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VIRGILIO E CORITO-TARQUINIA

Capitolo III 

 C O R I T O - T A R Q U I N I A 

 Ampliato e ristrutturato dal n. 56 di Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova                    

1.                      Enea si presenta a Tarconte

 Virgilio continua raccontando così:

 

<<E mentre in una regione profondamente diversa avvenivano queste cose (Atque ea diversa penitus dum parte geruntur)>>, la dea Giunone ritenne opportuno inviare la sua messaggera a Turno, re di Ardea, comandante dell’esercito nemico dei Troiani, per avvertirlo che Enea non solo si era recato sul colle Palatino a chiedere aiuto agli Arcadi di Evandro, ma che era anche giunto fino alla lontana città di Corito, in Etruria, a stringere alleanza con Tarconte1 .

 

Elio Donato e Servio rilevavano quanto segue (Donato è sottolineato):

 

<<“E MENTRE IN UNA REGIONE PROFONDAMENTE DIVERSA AVVENIVANO QUESTE COSE”, cioè mentre si offrivano le armi, mentre si davano gli aiuti  (“ATQUE EA DIVERSA PENITUS DUM PARTE GERUNTUR”, scilicet dum offeruntur arma, dum dantur auxilia) [...].

   “ PROFONDAMENTE DIVERSA ”, molto diversa, cioè molto lontana, sia presso il Palatino sia in Etruria. Per cui poco dopo Virgilio dice: “Né basta, Enea è penetrato fino alla lontana città di Corito ed arma una banda di Etruschi” (DIVERSA PENITUS, valde diversa, id est longius remota, vel apud Pallanteum vel in Etruria , unde paulo post dicit: “nec satis extremas Coruthi penetravit ad Urbes Lydorumque manus”)>>2 .

 

 Elio Donato e Servio sostengono. dunque, che la regione che Virgilio definisce <<profondamente diversa>> è quella stessa in cui Enea si trova sia mentre sul Palatino riceve gli aiuti di Evandro, sia mentre in Etruria riceve quelli di Tarconte e le armi di Venere (per le armi di Venere, vedi cap. IV, 2).

 Secondo loro, poi, il fatto che Virgilio dica che il luogo dove si trovava Enea era <<profondamente>> diverso e lontano da Ardea prepara l’espressione che il poeta userà subito dopo quando dirà: <<Enea è penetrato fino alla lontana città di Corito ed arma una banda di Etruschi, agresti riuniti>>.

 Per ora, è opportuno evidenziare che, in questo momento della vicenda, i due esegeti virgiliani non pongono Enea in una regione diversa e neppure più lontana da quella compresa fra il Palatino di Roma ed il territorio attorno alla foce del fiume che essi stessi chiamano Mignone (vedi cap. II, 4). Questo fiume, poi, secondo quanto specifica Donato, si trova a nord del porto di Centumcellae (Civitavecchia), cioè fra questa località e Tarquinia, dove in effetti sfocia. Qui finisce il viaggio di Enea in Etruria. Si tratta dello stesso luogo dove Tarconte ha  riunito e accampato l’esercito federale etrusco, e dal quale ha inviato ad Evandro le insegne del potere.

 

 2.               La città di Monte Corito presso la foce del Mignone

                                      e il campo di Tarconte  

 

Il poeta presenta in questo modo il messaggio di Giunone a Turno.

<<la saturnia Giunone>>, al fine di informare Turno sui movimenti e sulle intenzioni di Enea, e di incitarlo ad assalire subito il grosso dei Troiani rimasti alla foce del Tevere, <<mandò dal cielo Iride all’audace Turno [...], la quale con la rosea bocca così parlò: o Turno, il corso del tempo ti ha spontaneamente portato ciò che speravi e che nessun dio avrebbe osato prometterti. Enea, lasciato l’accampamento, i compagni e la flotta, si è recato alla reggia di Evandro sul Palatino; né basta, è penetrato fino alla lontana città di Corito (extremas Corythi penetravit ad urbes) ed arma una banda di Etruschi, agresti riuniti. Perché indugi? Questo è il momento di preparare cavalli e cocchi. Rompi ogni indugio, ed assali l’insicuro accampamento>>3 .

 

 Riportiamo il commento che l’antico mondo romano ci ha lasciato attraverso Elio Donato e Servio. Si tratta di quegli stessi autori secondo i quali Enea, in quell’occasione, si trovava presso  il fiume  Mignone a ricevere gli aiuti da Tarconte ( Donato è sottolineato):

 

 <<”DI CORITO E’ PENETRATO”, affinché sembrasse che Enea avesse percorso tutta l’Etruria (“CORYTHI PENETRAVIT”, ut totam Etruriam peregrasse videatur).

