LA DIASPORA ETRUSCA
CAPITOLO VI
MALEO
1.
I
Pelasgi di Ravenna
Diodoro
Siculo, parlando degli abitanti della Pianura Padana, riferiva che
<<alcuni
dicono che costoro si siano insediati nel luogo come coloni provenienti dalle
dodici città dell'Etruria, ma altri
però sostengono che i Pelasgi, prima dei fatti di Troia, per sfuggire al
diluvio avvenuto ai tempi di Deucalione, erano venuti dalla Tessaglia ad abitare
questo luogo>>[1].
Strabone
poi riferiva la seguente tradizione:
<<Si
dice che Ravenna fu edificata dai Tessali, ma che non potendo essi sopportare le
molestie degli Etruschi, dettero spontaneamente ricetto nella loro città ad
alcuni Umbri, i quali v'abitano ancora oggi, mentre quelli se ne tornarono in
patria>>[2].
Sia
nel racconto di Diodoro che in quello di Strabone, i Pelasgi non sono
identificati con gli Etruschi, anzi, almeno nel secondo sono in chiara
opposizione con essi, tanto che se ne tornano in Tessaglia.
La
direttiva della migrazione di ritorno di questi Pelasgi è diversa da quella
che, secondo Virgilio, tenne il tirreno Dardano quando dalla etrusca città di
Corito (Tarquinia) emigrò a Samotracia ed in Frigia.
2.
Maleo
e la tromba tirrena
Isidoro
di Siviglia diceva che
il
promontorio di Capo Maleo, in Grecia, aveva preso il nome da Maleo re degli
Argivi[3].
<<questo
promontorio prese il nome da Maleo re della Grecia>>.
costui
era lo stesso <<Maleo (o Maleoto
o Meleo) re degli Etruschi (rex
tuscorum), il quale per primo aveva inventato la tromba>>.
<<Costui>>,
dice Lattanzio, <<mentre esercitava la pirateria, e il mare era infestato
dalle tempeste, s’insediò su questo monte; e dal proprio nome chiamò Maleo
il monte stesso, e diede ad Apollo l'appellativo di Maleotico>>[4].
<<Maleo
(o Malteo), imperatore dei Tirreni (imperator Tyrsenorum), fu il primo ad inventare la tromba>>.
Un
omonimo Capo Maleo ed un'omonima città di Malea sono conosciute pure nell'isola
di Lesbo.
Non
deve meravigliare che gli antichi qualifichino Maleo a volte come re o,
addirittura come capo supremo di tutti gli Etruschi, ed altre come re della
Grecia o, specificamente, degli Argivi. Infatti, già dal V sec. a.C., Sofocle,
secondo quanto riferiva Dionigi di Alicarnasso, identificava i Pelasgi dell'Argolide
con i Tirreni provenienti dall'Etruria (vedi cap. XI, 2).
L'invenzione
della tromba era attribuita anche a Piseo, così chiamato dal nome
dell’etrusca città di Pisa[5],
ed a Tirreno.
3.
Tirreno
e la tromba
Si riteneva che Tirreno fosse figlio di Ati re della Lidia[6], o di Telefo, re della
Misia, figlio di Ercole[7],
oppure dello stesso Ercole e di una donna Lidia spesso identificata con la
regina Onfale[8]. Egli sarebbe stato il
condottiero di una colonia di Lidi o di Misi che dall'Asia s'era trasferita in
Italia, dando così origine al popolo etrusco.
Igino
raccontava che
<<Tirreno,
figlio di Ercole, per primo inventò la tromba per la ragione che, mentre i
compagni si nutrivano di carne umana, per la loro crudeltà gli abitanti della
regione fuggirono nell'interno. Allora egli [...] suonò la tromba traforata e
chiamò all'adunata il paese. Fu giurato di seppellire i morti e di non
mangiarli; e la tromba si chiamò il canto tirreno>>[9].
Non sappiamo dove inquadrare geograficamente quest'episodio, se in Lidia
o in Etruria o durante il viaggio dalla Lidia in Etruria.
4.
Egeleo, Arcondas, Melas e la
tromba tirrena
Pausania
scriveva:
<<Dicono
che Egeleo ha eretto il tempio di Atena Trombettiera. Egeleo era ritenuto figlio
di Tirseno a sua volta ritenuto figlio di Ercole e di una donna lidia. Tirseno
fu il primo ad inventare la tromba. Egeleo, poi, figlio di Tirseno, insegnò ai
Dori con Tmeno il suono dello strumento, e perciò diede ad Atena l'appellativo
di Trombettiera>>[10].
