Da A. Palmucci, Virgilio e Cori(n)to-Tarquinia, "Società Tarquiniense d'Arte e Storia" e Regione Lazio, 1998

Alberto Palmucci

IL CONFINE SULLA COSTA FRA TARQUINIA E CERE

Ripreso e sviluppato dal n. 61 di Atti e Memorie della Accademia Mazionale Virgiliana di Mantova

Il fatto che Elio Donato e Servio sostennero che il Mignone era il fiume che Virgilio aveva definito <<Caeritis (= di Cerio?/ di Cere?)>> (vedi capp. II, 4; XIX, 8-11) ha indotto taluni a ritenere che il territorio di Cere giungesse fino a questo fiume.

 In effetti, l'alto corso del Mignone divideva in vari tratti lo Stato di Cere da quello di Tarquinia. Però il corso medio e finale entrava decisamente in quello tarquiniese. A questo proposito, il Pallotino osservava:

 

 è più verosimile che <<il territorio Tarquiniese penetrasse oltre il Mignone per una larghezza imprecisabile, occupando interamente la vallata e raggiungendo in conseguenza le alture del massiccio di Tolfa>>[1].

 

 Egli ipotizzava pure

 

 <<una relazione politico religiosa fra la zona dei monti di Tolfa  e Tarquinia>>[2].

 

 Per esplicita testimonianza di Rutilio Namaziano, il territorio ceretano finiva in un punto intermedio fra Pyrgi (Santa Severa) e Castrum Novum (Santa Marinella). Vediamo.

  Rutilio racconta in versi il suo viaggio compiuto, nel 417, via mare  dal porto di Ostia alla Gallia.

 Egli, dirigendosi a nord, incontra dapprima il porticciolo di Alsio ( Palo), che si trova all'altezza della città di Cere; poi, dopo qualche miglia, vede il porto di Pirgi. E, dice Rutilio,

 

quando Alsio e Pirgi si sono allontanate dalla vista, allora <<il nocchiero indica ormai il confine di Cere (iam caeretanos demonstrat nauta fines)[3]. Col tempo Agilla mutò in questo il suo nome>>.

 

 Poi, la nave si dirige verso Castrum Novum[4].

  In efetti, fra Pirgi e  Castrum Novum, sul fosso Heriflumen o Gerflumen (Rio Fiume)[5], finiva la diocesi di Cere ed iniziava quella di Centumcellae (Civitavecchia) alla quale Castrum Novum apparteneva[6].   

 Centumcellae era il porto fatto costruire da Traiano, nel 113 d.C., sulla marina del municipio della città etrusco-romana di Aquae Tauri. Fin dal IV secolo divenne sede di diocesi. Questa giumgeva fino al fosso Heriflumen, al confine con quella di Cere, e ripeteva l'estensione del municipio di Aquae Tauri. Questo, a sua volta, rientrava nel territorio dello Stato della antica Tarquinia (vedi oltre).

 Ma Rutilio non avrebbe avuto interesse a indicarci il confine territoriale delle pertinenze amministrative di Cere del V sec. se non avesse ritenuto che si trattasse dello stesso confine storico di quella antica Agilla che, col tempo, come lui stesso, in quella occasione, ricorda, aveva mutato il suo nome in Cere.  Doveva trattarsi del confine che risaliva ad epoca etrusca.

 Del resto, i Romani, quando occuparono l'Etruria, non avrebbero avuto  interesse a cambiare i confini del territorio dell’amica città di Cere in favore di quello della nemica Tarquinia. Se mai, potrebbe esser vero il contrario. Né, a quanto sappiamo, Cere, in epoca etrusca, si appropriò mai di territori tarquiniesi. Anche stavolta, se mai, é vero il contrario

 Dionigi D'Alicarnasso (80 a.C.-dopo il 7 d.C.) racconta, infatti, che

 

 il tarquiniese Tarquinio Prisco, dopo esser divenuto re di Roma, combatté molte vittoriose guerre dapprima contro una coalizione di Latini e di Etruschi di Chiusi, Arezzo, Volterra, Rosselle e Vetulonia, poi contro l'unione di tutte le città dell'Etruria. In quest'ultima fase, sconfisse i suoi antichi connazionali a Fidene, Veio e Cere.

 Dionigi specifica che Tarquinio invase il territorio di Cere e ne sconfisse l'esercito. Questo ripiegò in città, e Tarquinio rimase per più giorni padrone della regione finché ripartì portando con sé tutti i beni che poteva.