 DI CORITO, poi, vuol dire del monte della Tuscia, il quale, come abbiamo detto (in VII, 203), prese il nome dal re Corito con la cui moglie Giove andò a letto per cui nacque Dardano (CORYTHI, autem montis Tusciae qui, ut supra diximus (IX,1), nomen accepit a Corytho rege cum cuius uxore concubit  Iuppiter unde natus est Dardanus)>>

  “ E’ PENETRATO” e’ poi ben detto poiché prima (IX 1) Virgilio aveva detto che Enea stava agendo in un luogo profondamente lontano   (“PENETRAVIT”, bene quia supra dixerat  “penitus”; cod . T :  Bene dicit  penetravit quia supra dixerat  penitus diversa parte)>>4 .

 

  Servio spiega che il poeta, dicendo <<urbes Corithi>>, intendeva <<la città di (monte) Corito>>. Questa, poi, si trovava sull’omonimo monte che aveva preso il nome del re Corito padre di Dardano.

 Anche una glossa del Corpus Glossarum Latinarum spiega  che: <<Corito è il monte (Coritus mons est)” 5.

  Elio Donato, dal canto suo, presenta due osservazioni.

 

a)                 Nella prima, egli rileva che le parole di Iride creano l’impressione che l’eroe abbia percorso tutta l’Etruria e che si trovi più lontano di quanto non sia.

 

 b) Nella seconda, però, si riallaccia a quanto anticipato  nel commento al primo verso del libro (All’En. , IX, 1; vedi par. 1).

  In quella occasione, sia lui che Servio avevano osservato che Virgilio aveva puntualizzato che il Palatino e il campo di Tarconte (dove Enea si era recato) appartenevano a una regione profondamente diversa e lontana dal luogo in cui Iride va a parlare a Turno. Con ciò, il poeta, secondo i due esegeti, aveva preparato l’espressione che userà quando farà dire ad Iride: <<Enea è penetrato fino alla lontana città di Corito>> a stringere un patto di alleanza con Tarconte.

 Infatti, il verbo latino  penetrare è composto da penitus (= profondamente) più intrare (= entrare), e significa “entrare profondamente”.

 Adesso, Donato riprende il discorso, e specifica che Virgilio, nel dire che Enea <<è penetrato  (penetravit)>>, ha usato una espressione opportuna perché in precedenza il poeta stesso aveva detto che il Palatino e il campo di Tarconte (dove Enea si era recato) erano <<profondamente diversi e lontani (diversa penitus)>> da Ardea dove si trovava Turno. Questa città, infatti, era abbastanza lontana dal Palatino, e distava circa duecento chilometri dalla foce del Mignone[1].

In conclusione, Elio Donato sostiene che dalle parole di Iride potrebbe sembrare che Enea per penetrare fino alla lontana città di Corito abbia  percorso tutta l’Etruria, ma che nei fatti l’eroe non è andato oltre la regione attorno al  campo di Tarconte, dove il monte e la città di Corito sono profondamente situati.

 

 Virgilio dice che il campo di Tarconte era  presso un fiume (VIII, 597), vicino al mare (VIII, 555: Tyrrheni ad litora regis).

 Da Servio  sappiamo che la natura fisica del “campo”  era riferita da tradizioni scritte, e poteva esser controllata sul posto (vedi cap. II, 4).

 Sia per Elio Donato che per Servio, il “campo” di Tarconte era sopra un colle pianeggiante presso la foce del fiume Mignone (amnis autem Minio dicitur).

 Elio Donato specifica che il fiume scorreva al di là del porto di Centumcellae (Civitavecchia). In effetti, il Mignone sfocia fra Civitavecchia e Tarquinia.

  Bisogna, dunque, riconoscere che gli antichi esegeti di epoca romana sapevano che il monte e la città di Corito si trovavano nella zona collinosa del corso finale del Mignone, fra Centumcellae e Tarquinia[2].

 Evidentemente, a quel tempo non solo si poteva andare di persona nella regione attorno alla foce del Mignone a visitare il luogo dove le fonti scritte collocavano il campo di Tarconte, ma si sapeva pure che in quella regione c’era, o una volta ci fosse stata, la mitica città di monte Corito; oppure, si sapeva che Corito era l’alter nomen di Tarquinia o, comunque, il nome con cui Virgilio aveva chiamato la città[3].

