LA POLITICA di AUGUSTO.

 

§§. Introduzione.

 

G

li storiografi antichi e moderni sono stati sempre attratti dalla figura dell'imperatore "Augusto" e sono concordi nel ritenere e sottolineare il binomio che unisce indissolubilmente la figura e la storia di Augusto al periodo di massimo splendore del mondo antico.

La personalità forte e ambiziosa di quest'uomo segnò tutta l'epoca, chiamata da Suetonio "Saeculum Augustum" (1), nella quale emerse prima e fondò poi l'optimus status di cui si ritenne l'auctor indiscusso.

Fu l'artefice della trasformazione della Repubblica in Impero, unendo principi monarchici con esperienze repubblicane, dando vita ad un sistema modernamente avanzato nel quale, con abile maestria, riuscì a conciliare il vecchio con il nuovo, salvando i modelli consolidati e aprendo la strada a tendenze progressiste.

Sulla fortuna della sua carriera esistono due interpretazioni che, a nostro avviso, non si escludono a vicenda: "aveva raggiunto il potere perché non altro restava alla patria, dilaniata dalle discordie, che piegarsi al governo di uno solo"(2) oppure che "la pietà filiale e le necessità della stato non furono null'altro che pretesti e l'autentica motivazione di Ottaviano fu l'avidità di potere" (3).

Il popolo era poco interessato a queste sfumature, la pace e la prosperità per i Romani era tutto e se, per raggiungere tale obiettivo, era necessario conferire poteri assolutistici e quasi dittatoriali ad uno solo, erano pronti a correre il rischio.

Augusto fu un uomo assai complesso, pur tuttavia, godé di un grande carisma: indicato come il salvatore di Roma, l'uomo che aveva dato prosperità, e così continuò ad essere ricordato anche dopo la sua morte.

Gli onori decretatigli, i tredici consolati e le ventuno acclamazioni imperiali lo resero Divus, addirittura tra il consesso degli dei.

Egli venne collocato su un piedistallo che si ergeva al di sopra  gli uomini e veniva a tutti additato come colui da cui dipendeva l'esistenza della "res publica" .

In questa operazione agirono congiuntamente convinzioni autentiche e calcolo politico (4).

Ma chi fu realmente quest'uomo, il Divus acclamato? Un abile stratega capace con lo stile dei suoi atti di convincere il popolo della sua benevolenza e rettitudine? O un abile manipolatore capace di celare la realtà del periodo imperiale, con l’arte della propaganda?

Si cercherà di rispondere a questi interrogativi facendo ricorso all'aiuto delle fonti ed, in particolare, alle "Res Gestae Divi Augusti", considerate da sempre il manifesto politico contenente … i tratti principali del nuovo ordine(5).

Si cercherà di mettere in risalto gli opposti riflessi di luce ed ombre che l'uomo Augusto cercò abilmente di nascondere per giungere al suo obiettivo finale: impadronirsi del mondo romano con il consenso del popolo.

Valutando il suo operato in politica estera si cercherà di evidenziare l'ambiguità che il personaggio stesso manifestò durante il lungo principato, dalla battaglia di Azio, esordio di una "politica di potenza" (6), fino alla sua morte.

Il princeps cercò di dare una versione ufficiale al suo operato e alle sue campagne militari facendo apparire le sconfitte come mezze vittorie.

In questo  gli furono corifei poeti e scrittori coevi, a lui vicini, che appoggiarono la sua missione politica mettendo in evidenza, soprattutto, le vere "virtù" che Ottaviano non mancò di utilizzare per servire la sua causa, la sua aspirazione, il suo dominio.

Secondo il programma fatto intuire da Virgilio, l'impero di Augusto avrebbe dovuto "parcere subiectis et debellare superbos"(7).

In effetti, la politica di Augusto mirò a garantire la pace, consolidando le frontiere e accrescendo la prosperità delle province annesse all'impero(8).

Augusto perseguì questa sua missione con fermezza e riuscì a proteggere Roma e l'Italia agendo con estrema prudenza e creando una serie di province "cuscinetto" e territori alleati, che la ponevano al riparo con frontiere stabili e l’avvantaggiavano con la prosperità derivante dalla pace e dalla sicurezza (9).

Ma come riuscì a provare di essere non re o dittatore, ma Princeps, cittadino eminente inter pares? In che modo riuscì a persuadere i membri del senato e gli altri a subordinare le proprie aspirazioni ed ambizioni al suo volere?(10)

"Il ragazzo che, secondo Antonio, doveva tutto al nome di Cesare, il dittatore(11)" possedeva carattere e temperamento non usuali se nel costruire il suo impero, nell'imporsi come unico punto di riferimento, nel presentarsi come difensore incontrastato della sicurezza e della pace, riuscì sempre a nascondere la spregiudicatezza, la criminalità, l'opportunismo, soprattutto, dei suoi primi atti di potere.

 David Shotter nel suo saggio "Cesare Augusto" sostiene che gli ingredienti del carisma di questo personaggio, che fin dai primi anni riuscì a manipolare l'opinione pubblica, non furono la Clemenza, la Virtù, la Pietà, la Giustizia decretatagli dal senato, ma consumata abilità nello strumentalizzare le persone e nel porre gli uomini l'uno contro l'altro (12) ed ancora tradimento, inganno degli avversari politici, opportunismo nei confronti dei cittadini.

Ci serviremo delle testimonianze di vari scrittori della fine del I sec. e inizio del II come, ad esempio, Tacito,Suetonio, Cassio Dione e Velleio Patercolo oltre quelle dei poeti Virgilio ed Orazio, tanto vicini ad Augusto per confutare tali affermazioni.

Comunque, per avere una visione profondamente obiettiva si valuterà la sua autobiografia, che egli stesso volle curare per offrire ai suoi contemporanei un resoconto del suo operato nel tentativo di giustificare molti lati oscuri della sua politica (13).

Nelle Res Gestae, Augusto si presenta a noi come uno statista saggio, moderato, ma nello stesso tempo risoluto, come un generale che ha saputo dare protezione e prosperità non solo a Roma, ma a tutto l'Impero.

A tal fine, Augusto, nella sua biografia, sottolinea gli aspetti ufficiali della sua carriera sottacendo la componente eversiva della sua personalità che è alla base di molti suoi comportamenti.

In questo modo fu molto abile nel raccontare in modo distaccato la sua capacità nel formare un esercito privato per liberare lo stato dal dominio di una fazione e, in modo analogo, fa riferimento al comando militare conferitogli dal senato con decreti onorifici.

Molti studiosi ritengono  che il documento, pur non rilevando falsità, sia piuttosto avaro di verità e spesso fortemente tendenzioso(15).

Non vi è dubbio che quando egli tratteggia la figura del fondatore del principato, lo fa con una notevole dose di interessata parzialità specie quando racconta le sue imprese, pur tuttavia l’opera costituisce un documento di innegabile valore storico.

 

 

A

ltra testimonianza di grande rilevanza è quella lasciataci dal senatore Tacito, che ci dà un prezioso resoconto annalistico del tempo.

Egli, con stile particolare, pur offrendo una personale interpretazione di quel periodo , riesce a porre l'accento sui rapporti personali tra Augusto e il senato, gli intrighi di corte e gli intrecci dinastici.

 Nel primo libro degli Annales, l’autore narra come fosse stato frutto di puro opportunismo politico contro i cesaricidi, l'accordo di Augusto con Antonio e Lepido,  accordo certamente strumentale tanto che egli tradì appena se ne fu presentata l’occasione.

 

L’uccisione di Cesare da parte dei congiurati.

 
 

 


In tale ottica è visto il matrimonio con Livia, nel 38 a.C., voluto da Ottaviano per riconciliarsi con il senato. Sembrò un atto tirannico, infatti da "Tiranno" egli sottrasse al legittimo marito la moglie incinta del secondo figlio, per tutelare i suoi interessi(16).

Come già detto, Tacito diede alla storiografia del tempo un'impronta assolutamente personale e al di fuori di qualsiasi schema prefigurato: la storiografia fu molto influenzata dalla visione che Tacito ebbe del periodo di Augusto.

I tratti che emergono dal resoconto tacitiano sono quelli di un uomo potente e consapevole del proprio potere e non certo di una figura ideale la cui aspirazione era improntata alla sollecitudine per il popolo romano (17).

Tacito si servì di biografie, orazioni funebri, consultò gli atti del senato, le "gazzette ufficiali"(acta publica), gli archivi imperiali (commentarii principis) e trasse notizie da iscrizioni (18).

I riferimenti di Tacito a una dominatio e all'esistenza di una "famiglia reale" (domus regnatrix) dimostrano che egli aveva percepito un cambiamento radicale: "rimosso ogni sentimento di uguaglianza" egli afferma che "tutti erano attenti agli ordini del principe" (19).

Augusto, con la nascita del suo principato, riuscì a garantire in primo luogo una pace concepita sui sacrifici personali di ogni singolo uomo romano: l'eliminazione degli avversari politici con le proscrizioni e la riduzione delle truppe romane, sono segni tangibili della sua "clemenza".

A testimonianza di ciò all'indomani della vittoria di Azio (31 a.C.), Augusto avvertì l'esigenza di instaurare in  Roma un governo forte, in grado di controllare l'esercito, di guidare l'oligarchia senatoria, di sedare le lotte tra i gruppi politici e di imporre la propria supremazia su tutte le forze di Roma.

Ambiguamente più moderata è la posizione di Suetonio che, nel complesso, nella sua biografia denigra più che elogiare la persona di Augusto.

Ci ha lasciato un ritratto molto preciso nonostante la tendenza a generalizzare avvenimenti molto particolari e la preferenza accordata agli aneddoti privati piuttosto che all'analisi delle questioni costituzionali legati all'impero(20).

Suetonio fu convinto che il princeps si accattivò la simpatia dei suoi ammiratori con elargizioni di denaro che avrebbero dato una buona "sfoltita al suo patrimonio"(21).

Nel darci un resoconto sull'attività di Augusto, Suetonio racconta dell'ambiguo comportamento del principe sull'uso, per esempio, delle proscrizioni: all'inizio vi si oppose, poi le praticò con veemenza; narra, inoltre, che l'imperatore da giovane fu effeminato e giocatore d'azzardo e che, a dispetto della sua preparazione culturale, era profondamente superstizioso infatti era terrorizzato dai fulmini e dai fantasmi.(22)

Suetonio si lascia andare successivamente ad un misurato elogio quando mette in risalto, senza infingimenti, la clemenza di Augusto: la sua affabilità nei confronti di coloro che andavano a visitarlo e l'amore che Roma nutriva nei suoi confronti (23).

Altro storico dei primi del III sec. d.C., utile al nostro tentativo di analizzare il periodo aureo imperiale, è Dione Cassio, membro del senato che con le sue opere storiografiche offre un'analisi completa e dettagliata della creazione del nuovo ordinamento politico.

Dione ci ha lasciato una testimonianza molto documentata e, allo stesso tempo, una esposizione completa del periodo di Augusto costituendo, per noi, una fonte di primo piano (24).