 Quando poi, continua Dionigi, unitamente tutti i popoli dell'Etruria inviarono ambasciatori per chiedere la pace, Tarquinio pretese che le città etrusche lo riconoscessero capo supremo della loro Federazione. Gli ambasciatori, allora, dall'Etruria gli portarono <<i fregi stessi del comando con i quali adornano i loro propri monarchi, la corona d'oro e il trono eburneo>>[7].  

 

 Strabone (prima del 60 a.C.-ca.20 d. C.) dice, poi, che

 

 quando Tarquinio divenne re di Roma, <<abbellì l'Etruria [...]  con il mandarvi da Roma quanto vi abbisognasse. Si dice pure che da Tarquinia[8] furono trasportate a Roma le pompe dei trionfi, le insegne dei consoli, come in genere quelle di tutti i magistrati, e così i fasci, le scure, le trombe, le cerimonie dei sacrifici, la divinazione, la musica onde fanno uso pubblico i Romani>>[9].

 

 Ora, non è possibile che Roma, nel VII sec.a.C., abbia sottomesso l’Etruria. L’uso delle insegne regali di Tarquinia da parte di un tarquiniese, divenuto re di Roma, e le notizie di leggendarie vittorie di questo re contro gli Etruschi dovrebbero essere, piuttosto, il riflesso di guerre vittoriose sostenute dai Tarquiniesi di Tarquinia e di Roma contro le altre città etrusche, e soprattutto Cere e Veio, per mantenere il controllo di Roma e la supremazia sulla Federazione Etrusca del VII-VI sec. a.C. (vedi cap. XXI).

 Sappiamo poi che in altra occasione, il condottiero tarquiniese Aulo Spurinna espulse da Cere il re Orgolnio.

 Le fonti storiche, dunque, non offrono testimonianze di eventuali appropriazioni ceretane del territorio di Tarquinia; anzi, se mai, potrebbe esser vero il contrario.

 A questo punto c'è da chiarire un equivoco.

 In epoca antica, medioevale e moderna, i Monti di Tolfa non si sono mai chiamati Ceriti, come oggi invece comunemente si crede perché fuorviati dall'uso improprio di una denominazione geologica surrettiziamente trasferita nel linguaggio archeologico e storico. Piuttosto, il nome di <<monte Turco>>, per analogia con quello della macchia della Turchina (= Tarquinia), potrebbe esser ricondotto alla radice etrusca Tarch del nome di Tarquinia.

 Durante il Medio Evo, Corneto (Tarquinia) esercitava il dominio sul comune di Leopoli-Cencelle e  sulla quasi totalità dei centri situati su questi monti. Il controllo ripeteva, verosimilmente, quello già esercitato in epoca etrusca dall'antica Tarquinii[10].

 Quanto al nome, in una bolla del 1462, il pontefice Pio II menzionava  i <<nostri monti ... presso la rocca di Tolfa (nostris montis ... prope arcem Tulpham>>[11].

 Sulle carte geografiche di Filippo Ameti (1696) e di Giuseppe Morozzo (1791) appare la denominazione << Monti delle Allumiere>>.

 Agli inizi del '700, il Valesio, a proposito della scoperta dell’allume nei domini di Corneto, nomina i  <<Monti della Tolfa Vecchia>>[12].

 L'equivoco fra il nome dei monti di Tolfa (presso Tarquinia) e quello dei monti Ceriti (presso Cerveteri), è nato dal fatto che, in epoca contemporanea, alcuni geologi hanno incluso gli uni e gli altri in un unico gruppo chiamandolo Tolfetano-Cerita, poi semplicemente gruppo dei Ceriti o monti Ceriti[13]. In seguito, la denominazione  è stata utilizzata impropriamente nel contesto di argomentazioni archeologiche e storiche.

 La lettura di opere, sotto altro aspetto pregevoli, come sono quelle dell'amico Odoardo Toti[14], dove espressioni di significato geologico vengono utilizzate per definire considerazioni archeologiche e concetti storici, può  generare la credenza che Ceriti sia stata l'originaria denominazione dei monti di Tolfa ed Allumiere. Inizialmente, anch'io fui fuorviato da quel linguaggio.