La
presenza di Tmeno, figlio di Ercole, il quale assieme ad altri Eraclidi conquistò
il Peloponneso, fa pensare che l'introduzione della tromba tirrena fra i Dori
dovette essere immaginata durante la conquista del Peloponneso da parte degli
Eraclidi.
***
Alcune fonti parlano pure di un certo Archondas
che, durante il ritorno degli Eraclidi, introdusse l'uso della tromba tirrena[11].
Potrebbe trattarsi di una confusione con il nome di Tarconte, fratello di
Tirreno. Vedi Archon in luogo di Tarchon
negli Scholia Veronensia all'Eneide, secondo un’alternanza comune anche
alle forme Tarcontius e Arcontius,
Tarquinius ed Arquinius[12].
***
Da
uno scolio all'Iliade conosciamo un personaggio di nome
Melas
che, similmente a Tirreno, fu
ritenuto figlio di Ercole e di Onfale. Non solo, ma che anche lui, come Egeleo
figlio di Tirreno, introdusse, durante la spedizione degli Eraclidi nel
Peloponneso, l'uso della tromba da guerra <<inventata da Atena fra i
Tirreni per cui la dea era venerata dagli Argivi con l'epiteto di
Trombettiera>>[13].
Melas
si pone dunque simile agli altri inventori della tromba tirrena: Tirreno, Piseo,
Arconda (Tarconte?), Egeleo e, soprattutto,
Maleo con il quale dovremmo identificarlo.
***
Secondo
Igino, Melas era anche il nome di uno dei pirati etruschi che il dio Dionisio
trasformò in Delfini[14].
Ovidio
chiamò Melanto lo stesso personaggio[15],
evidentemente perché ne confuse il nome con quello della figlia di Deucalione
che fu amata da Poseidone quando quest'ultimo assunse forma di Delfino.
Dionisio
di Calcide e Mnasea di Patara (III sec.a.C.) parlarono di un responso dato
dall'Oracolo ad un errante pelasgio di nome Meleos.
La notizia è riferita da Zenobio (III sec.) e ripetuta da Libanio (IV sec.)[16].
5.
Maleo e l'isola di Creta
Nella
Suida si parla pure di Maleo che,
nell'isola di Creta, consacrò a Poseidone una <<Pietra di Maleo>>,
situata all'entrata del porto di Festo, al fine di proteggere la rada dal mare[17].
Eustazio
attribuiva la stessa opera ad un Maleios[18].
La
leggenda di questo Maleo o Maleio e della sua pietra doveva esser stata
conosciuta già dal IV-III secolo avanti Cristo, se Zenotodo, in quel periodo,
poteva sostenere che addirittura Omero, al verso 296 del terzo libro dell'Odissea,
aveva parlato di quella pietra.
Pare
che ci sia discordanza fra i codici di Omero in nostro possesso ed il testo
riferito da Zenotodo[19].
Tuttavia non c'è motivo di dubitare che Zenodoto abbia letto un testo di Omero
dove si nominava la Pietra di Maleo; e, se si potesse ammettere che la variante
risalisse ad epoca omerica, si dovrebbe anche ipotizzare che la saga di Maleo
avesse avuto radici molto antiche. In ogni caso, la presenza di Maleo a Creta è
interessante perché viene ad aggiungersi a quella dei Tirreni che da Atene,
attraverso Lemno e la Laconia, erano giunti in quest'isola sotto la guida di Pollis
e Delfo (= delfino, cioè tirreno), o di Delfo detto anche Polis,
(vedi cap. XXII, 2).
6.
Maleo nell'Attica
Secondo
Esichio, le feste di Aiora,
nell'Attica, furono istituite in onore della figlia di <<Maleo il
tiranno>>. L'Etymologicum Magnum ripeteva la notizia dando alla donna il nome di Aletis,
e al padre quello di <<Maleoto tirreno>>[20].
Queste
informazioni sono interessanti perché, stavolta, le fonti non solo qualificano
Maleo come un sovrano tirreno, ma lo pongono proprio nell'Attica, la
regione di Atene dove emigrarono quegli Etruschi che costruirono il Muro
Pelargico della città, e dove, secondo altre fonti, emigrò lo stesso Maleo
proveniente dall'Etruria, come vedremo in seguito.
Se
da un lato possiamo immaginare le articolazioni interne della leggenda della
festa di Aiora, dall'altro è arduo valutarle.