Dione sottolinea nella sua opera il carattere sostanzialmente monarchico del principato; per lui, l'esito della battaglia combattuta a Filippi significa la morte della libera repubblica ed il primo passo verso la monarchia.(25)

L'analisi di Velleio Patercolo è fin troppo positiva: per lui non c'è dubbio sulla clemenza dell'operato di Augusto, perfino nella battaglia di Azio dove non fu ucciso alcun superstite.

In seguito, l'ingresso di Cesare all'Urbe, la celebrazione dei suoi trionfi, l'elargizione dei suoi donativi scatenarono sulla popolazione un entusiasmo incontenibile.

Per Velleio Patercolo, Cesare Augusto è tutto ciò che gli uomini possono chiedere agli dei e ciò che gli dei possono concedere agli uomini, tutto ciò che i desideri possono concepire e il maggior grado di felicità raggiungibile(26).

"Augusto è il modello. Augusto è il pius Aeneas redivivo, concesso dai numi al mondo […] Come l'Enea di Virgilio, l'Augusto di Patercolo è pio al padre, alla patria antica e alla nuova […] Velleio Patercolo fa coincidere Augusto con l'impero e l'impero con il mondo, per far coincidere il mondo con la pacifica clemenza"(27).

In campo letterario Tito Livio, Virgilio e Orazio, con la loro propaganda dell'imperator, si preoccuparono di enfatizzare le imprese di Augusto in modo da conferirgli più auctoritas e prestigio.

Dopo un'attenta analisi delle testimonianze di vari scrittori della fine del I sec. , ci si rende conto che l'immagine che ci viene offerta di Augusto è meno virtuosa di quanto ci si aspetta e ci si presenta un uomo capace di manipolare l'opinione di un popolo e utilizzare ogni situazione per il raggiungimento dei propri fini.

Furono, comunque, molto utili alla causa di Augusto, scrittori che seguirono con viva partecipazione le gesta dell'imperator; tra questi non possiamo dimenticarci del mantovano Virgilio il quale seguì con affetto quasi paterno l'operato dell'imperatore.

Non si può trascurare il pensiero, a volte palesemente politico, di Virgilio: l'ideologia del poeta si accosta e, molto spesso, si identifica in quella augustea.

"Virgilio è il mediatore tra il regime e i valori e le aspirazioni dei ceti medio-alti della penisola, è per così dire, l'ideologo più rappresentativo della prima fase del regno augusteo"(28).

"Fu, infatti, un poeta organico al nuovo ordinamento: organico non solo perché legato al circolo dei poeti che ruotavano intorno a Mecenate, ma anche per lo sviluppo di una sintonia profonda in più campi delle sue idealità con quelle del principe"(29).

Il manifesto più illustre della propaganda augustea fu la stesura dell'Eneide; il poeta fu completamente assorbito dalla stesura dell'opera che Augusto volle con determinazione.

Sappiamo che Augusto seguì con grande partecipazione lo sviluppo del lavoro, ne è testimonianza un frammento di lettera pervenutaci.

Virgilio dedicò la sua opera alla rivalutazione di Roma, e di conseguenza di Augusto, e si prestò ad interprete di tale intendimento.

Nelle parole "tanto arduo, terribile, fondare la gente romana (30)" c'è la drammaticità del compito che Augusto si era prefissato e l'altrettanto impegno di Virgilio che esaltò tale proposito.

Augusto è presente in tutte le opere più importanti di Virgilio, tanto nell'Eneide che nelle Georgiche: il giovane Ottaviano si presenta come l'unico che può salvare il mondo civilizzato dalla decadenza e dalla guerra civile, quasi come figura divina che vigila sul mondo e protegge la vita dei campi.

Il nuovo principe assicura le condizioni di sicurezza e prosperità entro cui il mondo dei contadini può ritrovare la  continuità di vita.

Per questo tipo di cornice ideologica, le Georgiche si possono considerare il primo vero documento della letteratura latina nell'età del principato.

Augusto rivive, non solo nel "poema campestre" ma anche nell'Eneide, dove il pius Aeneas rappresenta, con il suo viaggio profetico, la figura di Augusto che con la sua grandezza farà risplendere, non solo Roma, ma tutto l'impero: la guerra di Enea non serve a distruggere una città, ma a costruirne una nuova.

Benchè risulti indiscutibile il fatto che Virgilio sia un poeta e non un politico, è pur vero però, che alcuni nuclei tematici della sua opera palesano precise interpretazioni della storia romana e lasciano trasparire quegli ideali di governo perfettamente in sintonia con quelli di Augusto.

Tale concezione può essere riassunta in alcune posizioni dense di significato: Roma è uscita dal periodo delle guerre civili ed è entrata in una nuova età dell'oro simboleggiata dal puer della IV Egloga, cioè Augusto; l'ideale della pietas rivive nel mito di Enea; in virtù della pietas, a Roma è stato assegnato dalle divinità il compito di diffondere la pace non solo con mezzi incruenti, ma anche con quelli cruenti (31).

Orazio, così come Virgilio, ci presenta con ricchezza di particolari l'immagine di Augusto fin dai primi momenti della sua ascesa politica.

Forse più di Virgilio, preoccupato per il disfacimento dei valori tradizionali e della decadenza morale, esorta, pertanto, Augusto perché diventi il fautore di un ritorno agli antichi valori.

La sua poesia è l'inno della propaganda di Augusto. Al poeta Orazio fu commissionato di scrivere il Carme secolare, un inno ad Apollo, cantato o recitato da ragazzi e ragazze i cui genitori erano ancora vivi(32).

Augusto è ricordato come il "principe della pace":  in grado di riportare a Roma la pace e il cui principato doveva rimanere nella memoria come pax augustea .

Dopo la morte di Augusto si continuò ad enfatizzare la sua figura, i suoi tredici consolati, le sue ventuno acclamazioni imperatorie.

La giusta interpretazione delle doti dell'imperator è da ricercare nelle opere degli storici del tempo che ponevano l'attenzione non sui titoli e gli onori ma sulla sua capacità di assicurare prospettiva di stabilità, che il mondo romano conobbe per oltre quattro secoli, a partire dal 31 a.C.(33).

 

 

Nel corso di una valutazione storica del principato di Augusto ci si rende conto che gli storici romani furono abbagliati dalla sua potenza e magnificenza. In realtà, per Eck, tradimento, inganno degli avversari politici, brutalità contro i cittadini erano le sue "virtù", se solo questo poteva servire alla sua causa, alla sua aspirazione al dominio(34).

"Il carattere elastico, proclive agli espedienti, ed anche privo di scrupoli, in un ambiente alla fine stanco ed ansioso di quiete, donde erano stati o si erano eliminati i più resistenti, gli permise di imporre[…] un potere a cui cercava di togliere le forme di un potere assoluto, levigando se poteva le superfici di attrito[…]mentre le forze armate, da lui monopolizzate, lo garantivano contro ogni tentativo di aperta rivolta(35)".

Questa analisi precisa e dettagliata del Ciccotti nel suo saggio Profilo di Augusto, riassume brevemente il profondo significato del principato di Augusto, che i poeti "filo-augustei" vollero mettere in evidenza, non solo per osannare, ma anche per legittimare il potere di Augusto.


Note.

1.     Suet., De Vita Caes., Aug. 100.3

2.     Tac., Ann.

3.     Tac., Ann.

4.     W. Eck, Augusto e il suo tempo, Bologna 2000, p.45.

5.     L. Canali, Il manifesto del regime augusteo in Rivista di cultura classica e medievale, XV (1973) n.2, p.236.

6.     W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.48.

7.     Virg., Aen.VI.853, p.303

8.     D. Shotter, Cesare Augusto, Genova 1993, p.77.

9.     D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.77.

10. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p. 10.

11. Cic., Phil. 13,11,24.

12. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.9.

13. A. Fraschetti, Augusto, Roma-Bari 1998, p.35.

14. Res Gestae 1-2.

15. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.133.

16. Tac., Ann. 9-10.

17. W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.9.

18. C.M. Wells, L'impero romano, Bologna 1995, p.57.

19. Tac., Ann. 8-9.

20. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.134.

21. Suet., De Vita Caes., Aug. 1-8.

22. Ibid., 68-100.

23. Ibid., 65, 10.

24. C.M.Wells, L'impero romano, op. cit., p.55.

25. Dio.Cass., Hist. Rom. 47, 39-40.

26. Vell. Pat., Hist. 2, 88-90.

27. A. Ferrabino, L'imperatore Cesare Augusto, in AA.VV, Augusto, studi in occasione del bimillenario augusteo, Roma 1938, p.37.

28. G. Zecchini, Il pensiero politico romano, Urbino 1997, p.72.

29. A. Fraschetti, Augusto, op. cit., p.90-91.

30. Virg., Aen. 1,33.

31. Ibid. VIII, 714-723.

32. P. Southern, Augustus, New York 1998, p.153.

33. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.121.

34. W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.9.

35. E. Ciccotti, Profilo di Augusto, Torino 1938, p.114.

 


§§.1. Il profondo rinnovamento.

 

L

a fine delle guerre civili e soprattutto la clamorosa sconfitta di Antonio ad Azio posero Augusto nella condizione di signore di Roma  e dell’Impero. Quando le celebrazioni del 29 a.C. terminarono, Ottaviano si trovò a dover fronteggiare una situazione profondamente mutata e soggetta a continui cambiamenti. Di contro, Augusto aveva nelle sue mani concentrato tutto il potere e l’autorità necessaria; toccava a lui, pertanto determinare il corso degli eventi, cosa che in seguito avrebbe fatto. “Sull’arco di trionfo fatto costruire dal Senato per il vincitore della guerra civile c’era la scritta Re publica conservata, ossia per la salvezza dello Stato. Ottaviano aveva salvato lo Stato dalla rovina ora però doveva ristabilirlo”(1).

L’abilità politica di Ottaviano emerse soprattutto allorchè occorreva legalizzare la sua posizione e rendere più accettabile quella che era virtualmente una monarchia facendola aderire a forme tradizionali(2).

Fu necessario, infatti, escogitare delle formule che rendessero la monarchia tollerabile, non solo al popolo ma particolarmente al senato e ai magistrati che costituivano il problema principale per Augusto, infatti essi “sarebbero stati i primi ad accusare gli effetti di una forma di governo manifestamente autoritaria” (3).

Come già accennato, per capire ed interpretare l’operato di Augusto non si può non far riferimento all’autobiografia che egli stesso volle fornire “ ai suoi contemporanei, un resoconto del suo operato nel tentativo di giustificare molti lati oscuri della sua politica”(4).

Si è detto che nelle Res Gestae Augusto si dipinse come statista saggio, moderato, ma al momento opportuno, intraprendente; insomma, un generale che guida la propria truppa in battaglia e la porta verso la vittoria contro il nemico.

Si elesse a capo di tutte le cose, Roma fu indicata come la padrona del mondo e l’Italia posta in una posizione di assoluto privilegio; ma egli non si dimenticò mai delle province e del loro indubbio potere (5).