A questo proposito, potrebbe esser significativo il fatto che la virgiliana città di Corythus era chiamata anche Corinthus. Sia pure contra metrum, in uno degli stessi codici dell’Eneide (cod. n) si legge: <<Enea è penetrato fino alla città di Corinto (Corinthi)>>. La città greca di Corinto, donde proveniva Demarato, re di Tarquinia (vedi capp.II,2 e XXI, 5) era, a sua volta, detta anche Corithus (vedi cap. VI, 4-7). Corinthius veniva denominato il re Demarato padre di Tarquinio Prisco; e sia Corinthos che Corythos veniva indifferentemente chiamato il padre di Telefo a sua volta padre di Tarconte (vedi cap. VI, 4-7).

 

3.             Gli antichi commenti all’Eneide e la tradizione medioevale

 

 Paolo Perugino (? - 1348) e Giovanni Boccaccio, i quali ci hanno testimoniato quel che l’alto Medioevo aveva tramandato del mito di Dardano, affermavano che <<Corito [...] era quella città che oggi [...] si chiama volgarmente Corneto>>.

<<E a questa intenzione>>, argomentava il Boccaccio, <<forse agevolmente s’adatterebbe il nome, per ciò che, aggiunta una “n” al nome di Corito, farà Cornito>>(vedi cap. I, 5).                                  

 La derivazione  etimologica del nome di Corneto da quello di Corito, così come prospettata dal Boccaccio, non è sicura (vedi cap. VI, 7 e nn. 30 e 34), ma l’identificazione della città virgiliana con Corneto o, in alternativa, con  Tarquinii doveva essere molto antica se trova il suo puntuale riscontro nelle notazioni geografiche fatte all’Eneide in epoca romana.

 

 

 4.            Funzionalità della identificazione  di Corito con Tarquinia

 

 D’altra parte, riconoscere che Enea è arrivato fino a Corito, in Etruria, come gli dèi Penati gli avevano comandato, vuol dire risolvere la fondamentale dicotomia della struttura dell’Eneide.

A torto si è creduto che Virgilio potesse ritener compiuto il ritorno dei Troiani all’ antiqua mater con il loro approdo alla foce del Tevere nel Lazio vetus, anche se il poeta poteva definire <<etrusco>> questo fiume.

 Virgilio operava subito un atto di riparazione verso la tradizione filoetrusca: Enea, respinto dai Latini del luogo, si reca a chiedere aiuto a Tarconte, in Etruria, a Corito-Tarquinia, presso la foce del Mignone. In questa, verosimilmente, il poeta riconosceva la mitica foce del fiume Linceo dove Enea, nella versione filoetrusca, era sbarcato al suo arrivo in Etruria (vedi cap VIII, 14).    

 Se noi accettiamo l’identificazione di Corito con Tarquinia, realizziamo che Virgilio, con il ritorno di Enea in questa città, chiude il ciclo della vicenda della stirpe troiana, da lui stesso auspicato attraverso l’ingiunzione data ad Enea dai Penati di tornare a Corito antiqua mater della stirpe. Da Tarquinia, o dalla sua regione (Maltano, Regisvilla), era partita la diaspora dei Tirreni verso i paesi orientali del bacino del Mediterraneo (vedi cap. XV, 8). A Tarquinia, presso Tarconte, ritorna Enea, poi va a istallarsi nel Lazio vetus.

 L’identificazione di Corito con Tarquinia ci fa anche capire che la concentrazione dei documenti archeologici e letterari del mito troiano nell’Etruria meridionale costiera, dove finisce il viaggio di Enea in Etruria, cantato da Virgilio, è significativa del particolare rapporto che gli abitanti di questa regione dicevano di aver avuto con Troia. E’ verosimile che il poeta abbia raccolto e adattato alla gloria di Roma una tradizione presente in questa regione (vedi capp. IV, 2; VIII, 11).

 Storici ed archeologi indicano Tarquinia alle origini del popolo etrusco. Lungo la valle del Mignone sono stati trovati anche frammenti di ceramica micenea o di tipo miceneo, che vanno dal XIV al XII sec.a.C.. Essi documentano probabili contatti con il bacino orientale del Mediterraneo durante l’epoca, alla quale Virgilio si riferisce.

        

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1 Virgilio, Eneide, IX, 1-10.

2 Servio Danielino, All'Eneide, IX, 1.

3 Virgilio, op. cit., IX, 8-11 : <<Turne, quod optanti divom promitere nemo / auderet, volvenda dies en attulit ultro./ Aeneas urbe et sociis et classe relicta / sceptra Palatini sedemque petit Evandri. / Nec satis: extremas Corythi penetravit ad urbes / lydorumque manum collectos armat agrestis. / Quid dubits? Nuc tempora equos, nunc poscere currus; / rumpe moras omnis et turbata arripe castra>>.