Da
fonti classiche greche e romane sappiamo che, al tempo in cui Pandione regnava
ad Atene, un certo Icario, per aver ospitato
Dioniso, amante della figlia, apprese dal dio l'arte della produzione del
vino, e ricevette da lui un otre colmo che egli fece poi bere ai pastori vicini.
Questi
s'ubriacarono; ma, credendo d'essere stati avvelenati, lo linciarono e ne
abbandonarono il corpo sotto un albero, presso Atene, ai piedi del monte Imetto.
Sua figlia Erigone (o Alete = errante) e la fedele cagna Maira lo cercarono a
lungo; e, quando lo trovarono, la figlia s'impiccò all'albero, e la cagnetta si
lasciò morire accanto alla salma del padrone. Dioniso, allora, punì gli
Ateniesi spingendo le loro fanciulle ad impiccarsi per una strana forma di
follia collettiva. La condanna finì quando, per consiglio dell'oracolo di
Delfo, furono puniti i colpevoli, e furono istituite in onore di Erigone-Alete
le feste dell'altalena (gr. Aiora)
durante le quali venivano impiccate bambole agli alberi, e fatte oscillare al
vento come altalene. Zeus, nel frattempo, aveva mutato Erigone-Alete nella
costellazione della Vergine, e Dionisio aveva trasformato la fedele cagna Maira
in quella del Cane Minore.
C'è
da supporre che, in una versione filoetrusca, il tirreno Maleo sia stato colui
che aveva ricevuto da Dioniso il dono del vino.
Il
linciaggio di Icario/Maleo e l'abbandono del suo cadavere sotto un albero presso
Atene ai piedi del Monte Imetto dovrebbero aver avuto connessioni con la
cacciata da Atene dei Pelasgi o Tirreni che tradizionalmente abitavano su quel
monte.
Dal
parallelismo della figura di Maleo con quella d'Icario, si può ricavare che le
azioni di Maleo venivano fatte risalire al tempo in cui Pandione regnava in
Atene, cioè molto prima della guerra di Troia.
7.
I
Tirreni e Dioniso
Nell'inno
omerico a Dioniso, si parlava di
marinai tirreni che, navigando <<sul mare color del vino>>, avevano rapito il dio per andarlo a vendere fino alle terre degli Iperborei. Dioniso, allora, prese l'aspetto di un leone, inondò di vino la nave sulla quale i Tirreni navigavano, avviluppò le vele con piante di vite, e mutò in delfini i pirati che atterriti si buttavano in mare. Dioniso salvò solo il nocchiero perché era stato l'unico ad opporsi al suo rapimento.
Questo
mito ebbe vari sviluppi, e fu riportato nelle pitture vascolari a partire dalla
seconda metà del VI sec.a.C.. Una delle più antiche testimonianze greche (540
a.C.) è stata trovata a Vulci, in Etruria[21].
Pare
che gli stessi Etruschi conoscessero il mito, come si può evincere da un
piattello (fine IV sec.a. C.), trovato a Roma, nel quale si vede raffigurata,
sotto un tralcio di pampini ed edera, la prora di una nave con cinque figure (la
più alta delle quali è forse Dioniso), e un delfino che salta in mare dalla
nave[22].
Il
mito sembra ripetere gli effetti che aveva il vino sui "pirati"
tirreni, che l’avevano "rapinato" ai mercanti greci.
Il
traffico marittimo del vino in
Etruria è testimoniato dal vocabolo etrusco vinum
(= vino) che si legge sulla spalla di un grande dolio del V sec. a.C., trovato
nel porto di Gravisca (oggi Tarquinia Lido)[23].
Nelle strutture portuali di Maltano, uno degli scali di Tarquinia, è
stata poi individuata una fornace specializzata nella fabbricazione di anfore
vinarie del II e I sec.a.C.[24].
Anche
gli Etruschi coltivavano la vite. Per il periodo romano, Plinio affermava che
<<nessun'altra
terra più dell'Etruria gode della vite>>, e ricordava esplicitamente la
produzione dei vini di Gravisca,
Statonia e Luni[25].
E'
possibile che in una versione filoetrusca del mito dei pirati tirreni tramutati
in delfini, il privilegiato nocchiero salvato da Dioniso si sia chiamato Maleo.
Questi potrebbe aver insegnato agli Ateniesi l'arte di fare il vino, donatagli
da Dioniso. Forse non a caso nella variante latina di Igino, uno dei pirati
etruschi si chiamava Melas, e nella
versione di Ovidio si chiamava Melanto[26].
