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                                          VIRGILIO E CORITO-TARQUINIA

Capitolo V

L A    S T R A T E G I A    D I    V I R G I L I O 

 Ristrutturato ed ampliato dai nn.56 e 58 di Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova

                                                                                   

1.                                             Virgilio e Tarquinia

 

 Nell'Eneide, attraverso la visione finalistica del ritorno di Enea alla antiqua mater dove l'eroe avrebbe posto le basi della futura grandezza di Roma, l'intenzione di Virgilio fu di rivendicare, dinanzi al panellenismo imperante, l'originaria italicità dei Troiani e dei loro discendenti romani. Con questo fine, il poeta era andato a riesumare e a ristrutturare miti e leggende di coloro che venivano considerati i più antichi abitanti della penisola Italica. Il nucleo originario degli Etruschi (vedi i Rasenna di Dionigi di Alicarnasso)[1], anteriore alle migrazioni microasiatiche e greche, era  fra i pochi che in Italia potessero vantare di aver dimorato sul proprio suolo fin dall'origine della stirpe. Il mito di Tagete, il fanciullo divino, figlio della terra e di Genio (uno degli dèi Penati)[2], emerso dalle profondità del solco tracciato a Tarquinia dall'aratro di Tarconte, doveva essere l'espressione di quel nucleo primitivo simboleggiato appunto dal fanciullo che nasce dalle zolle della propria terra.

 Tarquinia era la città adatta ai fini di Virgilio. Dal porto di Regisvilla (fra Tarquinia e Vulci) era partita la mitica migrazione di quegli Etruschi-Pelasgi che introdussero ad Atene e a Samotracia il culto dei Grandi Dei: quegli stessi dèi che, nella tradizione virgiliana, l'etrusco Dardano da Samotracia condurrà nella Troade, ed Enea riporterà in Italia (vedi cap. I, 1-4).

 Solamente riferendosi agli Etruschi, e a Tarquinia in particolare, Virgilio poteva recepire e riplasmare una leggenda che, in qualche modo, anteponesse, nella storia, un popolo italico a quello troiano. Così il poeta andò a riesumare vecchie leggende che connettevano Etruschi e Troiani, Tarconte ed Enea.

 Del resto, il poeta stesso, il cui nome completo era Publio Virgilio Marone, era orgoglioso delle origini etrusche della sua Mantova; e forse era e, comunque, si sentiva etrusco. Infatti, la gens del poeta non è attestata solo a Roma, dove conosciamo  due Caius Vergilius (metà I sec.a.C.)[3], ma anche a Tarquinia, dove è stato rinvenuto il cippo funerario (I sec.d.C.) di un liberto, morto a 63 anni, il quale  aveva assunto il nome del suo padrone Caius Vergilius[4]. E’ verosimile che  questi fosse lo stesso di uno dei due precedenti o che fosse il figlio di uno di loro. Altre famiglie di nome Virgilio sono note in Etruria. Degno di nota è il nome Vercilus che si incontra in una tomba etrusca di Chianciano, vicino Chiusi, per cui è stato anche supposto che la gens Virgilia sia stata di origine etrusca[5]. Parimenti etrusco sembra essere il cognome del poeta: Marone. Esso corrisponde, infatti, al nome di una carica sacerdotale etrusca. 

 Mantova, poi, era inclusa nella Tribù Sabatina che prendeva il nome dall'omonimo lago Sabatino (oggi lago di Bracciano) e dai monti Sabatini che si trovano dell'Etruria meridionale. Nei pressi di questi monti nasceva il fiume Mignone di cui Virgilio parla nell'Eneide.

 Ma rivendicare la discendenza etrusco-troiana dei Romani, implicava riconoscere l'apporto degli Etruschi, e soprattutto dei Tarquini, alla formazione dell'etnos originario di Roma.

