 era in esilio. Costui, dalla mogli Cesennia,
aveva avuto il figlio di cui parlava nella lettera a Cicerone.
[58] D. Briquel, Les
Pélasges en Italie, Roma, Ecole Française de Rome, 1984, pag. 224.
[59] Cicerone, La
divinazione, I, 92.
[60] A questi si riferisce Plinio quando ricorda un
Cecina volterrano che praticava l'aruspicina (vedi nota 18). Invece, ad Aulo
lo stesso Plinio si riferisce quando, fra le fonti della propria opera,
parla di un <<Cecina che scrisse intorno alla disciplina etrusca (Caecina
qui de etrusca disciplina scripsit)>> (Storia
naturale, II, indice).
[61] Cicerone, Lettere
famgliari, VI, 6.
[62] Cicerone, op.
u. cit. , VI, 5.
[63] Cicerone , in una lettera del 43, a Caio Furnio,
parla di una riunione, tenuta in casa, sua dove erano stati presenti
"mio fratello Quinto, Cecina (forse Aulo?) e Calvisio, tutti
affezionati a te, ed il tuo liberto Dardano" (Fam.
, X, 16).
[64] Strabone, op.
cit. , 62, 2.
[65] M. Pallottino, Etruscologia,
Milano, Hoepli, 1957, pag. 174.
[66] M. Cristofani, in Dizionario
della civiltà etrusca, Firenze, Giunti Martello, 1985, s.v. Tarconte.
[67] M. Torelli, Storia
degli Etruschi, Bari, Laterza 1981, pag. 43.
[68] Virgiio, op.
cit. , 179-180.
[69] Servio Danielino, all'Eneide,
X, 179: <<Catone, nelle Origini,
dice di non essere a conoscenza di chi avesse abitato a Pisa prima della
venuta degli Etruschi; ma si trova che Tarconte, figlio di Tirreno (?), dopo
aver occupato la regione (cod. sermonem)
fondò Pisa, mentre prima occupavano quella regione certi Teutani che
parlavano greco (Cato "Originum"
qui Pisa tenuerint ante adventum Etruscorum, negat sibi compertum; sed
inveniri Tarchonem, Tyrrheno (?) oriundum, postquam eorundem regionem (cod.
sermonem) ceperit, Pisas condidisse, cum ante regionem eandem Teutanes
quidam, graece loquentes, possederint)>>.
Questo
è l'unico caso in cui Tarconte sarebbe presentato come figlio di Tirreno;
ma tutto il passo è notevolmente corrotto, per cui si potrebbe leggere Tarconem
Tyrrhenia oriundum (Tarconte originario della Tirrenia).
Quanto
ai Teutani, poi, dovrebbe trattarsi dei Pelasgi provenienti dalla Tessaglia.
Ellanico di Lesbo parlava, infatti, del pelasgio Nanas, figlio di Teutanide,
che dalla Tessaglia sarebbe venuto in Etruria (in Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, I, 28).
[70] Virgilio,
op. cit., X, 198-203.
[71] Virgilio, op.
cit., X, 198-203: <<Ille
etiam patriis agmen ciet Ocnus ab
oris, / fatidicae Mantus et tusci filius amnis, /
qui muros matrisque dedit tibi, Mantua, nomen, /
Mantua, dives avis, sed non genus omnibus unum: /
gens illi triplex, populi sub gente quaterni, /
ipsa caput populis, tusco de sanguine vires >>.
[72] Servio, All'Eneide,
X, 198: << OCNUS. Id est Ocnus,
quem in Bucolicis Bianorem dicit, ut "namque sepulchrum incipit
apparere Bianoris". Hic Mantuam dicitur condidisse, quam a matris
nomine appellavit: nam fuit filius Tiberis et Mantus, Tiresiae Thebani vatis
filiae, quae post patris interitum ad Italiam venit>>; X, 201:
<< SED NON GENUS OMNIBUS UNUM
quia origo Mantuanorum et a Tuscis venit, qui in Mantua regnabant, et a
venetis: nam in Venetia posita est, quae et Gallia cisalpina dicitur
>>; X, 202: <<GENS ILLI
TRIPLEX POPULI SUB GENTE QUATERNI quia Mantua tres habuit populi tribus,
quae in quaternas curias dividebantur: et singulis singuli lucumones
imperabant, quos tota in Tuscia duodecim fuisse manifestum est, ex quibus
unus omnibus praeerat. Hi autem totius Tusciae divisas habebant quasi
praefecturas, sed omnium populorum principatum Mantua possidebat: unde est
"ipsa caput populis>>.