Tuttavia,
sia in Igino sia in Ovidio, come pure in Elio Donato ed in Lattanzio, il nome
del timoniere è Acoetes (= lo sposo).
Questi, risparmiato dal dio, lo segue nelle sue avventure fino a Tebe.
Nelle
Dionisiache di Nonno, il fido compagno
di Dioniso, è il tirreno Achates (= agata), posto alla guida di un gruppo composto da Fauno
figlio di Circe e dagli Elimi[27]
(vedi pure cap. XIII, 5-6).
Ma
l'intercambiabilità della funzione dei nomi di Maleo/Icario e di Acoetes/Achates
nei confronti di Dioniso è testimoniata da una scena raffigurata su un cratere
attico a figure rosse, del 450
a.C., proveniente da Numana. Al centro della scena, si vede Dioniso barbato in
chitone corto e stivali. Questi avanza con il tirso nella mano sinistra, ed il
cantaro nella destra. Un piccolo sileno lo sorregge e gli cinge la vita. Davanti
a lui è una menade che canta accompagnandosi con la lira. Dietro di lui,
un'altra menade che suona un auloi, ed
un sileno con otre di vino e cantaro. Sopra la figura di quest'ultimo, è
scritto chiaramente il nome Maleos[28].
8.
Maleo
e Dardano
Nella
figura di Maleo non ci sono gli elementi sufficienti perché possa essere
identificata senza residuo con quella del Dardano virgiliano, né siamo sicuri
che le sue avventure e le mitiche migrazioni tirreniche siano da considerarsi
sempre anteriori alla guerra di Troia; anzi, a volte sono sicuramente
posteriori. Tuttavia, la figura di quest'eroe risulta variamente localizzata,
come quella di Dardano, in un arco geografico che va dall'Etruria alla Grecia, e
da questa alle isole Egee ed all'Asia Minore.
La
notizia più importante sarà dunque quella che ci permetterà di sapere da
quale luogo dell'Etruria si riteneva che Maleo fosse venuto. Potremo così
vedere se quel luogo d'origine possa avere qualche connessione con la città di
Corito-Tarquinia da dove, secondo la nostra lettura di Eneide,
era partito Dardano per recarsi nella Troade.
Il
geografo greco Strabone (I sec.d.C.), nella descrizione dell'Etruria meridionale
costiera, diceva che
<<in
mezzo fra Cosa e Gravisca (il porto di
Tarquinia), c'è un luogo chiamato Regisvilla. Si racconta che qui un tempo
sia esistita la reggia del Pelasgio Maleo del quale ancora oggi si dice che,
dopo aver regnato in quei luoghi sui coloni Pelasgi, andò ad Atene. Egli
dovette appartenere alla stessa gente che s'impossessò della città di Agilla (oggi
Cerveteri)>>[29].
Agilla
(Cere) e Pirgi, secondo lo stesso Strabone, erano state fondate dai Pelasgi
venuti dalla Tessaglia[30].
Anche
Tarquinia, secondo una variante della leggenda della sua fondazione era stata
edificata dai Greci[31]
e, più precisamente, dai Pelasgi
della Tessaglia (vedi cap. XIV, 6-7)[32].
Pertanto,
si dovette ritenere che i Pelasgi della tribù alla quale Maleo apparteneva
avessero abitato almeno l'arco di territorio compreso fra Regisvilla e Cere, cioè
Pirgi, Tarquinia e Gravisca.
Si
tratta dello stesso contesto geografico da dove Virgilio trasse i trecento
guerrieri che, al comando di Astur, erano andati in soccorso di Enea:
<<Quelli
che abitano Caerete, che sono nei
campi del Mignone, e Pirgi antica e la intempestae
Gravisca>>[33].
Nel
medesimo contesto, presso la foce del Mignone, Virgilio pose la città di Corito
(Tarquinia) ed il lucus dedicato dai
Pelasgi al dio Silvano. Qui Tarconte aveva riunito l'esercito etrusco
confederato, aveva inviato ad Evandro, re del Palatino (Roma), le insegne del
potere, ed aveva accolto Enea[34].
Nello
stesso contesto, sia Elio Donato sia Servio confermavano l'esistenza del monte e
della città di Corito (vedi cap. III, 2).
In
quel medesimo contesto, Silio Italico pose una città chiamata
Corona (? = Corythus), e la
qualificò come patria o residenza di Tarconte (vedi cap. XX, 1 e 2).