Il primo tentativo di riassestamento legale complessivo si ebbe nel 27. In una riunione del Senato alle Idi di Gennaio, dopo accordi preventivi con i suoi principali sostenitori, egli rinunciò a tutti i suoi poteri straordinari e rimise tutte le sue province a disposizione del Senato (6).

 Augusto si vantava di aver chiuso tre volte, durante il suo regno, il tempio di Giano che dal tempo della fondazione di Roma era stato chiuso solamente due volte. Il tempio veniva chiuso quando in tutto il territorio dell’impero e alle frontiere non erano in corso operazioni militari, sia terrestri che navali: sotto Augusto, la prima e più solenne chiusura fu nel 29 a.C., dopo la vittoria di Azio, la seconda nel 25 a.C. mentre della terza chiusura non si ha una data certa. D’altra parte è sufficiente avere sotto gli occhi la cronologia della permanenza di Augusto fuori l’Italia, nonostante che la politica interna continuasse a presentare delle incertezze (7).

Questo avvenimento, che improntava di uno speciale carattere le feste e le solennità che seguirono, e rilevava nella forma più concreta l’avvento definitivo della pace, ha un’eco autorevole non solo negli scrittori dell’epoca, ma anche nelle monete degli anni seguenti.

 

C

ome sottolineato in precedenza, una questione non marginale è l’apparente contraddizione tra la chiusura del tempio di Giano, esaltata nell’orgoglioso paragone con tutta la storia anteriore al principato augusteo: “cum prius quam nascerer a condita urbe bis omnino clausum fuisse prodatur memoriae”, e la lunghissima durata della ferma di un esercito ordinato secondo gerarchie sociali ed etniche che si bilanciassero e si condizionassero a vicenda (8).

 

L

e preoccupazioni di Augusto erano sia interne che esterne; gli storici, forse, sottovalutano le ostilità che incontrò Augusto nel suo cammino sia nelle province periferiche che nelle frontiere dell’Impero.

Infatti troppo spesso gli storici poco evidenziano la fierezza e la tenace volontà di resistenza dei popoli sottomessi e minacciati. Nelle province del popolo romano vennero inviati proconsoli nominati con estrazione a sorte, il cui periodo di carica durava un anno; ma il loro mandato , se necessario, poteva venire prolungato, il che capitava non di rado.

Tutti questi governatori erano giuridicamente indipendenti da Augusto ed anche il potere militare autonomo connesso alla loro carica non venne loro sottratto[…] il fatto è che tale potere non aveva pressochè occasione di divenire effettivo, dato che verso la fine del periodo augusteo solo in Africa era stanziata una legione(9).

Dell’atteggiamento di Augusto nei confronti delle province, e in particolare di quelle orientali ( tradizionalmente e spietatamente taglieggiate da proconsoli e compagnie di publicani, e ora riordinate dal principe per effetto dell’investitura dell’imperium proconsolare infinitum maius , con l’accentramento della gestione e dei controlli affidati a suoi uomini di fiducia retribuiti non più in natura ma con stipendio, secondo i criteri di una efficiente burocrazia), può essere simbolo, sia pure inserito in un contesto polemico contro l’innominato Antonio, il passo: “In templis omnium civitatium provinciae Asiae victor ornamenta reposui, quae spoliatis templis is cum quo bellum gesseram privatim possederat”(10).

 

L’azione di Augusto fu il proseguimento di quella di Cesare; egli si ripromise di proteggere Roma e l’Italia garantendo un periodo di prosperità derivante dalla pace e dalla sicurezza. Augusto, comunque, volle guardarsi bene dal far rivivere esplicitamente il modello politico elaborato da Cesare, il cui assassinio era stata l’esplicita risposta a questo tentativo. Non era questione di altruismo: si trattava del modo migliore per salvaguardare Roma e l’Italia e avrebbe consentito alle province di versare maggiori contributi al governo centrale - alleggerendo il carico delle spese che gravava su Roma (11).

 In questo tentativo di risanamento ad ampio raggio egli doveva dimostrare di non essere interessato soltanto al consolidamento del potere personale, ma soprattutto al riordino dello Stato e della società

 

L’azione di Augusto fu il proseguimento di quella di Cesare; egli si ripromise di proteggere Roma e l’Italia garantendo un periodo di prosperità derivante dalla pace e dalla sicurezza. Augusto, comunque, volle guardarsi bene dal far rivivere esplicitamente il modello politico elaborato da Cesare, il cui assassinio era stata l’esplicita risposta a questo tentativo. Non era questione di altruismo: si trattava del modo migliore per salvaguardare Roma e l’Italia e avrebbe consentito alle province di versare maggiori contributi al governo centrale - alleggerendo il carico delle spese che gravava su Roma (11).

 In questo tentativo di risanamento ad ampio raggio egli doveva dimostrare di non essere interessato soltanto al consolidamento del potere personale, ma soprattutto al riordino dello Stato e della società.

 

P

iù che alla prosperità e al benessere dello Stato, Augusto pensava, infatti, al modo migliore per accentrare tutto il potere nelle sue mani, a tramandare ai posteri il suo nome ed ancora a sedere tra gli dei alla sua morte, lui che era già un semidio, consanguineo di Vesta e dei Penati, così come Ovidio stesso gli ricordava (12).

La grande svolta attuata da Augusto all’indomani della vittoria di Azio, fu la base per la creazione di una nuova era in campo politico ed economico: “in politica sono i più forti ad avere la meglio, ed una tattica priva di scrupoli ha spesso maggiore successo”(13).

Furono determinanti, per lui, anche il modo di gestire gli affari generali, la magnificenza, le conquiste, l’aumento del prestigio romano all’estero (14), la propaganda che accompagnò tutto il programma di rinnovamento, programma che esigeva immagini e segni in cui potessero rispecchiarsi ed esprimersi le nuove esigenze politiche.

 


§§.2. L’esercito strumento per la conservazione del potere.

 

L

’imperatore deve il suo titolo Imperator (divenuto, ora, il suo prenome) e la sua stessa posizione alle necessità militari dell’Impero: senza province non pacate, e comunque senza province imperiali, non ci sarebbe imperatore. L’assetto militare di Augusto fu l’immagine più precisa del modo in cui l’imperatore concepì le sue funzioni (15).

La sicurezza dell’impero dipendeva al pari dalla politica interna, dall’esercito. L’esercito, strumento per la conservazione del potere personale, era nello stesso tempo strumento di una politica deliberatamente imperialista, e i due aspetti erano fra loro strettamente collegati; solo grazie allo sfruttamento dei popoli sottomessi, con la distribuzione di grano e anche di denaro era possibile neutralizzare le rivendicazioni popolari (16).

E’ valido il concetto che la pace e la stabilità dell’impero dipendessero, in ultima analisi, dall’esercito;  così pure la sicurezza dell’imperatore ed Augusto era cosciente di ciò(17).

 

                       

 

L’esercito garantiva la sicurezza interna di ogni regione e stabiliva una pace, a volte solo apparente, in tutte quelle province che necessitavano un controllo costante da parte delle legioni ivi stanziate.

L’esercito svolgeva, inoltre, un importante ruolo in relazione all’economia e alla società, quale fattore di mobilità sociale tra reclute e ufficiali, quale elemento potente di romanizzazione, quale stimolo economico per le zone in cui era dislocato.

Dopo la vittoria di Azio, l’esercito era stato riordinato: dalle sue legioni e da quelle di Antonio, Augusto ha formato un esercito permanente di ventotto legioni.

Benchè non esista prova diretta del numero ventotto, Tacito ci dice che nel 23 d.C. vi erano venticinque legioni (18), mentre nel 9 d.C. tre erano andate perdute in Germania con Varo senza poi essere rimpiazzate.

Si ritiene quindi dato certo che le legioni di Augusto furono venticinque fino al reclutamento di altre due legioni da parte o di Caligola o di Claudio all’inizio del suo regno.

Augusto contò molto sulla lealtà del suo esercito e quindi, proprio per questo, sarebbe stato assolutamente spietato nei confronti di chi avrebbe destabilizzato questo sottile equilibrio.

Fu per questo che una legione poteva essere disciolta per concordia o per mancata lealtà, oppure essere cancellata dall’elenco se distrutta in un’azione militare(19).

Tutta la sua politica militare si basò sulla figura di una solida guardia armata che difendeva i confini, il territorio interno e le province.

Forte di questo pensiero, fortificò la sua immagine con la creazione di una guardia pretoria permanente, analoga ad una guardia personale, formata da generali repubblicani, con paga e privilegi speciali e dotata di nove coorti ( pari a una legione e mezzo).

Inoltre, fu costituita una forza regolare di truppe ausiliarie (coorti di fanteria e alae di cavalleria ),reclutate dai popoli soggetti all’impero e comandate da ufficiali romani.

E’ evidentemente in ambito militare che l’esercizio e l’addestramento fisico gioca il suo ruolo maggiore. Lo scopo fondamentale dell’allenamento stava nel conferire al soldato romano la superiorità sul barbaro nel corso della battaglia.

Il legionario deve superare  il proprio eventuale avversario prima di tutto fisicamente (20).

Ma occorre, altresì, temprare i caratteri: “Con l’esercizio militare, i Romani preparavano non soltanto dei corpi robusti ma anche delle anime forti”, come osserva Flavio Giuseppe (21).

La politica estera di Augusto fu, essenzialmente diretta  alla difesa dell’impero con il rafforzamento dei confini e all’espansione rivolta, soprattutto, al versante orientale del Reno.

Per raggiungere questo obiettivo i Romani hanno a volte costruito delle “difese lineari”, lunghi muri destinati tanto a impedire le infiltrazioni dei barbari quanto a segnare per loro il limite giuridico da non varcare sotto pena d’essere dichiarati nemici; si tratta di separazioni che sono anche culturali, morali, e che isolano due civiltà(22).

La legione era l’unità elementare di combattimento dell’antico esercito romano. Sotto Giulio Cesare, il comandante di ciascuna legione fu reso responsabile direttamente nei confronti del Senato.

Rigorosamente addestrate, le legioni furono la chiave di volta dei successi militari romani nella conquista del mondo antico.

La loro organizzazione in unità tattiche fortemente articolate permetteva una facilità di movimento e di penetrazione nel territorio nemico senza pari.

La “spina dorsale” dell’esercito rimasero per moltissimo tempo le legioni: in numero di ventotto, ogni legione era formata da circa 5.000 uomini. L’ufficiale generale della legione ha il titolo di legatus Augusti legionis, ed è scelto dall’ordine senatorio.

Se le legioni sono le fondamenta di questo esercito permanente augusteo, d’altra parte le forze arruolate fra i peregrini, gli auxilia, ne sono il completamento necessario.

La differenza fondamentale era, che legioni erano arruolate fra i circa quattro milioni di cittadini romani dell’Impero, in prevalenza italiani, mentre gli auxilia sono levati fra i peregrini. Dopo Augusto, gli ufficiali degli auxilia sono dell’ordine equestre(23). 