 Ciò urtava contro il fatto che Tarquinia era stata non solo la patria dei Tarquini, ma anche la grande nemica di Roma durante il IV ed il III secolo avanti Cristo. Ancora durante l'impero, a distanza di secoli dalla perdita della libertà, i suoi abitanti rivendicavano la loro indipendenza da Roma, definendosi <<Tarquiniesi federati (Tarquinienses foederati)>>, come tuttora si legge in una iscrizione marmorea del II-III sec.d.C. posta ai piedi del Tempio detto Ara della Regina[6].

 Virgilio, che era impegnato a cantare l'epica di Roma e non quella di Tarquinia, cercò di eludere, nell'Eneide, i riferimenti all’antica soggezione dei Romani ai Tarquini, ed, in ogni caso, li mascherò o li ridusse a quel minimo indispensabile che bastasse per rivendicare a Roma soltanto i vantaggi che le venivano dalle  origini etrusche che egli stesso le conferiva.

 Egli trovò vari espedienti di copertura.

 a) Usò per Tarquinia il nome di Corythus (conosciamo anche la forma Corinthus), che o doveva essere il suo alter nomen (come Agilla lo era per Cere), oppure, come vuole la tradizione, dovrebbe corrispondere a quello di un centro satellite della città, posto sull'attiguo altipiano di Corneto (vedi cap.VI, 4-7).

 b) Utilizzò locuzioni ambigue per indicare il fiume Mignone presso il quale localizzava la città di Corito.

 c) Un responso di aruspicina aveva sentenziato a Tarconte che soltanto un duce straniero poteva comandare l'esercito della Lega Etrusca. Così il re Tarconte (un Tarquinio) ne cederà il comando ad Enea (vedi cap. XXI, 9). Questo fatto da un lato maschera le reali conquiste dei Tarquiniesi nel Lazio vetus, dall'altro anticipa la futura soggezione di Tarquinia e degli Etruschi a Roma.              

 d) A un Tarquinio non poteva esser concesso di sbarcare come conquistatore nelle terre latine senza venir almeno colorato di ridicolo. Così la nave di Tarconte si sfascia su uno scoglio della foce del Tevere mentre tutto l’esercito troiano ed etrusco sbarca incolume[7] (vedi par. 2).

 e) Vedi pure l'appellativo di <<intempestae>>, che vuol dire <<carente di venti e tempeste (ventis et tempestatibus carens)>>, ma anche <<insalubre (sine temperie)>> per le paludi[8], sulla cui duplicità di significato gioca Virgilio per definire Gravisca che era il porto di Tarquinia. In effetti, il porto lagunare di Gravisca potrebbe ben esser considerato al riparo dalle tempeste.

 

 

2.                                          Il catalogo delle navi etrusche

 

 Narra Virgilio che quando Enea

 

 <<entrò nel campo etrusco, si reca dal re, e dice al re il nome a la stirpe, che cosa chiede, cosa offra, quali siano gli alleati di Mezenzio, quanta la violenza delle intenzioni di Turno; e ricorda quale fiducia si debba porre negli eventi umani, e inframmezza preghiere. Tarconte non ha indugi, unisce le forze e stringe il patto. Allora, libero dal fato, il popolo etrusco sale sulle navi, affidato a un duce straniero come volevano gli dèi>>[9].

 

 Naviga per prima la nave di Enea seguita dalla restante flotta etrusca.

 Ora il poeta passa in rassegna i vari popoli imbarcati ognuno con il suo comandante. La sfilata inizia con le navi di Chiusi e Cosa, comandate da Massico; seguono quelle di Populonia e dell'isola d'Elba, comandate da Abante, poi quelle di Pisa al comando di Asila. Viene, poi,

 

 <<il bellissimo Astur, Astur sicuro del suo cavallo e delle armi variopinte. Trecento uomini gli si uniscono, tutti concordi nel seguirlo: quelli che abitano Caerete, che sono nei campi del Mignone, e Pirgi antica e la intempestae Gravisca>>[10].