 Non so però come, a proposito della scoperta dell'allume fatta attorno al 1460 dai Cornetani sui vicini monti, qualcuno possa aver sostenuto che <<in quel periodo e fino alla fine dell'800 tutto il gruppo collinoso di Cerveteri e di Tolfa veniva chiamato Monti Ceriti, nome dato dalla antica Ceri>>, e che <<oggi la dizione è Monti della Tolfa>>[15].

 Purtroppo, anche Mario Torelli, nel volume Storia degli Etruschi (1980)  ha definito il massiccio dei Monti di Tolfa come <<gli antichi Monti Ceriti>>[16].

 Si comprende come, sostenuto da un simile apriorismo, egli abbia potuto favoleggiare che Cere contese a Tarquinia il controllo della zona dei Monti di Tolfa, e che questi divennero per sempre i <<Monti Ceriti>>[17]. E' bastato, inoltre, il ritrovamento di scarsi reperti di tipo “ceretano” per fargli sostenere che il controllo politico di Cere arrivasse fino alla <<Scaglia>>, località sulla strada che da Tarquinia conduce a Civitavecchia[18], e che il controllo tarquiniese non giungesse oltre il Mignone [19].

  Pure  Romolo A. Staccioli, in Lazio settentrionale (1983), ha sotenuto che <<a partire dal VII a. C., tutto il comprensorio dei Monti della Tolfa (o <<Monti Ceriti>>) venne ad esser direttamente controllato da Cere ed entrò a far parte del suo territorio>>[20].

 Oggi, c'è chi ancora candidamente ritiene che <<Monti Ceriti sia l'antico nome dei Monti della Tolfa>>[21].

 Con più ragione, invece, Salvatore Bastianelli aveva assegnato i Monti a Tarquinia[22] ed aveva posto sul torrente Marangone[23] oppure a Castrum Novum[24], a sud di Centumcellae (Civitavecchia), il confine di Tarquinia con Cere.

 In effetti, in località "Scaglia" e ad  Aquae Tauri, le tombe etrusche ed il loro materiale sono di tipo tarquiniese[25]. Anche la grande maggioranza delle iscrizioni latine del territorio di Aquae Tauri è del  tipo comune a Tarquinia[26].

 Degna di nota è un’iscrizione sepolcrale di Aquae Tauri[27] rinvenuta sei chilometri a sud di Tolfa sulla strada che conduce a Cerveteri (Cere).

 Arturo Solari rilevava che il cippo funerario era del tipo comune a Tarquinia, e che il defunto apparteneva alla tribù Lemonia e rivestiva cariche municipali[28]. La Lemonia non è una delle tribù in cui risulta esser stato suddiviso il territorio di Cere in epoca romana[29].

 Il Pallottino leggeva, nella lapide, un sace[rdos] / [Tarquini]ensium (=sacerdote dei Tarquiniesi), e ne inferiva una possibile relazione politico-religiosa fra la zona dei Monti di Tolfa e Tarquinia[30].

 Ringrazio l'amico Alessandro Naso per avermi fornito copia del testo. Una parziale e ipotetica  ricostruzione potrebbe essere la seguente:

 

L.[  nomen  ]IO.L.F.LE[MONIA].

[ cognomen ]R.TER.SACE[RDOTI].

[TARQUINI]ENSIUM.II.[VIR.I.D.]

[CUR.AQUAR]UM.MARCIA.[LEM.]

[CONIUGI].SUO.PIISSIMO.[SIBI].

[ET. SUIS.P]OSTERISQUE.[EORUM].

[.?.] OAMBITUSC [.?.]

[.?.] OIIUS [.?.].   

 

                                                             ***

 In epoca imperiale, la Tabula Peutingeriana (vedi figg. 6 a pag. … , e 27 a pag. ..) riportava una strada che ripeteva un antico percorso etrusco d'altura. La via partiva da Tarquinia; e, attraverso i Monti di Tolfa, dopo XII miglia, giungeva ad  Aquae Tauri e, dopo altre e VII miglia, a Castrum Novum[31]. Da qui, un doppione della via Aurelia arrivava fino a Punicum[32].   

 La stessa Tabula Peutingeriana riportava pure un'altra strada segnalata anche dall’Itinerario di Antonino. Si tratta della  cosiddetta via Tarquiniese o Aurelia Etrusca. Questa partiva da Tarquinia e, dopo esser salita sul massiccio tolfetano, scendeva ad Aquae Apollinares ed arrivava a Roma.