Al momento della battaglia di Azio vi erano certamente più di 60 legioni; a queste si aggiungevano le formazioni delle truppe ausiliarie, che erano fornite e pagate per lo più dai popoli o dai sovrani clienti. In seguito, Ottaviano sciolse intere unità dell’esercito per raggiungere un numero di truppe necessario che fosse però anche possibile pagare; su che base venne condotta questa valutazione non lo sappiamo (24).

I limiti in campo militare di uno stato non dipendono tanto da deficienze psicologiche quanto da deficienze inerenti alle strutture economiche, sociali e politiche. E’ per questo che Augusto cominciò a ridurre considerevolmente il numero delle legioni di cui disponeva all’indomani della vittoria di Azio: si trattava di cinquanta legioni, ma con effettivi assai ridotti (25).

Augusto sembrava in grado di controllare il grosso delle sue truppe in virtù dell’imperium e del giuramento che i soldati pronunziavano di fronte a lui all’inizio di ogni anno, ma gli eventi che seguirono dimostrarono che la fedeltà dell’esercito era tutt’altro che assicurata; un imperatore, non ritenuto meritevole della lealtà del suo esercito, poteva perderla del tutto(26).

Il sogno nel cassetto di ogni generale romano era di entrare vittorioso nella città e di essere portato in trionfo.

La massima ambizione di ogni condottiero era veder riconosciuto il proprio valore in guerra con la celebrazione a Roma del trionfo, per ottenere il quale doveva aver riportato una vittoria schiacciante contro uno straniero e aver combattuto personalmente in una battaglia in cui avevano trovato la morte almeno 5.000 uomini.

Per nessun motivo il trionfo poteva essere concesso per vittorie diplomatiche nè in caso di guerra civile.

Queste condizioni erano indispensabili ma non sufficienti per ottenere l’ambito riconoscimento.

Il vincitore doveva possedere anche l’imperium, ovvero essere il capo supremo dell’esercito al momento della vittoria.

I soldati guardavano a lui come a un leader, agli seppe conservare il potere, senza apparire di averlo usurpato(27).

Non bastava che il generale rispondesse a tutti i requisiti necessari: di ritorno alla guerra egli doveva arrestarsi alle porte di Roma insieme all’esercito.

Oltrepassare il pomerio, ovvero il confine sacro che circondava Roma senza interruzione, significava, infatti, perdere l’imperium; doveva poi inviare al Senato le tabellae con il resoconto degli avvenimenti. 

Augusto volle essere certo che l’esercito avvertisse i benefici del suo patronato in modo da non sfiancare quel legame indissolubile fra truppe e comandanti.

Per molti Augusto divenne, grazie a ciò che era stato in grado di realizzare, un dio in terra; “solamente un essere sovrumano avrebbe potuto trasformare il caos in serenità”(28).

 


§§.3. L’assegnazione delle province.

 

L

a gestione delle province era assegnata in parte allo stesso Augusto e in parte al popolo.

Quelle assegnate al principe erano, evidentemente, le province imperiali. Le altre  sono definite, di consueto, province senatorie e i loro governatori venivano scelti tra ex-magistrati che erano, in base all’autorità, o ex-consoli o ex-pretori, e che, dunque, portavano il titolo di proconsoli o propretori.

Comunque, le province senatorie non erano totalmente controllate dal popolo, infatti, l’assegnazione ai proconsoli o ai propretori veniva operata dall’assemblea senatoria.

Secondo quanto riportato dagli storici le province senatorie erano quei territori che i Romani controllavano saldamente e che erano, quindi, pacificati e non avevano bisogno di stanziamenti legionari mentre le province imperiali erano quelle fortemente militarizzate e, soprattutto, quelle dislocate lungo i confini che necessitavano della presenza delle legioni, quasi tutte sotto l’autorità diretta dell’imperatore (29).

Di fatto, si può affermare che per tutto il suo lungo regno, Augusto non smise mai di occuparsi dell’aspetto militare della crescita dell’impero. Le venticinque legioni che Augusto lasciò in eredità a Tiberio, costituivano il minimo indispensabile, e forse non erano sufficienti a garantire quella pace che fu sempre, comunque, assicurata durante tutto il suo regno.

Come Cesare, Augusto aveva visto la maggior parte delle province dell’Impero, e pensava in termini di tutto il mondo romano. Egli fu accusato di pensare solo a Roma e all’Italia, ma questo giudizio richiede forse una revisione (30).

Con la suddivisione dell’ Impero, Augusto attribuiva i compiti e le responsabilità a ogni figura istituzionale del suo governo; si ribadì più volte in testimonianze del tempo che tale divisione avvenne in vari modi e in vari momenti.

Vi è, comunque, una concordanza sul fatto che l’impero romano nel periodo di Augusto avesse raggiunto la sua massima espansione; ciò, ovviamente, comportò ulteriori problemi perché non era cosa facile amministrare territori tanto distanti da Roma.

In epoca augustea le province senatorie erano le seguenti: in Occidente l’Africa Proconsolare, in Spagna la Betica, in Gallia la Narbonese, la Sicilia, a periodi la Sardegna; in Oriente la Macedonia, l’Acaia, Creta e Cirene, Cipro, il Ponto e la Bitinia, l’Asia (31).

Le provincie di competenza imperiale erano per esempio la lontana Siria, in Gallia la Lugdunense e la Belgica lungo il confine pericoloso costituito dal Reno, nei Balcani l’Illirico (in origine provincia senatoria) e la Pannonia lungo il confine altrettanto pericoloso costituito dal Danubio: per i Romani il Reno e il Danubio rappresentano il confine naturale contro i barbari del Settentrione e dell’Europa orientale.

 


§§.4. L’assoggettamento dell’Egitto.

 

L

a conquista e l’annessione dell’Egitto, con la conseguenza della fluidificazione dei capitali, dell’aumento dei raccolti, della valorizzazione della terra, dello sviluppo dei traffici, migliorò notevolmente il livello di vita dei ceti medi (32).

Un discorso a parte fu il caso dell’Egitto, che l’imperatore governava non attraverso un legato senatorio, ma per mezzo di un prefetto di rango equestre (33).

Augusto, infatti, diffidava della presenza di senatori in quella provincia, dove in passato avevano risieduto i re Tolomei e aveva soggiornato Antonio (34).

Così, fu inviato, come primo prefetto, un cavaliere legatissimo ad Augusto, il poeta Cornelio Gallo. Quando alcuni suoi atteggiamenti lo insospettirono, Augusto lo escluse dalla sua protezione; condannato all’esilio dal senato, nel 26 a.C. preferì il suicidio.

L’aneddoto di Cornelio Gallo è un pretesto che ci induce a riflettere sulla inaffidabilità di alcuni uomini, pur se di provata fiducia e di rango non senatorio. Era per Augusto difficile governare l’impero da lontano e, quindi, ci si chiede in base a quali poteri egli controllasse istituzionalmente le province.

La risposta risiede in quel sistema personalissimo di dominio stabilito da Augusto nel 23 a.C.; rispetto alle province, sia senatorie che imperiali, il suo impero proconsolare era superiore a quello dei rispettivi governatori, come proconsoli, propretori e legati di Augusto.

 

Non godere più della sua amicitia era un fatto gravissimo, che implicava conseguenze incontrollabili.

In fondo, fu quello che avvenne fra Ottaviano e Marco Antonio; la relazione di quest’ultimo con la regina Cleopatra fu motivo di innumerevoli contrasti e dissapori sopiti, che sfociarono inevitabilmente in un conflitto militare.

Tramontato il sogno di Antonio, fare dell’Egitto il centro di una federazione di Stati orientali, Augusto adiecit l’Egitto all’Impero, pur riconoscendogli una preminenza su tutte le altre province e insediandovi un prefectus (35).

Augusto, nella amministrazione  delle province fu, abilmente, rispettoso delle tradizioni e dei culti del luogo. Ostentava rispetto per le tradizioni religiose locali, addirittura le incoraggiava: il caso dell’Egitto è esemplare. Grazie allo sfruttamento delle risorse di questa ricca regione, furono costruiti nuovi templi (36).

I difensori di Augusto dichiararono che c’era una divisione, finché Ottaviano gestiva l’opposizione per una sua personale gratificazione, per giustificare la sua campagna contro Antonio (37).

Ottaviano, difensore del patriottismo, del nazionalismo e del rispetto delle tradizioni si preparava ad un conflitto che fu dipinto come una crociata nazionale in difesa dell’integrità di Roma contro le barbarie e la corruzione orientale, ma che fu, in realtà, una guerra civile combattuta da due rivali aspiranti alla supremazia politica.

La guerra contro Antonio e Cleopatra al grido “Italia unita!” fu di buon auspicio; la vittoria di Ottaviano fu totale con la vittoria di Azio nel 31 a.C. e, soprattutto, con la morte dei due rivali.

La storia si deve accontentare di ciò che ci è stato tramandato e, probabilmente, ciò che realmente avvenne, rimarrà sempre a noi sconosciuto.

E’, comunque, una certezza che Cleopatra ebbe in mente gli interessi dell’Egitto e dei suoi territori dipendenti, ma quanto lei intendesse estendere la sua influenza rimarrà, sicuramente, un dubbio(38).

Sorretto dal sostegno pressoché unanime che si era meritato come eroico conquistatore, Ottaviano ebbe l’opportunità di dare vita a una formula politica che avrebbe garantito alla Repubblica la sua libertas.

La macchina propagandistica di Ottaviano aveva indotto i Romani a vedere la battaglia di Azio come il punto culminante di una “crociata”; una volta ottenuta la vittoria, era importante che l’unità, che aveva caratterizzato tale crociata non venisse a mancare(39).


Note.

1.     P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Torino 1989, p.97.

2.     C. Wells, L’impero romano, op. cit., p.74.

3.     D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.57.

4.     A. Fraschetti, Augusto, op. cit., p.35.

5.     P. Southern, Augustus, op. cit., p.139.

6.     C. Wells, L’Impero romano, op. cit., p.74.

7.     C. Parain, Augusto, op. cit., p.152.

8.     L. Canali, Il manifesto del regime augusteo, op. cit., p.242.

9.     W.Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.82.

10. L. Canali, Il manifesto del regime augusteo, op. cit.,

11. D.Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.77.

12. Ov., FastiIII, 417-426; A. Fraschetti, Augusto, op. cit., p.65.

13. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.55.

14. P.A. Brunt e J.M. Moore, Res Gestae Divi Augusti, London 1967, pp.8-16 ; P.A. Brunt e J.M. Moore, La posizione costituzionale di Augusto, in AA.VV, Potere e consenso nella Roma di Augusto, Roma-Bari 1975, p.229.