                           

 Chiudono, infine, il catalogo un contingente di Liguri guidati da Cunaro e Cupavone, uno di Mantovani condotti da Ocno, e un altro guidato da Auleste. In tutto, trenta navi.

 Facciamo rilevare che, in questo elenco, Virgilio omette di menzionare il contingente di uomini provenienti da Corito, che pure è presente tra le forze etrusche. Infatti, nel proseguo del poema, in occasione della battaglia combattuta dagli uomini di Tarconte contro gli Agillini-Ceretani, un guerriero greco di nome Acronte <<proveniente da Corito (de finibus Coryhti)>> verrà ucciso da Mezenzio re di Cere[11].

 Corito, per Virgilio, era il nome di quella antiqua mater dove, per volere divino, Enea avrebbe dovuto ricondurre i profughi Troiani. Perciò, il poeta privava l'esercito Etrusco, comandato da Enea, proprio della presenza dei guerrieri di quella città che egli stesso aveva presentato come la loro terra di origine.

Al riguardo, è notevole che Virgilio, nel catalogo delle navi etrusche, ometta anche di menzionare Tarconte.   

 Elio Donato si chiedeva se il poeta avesse fatto così perché Tarconte era al di sopra di tutti[12]. La cosa, tuttavia, non rendeva necessaria l'omissione.

 Nel proseguo della vicenda, Tarconte riapparirà al momento dello sbarco dell'esercito etrusco-troiano alla foce del Tevere. E, stavolta, Virgilio lo farà scendere  da una nave che si andrà a sfasciare su uno scoglio rovesciando fra le onde gli uomini che erano con lui. Ciò in contrasto con Enea e tutti gli altri Etruschi che approderanno incolumi. Virgilio dice:

 

 << Frattanto Enea, attraverso le passerelle, fa sbarcare i compagni dalle alte poppe. Molti, vedendo che il riflusso dell'onda era debole, si azzardano a saltar sulla spiaggia. Altri toccano terra calandosi lungo i remi. Tarconte esamina il punto del lido dove le acque non ribollono né le onde si rompono rumorose, e il mare avanza liscio col crescer dell'onda. Egli sùbito vi punta la prua ed esorta i compagni:

"Ora, o eletta schiera, con forza curvatevi sui remi, sollevate e spingete le navi, fendete coi rostri questa terra nemica (terram inimicam), e sia la stessa carena ad aprirsi un solco. Purché si prenda terra una volta, non mi rifiuto di infrangere la nave su tale approdo".

 Dopo che Tarconte ebbe detto queste cose, i suoi compagni si alzano sui remi e spingono le navi spumeggianti contro le spiagge latine finché i rostri non arrivano sul secco e tutte le chiglie vi si adagiano incolumi. Ma non la tua nave, o Tarconte. Essa, infatti, gettata sulla riva, pende dal dorso ineguale di una secca, e dopo esser rimasta lungamente in bilico e tormentata dai flutti, crolla e rovescia i guerrieri fra le onde. I frammenti dei remi e i banchi galleggianti li impediscono, mentre l'onda rifluente li risospinge indietro>>[13].

 

 Per Tarconte, la spiaggia latina è una <<terra nemica>> da conquistare e penetrare coi rostri. A sua volta, la spiaggia ha un fondale insidioso che fa impennare la nave del re etrusco e precipitare i suoi uomini in acqua mentre l'onda li respinge. 

 Tarconte, dunque, e la spiaggia latina, dove approda, sono reciprocamente  ostili.    

 Al riguardo, è rimarchevole che  Virgilio da un lato, nel catalogo delle forze etrusche, abbia ignorato Tarconte, e poi dall'altro, al momento di questo ridicolo sbarco, lo faccia riemergere con una propria particolare nave e un proprio particolare gruppo di guerrieri la cui provenienza, tuttavia, non è specificata.