4 Servio Danielino, op. cit. , IX, 11.

5 Corpus Glossarum Latinarum, VI, pag. 277, s.v. Coritus.

[1] In altre parole, Elio Donato rileva che Virgilio, nel verbo latino penetrare (composto da penitus + intrare = entrare profondamente, penetrare) con il quale fa dire ad Iride che <<Enea è penetrato fino alla lontana città di Corito>>, riprende opportunamente il senso dell’avverbio penitus (= profondamente) già utilizzato in precedenza nel dire che i luoghi (Palatino e campo di Tarconte), dove  Enea si trova sono profondamente lontani e diversi dal luogo dove  Iride parla.

[2] Elio Donato, in nota alle altre e tre menzioni del nome di Corito, fatte da Virgilio, annota:

a) <<CORYTHUM designat civitatem ne erraret et partem provinciae, ne alter errore ex magnitudine procreeretur locorum>>, dove spiega che, per non commettere errori dovuti alla vastità dei luoghi, per Corito si deve intendere la città e parte della provincia (Servio Danielino, op. cit. , III, 179).

 In precedenza, in nota ad un passo dove Enea aveva detto <<cerco l’Italia patria della mia stirpe>> (En., I, 38), Donato aveva spiegato che con il termine Italia si deve intendere la provincia (provinciam...hoc est Italiam) e per patria si deve intendere Corito (Patriam hoc est Corythum) (Servio Danielino, op. cit. , I, 380).          

b) <CORYTHI oppidum et mons dicta a rege Corytho/(Corynthi), ut putatur a quisdam, patre Dardani, ibi sepulto >>, dove “Corito è il nome della città e del monte così detto da Corito/Corinto, padre di Dardano, ivi sepolto” (Servio Danielino, op. cit. , I, 380).

c) <CORYTHI DE FINIBUS  est civitas Tusciae, et mons, et rex, pater Dardani unde nunc ad qodvis potest a de finibus Corythi>>. Lo scoliasta spiega che <<Corito è sia città della Tuscia, sia monte e sia re, padre di Dardano>>, per cui, in questa occasione, l’espressione Corythi de finibus (= dalle terre di Corito) può essere  riferita ad ognuna di quelle significazioni (Servio Danielino, op. cit. , I, 380).

Come si vede, Elio Donato è preciso e preoccupato di specificare di volta in volta se per Corito si debba intendere città o monte o re. Pertanto, Servio, nel dare al vocabolo Corito usato da Virgilio, la particolare accezione di monte della città (o delle città) di Corito aveva a disposizione  una accurata esposizione  di significati. La scelta nasce, dunque, da una accurata  selezione e piazza inequivocabilmente il monte di Corito nel contesto geografico del fiume Mignone e del campo di Tarconte dove si esaurisce il viaggio di Enea in Etruria. Ciò a dispetto di quanti oggi sostengono che il poeta abbia usato il nome di Corito in luogo di Etruria.

 Vedi ancora la glossa sopra riferita dal Corpus Glossarum Latinarum in cui è specificato che Corito è un monte (Coritus mons est)”.

[3] Harrison  ha ritenuto erroneamente, che la città di Corito non fosse in questo luogo, e che Enea non fosse andato a Corito. Così Iride avrebbe ingannato Turno al fine di rassicurarlo e di indurlo ad attaccare il campo troiano durante la lunga assenza di Enea. Harrison ha ritenuto che Enea si trovasse accanto al fosso Vaccina a Sud di Cerveteri, ma che Turno e i suoi guerrieri, a causa della menzogna di Iride,  fossero non soltanto convinti che Enea si trovasse molto più lontano, a Cortona, dove si è presunto di poter localizzare Corito (vedi cap. XIX), nell'Etruria settentrionale interna, ma che il suo ritorno sarebbe avvenuto via terra da quella direzione, tanto che il suo arrivo che avverrà invece dal mare, li coglierà di sorpresa. Virgilio (En. , X, 260, segg.), secondo Harrison, avrebbe narrato la scena in ordine a questo effetto ( E. L. Harrison, Virgil's location of Corythus, <<The Classical quaterly>>, XXXVI, 1976, pag. 295).

 Ma il contesto dell'Eneide non autorizza a ritenere che Corito fosse molto più lontana dei luoghi dove Enea si era recato, né che Iride mentisse.

 Turno, questo duce virgiliano dell'esercito italico sarebbe stato, secondo Harrison, tanto poco coraggioso che Iride sarebbe stata costretta non semplicemente ad incitarlo, ma a fargli credere che Enea fosse effettivamente molto più lontano di quanto realmente fosse. Ma ad Harrison deve esser sfuggito che Virgilio proprio in questa occasione qualifica Turno con l'aggettivo di audace: <<Giunone dal cielo mandò Iride all'audace (Audax) Turno>> (En. , IX, 13).