15. L. Canali, Potere e consenso nella Roma di Augusto, op. cit., p.138.

16. C. Parain, Augusto, op. cit., p.153.

17. C. Wells, L’Impero romano, op. cit., p.153.

18. Tac., Ann. IV,5.

19. C. Wells, L’Impero romano, op. cit., p.154.

20. Erodiano, Storia dell’impero dalla morte di Marco, II, 10, 8.

21. Flavio Giuseppe, La guerra giudaica, III, 5, 7.

22. D.J. Breeze, B. Dobson, Hadrian’s Wall,  New York 1976, p.233-234.

23. L. Canali, Potere e consenso nella Roma di Augusto, op. cit., p.139.

24. W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.85.

25. C. Parain, Augusto, op. cit., p.153.

26. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.82.

27. P. Southern, Augustus, op. cit., p.100.

28. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.76.

29. C. Wells, L’Impero romano, op. cit., p.162.

30. P. Southern, Augustus, op. cit., p.139.

31. A. Fraschetti, Augusto, op. cit., p.106.

32. L. Canali, Il manifesto del regime augusteo, op. cit., p.248.

33. C. Wells, L’Impero romano, op. cit., p.164.

34. A. Fraschetti, Augusto, op. cit., p.107.

35. L. Canali, Il manifesto del regime augusteo, op. cit., p.240.

36. C. Parain, Augusto, op. cit., p.167.

37. P. Southern, Augustus, op. cit., p.92.

38. P. Southern, Augustus, op. cit., p.92.

39. D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.45.


 

 

§§. 1. La carriera di Augusto

 

N

on si può parlare della carriera di Augusto senza mettere in evidenza la maestria che seppe usare per creare un modello politico atto a garantirgli poteri e consensi incondizionati.

Egli escluse il modello politico elaborato da Cesare, ossia   una monarchia esplicita anche dal punto di vista formale in quanto l'assassinio   di   Cesare   aveva   dimostrato   il   fallimento   di   quell'esperienza, per cui Ottaviano si orientò, almeno a parole,  verso il ripristino dell'antico ordinamento repubblicano. Invece col   passare del tempo, i ramoscelli d'alloro, la corona civica, il  clípeus virtutis,     “gli stessi templi dedicati al culto del sovrano e le onorificenze del 27a.C. diventarono presto simboli del potere monarchico"(1).   Tutto fu preludio ad una monarchia assoluta.  

"Si trattava, però, di scegliere esattamente l'occasione per far apparire il   ritorno   all'ordinamento   repubblicano   e   il   consolidamento del potere come due atti che si completavano a vicenda (2)”.

 

 

L

a riforma costituzionale fu alla base dell’opera innovatrice del regno, la pietra angolare di tutto il sistema edificato da Augusto; su questo terreno, particolarmente problematico per la complessità della sua stessa natura, Augusto dimostrò di possedere una mente aperta alle innovazioni, un’abilità e una duttilità senza eguali. Mantenere in perfetto equilibrio i propri poteri ed essere pronto a modificarli, qualora le circostanze esterne lo avessero richiesto, non era cosa di tutti.

Egli seppe fare anche questo, non solo per crearsi l’appoggio popolare, ma anche per garantirsi una solida base che gli permettesse di essere il “padrone” incondizionato della scena politica. 

Molte cose avrebbero giovato alla posizione di prestigio di Ottaviano:

·        la pacificazione dell’Impero e l’annessione dell’Egitto al dominio del popolo romano(3), in seguito alla vittoria del 31 a.C. su Antonio e Cleopatra, magistralmente celebrata da Orazio nella famosa ode Nunc est bibendum(4);

·        la consapevolezza della poca elasticità della costituzione repubblicana;

·        la finissima e sottile arte di governo sorretta da una profonda conoscenza degli uomini e delle situazioni(5).

 Nel disordine delle guerre civili, nel dominio della violenza, nel disprezzo della vita umana, degli averi e delle norme giuridiche, nell’esautoramento o nella vanificazione di ogni magistratura, il principio di ogni paliongenesi non poteva essere basata che sull’iniziativa personale ed illuminata di un solo uomo capace di far credere di avere a cuore le sorti dello Stato, anche se in fondo agiva esclusivamente per interesse personale.

Di questa “rivoluzione per        la restaurazione” (6), ne è testimonianza principale l’opera di Augusto Res Gestae testamento e summa politica, istituzionale e ideologica del passaggio da un’era all’altra dell’intera storia dell’umanità.

Annos undevigenti natus exercitum privato consilio et privata  impensa comparavi, per quem rem publicam dominatione factionis oppressam Iibertatem vindicavi”(7).

Un autoelogio, sicuramente, ma anche l’analisi di una situazione storica e di una condizione politica che si sarebbe prolungata e contro la quale Augusto dovette , di certo, scontrarsi all’indomani di Azio, dal momento che rimase padrone assoluto ed incontrastato del mondo romano (8).

 

Come si può ben vedere, Ottaviano giungeva all’apice del suo successo con una dottrina costituzionale nettamente definita. 

La soluzione l’aveva già trovata in una formula costituzionale del tutto nuova, un probabile compromesso tra l’idea monarchica e le tradizioni del passato. 

A dire di Dione, Augusto volle, però, rendere “dolce” questo delicato passaggio dalla repubblica alla monarchia (9), che  preferì conservare  repubblicana nella forma.

Il suo interesse per la riforma costituzionale, si presume, fosse nato già al tempo della celebrazione del triplice trionfo dell’anno  29 a.C. per le vittorie “de Dalmatis, de Actio, de Aegypto”.

A quel punto, infatti, Augusto, per far credere di aver sempre mirato ad una restaurazione degli ordinamenti repubblicani (10), si dichiarava sempre legato e sottomesso alle istituzioni della repubblica e ricorrendo, con una sorta di attenzione tutta personale, ad una procedura legislativa priva di precedenti. 

La restaurazione della repubblica trovò largo eco negli scrittori coevi, a lui vicini, che, di volta in volta, appoggiarono o osteggiarono il suo principato e la sua missione politica: Ovidio ricorda l’anniversario di quel giorno in  cui “ogni provincia fu resa al nostro popolo (11)”; Velleio afferma che “finita vicesimo anno bella civilia, sepulta externa,  revocata pax, sopitus ibique armorum furor, restituta vis legibus,  iudiciis auctoritas, senatui maiestas, imperium magistratuum ad  pristinum redactum modum: tantummodo octo praetoribus adlecti duo, prisca illa et antiqua rei publicae forma revocata,  rediit cultus agris, sacris suarum possessio.. . (12), fu  richiamata in vita l’originaria forma della repubblica.

Entrambi, infatti, relativamente al comportamento di Augusto, parlano di un ritorno alla “prisca et antiqua rei publicae forma”. 

Altri, come Dione Cassio e Tacito, colgono la realtà con maggiore aderenza e pragmatismo. Il primo, sostenendo che l’autocrazia ebbe inizio nel 28-27a.C. quando lo stesso Augusto avrebbe fatto intendere di voler trasferire tutti i poteri al controllo del senato e del popolo romano (13),  ribadendo inoltre che nel  27 a.C., tutto il potere attribuito ad Augusto dal popolo e dal senato avrebbe avuto, da quel momento, un vero e proprio taglio  monarchico (14), mai ammesso ufficialmente da parte del Princeps Senatus.

Il secondo, attribuendo ad Augusto la responsabilità di aver introdotto a Roma la dominatio: non un ritorno dei re, ma  proprio l’oppressione della libertà repubblicana (15). Per cui  l’occulto regime autocratico era un dato di fatto; la dichiarata restaurazione della repubblica, una finzione (16).

Ottaviano aveva bisogno di trovare forme legali per giustificare il suo operato.

L’anno 27 a.C. segnò la prima fase della riforma costituzionale. Ottaviano, allora console, in una solenne riunione del senato, tenutasi il 13 Gennaio , rinunciò a tutto il potere straordinario di cui era investito “in consulato sexto e septimo postquam bella civilia extinxeram per consensus universorum potitus rerum omnium rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli (17)” rimettendo inoltre tutte le sue province a disposizione del senato (18).

Sicuramente, con questa rinuncia Ottaviano si assicurò un incondizionato prestigio personale e il riconoscimento morale di  Princeps Universorum  attribuitogli  coralmente.

 

Tutto rientrava nei calcoli del “console Ottaviano”: occorreva  cedere, apparire magnanimo, lontano da sete di potere per non perdere nulla, o meglio, per vedersi legalmente riconosciuto “Princeps” all’unanimità (19).

La gratitudine del popolo e del senato non si limitò, comunque, a questa manifestazione.

Ad Ottaviano, infatti, vennero accordati tutta una serie di onori  ricordati nelle Res Gestae :“ Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes aedium  mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est clupeusque aureus in curia Iulia positus quem mihi senatum populumque Romanorum dare virtutis clementiaque iustitiae pietatis causa testatum est per eius clupei inscriptionem (20).”

 

 

 

S

enza dubbio, di tutti gli onori a lui concessi, quello che  ebbe maggiore risonanza, anche per le successive vicende storiche, fu il titolo di “Augusto”, qualifica riservata ai “santuari e a tutti i luoghi consacrati agli auguri (21)”, che avvolse la figura di Ottaviano di una specie di alone di religiosa sacralità (22).

Le onorificenze attribuitegli costituivano la testimonianza della gratitudine sentita nei suoi confronti come “salvatore della patria” in cui la magnificenza della sua posizione garantita dall’auctoritas (23), cioè dal riconoscimento di una volontà preminente e decisiva rispetto a tutti, lo facevano apparire come il primus “inter pares”.

L’ auctoritas era un potere che non costringeva i cittadini all’obbedienza con mezzi coercitivi, ma da sé creava in loro il sentimento di un obbligo “liberamente assunto” e la ferma convinzione che tale autorità scaturisse dalla natura della personalità del Princeps , del tutto simile ad una divinità.

In occasione di quella stessa seduta, popolo e senato, gli conferiscono, con una lex (24), per un periodo decennale, un potere vastissimo che comprendeva, anzitutto, il comando esclusivo dell’esercito e il governo delle province non pacatae che sarebbero state amministrate, da quel momento, da legati di Augusto; e, inoltre, le normali magistrature (25) e la potestà di vigilanza, controllo e protezione della vita dello Stato.

Augusto, come già detto, era console ed avrebbe detenuto il consolato annualmente fino al 23 a.C.

 La conseguenza di tali attribuzioni fu un’egemonia troppo appariscente. Nessuno poteva, infatti, negare la sua preminenza e la sua superiorità sul collega; egli era l’arbitro della vita dello Stato. Lo stesso, in un momento di sincerità, così dichiarava nelle Res Gestae , in relazione agli eventi del 27a.C., ammetteva che era “Potitus rerum omnium” e che la res publica era stata fino a quel tempo sotto la sua potestas.

Era, quindi, necessario trovare una nuova soluzione che  permettesse ad Augusto di conservare la posizione giuridica, senza però essere console.

Così, nel 23 a.C. escogitò un nuovo sistema. Si trattava della seconda sistemazione costituzionale (26) in cui l’elemento fondamentale fu la tribunicia potestas, concessione importante tanto che successivi imperatori avrebbero datato il loro regno dal numero degli anni in cui l’avevano conseguita.