 Potrebbe non essere occasionale che, ancora nel 1366, un luogo fuori Porta Turrionis (oggi Porta Cavalleggeri), a Roma, donde usciva quella parte della via Aurelia nova che ripeteva l'ultimo tratto della più antica via Tarquiniese, era chiamato Terquinio[33] che è la forma medioevale del nome di Tarquinia[34].

Cere non era collegata ai Monti di Tolfa da dirette vie di comunicazione. 

 Sui Monti, una debole influenza ceretana è documentata soprattutto nella necropoli di  Colle di Mezzo[35]. Ma, la fattura dolmetica delle sue tombe è sconosciuta sia a Tarquinia che a Cere.

 Sia ai piedi del versante sud-orientale dei Monti (Pian Conserva, Ferrone) sia nella zona della Castellina sul Marangone, c'è però una apprezzabile influenza ceretana  che potrebbe denunciare il carattere di frontiera fra le due lucumonie.

 Oggi, il titolo della  recente opera collettiva Cere e il suo territorio da Agylla a Cemtumcellae (Civitavecchia), potrebbe far pensare al trionfo della tesi filoceretana. Tuttavia, la concretezza della quasi totalità degli autori smentisce il titolo. Lo stesso Antonio Maffei, curatore del libro, ipotizza che la necropoli di Pisciarelli (Aquae Tauri) e quella della Scaglia appartengano a Tarquinia.  Angelo Stanco, Andrea Zifferero e Maria Donatella Gentili ripropongono  sul torrente Marangone, fra Civitavecchia e Santa Marinella, il confine fra le due lucumonie[36]. Solo il vecchio amico Toti continua a porre il confine sul fosso Nome di Dio a nord di Aquae Tauri[37].  

 Francesco Nastasi, poi, altro curatore del volume in questione, in un suo recente lavoro in corso di pubblicazione, ripropone il problema di <<stabilire l'appartenenza dell'intera zona della Castellina all'area tarquiniese o cerite>>[38].

                                                                 ***

 In alcuni nostri precedenti lavori[39], noi abbiamo già avanzato l'ipotesi che l'influenza politica di  Tarquinia sorpassasse il torrente Marangone, includesse la Castellina e Punicum, e giungesse al fosso Rio fiume (Heriflumen), fra Santa Marinella (Punicum) e Santa Severa (Pyrgi). L'ipotesi è composta dai seguenti elementi.

 

 a) La testimonianza di Rutilio Namaziano (417 d.C.) che poneva fra Pyrgi e Castrum Novum il confine storico del territorio di Cere.

 b) Nel basso Impero, i confini della diocesi di Cere con quella di Cemtumcellae (Municipio di Aquae Tauri in territorio tarquiniese), erano sul fosso Heriflumen, che si trova proprio fra Pyrgi e Castrum Novum.

 Quando, poi, dall'828, Centumcellae fu soggetta alle incursioni saracene, gli abitanti si rifugiarono nella valle del Mignone dove costruirono una nuova Centumcellae (Leopoli), sui ruderi di un precedente piccolo centro etrusco-tarquiniese, e vi trasportarono la diocesi. E quando, nel 1093, la diocesi di Centumcellae fu soppressa, essa fu riunita a quella di Tuscania, a sua volta erede di quella di Tarquinia. Con la reintegrazione del territorio di Centumcellae, la diocesi di Tuscania si estese fino a Rio fiume dove finiva l'antico territorio Tarquiniese ed iniziava quello Ceretano.

 c) Durante l'alto medioevo, i possedimenti del monastero di Santa Maria del Mignone, posto presso Corneto (Tarquinia), comprendevano Corneto, Centumcellae (Leopoli), il porto di Civitavecchia, e i tenimenti presso Rio Fiume, ripetendo così l’estensione dell'antico territorio tarquiniese fino ad Heriflumen. Al di là cominciava la diocesi di Cere.

 d) La strada segnalata dalla Tabula Peutingeriana e dagli antichi itinerari. Essa, in epoca etrusco-romana, partiva da  Tarquinia, raggiungeva Aquae Tauri, e da qui proseguiva per Castrum Novum e, forse, per Punicum (vedi nota n. 31).                    

 e) La dedica al probabile Sace[rdos] [Tarquini]ensiun, trovata a sei chilometri da Tolfa sulla via per Cerveteri.

 f) Numerosi pezzi di aes rude[40] sono  stati trovati in un ripostiglio fuori le mura della Castellina[41] e nelle sue necropoli in sepolture datate dalla metà del VI fino a tutto il V sec.a.C.[42] La cosa rimanda agli identici ritrovamenti nelle tombe di Tarquinia e del suo territorio (Gravisca, S.Giuliano, Aquae Tauri[43]). A Tarquinia, particolarmente, gli aes rude sono presenti in contesti funerari dalle più piccole tombe a pozzetto di epoca villanoviana alle più recenti tombe a camera del III sec.a.C.[44].