 Ci si aspetterebbe che il poeta dicesse che costoro venivano da Tarquinia, che era per eccellenza la città dell’eroe; oppure che dicesse che venivano da Corito.  Ma Virgilio ne tace la provenienza perché nell’uno e nell’altro caso avrebbe reso esplicita l'equivalenza di Corito con Tarquinia.  E' questa, poi, la ragione per cui, in tutta l'Eneide, Tarconte non è mai esplicitamente connesso né con Corito né con Tarquinia.   

 Da un lato il poeta evita il nome di Tarquinia ed utilizza quello di Corito,  dall'altro poi, come nel caso specifico del catalogo delle navi, tace sia il nome  di Corito  sia quello di Tarconte.

 L'esclusione, inoltre, della figura di Tarconte dal catalogo delle navi  enfatizzava quella di Enea, ma, soprattutto, evitava di presentare il capostipite dei Romani subordinato a un esercito federale di Etruschi invasori, comandati da Tarconte (un Tarquinio), che scendevano da Tarquinia (Corito) alla foce del Tevere. Infine, il fatto che la figura di Tarconte riemerga in condizioni di ridicolo proprio al momento dello sbarco alla foce del Tevere faceva sì che il lettore del poema restasse in qualche modo consolato dinanzi allo sbarco vittorioso di un Tarquinio (Tarconte) in terra latina.

 Sembra proprio che Virgilio, nello schema narrativo della seconda parte dell'Eneide,  segua e mascheri in chiave romana una tradizione etrusca o filoetrusca.

 

 

3.                                                             Astur e Corito

 

 Nell'Elenco dei popoli etruschi, Virgilio, come abbiamo già visto (par. 2), menziona

 

 <<il bellissimo Astur, Astur sicuro del suo cavallo e delle sue armi variopinte>>.

 E, aggiunge, il poeta, <<a lui si uniscono trecento uomini, tutti concordi nel seguirlo: quelli che abitano Caerete, che sono nei campi del Mignone, e Pirgi antica, e la intempestae Gravisca (Tarquinia Lido)>>.

 

 osserviamo:

 

 a) Viene dapprima menzionata Cere.

 b) Poi il richiamo ai <<campi del Mignone>> ci conduce al fiume, presso Tarquinia, alla cui foce Tarconte aveva riunito l'esercito della Lega Etrusca e ricevuto Enea. Su un'altura presso queste parti, Virgilio e suoi scoliasti avevano posto la città di Corito.

 c) Pirgi era il porto di Cere.

 d) Gravisca era il porto di Tarquinia (Corito).

 e) Manca Corito (Tarquinia).

 

 Siamo dinanzi ad una commistione di località ceretane[14] e tarquiniesi che richiamano il territorio abitato dai Pelasgi della tribù di Maleo (vedi cap. XVI, 8).

 Virgilio non assegna Astur a nessuna di queste località[15]. Dice, infatti, che i vari abitanti dei luoghi menzionati si <<aggiungono (adiciunt)>> ad Astur. Conscio, poi, della eterogeneicità dei luoghi, si sente impegnato a sostenere che <<tutti erano concordi nel seguirlo>>.

 In proposito, Elio Donato ci fa sapere che  Probo (I sec.), antico editore critico delle opere di Virgilio, tramandava

 

<<”confinano” in luogo di  “aggiungono” (Probus “adiuciunt” “adiacent” et quasi iuxta sunt tradit)>>[16].

 

 Evidentemente, o l'antico testo di Virgilio, letto da Probo nel primo secolo conteneva <<adiaciunt (confinano)>> e non <<adiciunt (aggiungono)>> o, comunque, Probo aveva buoni elementi per ritenere che Cere, il Mignone, Pirgi e Gravisca erano confinanti con la patria di Astur, e perciò diversi da questa.

 Si può penare a Tarquinia (Corito) proprio perché non esplicitamente menzionata. Un manipolo di Ceretani che militi, unito ai Tarquiniesi,  nell’esercito federale comandato da un tarquiniese aveva un precedente storico.