Non è chiaro quando abbia veramente ricevuto il potere tribunizio.  Sembra, infatti, probabile che Augusto abbia ricevuto certi poteri specifici associati con la carica di tribuno in occasioni precedenti. Appiano (27) ed Orosio (28) collocano l’avvenimento nel 36 a.C.; Cassio Dione afferma che, in quella data, gli fu conferita solamente l’inviolabilità dei tribuni, mentre l’intero potere tribunizio, senza il limite del pomerio, gli sarebbe stato accordato a vita nel 30 a.C. (29).

Tuttavia, lo stesso Dione, in un altro passo, fa cadere quest’ultima concessione nel 23 a.C. (30).

Queste contraddizioni sono state spiegate in vari modi. Può, infatti, supporsi che Appiano ed Orosio abbiano confuso l’assegnazione della sacrosantitas e il diritto dello ius auxilli, propri dei tribuni in età repubblicana, con l’assegnazione del potere tribunizio. Ma il racconto dello stesso Dione di come si procedette nel 23 a.C., chiarisce i dubbi; egli afferma, infatti, che solo in quell’anno, e per la prima volta, Augusto ricevette la tribunicia potestas nella sua interezza (31).

Ai diritti precedentemente indicati altri se ne  aggiunsero; come quello di presentare al popolo “progetti di legge”, di convocare il senato e di porre mozioni in assemblea; la facoltà dello ius  intercessionis, la coercitio con la quale si costringevano i  cittadini riluttanti ad obbedire ad un ordine e, se era  necessario, ad infliggere pene.

Dione sostiene che, benché Augusto cessasse di detenere  l’imperium quale console, ottenne a vita un imperium proconsulare maius et infinitum che valeva nella città di Roma e che era superiore a quello di tutti gli altri proconsoli.

Questo nuovo titolo rafforzava la posizione del princeps e lo liberava dagli obblighi di routine del  consolato, alleggerendo, di conseguenza, il suo peso di lavoro.

Così che egli concentrava “legalmente” nelle sue mani una serie di  poteri, che certamente non erano una novità, ma che, nel loro insieme, gli davano una sovranità illimitata. Senato e magistrature repubblicane, infatti, erano ormai sotto il suo diretto controllo e dominio. Vi era un solo ordinamento, ma anche un solo potere supremo (32).

Il nuovo principato, costituitosi in conformità a principi innovativi, si affermava per il consenso del popolo che acclamava Augusto, salvatore dello stato e restauratore dell’ordine e della pace; e così pure per il consenso delle classi più elevate,  senatori e cavalieri, i soli che potessero ricoprire incarichi di governo.

Augusto sapeva di non potere da solo governare un impero. Sentiva, infatti, il bisogno dell’attiva collaborazione di quella classe che aveva esperienza e tradizioni di governo, per questo non tardò ad assicurarsene l’appoggio.

I mutamenti costituzionali da lui compiuti spiegano, soltanto parzialmente, l’approvazione via via conquistata.

Infatti, il suo successo non può essere calcolato in termini puramente costituzionali. Furono importanti, per lui, anche il modo di gestire gli affari generali, la magnificenza, le conquiste, l’aumento del prestigio romano all’estero (33), la propaganda che accompagnò tutto il programma di rinnovamento, che esigeva immagini e segni in cui potessero rispecchiarsi  le nuove esigenze politiche.

Nel complesso le immagini, dai rituali religiosi, alle cerimonie ufficiali, all’abbigliamento in pubblico, alle sculture e ai nuovi templi di marmo, esercitavano un’influenza politico-culturale non indifferente su tutto il popolo.

Si trattava, però, di una propaganda in cui erano in gioco non le arti della persuasione, ma l’esibizione del potere e della beneficenza. “Cesare Augusto ordinò che le sue Res Gestae venissero incise su colonne di bronzo all’esterno del Mausoleo. Quel documento testimoniava il suo personale ed unico diritto alla fama” (34).

Si preoccupò di tenere saldo e al sicuro per due secoli quell’impero che aveva costruito lentamente, ma con la determinazione di conservarlo integro per le generazioni future, cosa che sarebbe avvenuta.


§§.2. Il riordino territoriale.

La Res Publica, almeno in apparenza, era stata restituita ai Romani, la sua posizione politica era sistemata costituzionalmente, la fedeltà dell’esercito era un fatto assodato, il potere era tutto nelle sue mani; Augusto, nel 28 a.C. poteva dar vita a quelle dichiarazioni d’intento, punti cardine del suo programma.

Il suo principato è ricordato come un periodo di grande prosperità economica e di pace sociale: lo stesso Augusto nelle Res Gestae parla, con orgoglio, delle sue vittorie personali e degli onori militari che gli furono accreditati, che gli permisero di creare la pax augustea e di promuovere i tratti principali del nuovo ordine.

La pace era reale solo all’interno del paese.

Al di fuori dell’Impero Augusto condusse tante guerre, a volte vinte e a volte perse; il suo impegno militare e il suo talento bellico non temeva confronti.

Sotto il suo principato, durato più di quaranta anni, conquistò un territorio maggiore di quanto si potesse immaginare : il Nord della Spagna, l’arco alpino con la Resia e il Norico, l’Illirico e la Pannonia e anche l’intera regione a Nord dell’Acaia e della Macedonia, fino al Danubio; in Asia minore vennero acquisite a provincia una parte del Ponto, la Paflagonia, la Galazia e la Cilicia e pure la Giudea (35).

Il potere politico di Augusto fu in continua crescita e non si può non sottolineare come il periodo di massima prosperità economica, politica e sociale di Roma fosse la risultante di un profondo rinnovamento, sia all’interno che all’esterno dell’impero, atto a garantirgli consenso popolare e una gestione sicura di tutto il territorio.

In campo interno Augusto cercò di riportare nel pensiero e nell’azione di tutti la semplicità, la severità dei costumi, l’ordine e la sottomissione nello stato e nella famiglia, virtù evocate sotto l’etichetta di mores maiorum; fu una sfida alla quale un uomo degno dell’appellativo di Imperator non poteva sottrarsi.

Ed Augusto che riusciva a trarre vantaggio da ogni situazione, vide nella prospettiva di una riforma e di una restaurazione morale e sociale la possibilità di controllare, con discrezione, la vita di ogni singolo cittadino e di rafforzare il suo potere.

L’unico “ideale” vero fu quello della pax, cioè di una condizione rasserenante, in contrasto con l’atroce passato di guerre civili.

Più che un ideale, era un bisogno di quiete e di agiatezza, di cibo e di sonno sicuri, trasfigurati in ideologia (36).

Per quanto riguarda la politica estera, Augusto cercò di ampliare i suoi domini, in modo da garantire maggiore protezione a tutto il territorio di Roma; per perseguire  tale obiettivo si richiedeva un avanzamento delle frontiere fino a raggiungere il Danubio, tale manovra ebbe inizio nel corso del quarto decennio a.C. (37).

Fu ambizioso nel suo progetto di consolidamento territoriale dell’impero e strategicamente abile nel perseguire i suoi progetti politici e militari.

I metodi messi in atto per estendere l’impero, di solito, non furono sempre pacifici; in questo Augusto può essere considerato l’autentico successore dei grandi generali dell’età repubblicana.

Il suo progetto di espansione territoriale trovò notevoli consensi nell’opinione pubblica che da secoli considerava quasi come un obbligo l’espansione di Roma ai danni di altri popoli (38).

L’imperium sine fine, preconizzato da Virgilio, secondo cui gli dei avevano concesso alla città sul Tevere un dominio senza limiti, era un intimo convincimento, non solo del poeta mantovano, ma di tutto il ceto dirigente di Roma.


§§.3. L’occidentalizzazione dell’Impero.

 

L

’ampliamento di Roma era, dunque, un sentimento comune  fortemente sentito, ma ciò era anche supportato da forti interessi economico-militari.

Ma come realizzare l’ambizioso progetto?

    L’uomo che avrebbe ridato splendore e magnificenza a Roma, sarebbe stato il portabandiera di un intimo desiderio di riscatto politico e sociale dopo anni di guerre civili e di continue lotte.

Spesso si è parlato di “europeizzazione” o “occidentalizzazione” nella politica estera di Augusto.

Ma quale senso occorre attribuire a tale concetto?

Augusto cercò di difendere, il più possibile, l’Italia da qualsiasi invasione da parte dello straniero; per fare ciò individuò come principale area strategica difensiva la regione compresa fra il Reno, l’Elba e il Danubio avanzando le frontiere fino al raggiungimento di tale limite(39).

Conseguentemente, i territori a Ovest del Danubio furono organizzati in due province, Rezia e Norico, mentre le Alpi furono inserite, in parte, nella piccola provincia delle Alpi Marittime e, in parte, furono assegnate al regno vassallo di Giulio Cozio (Alpi Cozie).

Il consolidamento dei confini occidentali fu celebrato con l’edificazione, a La Turbie, presso Monaco, di un grande monumento alla conquista (trophaeum augusti), che raffigurava le vittorie conseguite dalle armate di Roma.

L’imperator raggiunse il suo obiettivo: l’Europa occidentale, intorno al 15 a.C., era al sicuro da qualsiasi invasione grazie a quei confini che , con grande lungimiranza, aveva conquistato e difeso per il bene comune della salvezza territoriale.

Se la situazione a sud del Danubio era sotto controllo, molto ancora restava da fare  nell’Europa sud-orientale.

Le campagne militari in questi territori si protrassero per quasi tutto il suo principato, impegnando Agrippa e, dopo di lui, Tiberio, figliastro del princeps.

 

 

Dopo che Tiberio ebbe sedato la rivolta dei Pannoni, si procedette alla sistemazione dei territori, per cui ne derivavano: la provincia della Pannonia e della Mesia, lungo il corso del Danubio, da Norico, giù fino alla foce del fiume, sul Mar Nero.

Coinvolto in altri problemi Augusto, si sarebbe accontentato di mantenere il confine sul Reno, ma , nel 12 a.C., ordinò al figliastro Nerone Druso di avanzare verso Oriente, in direzione dell’Elba volendo rafforzare l’instabile regione posta in prossimità del corso superiore dei fiumi Reno e Danubio (Agri Decumates).

Questa zona compresa fra il Reno e l’Elba fu considerata conquista  sola perché attraversata dalle armate romane; in realtà, l’opera di romanizzazione fu limitata a poche  tribù, mentre come i Cherusci, guidati da Arminio, non furono per nulla pacificati.

 

 

§§.4. La disfatta: la selva di Teutoburgo.

 

L

a parola d’ordine dell’età augustea fu “pace”: pax Augusta, la pace di Augusto. Essa va intesa, però, soprattutto come pace interna; le guerre esterne, infatti, furono molte, anche se condotte in base a un disegno strategico complessivamente difensivo, che mirava a pacificare in modo definitivo regioni già incluse nell’impero ma non ancora occupate per intero o centri di focolai di ribellioni.