Abbiamo, poi,  notizia di aes rude trovati nella mano del defunto durante scavi effettuati nella regione della Castellina ad opera della Soprintendenza Archeologica dell'Etruria Meridionale[45]; ed è singolare che un identico ritrovamento è stato fatto in una tomba di Tarquinia[46]. Sempre a Tarquinia, furono trovati un aes signatum  insieme allo scheletro dentro il sarcofago, ed una moneta sul petto di un altro scheletro[47].

 La presenza di denari in complessi tombali, come ha osservato  Francesco Nastasi, testimonia che il rito funebre romano di mettere una moneta nella tomba del defunto per pagare a Caronte il trasporto agli Inferi, poteva avere origini etrusche[48].

  g) Numerosi reperti archeologici del centro abitato e delle necropoli della Castellina sono in nenfro. Questa pietra non era reperibile nella  zona, ma  presso Tarquinia lungo la sponda destra del Mignone.

 Di nenfro, tra l'altro, è un capitello etrusco riutilizzato nella costruzione del pozzo dell'abitato della Castellina.  Si tratta di un unicum che, secondo Friedhlm Prayon, rimanda a un capitello dipinto nella tomba delle leonesse a Tarquinia (550-500 a.C.)[49].

 h) Un frammento di anfora marsigliese, trovato alla Castellina da Jean Gran Aymerich[50], richiama il commercio che Tarquinia (e non Cere) sviluppò con Marsiglia.

 i) Pare, poi, che in una delle  necropoli sia  stato rinvenuto un frammento di vaso, purtroppo disperso, dove era scritto Spur.

 Spur, in etrusco vuol dire città; ma, dipinto su un vaso, dovrebbe corrispondere alla sillaba iniziale del gentilizio tarquiniese Spur[ina o Spur[iana, inteso come nome del dedicante.      

 l) Altri oggetti richiamano Tuscania.

 

 Dalla lettura delle opere del Bastianelli e, in genere, dalla  letteratura sugli scavi della  Castellina e delle sue necropoli[51] non emergano elementi tali da invalidare la testimonianza di Rutilio ed assegnare il territorio a Cere.

 Il materiale delle tombe della Castellina presenta, nella sua generalità, oggetti collegabili sia a Cere che a Tarquinia. I tumuli, poi, che ricoprivano i sepolcri richiamano Cere, ma anche Tarquinia. Il fatto, infine, che le tombe siano costruite, come a Cere, mentre quelle di Tarquinia sono scavate nel macco, trova giustificazione nella natura del suolo: il macco di Tarquinia è tenero e scavabile, mentre il macigno della Castellina è duro e non scavabile. Torneremo sull'argomento in un futuro lavoro.

 Lo stesso Bastianelli, che aveva condotto gli scavi della Castellina e delle sue necropoli, non dispose di elementi archeologici sufficienti per assegnare il luogo a Tarquinia o a Cere; ma rimase in bilico fra una linea di confine che passasse in parte sul torrente Marangone[52] ed un'altra che passasse per Castrum Novum (Santa Marinella)[53].

 Comunque, nell'area dell'abitato è attualmente in corso una nuova campagna di scavi. Aspettiamo la pubblicazione ufficiale dei risultati, dopodiché riprenderemo il discorso in un lavoro di più ampio respiro.

 

 

                              

 

 



[1] M. Pallottino, Tarquinia, Monumenti dei Lincei, 1939. col. 572 .

[2] M. Pallottino, op. cit. , col. 572,  n. 2.

[3] La parola latina finis può significare sia “territorio” sia “confine”; ma, nell'utilizzo fattone da Rutilio, essa non può significare "territorio". Quando il nocchiero indica i <<fines ceretani>> la città di Cere era stata oltrepassata da tempo, perciò egli non poteva  indicare "il territorio ceretano", bensì <<ormai (iam) i confini del territorio ceretano>>.