[73] Servio
Danielino, op. cit. , X, 198:
<<Alii Manto, filiam Herculis,
vatem fuisse dicunt. Hunc Ocnum alii Aulestis filium, alii fratrem, qui
Perusiam condidit, referunt: et ne cum frate contenderet, in agro Gallico
Felsinam, quae nunc Bononia dicitur, condidisse: permisisse etiam exercitui
suo ut castella muniret, in quorum numero Mantua fuit. Alii a Tarchone
Tyrrheni frate conditam dicunt: Mantuam autem ideo nominatam, quod Etrusca
lingua Mantum Ditem patrem appellant, cui cum ceteris urbibus et hanc
consacravit>>; X, 201: <<Et
bene "dives avis", quia non ab Ocno, sed ab aliis quoque condita
fuit: primum namque a Thebanis, deinde a Tuscis, novissime a Gallis, vel, ut
alii dicunt, a Sarsinatibus, qui Perusiae consederant >>; X, 203:
<<Ergo Virgilius miscet novam et
veterem Etruriam, ut utriusque principatum patriae suae adsignet, cum
alioquin Mantua ad haec auxsilia pertinere non debeat, quia Aeneas nulla a
transpadanis auxsilia postulaverit, cum omnis exsercitus adversum Mezentium
uno loco consederit. Et propterea putatur poeta in favorem patriae suae hoc
locutus, ut de hac sola trans Padum pro Aenea adversum Mezentium auxilia
faciat venisse, quod nec populorum nomina, nec lucumonum rettulerit >>.
[74] Silio Italico, Le
Puniche, VIII, 588-601.
[75] Paola Venini, La
visione dell'Italia nel catalogo di Silio Italico, <<MIL>>,
36 (1977-78), pag. 194; vedi S. Mazzarino, Intorno
alla tradizione su Felsina princeps Etruriae, in Studi sulla città antica. Atti del Convegno di Studi sulla città
etrusca e italica preromana, Bologna, 1970, pag. 217 sgg..
[76] E. Paratore, a cura di, Eneide,
libri IX-X, Milano, Mondadori, 1990, pag. 241.
[77] Servio, Alle
Bucoliche, IX, 60; All'Eneide,
X,198.
[78]
Scholia Bernensia, p. 832.
[79] Vedi David Daintree e Mario Geymonat, in Enciclopedia
virgiliana, s.v. Scholia,
pagg. 711-717.
[80] Virgilio, op.
cit. , VIII, 473; X, 199; XI, 316; Georgiche,
I, 499.
[81] In Festo, De
verborum significatione, s.v. Tuscos.
Secondo
una diversa tradizione, riferita da Elio Donato, Tirreno morì in mare
durante la navigazione dall'Asia in Italia, conferendo così il proprio nome
al Mar Tirreno. Suo figlio Tusco, allora, assunse il comando della
migrazione, e condusse il popolo in quella parte d'Italia che, dal suo nome, chiamò
Tuscia (Servio Dan., All'Eneide,
I, 67).
[82] Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, I, 42.
[83] Silio Italico, ne Le
Puniche, (VIII, 471-475), ad imitazione del catalogo dei contingenti
etruschi che costituivano l'esercito che
Tarconte aveva portato in aiuto di Enea, compilò un elenco di popoli
etruschi che erano andati in aiuto di Scipione contro Annibale. Egli, con
evidente riferimento alla Corito Virgiliana (Tarquinia), elenca, fra
Gravisca (oggi Lido di Tarquinia) e Cere (oggi Cerveteri), una città di
<<Corona, sede del superbo
Tarconte>>. Ma, nelle edizioni a stampa, Corona, è stata "corretta" in <<Cor(t)ona
sede del superbo Tarconte>>, e riferita a Cortona in provincia di
Arezzo (vedi cap. XX, 2).
L'inopportunità
è stata già rilevata da Colin Hardie, <<J.R.S.>> (1964) e da
Nicola Horsfall <<J.R.S.>> (1973) (vedi cap. XX, 3).
Giovanni
Colonna,( <<Arheologia Classica>> , 1980) ha, tuttavia, dedotto
che <<da quella città, meglio che da Tarquinia, Tarchon avrà fondato
Pisa, muovendo per la valle dell'Arno, e soprattutto le città della
dodecapoli Padana, secondo la tradizione riferita da Cecina in età
Cesariana e poi da Verrio Flacco>>.
Dominique
Briquel (L'origine lidienne des Etrusques), sviluppando la tesi di Colonna,
sostiene che non gli interessa sapere se l'autore delle notizie sulle
imprese di Tarconte nella Padania, sia Aulo Cecina padre o figlio (pag.