 Nel 356 a.C., I Tarquiniesi  attraversarono il territorio di Cere dove raccolsero gruppi di volontari; e, dopo aver sconfitto i Romani, giunsero alla foce del Tevere[17] (vedi cap. XXI, 10).

 Uno schema funzionalmente analogo si ripete nell'Eneide (vedi cap. XXI, 10). Tarconte, dopo la cacciata da Agilla (Cere) del tiranno Mezenzio, riunisce a Tarquinia (Corito) l'esercito della Lega Etrusca, in cui confluisce anche una minoranza di Ceretani; poi il re etrusco scende, assieme ad Enea, via mare lungo il territorio di Cere, e sbarca alla foce del Tevere, nel Lazio vetus, dove sconfigge Latini e Agillini.                                                         

                                                              ***

 Elio Donato, in nota all’Eneide, affermava che

 

 l'appellativo di <<fiducioso del cavallo>>, dato da Virgilio ad Astur o Astyr, <<vuol dire ottimo cavaliere, e  taluni ritengono che il nome di Astur equivalga a quello degli Astures di Spagna, presso i quali si diceva che ci fossero ottimi cavalli e cavalieri>>[18].

 

 Anche ad Ovidio, Plinio, Seneca e  Marziale erano noti i cavalli da corsa di Asturia in Spagna, per cui Mario Cristofani ha avanzato l'ipotesi che il nome di Astur, dato da Virgilio al comandante etrusco, derivi da quello della regione nella quale lo stesso imperatore Augusto si era recato per combattere nel 26-25 a.C.[19].

 L'ipotesi di Cristofani è interessante.

 Noi aggiungiamo che Coritos è l'appellativo con il quale, in Spagna, venivano e vengono chiamati gli Asturiani[20]. La mitologia greca immaginava un certo <<Corythos, nato in Spagna, amato da Ercole, ed inventore dell'elmo>>[21]. Giovenale menzionava cavalli che discendevano da Corito (Corythi posteritas)[22]. Papia  indicava, con il nome di Coritha, il cavallo di genere maschile (equus masculini generis)[23].

 E' probabile che Coritos sia stato, in Spagna, il soprannome degli Asturiani già dal tempo in cui Augusto vi si recava a combattere. Virgilio potrebbe aver, allora, utilizzato il nome di Astur per significare che il capo di quei trecento guerrieri <<che abitano Caerete, nei campi del Mignone, e l'antica Pirgi e la intempestae Gravisca (Lido di Tarquinia)>>, proveniva da Corito (Tarquinia).                            

 Come si vede, siamo nel campo delle ipotesi non dimostrabili, ma giustificate dal fatto che le località donde provengono gli uomini che si uniscono ad Astur coincidono con il contesto geografico in cui Virgilio, Elio Donato e Servio ponevano Corito (Tarquinia).

                                

            

4.                                                        Corito dimenticata

 

 Nonostante Virgilio, la versione filoetrusca della leggenda troiana non piacque ai cittadini romani, siano essi stati italici, greci o barbari. I popoli sottomessi all'autorità di Roma non erano disposti ad accettare una tradizione che rivendicava agli Etruschi, arcaici e decaduti, l'origine dell'Impero al quale essi stessi erano sottoposti. Ai Romani, in particolare, la componente etrusca delle loro origini ricordava l'antica subordinazione ai Tarquini. I Greci, a loro volta, si vedevano snobbati da Virgilio quanto alla loro presunta ascendenza sulle origini di Troia e, conseguentemente, su Roma.

 Romani e Greci condannarono al silenzio i temi etruschi dell'Eneide. Negli antichi commenti di epoca romana, i passi filoetruschi del poema furono trattati di sfuggita. Le brevi note che vi si apposero sembrano riferire le briciole di una tradizione che non piaceva. Prova ne sia che Elio Donato e Servio si soffermarono a commentare tutti i personaggi dell'Eneide, e a fornire notizie anche dei più secondari, ma non utilizzarono una sola parola per illustrare la figura di Tarconte, né il suo rapporto con l'economia dell'Eneide. Eppure, si trattava di uno dei personaggi principali della seconda parte del poema.