Se
noi consideriamo che Virgilio aveva detto che i Pelasgi che avevano dedicato al
dio Silvano il lucus presso il fiume Mignone erano <<quegli stessi che un
tempo avevano per primi abitato le terre latine>>[35],
ci accorgiamo che la funzione del dio e del suo lucus
è quella di porre un ideale ponte pelasgico fra la regione di Corito e quella
di Roma.
.
[1] Diodoro Siculo, Biblioteca
storica, XIV, 116.
[2] Strabone, Geografia,
V, 1, 7.
[3] Isidoro di Siviglia, Etimologie,
s.v. Maleo.
[4] Lattanzio, Scolii
alla Tebaide di Stazio, IV, 224: <<Maleus tuscorum rex qui tubam primus invenit; is cum piraticam exerceret
et mare tempestatibus esset infestum, hunc montem insedit, qui et Apollinem
Maleoticum de suo vocabulo et montem ipsum Maleum vocavit>>; VII,
16: <<Hoc autem promontorium a
Maleo, Graeciae rege, nomen accepit>>.
[5] Plinio, Storia
naturale, VII, 56.
[6] Erodoto, Le
storie, I, 74.
[7] Licofrone, Alessandra,
v. 1240, sgg..
[8] Dionigi di Alicarnasso, Antichità
romane, I, 28.
[9] Igino, Leggende,
274, 20. Traduzione di G. Buonamici, Fonti
di storia etrusca, Firenze-Roma., Olschki, 1939.
[10] Pausania, La
Grecia, II, 21.
[11] Scolio a Sofocle, Aiace,
17; Scolio ad Euripide, Fenicie,
1377; Suida, s.v. Codon.
[12] Scholia
Veronensia, X, 198. Per la alternanza delle forme, vedi L. Pareti, Le origini etrusche, Firenze, Bemporad, 1926, pag. 15.
[13] La forma Melas
del nome di Maleo è attestato solo dallo scolio T al verso 219 del XVIII libro dell'Iliade; e può esser considerata o un errore del copista, come nel
caso di Maleus/Meleus presente nei codici di Lattanzio, oppure una incertezza
fonetica del timbro della prima sillaba del nome del leggendario navigatore,
come nel caso della variante Meleos
nel testo di Zenobio. Vedi, in proposito, D. Briquel, Les Pelasges en Italie, Roma, 1986, pagg. 267-268.
[14] Igino, op.
cit. , 104.
[15] Ovidio,
Metamorfosi, III, 617.
[16] In Dominique Briquel, op.
cit. , Roma, 1986, pag. 268.
[17] Suida,
s.v. Maleos.
[18] In Dominique Briquel, op.
cit. , Roma, 1986, pag. 266.
[19] Zenotodo, Scolio
all'Odissea, III, 296.
[20] Etymologicum
magnum, s.v. Aiora; Aletis. Vedi pure D.Briquel, op.
cit. , Roma, 1986, pag. 265.
[21] M. Cristofani, Gli
Etruschi del mare, Milano,1983,pag. 58.
[22] M. Cristofani, op.
cit. , pagg. 60; 108; fig. 68.
[23] M. Torelli, <<Studi Etruschi>>, XLV,
1977, pag. 448; <<La parola del passato>>, XXXII, 1977, pag.
412; 423.
[24] M. Incitti, Recenti
scoperte lungo la costa dell'Alto Lazio, <<Archeologia
subacquea>>, 3, suppl. a BdA
XXXVII-XXXVIII, 1986 (ma 1987), pagg. 198-202; M. Harari, Tarquinia e il territorio suburbano nel rilevamento da alta quota: una
lettura toopografica, in M. Bonghi Jovino - Cristina Chiaramonte Treré,
Tarquinia, L'erma di Bretschneider,
Roma, 1997, pag. 13, n. 83.
[25] Plinio,
Storia naturale, XIV, 8.
[26] Igino,
Leggende, 104; Ovidio, Metamorfosi,
III, 617.
[27] Nonno, Dionisiache,
XIII, 309; XXXVII, 350, segg.
[28] L.I.M.C. ,
s.v. Maleos.
[29] Strabone, op.
cit. , V, 2, 8.
[30] Strabone, op.
cit. , V, 2, 3; 8.
[31] Plinio, op.
cit. , XXX, 1, 4.
[32] Trogo Pompeo,
Epitome, XX, 1, 11.
[33] Virgilio, Eneide,
X, 183.
[34] Virgilio,
op. cit. , VIII, 597 segg,; IX, 10; X, 187.
[35] Virgilio, op.
cit. , VIII, 602.