[4] Rutilio Namaziano, De reditu suo (vv.223 - 225): <<Alsia prelegitur tellus, Pyrgique recedunt, / Nunc villae grandes, oppida parva prius. / Iam Caeretanos demonstrat nauta fines, / aevum deposuit nomen Agylla vetus. / Stringimus expugnatum et fluctu et tempore Castrum, index semiruti porta vetusta loci.>>.                

[5] Heriflumen/Gerflumen (= fiume di Cere?) potrebbe corrispondere al Caeretanus amnis di cui parla Plinio, anche se questi no lo pone a nord di Pirgi ma fra Pirgi e Cere.

[6] C. Calisse, Storia di Civitavecchia, Firenze, Forni, 1936, pagg. 8; 14; 52; 81.

[7] Dionigi di Alicarnasso, op. cit. , III, 57-62.

[8] Strabone fa il nome di Tarquinia una volta al singolare, ed una volta al plurale, conformemente a due delle varie forme greche con le quali veniva chiamata la città.

[9] Strabone, op. cit., V, 2,2.

[10] A. Palmucci, Il trattato di pace fra i Cornetani e i Genovesi, <<Bollettino>>, S.T.A.S., Tarquinia, 1994, pag. 57; I rapporti di Genova e della Liguria e l'odierno alto Lazio nei notai liguri dal 1186 al 1284, <<Bollettino>>, S,T.A.S., Tarquinia, 1995, pag. 21; Anno 1385: Il papa cede Corneto in pegno ai Genovesi, <<Bollettino>>, S.T.A.S., Tarquinia, 1986, pag. 14.

[11] Bolla di Pio II, 16 genn., 1462.

[12] Valesio-Falgari, Memorie istoriche della città di Corneto, a cura di M. Corteselli e A. Pardi, Tarquinia, S.T.A.S., 1993, pag.90.

[13] Vasto Malachini, La Tolfa e i Ceriti, 1951.

[14] Nel 1959, Odoardo Toti ha pubblicato un'opera sull'età del ferro relativa ai monti di Tolfa, dal titolo I Monti Ceriti nell'Età del Ferro ( Roma 1959). Egli, dopo aver dichiarato  in apertura che i monti Ceriti in antico si chiamavano Caerites (!), li ha distinti in due settori: il meridionale nel quale ha incluso <<il gruppo del Sasso con i rilievi che fanno da corollario alla necropoli etrusca di Cere>>, e il settentrionale nel quale ha incluso i territori dei comuni di Civitavecchia, S. Marinella, Allumiere, Tolfa,  fino all'ultimo tratto del fiume Mignone nella parte che scorre nell'attuale comune di Tarquinia.

 Ora, questo settore settentrionale corrisponde ai monti di Tolfa; e geologicamente potrà anche essere (non so con quanta opportunità) incluso in un più vasto massiccio Cerita, ma chiamare <<facies Cerita>> la sua cultura dell'età del ferro (op.u. cit. pagg. 53.54), può generare nel lettore la credenza che i monti di Tolfa in antico si fossero chiamati Ceriti e che la sua facies culturale dell'età del ferro rientrasse in quella cerita.

   Il Toti, poi, un una successiva opera su Allumiere e il suo territorio (1967), è tornato a parlare di <<monti di Tolfa e Allumiere o monti Ceriti>>, e vi ha ambientato il risultato dei suoi scavi nella necropoli di Colle di Mezzo. Nello stesso anno, l'autore, in Saggio di scavo eseguito nell'ambito protostorico de <<La Castellina>>, ha parlato di <<bacino minerario dei Monti Ceriti>> (pag. 56) con evidente riferimento ai Monti di Tolfa; ha anche utilizzato la denominazione <<Ceretano>> (pagg. 60 e segg.) per definire l’impasto (che poi non è solo “ceretano”)  di certi vasi della Castellina (Allumiere e il suo territorio, Roma, Comitato per le attività archeologiche della Tuscia, 1967, pag. 8; Saggio di scavo eseguito nell'ambito protostorico de <<La Castellina>>, <<Atti della Accademia Nazionale dei Lincei - Notizie degli Scavi di Antichità - >>, XXI, 1967, pagg. 55-86).  Questo linguaggio, anche se onesto, può generare nel lettore l’impressione che si intenda dire che i reperti archeologici di cui si parla appartengano alla cultura di Cere.