 

 

 

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[1] Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 30.

[2] Arnobio, Adv. naz.:<< Penates [...].Caesius et ipse eas sequens Fortunam arbitratur et Cererem, Genium Iovialem ac Palem>> (III,40); <<Ceres, Pales, Fortuna, Iovialis aut Genius [...] Penates dii erunt>>(III, 43)>>.

[3] Cicerone, Pro Planc., 40, 96; De bello africano, 28, 1; 93, 3; De prov. cons., 4, 7. Vedi Enciclopedia Virgiliana, s.v. Virgilio.

[4] <<C. Vergilius C. Lib. Diomedes Nonius V. A. LXIII>> (Lucia Cavagnaro Vanoni, <<Studi Etruschi>>, XXXVI, 1968, pag. 225, n. 21). 

[5] G. F. Gamurrini, Di una iscrizione col nome di Vergilio recentemente trovata nel territorio di Chiusi, <<Rendic. Accademia dei Lincei, Classe di Scienze Morali>>, ser. V, vol. VI (1897), pagg. 212-216.

[6] P. Romanelli, Scavi e ricerche nell'area della città: Tempio dell'Ara della Regina, <<Notizie degli scavi>>, 1948, p.267, n.89.

[7] Virgilio, Eneide, X, 287-307.

[8] Servio, All'Eneide, X, 184: <<“INTEMPESTAEQUE GRAVISCAE”. Graviscanum oppidum alii intempestum dicunt ventis et tempestatibus carens: quod nulla potest ratione contingere. Intempestas ergo Graviscas accipimus pestilentes secundum Plinium in Naturali Historia (?) et Catonem in Originibus, ut intempestas intellegas sine temperie, id est tranquillitate: nam ut ait Cato, ideo Graviscae dictae sunt, quod gravem aere sustinet>>.

[9] Virgilio, op. cit., X, 148-156.

[10] Virgilio, op. cit., X, 180-184: <<Sequitur pulcherrimus Astur,/ Astur equo fidens et versicoloribus armis./ Tercent(um) adiciunt, mens omnibus una sequendi,/ qui Caerete domo qui sunti Minionis in arvis/ et Pyrgi veteres intempestaquae Graviscae>>.

[11] Virgilio, op. cit., X, 719-730.

[12] Servio Danielino, All'Eneide, X, 213: <<Quare Tarchonem praeteriit: an quia illi omnes sub imperio eius fuerunt? (in marg. Tarchonem ideo praeterit quia omnes istae naves et duces sub imperio eius fuerunt)>>.

[13] Virgilio, op. cit., X, 302 - 305.

[14]  A meno che non si debba identificare Caerete con Caerium (gr. Cairion) (vedi cap. XIX, 9 ) e Pyrgi con Aquae Pyrgi/Purgo (vedi cap. IX, 6).

[15] Vedi pure Macrobio, Saturnali, V, 14,15: << Cere, Pirgi e Gravisca, località vicine a Roma, alle quali assegnò come capo Astur (Caere et Pyrgos et Graviscas, loca Urbi proxima, quibus ducem Asturem dedit)>>.

[16] Servio Danielino, op. cit., X, 182.

[17] Tito Livio, Storia di Roma, VII, 27; M. Torelli, Elogia Tarquiniensia, Sansoni, Firenze, 1975, pagg. 89-92.

[18] Servio Danielino, op. cit., X, 181.

[19] M. Cristofani, in Enciclopedia Virgiliana, s.v. Corito.

[20] Dizionario della lengua castellana, II, Madrid, Hierro, 1729, s.v. Coritos,

[21] Ptlomeus Heph., in Fozio, Biblioteca.

[22] Giovenale, Satire, VIII, 62.

[23] Glossarium mediae et infimae latinitatis, II, s.v. Coritha.