In questa ottica, viene classificato il tentativo di conquista della Germania da parte dell’esercito romano: obiettivo primario di Roma fu quello di conquistare, non solo, territorialmente la regione ma anche di “romanizzarla”.

Augusto si preoccupò di assicurare a Roma la  continuità dell’ opera di governo dopo la sua morte e, in secondo luogo, tentò di estendere e rendere sicuri i confini dando stabilità alle province: il consolidamento delle frontiere fu completato con la fondazione di colonie e la costruzione di fortificazioni e di strade (40) 

Egli doveva tutto alla sua posizione, in ultima analisi, al fatto di essere figlio adottivo di Cesare “tu, ragazzo,… che devi tutto al nome che porti”, come disse una volta Antonio citato da Cicerone (41).

Il suo interesse nella politica estera fu un impegno costante e duraturo: il forte carattere “europeo” che diede alle sue guerre di conquista fu un momento fondamentale nella formazione, assolutamente innovativa, dell’Europa romana.

Si preoccupò di consolidare il dominio romano, non solo, nella Spagna (con le imprese cantabriche e asturiche che hanno occupato tutto il periodo 29-19 a.C.) ma anche nelle regioni germaniche e boeme.

La conquista della libera Germania era un tratto cesariano nella politica di Augusto. Già Giulio Cesare aveva rivelato il suo interesse verso il selvoso mondo dei Germani, nei suoi Commentarii; ora Augusto tentava di ereditarne l’impresa “europeizzando” al massimo il suo impegno politico-militare.

La spedizione contro la Germania fu preparata prima con le spedizioni di Druso e Tiberio contro i Reti (15 a.C.) e il riordinamento delle Gallie (16-13 a.C.)

Con la morte di Druso si cercò di non vanificare le imprese ormai compiute e si tentò di mantenere il confine, se non fino all’Elba almeno fino al Weser.

Le speranze di una conquista della Germania furono abbandonate, nel 9 a.C., quando Arminio (soldato che aveva combattuto al servizio romano) portò a ribellione i Germani.

Nella foresta di Teutoburgo la vittoria di Arminio sul comandante romano Varo fu totale e, oltre, alle tre legioni fu distrutta la possibilità di romanizzare la libera Germania (42).

Arminio e i suoi alleati sfruttarono il tempo piovoso e la conoscenza dei luoghi per distruggere l’esercito romano.

Tacito individua come località della strage il saltus teutoburgiensis.

In realtà, non si può individuare una località precisa della strage:la carneficina ebbe luogo su un ampio territorio e durò tre giorni.

La battaglia di Teutoburgo segnò, per sempre, la fine della conquista di Druso e il confine in Europa tornò al Reno e al Danubio: l’Europa germanica restò staccata dall’impero romano.

Perché la selva di Teutoburgo non è menzionata o ricordata dalla critica storica? Eppure, la sua valenza dal punto di vista storico e politico-militare fu enorme.

 

 

La propaganda augustea non poteva, certamente, menzionare un avvenimento che sottolineava una sconfitta dell’esercito romano.

Su questo argomento c’è stata una evoluzione nel tempo fra gli storici.

Nel XIX sec. essi mettevano in primo piano gli avvenimenti, facevano “storia di battaglie”: in questa ottica, a proposito della vicenda della selva di Teutoburgo quel che si riteneva necessario era di raccontarla nei minimi particolari. Nella metà del XX sec., viceversa, la scuola delle Annales privilegiava l’aspetto quantitativo e sociale: ci si preoccupava di descrivere l’esercito di Varo, senza tener conto della imboscata nella quale fu distrutto.

Attualmente, non si trascura l’evoluzione e si cerca di dare il giusto posto agli avvenimenti, ai grandi conflitti, e anche alle battaglie (43).

Il governatore P. Quintilio Varo con tre legioni e nove unità ausiliarie portò Roma alla sconfitta: per la vergogna si diede alla morte!

Alla notizia del disastro, Augusto, stando a Suetonio, per molti mesi andò soggetto ad eccessi di collera durante i quali gridava : “Varo, Varo, rendimi le mie legioni!”(44).

La tradizione storica, invece, ci racconta che Augusto abbia continuato nella sua politica offensiva: non solo le legioni annientate furono rimpiazzate da nuove unità, ma la forza militare sul Reno fu rafforzata (45).

A dire il vero, Augusto si vanta nella narrazione delle sue imprese di avere portato le sue truppe tanto distanti quanto mai prima aveva osato un esercito romano.

In questo modo il principe poteva lusingare l’orgoglio di Roma e il suo prestigio: in verità tale successo territoriale fu reso vano nel tempo.

 


Note.

1.                             P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, op. cit., p. 100.

2.                             W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.45.

3.                             Res Gestae Divi Augusti 27, M.35.

4.                             Or., Carm. I, 37.

5.                             P. De Francisci, La costituzione Augustea, in Augustus. Studi in occasione del bimillenario augusteo, Roma 1938, p. 61.

6.                             L. Canali, Il manifesto del regime augusteo, in Rivista di cultura classica e medievale, XV (1973), n°2, pp.1-25.

7.                             Res Gestae 1.

8.                             C. Wells, L’impero romano, op. cit., p.51.

9.                             Dio. Cass., Hist. Rom. 53-3-12.

10.                          P. De Francisci, La costituzione augustea, in Augustus, op. cit., p.62.

11.                          Ov., Fasti I, 589.

12.                          Vell. Pat., Hist. II, 89.

13.                          Dio. Cass., Hist. Rom., LIII, 1, 1; III, 11, 4.

14.                         Ibid., LIII, 17.

15.                          Tac., Ann. I, 1-3.

16.                          A. Spinosa, Augusto e il grande baro, Milano 1998, p. 108.

17.                          Res Gestae, 34-1.

18.                          Dio. Cass., Hist. Rom. LIII, 11-19.

19.                          F. De Martino, Lo stato di Augusto, (La costituzione), Palermo 1935, pp.20.21.

20.                          Res Gestae, VI-16-22.

21.                           Suet., De vita Caes., Aug. 7.

22.                          Dio. Cass., Hist. Rom., LIII, 16,6.

23.                          F. De Martino, Lo stato di Augusto, op. cit., p.17.

24.                          Dio. Cass., Hist. Rom. 12, I.

25.                          S. Mazzarino, L’Impero romano, Roma-Bari 1973, p.72.

26.                          Dio. Cass., Hist. Rom. LIII, 32.

27.                          App., Bell. Civ. V, 132.

28.                          P. Oros., Hist. VI, 18, 34.

29.                          Dio. Cass., Hist. Rom. LI, 19, 6.

30.                         Ibid. LIII, 32,5.

31.                         Ibid. LIII, 32.

32.                          F. Serrao, Il modello di costituzione, in AA.VV., Storia di Roma, Torino 1991, p. 50.

33.                          P.A. Brunt e J.M. Moore, Res Gestae Divi Augusti, London 1967, pp. 8-16; P.A. Brunt e J.M. Moore, La posizione costituzionale di Augusto, in AA.VV., Potere e consenso nella Roma di Augusto, Roma- Bari 1975, p.229.

34.                          R. Syme, L’aristocrazia augustea, Milano 1993, p.649.

35.                          W. Eck,  Augusto e il suo tempo, op. cit., p.94-95.

36.                          L. Canali, Il manifesto del regime augusteo, op. cit., p.235.

37.                          D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.85.

38.                          W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.96.

39.                          D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.85.

40.                         C. Parain,  Augusto, op. cit., p. 165. 

41.                         Cic., Philippica XIII,24.

42.                         L. Canali, Potere e consenso nella Roma di Augusto, op. cit., p.138.

43.                         Y. Le Bohec, L’esercito romano,Le armi imperiali da Augusto alla fine del terzo secolo, Roma 2001, p.11.

44.                         Suet., Aug., XXIII, 4.

45.                         W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.104.

 


§§.1. Conclusioni.

 

L

’uomo che, a giudizio della storia, fu considerato il fondatore dell’impero romano, l’erede e il successore di Giulio Cesare, fu un personaggio assolutamente straordinario che non sarebbe potuto diventare tale se non fosse vissuto in un momento sociale, economico e politico del tutto particolare (1).

Chi fu veramente Augusto? Colui che riportò la pace a Roma dopo un secolo di guerre civili, o l’eversore delle libertà repubblicane che compì l’opera iniziata da Cesare? Il “padre della patria” glorificato dai numerosi intellettuali che prosperavano alla sua corte, o un abile manovratore che trasse il massimo profitto dalle incertezze dei rivali per costruire il proprio dominio personale?

Se si esamina criticamente la sua rapida carriera, risulta chiaro che essa si svolge per intero all’ombra di Cesare dalla nomina a sacerdote (pontifex) a quella di prefetto urbano, a soli 16 anni, fino al privilegio di sfilare accanto al dittatore durante il trionfo che gli fu tributato dopo la campagna d’Africa.

 

                      

 

Consapevole dell’eccezionalità della sua ascesa, si preoccupò in vita di evidenziare ripetutamente la legittimità della sua auctoritas.

Ma Tacito, che è uno dei massimi storici dell’antichità, pur evitando con prudenza di trattare direttamente la figura del princeps, non mancò di sollevare alcune perplessità dei suoi contemporanei, immaginando, successivamente, negli Annales che nel giorno dei  funerali del “divino” si levassero voci a lui contrarie.

Indipendentemente da tutto, crediamo che un’attenta analisi non può non indurre a centrare l’attenzione sulla sua impresa più importante: la riorganizzazione di Roma e la creazione di una nuova forma di potere.

Qui sta, infatti, la centralità di Augusto nella storia antica: l’inaugurazione del potere del princeps, pur nella conservazione formale dell’antica struttura della repubblica imperniata sul Senato.

La rotazione dei poteri che aveva caratterizzato la storia di Roma e delle sue magistrature fu minata alla sua base dal figlio adottivo di Cesare che nel 23 a.C. ebbe conferiti ufficialmente dai senatori quei poteri che esautorarono di fatto il Senato: e cioè la notevole potestas del tribuno della plebe, concessa in perpetuo, e l’imperio proconsolare, che gli permetteva di controllare senza intralci le province.

Augusto pose sempre l’accento sulla sua autorità, acquisita grazie al consenso di tutti gli uomini, in maniera legittima, dopo aver sconfitto coloro che, da Cassio e Bruto fino ad Antonio, avrebbero dovuto passare alla storia come i nemici della patria.

Non c’è dubbio che la sua abilità fu grande: instaurò un regime monarchico pur senza un radicale mutamento istituzionale e giuridico, lasciando che fosse il Senato a riconoscere la sua posizione di supremazia.

Più che alla prosperità e al benessere dello Stato, Augusto pensava, infatti, al modo migliore per accentrare tutto il potere nelle sue mani, a tramandare ai posteri il suo nome, lui che era già un semidio, consanguineo di Vesta e dei Penati.

Dopo le riforme dello Stato, dopo aver dato un assetto alle province e dopo aver riorganizzato l’esercito e la flotta, egli si dedicò alla “restaurazione” religiosa e dei costumi contro l’invadente ateismo e la corruzione che sotto l’influenza dei molli costumi orientali e spesso anche quelli dei barbari si diffondeva sempre più: Augusto riteneva che il sentimento religioso era caduto troppo in basso.