 Ancora nel 1990, il Toti, in un lavoro inserito nell'opera collettiva Cere e  il suo territorio da Agilla a Centumcellae, è tornato a parlare di <<monti Ceriti>> con evidente riferimento ai monti di Tolfa (Il popolamento e l'utilizzazione del suolo tra il VII e il IV secolo a.C., in Cere e il suo territorio da Agylla a Centumcellae, a cura di A. Maffei e F. Nastasi, Roma, Ist. Pol. e Zecca dello Stato, 1990, pagg. 152 e 162).

   Nella stessa opera collettiva, Celestino Vittorio Petrizzi  parlava di <<Monti Ceriti>> in relazione alla diffusione delle tombe costruite sui monti della Tolfa (La diffusione delle tombe costruite sui monti della  Tolfa, in Cere e il suo territorio, cit., pag. 76).

[15] R. Rinaldi, Le Lumiere, Allumiere, 1995, pag. 10.

[16] M. Torelli, Storia degli Etruschi, Bari, Laterza, 1981, pagg. 11; 294

[17] M. Torelli, op. cit. , pag. 112.

[18] M. Torelli, Etruria, Bari, Laterza, 1980, pag. 91; 117.

[19] M. Torelli, Etruria, cit., pag. 127.

[20] Romolo A. Staccioli, Lazio settentrionale, Roma, New Compton, 1983, pag. 210.

[21] Per esempio, vedi Paolo Brocato e Francesco Galluccio, Gli Etruschi della Riserva del Ferrone, Roma, G.A.R., 1996, pag. 14.

[22] S. Bastianelli, Il territorio tolfetano nell'antichità, <Studi Etruschi>>, XVI, 1942, pag. 257.

[23] S. Bastianelli, Centumcellae, Castrum Novum, Ist. di St. Rom., 1954, pag. 98.

[24] S. Bastianelli, L'abitato etrusco sul poggio detto "La Castellina", Civitavecchia, Ass. Arc. Centumcellae, 1981, pag. 30 e n.24.

[25] Per la <<Scaglia>>, vedi R. Mengarelli, Necropoli etrusca della <<Cava della Scaglia>>, in Notizie scavi, vol. III, fasc. 1°, 1942, pag. 10 segg.; A. Naso, in Leopoli- Cencelle, Roma, Palombi, 1996,  pag. 129, n.40. Per Aquae Tauri, vedi Fabrizio Ferrari, Sulle necropoli etrusche del territorio civitavecchiese, in Civitavecchia, pagine di storia e di archeologia, 1961, cit., pag. 75. 

[26] A. Solari, Topografia storica dell'Etruria, Pisa, Spoerri, 1914-15, I, pag. 219, sgg.; Gargana, La necropoli rupestre di S. Giuliano, in Monumenti antichi, XXXIII, 1931, pag. 299, sgg.

[27] CIL, XI, 3544.

[28] A. Solari, Topografia storica dell'Etruria, cit. I, pag. 217.

[29] Vedi A. Stanco, Amministrazione ed assetto del territorio in età romana, in Cere e il suo territorio, cit., pag. 109.

[30] M. Pallottino, Tarquinia, Milano, Accademia Nazionale dei Lincei, 1937, pag. 573.  A. Stanco vede, invece, nella lapide la <<menzione di cariche civiche di almeno due città>> (op. cit., pag. 112).

[31] La Tabula, così come ora si presenta, dopo le numerose ricopiature medioevali, non riporta il tratto da Aquae Tauri a Castrum Novum, ma si tratta di una negligenza del copista medioevale perché, fra le due località è riportata la distanza  stradale di VII miglia. Per il tratto da Aquae Tauri alla Castellina sul Marangone, vedi S. Bastianelli, Centumcellae-Castrum Novum, Roma, IstStRm., 1954, pag. 57; F.Nastasi, La viabilità, in  Cere e il suo territorio, cit., pag. 208.

[32] F. Nastasi, op. cit., pagg.189-195.

[33] Archivio di S. Maria in Trastevere, Cod. Vat. Lat. 8051, I, 49 DC; G. Tomassetti, La campagna romana antica, medioevale e moderna, II (Via Appia, Ardeatina ed Aurelia), Firenze, Olschki, 1979, pag. 568.

[34]  Vedi cap II, 5, nota 34.

[35] O.Toti, Allumiere e il suo territorio, Roma Comitato per le attività archeologiche della Tuscia, 1967.