285). Poi aggiunge: <<La famiglia dei Cecina ha delle connessioni con
Tarquinia. Una tomba tardiva ci attesta l'esistenza dei
Caicnas. Ed il Cecina difeso da Cicerone (sia che si tratti del padre
dell'autore che di lui stesso) aveva sposato una Caesennia appartenente ad una importante famiglia della città. Ma i
Cecina sembrano aver avuto connessioni anche con la regione di Chiusi dove
il gentilizio è attestato da quattro iscrizioni. In tal modo, noi siamo
risospinti in quella parte della Toscana dove si è elaborata questa forma
non Tarquiniese della leggenda di Tarconte, nella quale questi è fratello
di Tirreno, e non semplicemente suo collaboratore, come a Tarquinia>>(pag.
292) (la traduzione dal francese è nostra).
Per
Briquel la tradizione autentica sarebbe quella riferita nel IV sec.d.C. da
Elio Donato, perché il fatto che Tarconte vi viene presentato
come fratello di Tirreno, gli fa presumere che la leggenda sia stata
elaborata nell'Etruria di nord-est, sotto l'influenza della cultura greca.
Invece, sempre secondo Briquel, <<la notizia di Cecina sembra
riposare, per una buona parte su punti di vista personali dell'autore>>(pag.292).
In
una serie di precedenti lavori e nel cap. XX di quest’opera, ai quali
rimandano, noi abbiamo esaurientemente esaminato e discusso il valore del
passo delle Puniche di
Silio Italico (vedi Atti e Mem. della
Acc. Naz. Virg. di Mantova, 1988, pagg. 42-46; 1990, pag. 102, n.16;
1991, pagg. 202-207; 1992, pagg.85-88). Qui, osserviamo quanto segue.
a).
Briquel dichiara che il problema dei due Aulo Cecina non lo interessa. Ma se
egli avesse affrontato la possibilità dell'esistenza del giovane Aulo, si
sarebbe trovato dinanzi al fatto che questo
autore della notizie delle imprese di Tarconte nella Padania sarebbe
stato il figlio del vecchio Aulo e della tarquiniese Cesennia, e che poteva
esser nato addirittura a Tarquinia o nel Tarquiniese dove la madre possedeva
due fondi. A Briquel sarebbe stato, allora, più difficile
sostenere che Aulo avrebbe recepito la leggenda di Tarconte fondatore
di Mantova dalla regione di Chiusi.
b).
Non risulta in alcun luogo che Aulo Cecina (padre o figlio che sia) abbia
avuto contatti culturali con Chiusi e, tanto meno, con Cortona. Le quattro
iscrizioni con il nome dei Cecina, trovate nella regione chiusina, addotte
da Briquel, sono anteriori di tre secoli all'epoca dei nostri Cecina; e
rientrano nel novero comune dei vari Cecina sparsi in tutta l'Etruria, come
a Felsina, Sovana, Perugia e Bolsena (vedi par. 2).
c).
Elio Donato, diversamente da Cecina, non è etrusco, né scrive nel quadro
di un trattato di aruspicina, come invece fa Cecina, né in quello di una
storia del popolo etrusco, come invece Flacco, bensì in
un commento all'Eneide,
dove egli non si pone mai il
problema di affrontare la figura di Tarconte (vedi par. 8). Inoltre, egli
scrive in un epoca in cui ormai sulla tradizione riferita da Cecina e da
Flacco, sono passati quattrocento anni di adattamenti greci e romani. Egli,
infine, non riferisce la fonte, mentre gli Scholia
Veronensia non solo citano Cecina e Flacco, ma ne riportano le parole
dopo <<disse>> e due punti.
d)
Il fatto che la tradizione, che fa di Tarconte il figlio di Telefo, ed il
fratello di Tirreno, sia una elaborazione greca, o talora possa essere una
rielaborazione etrusca di influenza greca, non sgancia Tarconte da
Tarquinia, come vorrebbe Briquell. Anzi, mentre le altre tradizioni
connettono l'eroe alla fondazione di altre città oltre Tarquinia, è
proprio questa tradizione che lo connette alla sola Tarquinia (vedi par. 3 e
cap. VIII, 25). Infatti, Stefano di Bisanzio attribuisce, in due occasioni
la fondazione di Tarquinia a Tarconte figlio di Telefo (De
urbibus, s.v.Tarconion;
Tarkynia). Tzetze, in nota alla Alessandra
di Licofrone, dice poi: <<Il nome della Tirrenia deriva da Tirreno;
quello di Tarquinia, città della Tirrenia, da Tarconte, figlio di Telefo
(v.1242)[...]. Tarconte e Tirreno furono figli di Telefo(v.1246)>>.
Come si vede, Tarconte è strettamente legato a Tarquinia, anzi alla sola
Tarquinia, proprio quando viene presentato come fratello di Tarconte e
figlio di Telefo.