 Inoltre, quando più tardi avverrà il concilio degli Dei, Venere si lamenterà, dinanzi a Giove e a tutti gli Dei, sia del fatto che Turno, istigato da Iride, stia in quel momento assalendo i Troiani alla foce del Tevere, mentre <<Enea, ignaro, è assente>>(En., X, 25), sia del fatto che <<Iride sia stata inviata  giù dalle nubi>>(En., X, 39) da Giunone per informare Turno della assenza di Enea. Tuttavia, non le rinfaccerà di aver mentito, ma solo di essere stata partigiana di Turno e di avergli fatto una delazione. Né Giunone, nel risponderle, dinanzi a Giove e a tutti gli Dei, avrà motivo di doversi discolpare di qualche menzogna. Anzi, Giunone sosterrà: <<che c'entra qui Giunone o Iride inviata giù dalle nubi? ... E' cosa nefanda che noi abbiamo aiutato in qualche modo i Rutuli? Enea ignaro è assente, e sia ignaro e se ne stia assente!>>(En., X, 73-85).

 In effetti, Giunone non aveva interesse ad ingannare Turno che era un suo protetto, ma voleva opportunamente avvisarlo che Enea  era andato fino alla lontana città di Corito a chiedere rinforzi agli Etruschi. In più ella voleva giustamente incitarlo ad attaccare il campo troiano prima che Enea ritornasse con i rinforzi. Ella usava un linguaggio che, per rassicurare Turno,  enfatizzava  la distanza di Corito e minimizzava il valore degli Etruschi, ma questo non vuol dire che ella mentisse e che  potesse ritenere  Turno tanto infantile da recepire che realmente l'esercito della Lega Etrusca, che già da tempo stava per muovergli guerra, consistesse in una banda di contadini riuniti ai quali Enea doveva insegnare anche l'uso delle armi.          

 Harrison ritiene che Turno ed i suoi sarebbero stati convinti, per le parole di Iride, che il ritorno di Enea sarebbe avvenuto via terra da Cortona attraverso le regioni settentrionali dell'Etruria interna. Egli, a questo fine, sostiene che poi  l'arrivo effettivo di Enea, avvenuto invece dal mare, avrebbe colto Turno ed i suoi di sorpresa, tanto che Virgilio avrebbe narrato la scena in ordine a questo effetto (En. , X, 260 e segg.). Sarà perciò opportuno  andar a rileggere la scena così come Virgilio la descrive.

 Virgilio narra che <<quando poi Enea con la sinistra levò in alto lo scudo fiammeggiante, un grido lanciano alle stelle i Dardani dalle mura, una speranza nuova ridesta il loro ardore, ed essi scagliano dardi, come sotto le cupe nuvole le strimonie gru levano gridi di richiamo e con strepiti fendono l'aria e fuggono i venti con lieto clamore. Ma al re rutulo, Turno, e ai condottieri ausoni quel fatto appare inspiegabile (cioè l'entusiasmo dei Troiani che erano dentro le mura) finché non vedono le navi volte al lido e tutto il mare riversarsi a terra con le navi>>(En., X, 260, segg.).

 Turno è stupito dalla gioia dei Troiani che sono dentro le trincee. Viceversa, è proprio la vista delle navi etrusco-troiane che lo fa immediatamente recedere dallo stupore. Sembra che Turno si sia aspettato che prima o poi questo arrivo dal mare fosse dovuto avvenire, e che il messaggio che in precedenza Giunone gli aveva fatto pervenire tramite Iride non avesse contenuto menzogne, ma fosse stato un incitamento, una delazione ed un avvertimento.

  In fin dei conti , è normale che Virgilio faccia compiere ad Enea un reale viaggio a Corito; anzi, è significativo che , nelle parole di Iride, il  viaggio  di Enea al Pallanteo (il luogo della futura Roma) ed il ritorno a Corito siano stati riuniti in medesimo contesto: <<Enea si dirige alla sede regale del palatino Evandro; né basta è penetrato fino alla estrema città di Corito>>. Così Enea da un lato compie un ideale viaggio nel futuro, giungendo fino al Pallanteo, dove verrà edificata Roma, e dall'altro compie a ritroso il viaggio di Dardano, giungendo fino a Corito. Vedremo più avanti  il valore intercambiabile che nell'Eneide assumono le due città , proprio e nel solo caso che  Corito venga riconosciuta nel luogo dove Iride effettivamente la pone.