[36] A.Maffei, La romanizzazione della fascia costiera tirrenia, in Cere e il suo territorio, cit., pag. 164; E.A.Stanco, Amministrazione ed assetto del territorio in età romana, In Cere e il suo territorio, cit., pagg. 109-112; A. Zifferero, in E. A.Stanco, l.u.c.; M. Donatella Gentili, I santuari di Pyrgi e Punta della Vipera, in Cere e il suo territorio, cit., pag. 279.

[37] O. Toti, Il popolamento e l'utilizzazione del suolo fra il VII e il IV sec. a.C., in Cere e il suo territorio, cit., pag. 162.

[38] F. Nastasi, Ritrovamenti metallici alla Castellina sul Marangone di Civitavecchia, in corso di pubblicazione.

[39] Corito-Tarquinia e il porto dei Ceretani, <<Atti e Memorie della Accademia Nazionale Virgiliana di Mantova>>, LXI, 1993, pagg. 33-35; I Troiani a Corito-Tarquinia, <<Bollettino>>, S.T.A.S., Tarquinia, 1996, pagg. 35-35.

[40] Si tratta di rudimentali monete.

[41] F. Nastasi, op. cit..

[42] S. Bastianelli, L'abitato etrusco sul poggio detto "la Castellina", Civitavecchia, Ass. Arch. Centumcellae, 1981, pag. 61.

[43] R. Mengarelli, Necropoli etrusca nelle località detta Pisciarelli, <<Notizie degli scavi>>, 1942, pagg. 361 e 364.

[44] F. Catalli, L'esperienza monetale, in Gli Etruschi di Tarquinia, a cura di M. Bonghi Jovino, Modena, Panini, 1986, pag. 300.

[45] Idem.

[46] F. Catalli, op. cit. , pagg. 299-300.

[47] F. Catalli, op. cit. , pag. 302, che riprende le notizie da E. J. Haberlin, Aes grave, Francoforte, 1910, pag. 23, n.25 e n. 27.

[48] F. Nastasi, op. cit.

[49] Friedhelm Prayon ne ha parlato durante la conferenza su L'abitato etrusco della Castellina (risultati campagne di scavo 1996-97) tenuta nella sala del Consiglio Comunale di Civitavecchia l'11-7-1977,

[50] Jean Gran Aymerich ne ha parlato durante la conferenza su L'abitato etrusco della Castellina (risultati campagne di scavo 1996-97) tenuta nella sala del Consiglio Comunale di Civitavecchia l'11-9-1997.

[51] S.Bastianelli, I Castronovani, <<Studi Etruschi>>, X, 1936 pagg.447-461; Territorio dei Castronovani, <<Studi Etruschi>>, XII, 1937, pagg. 451-472; Gli antichi avanzi nel territorio di Civitavecchia, <<Studi Etruschi>>, XIII, 1970 (ristampa), pagg. 385-402; Monumenti etruschi del Museo Comunale di Civitavecchia, <<Studi Etruschi>>, XIV, 1940, pagg. 359-366; Ricerche sul poggio della "Castellina"; e nuovi dati sulla necropoli preromana, <<Studi Etruschi>>, XV, 1941, pagg. 283-294; Il territorio tolfetano nell'antichità, <<Studi Etruschi>>, XVI, 1943, pagg. 229-260; Centumcellae, Castrum Novum, Ist. di St. Rom., 1954; L'abitato etrusco sul poggio detto "La Castellina", cit. ;O. Toti, (S. Marinella) Rinvenimento di tre tombe tarde nel territorio castronovano, <<Notizie degli Scavi>>, 1961, pagg. 125-133; (S. Marinella) Saggio di scavo eseguito nell'abitato protostorico della <Castellina>>, <<Notizie degli Scavi>>, 1867, pagg. 55-86; Il popolamento e l'utilizzazione del suolo  tra il VII e il IV secolo a.C., cit., pagg. 152-162; P. A. Gianfrotta, Castrum Novum, <<Forma Italiae>>, 1972.

[52] S.Bastianelli, Centumcellae, cit., pag. 98; L'abitato etrusco sul poggio detto "La Castellina", cit., nota 24.

[53] Vedi S. Bastianelli, L'abitato etrusco sul poggio detto "La Castellina", Civitavecchia, Ass. Arc. Centumcellae, 1981, pag. 30.