Forte della sua posizione, dopo aver chiesto e ricevuto dal Senato l’incarico di reintegrare le antiche cariche sacerdotali ormai in disuso, ripristinò non solo i culti che, in parte, esistevano,ormai, solo di nome, ma anche gli statuti, i rituali e i canti liturgici, ed in alcuni casi, soprattutto con quelli che si intrecciavano con la politica, ne creò ex novo.

Sotto l’impero di Ottaviano si intensificarono le costruzioni stradali, che miravano all’espansione del commercio e alla rapida e sicura dislocazione delle truppe.

Roma era in comunicazione con tutto il mondo per mezzo di una immensa rete stradale che faceva capo ad un pilastro dorato (miliarum aureum) eretto nel 19 a.C. nel centro del foro.

Nel 29 a.C., facendo chiudere il tempio di Giano Quirino a Roma come segno di pace, volle annunciare simbolicamente la nuova era(2).

I segni della rinascita della vita si ebbero all’inizio allorchè  Augusto diede vita ad un programma innovativo di vaste proporzioni; l’imperatore fece credere di avere a cuore il benessere e la prosperità dello Stato, mentre in realtà, cercava di legare tale positivo cambiamento alla sua persona con l’intento di tramandare ai posteri il suo nome e sedere tra gli dei alla sua morte.

La riforma non trascurò nessuna categoria di cittadini, il vittorioso “benefattore” e guardiano della tradizione, ebbe modo di passare in rassegna i cittadini romani e i membri del senato, ciò gli consentì di eliminare i senatori meno meritevoli; così l’imperatore era consapevole di dovere adottare una politica più chiara (3).

Così, alla fine dell’opera di risanamento, fece pubblicare la nuova lista dei senatori con in testa il suo nome come “capo del senato” (princeps senatus).

Il posto che egli assegnò non solo ai liberti, ma anche agli schiavi urbani nel culto ufficiale costituì un considerevole passo in avanti lungo la strada della trasformazione degli schiavi da sudditi dei propri padroni  in sudditi dell’imperatore.

Per tutto il suo lungo regno, Augusto non smise mai di occuparsi accanto alle questioni civili dell’aspetto militare dell’impero, anche se alcune regioni furono annesse più agevolmente di altre (4).

Le guerre di conquista per il princeps rappresentavano lo strumento per garantirsi sicurezza e prosperità.

Il periodo precedente alla definitiva chiarificazione con Antonio fu quello più proficuo dal punto di vista delle acquisizioni territoriali; in tal modo Augusto riteneva di rafforzare la propria immagine personale.

Così puntò alla conquista della valle superiore della Sava fino a Siscia, che fu definita dalla propaganda pro-augustea come una buona base per la futura campagna contro i Daci(5).

E, se dopo la battaglia di Azio, le discordie civili e le lotte intestine erano cessate, le armi non si posero mai, sia nelle province che ai confini dell’impero.

In parte, anche se voleva acquisirsi quella gloria personale che non era riuscito ad assicurarsi né a Filippi né contro Sesto Pompeo, nel 35 e nel 34 condusse delle campagne contro l’Illirico, alla frontiera nord-orientale d’Italia.

A tal proposito Velleio scrive “Frattanto, per evitare che i soldati infiacchissero nell’ozio, che è la cosa più dannosa alla disciplina, con frequenti spedizioni nell’Illirico e in Dalmazia abituava l’esercito alla resistenza di fronte i pericoli e alla pratica della guerra” (6).

In Oriente rimanevano sempre da vendicare le sconfitte patite, recuperare le insegne perdute e liberare i prigionieri romani; così, in questa ottica, come già accennato, Ottaviano affrontò, malgrado ciò non lo rendesse felice, una guerra contro i Parti.

Augusto, come tutti i generali della tarda repubblica, fu molto preoccupato nel controllare i rapporti con i Parti e con i regni d’Oriente; così, la linea di condotta da seguire con questi popoli doveva essere di fermezza e di orgogliosa rivincita “Parthos trium exercitum Romanorum spolia et signa reddere mihi supplicesque amicitiam populi Romani petere coegi. Ea autem signa in penetrali quod est in templo Martis Ultoris reposui.”

In realtà, egli sperava di trarre profitto dagli interni rivolgimenti di quel regno e del vicino reame di Armenia e di ottenere ciò che desiderava, anziché con le armi con una accorta politica.

Se Augusto voleva concretizzare il suo ideale di pax, doveva risolvere il problema partico: egli sapeva benissimo che la storia di Roma, nel suo rispetto internazionale, era in gran parte la storia dei rapporti fra Roma e lo Stato partico (7).

 In questa occasione emerse l’abilità politica del giovane imperatore: il problema fu da lui risolto mettendo in atto una indiscussa strategia diplomatica; sulle basi poste da Augusto, il regno partico si avviava verso una sempre maggiore dipendenza dallo stato romano.

Anche se l’amplificazione propagandistica ci mostra un imperatore sprezzante del pericolo che ottiene continue conferme delle sue attitudini militari e belliche, in realtà la politica di espansione augustea subì diverse battute d’arresto.

Per Y. Garlan non c’è dubbio che la scelta di fondo della strategia militare fosse per la difesa ; “…a partire dal regno di Augusto, la politica estera dell’Impero mirò soprattutto alla conservazione e alla stabilizzazione del risultati acquisiti”(8)

L’opera di conquista in Germania fallì disastrosamente con la battaglia di Teutoburgo, la sottomissione diplomatica dei Parti, poc’anzi ricordata, risultò effimera e formale: il problema partico si ripropporà in tutta la sua drammaticità (9).

Così, nelle zone nordorientali, al confine con la Partia e l’Armenia, l’azione diplomatica raggiunse il suo obiettivo: il Re dei Parti Fraate, indebolito da rivalità dinastiche, accettò di consegnare le insegne romane catturate a Cassio e ad Antonio (10).

“Augusto le ricevette come se avesse conquistato il Parto in guerra; infatti egli si gloriò molto del fatto, dichiarando che ciò che era stato perduto in battaglia, egli aveva conquistato senza lotta”(11).

Tale situazione non eliminò, comunque, l’orgoglio nazionale partico, che si rivelò più tardi, negli ultimissimi tempi di Augusto e nel corso del principato di Tiberio.

Come più volte detto, si può sottolineare come Augusto amasse amplificare ciò che in realtà era una mezza verità: rivendicava la paternità delle iniziative in campo militare, anche , se in realtà, furono condotte dai suoi legati, considerati in tal modo strumenti d’una volontà non meno provvidenziale che utilitaria e pratica : “Parthos (…) reddere mihi (…) coegi”; la flotta che dalla foce del Reno naviga “ad solis orientis regionem”, è “classis mea”; i Daci che attraversano ostilmente il Danubio, sono disfatti “sotto i miei auspici”; l’esercito che “Dacorum gentes imperia populi Romani perferre coegit”, è exercitus meus (12).

Il fronte del corso inferiore del Danubio era in continua agitazione: occorre ricordare che, addirittura, Cesare aveva progettato una spedizione militare contro i Daci, che erano pericolosamente rafforzati sotto il comando di Burebista e che minacciavano il regno di Tracia, posta sotto la protezione di Roma dopo la battaglia di Pidna.

Questi popoli che erano chiamati “barbari” dai Romani migliorarono notevolmente la loro condizione sociale ed economica: lo stesso re Burebista aveva fatto venire dalle città greche del Mare del Nord degli architetti che lo aiutarono a costruire in Transilvania un  potente sistema di fortificazioni (13).

Il merito principale del governo di Augusto fu quello di aver assicurato un lungo periodo di pace.

La pace interna portò alla fine delle guerre civili, che avevano devastato Roma per 150 anni.

La pace estera fu raggiunta grazie ad una politica che si concetrava sul rafforzamento e sullo sviluppo dei domini esistenti, piuttosto che sulla conquista di nuove terre, nel potenziamento dei confini, nell’ampliamento dei possedimenti romani e nella “europeizzazione” dei territori.

Come già accennato, infatti, egli riteneva che spostando a nord le aree di tensione bellica poteva garantire a Roma un periodo di serenità e pace sociale, e di conseguenza, anche di prosperità economica.

Indagando le testimonianze dell’epoca, abbiamo cercato di collocare il princeps  nel contesto dei suoi tempi, esplorando i retroscena della sua ascesa, proprio nel tentativo di far affiorare le ambiguità e la spregiudicata ambizione attraverso le quali riuscì ad imporsi e , silenziosamente, ma di fatto, a condizionare ogni aspetto della vita civile.

Il genio di Augusto emerse proprio nella sua capacità di sfruttare ogni situazione per raggiungere i suoi fini personali, che quasi sempre coincidevano con quelle dell’impero.

Le stesse Res Gestae si aprono sottolineando le imprese del divo Augusto con le quali sottomise il mondo all’impero del popolo romano.

Cicerone dice che “quell’elogio [è] inciso sui monumenti dei grandi condottieri estese i confini dell’impero” (14).

Certamente non fu un merito eslusivo quello di avere realizzato la maggiore espansione dell’impero, tuttavia, di ciò Augusto menò gran vanto.

Quando legò per testamento al suo  successore l’avvertimento di mantenere l’impero entro confini del momento (15), non solo predicava quel che egli non aveva mai praticato, ma reagiva forse in ritardo alla consapevolezza, in lui forzata dalle rivolte nell’Illirico e in Germania, che il potere di Roma , a differenza di quanto aveva inizialmente supposto,non era illimitato.


 

§§. 2.Il consolidamento dell’Impero.

 

A

ugusto non potè abbandonare immediatamente le armi: si impegnò, infatti, in campagne militari in Spagna (26-24 a.C.), dove alcune tribù si opponevano strenuamente al dominio romano; lungo l’arco alpino per garantire la sicurezza dei passi (25-14 a.C.); in Oriente (22-19 a.C.), area strategica su cui gravava la minaccia dei Parti, e in Gallia(16-13 a.C.).

Progressivamente la guida dei suoi interventi passò dalle sue mani a quelle sicuramente più capaci- sotto questo profilo- dell’amico Agrippa, dei figli di Livia, il futuro imperatore Tiberio e Druso Maggiore, e del figlio di quest’ultimo, Germanico.

Le mire espansionistiche di Augusto trovarono, però, un ostacolo inatteso in Germania.

Conquistate la Pannonia e la Mesia, rafforzando il confine lungo il Danubio, Augusto decise di intraprendere una rischiosa campagna militare lungo il Reno per battere i Germani che, oltre a ribellarsi al dominio romano, appoggiavano le rivolte delle tribù galliche al di là del fiume o facevano incursioni nel loro territorio.

Infatti, un capitolo a parte nella storia dei rapporti tra Augusto e le province occidentali si deve necessariamente dedicare alla Germania.

Nel desiderio di romanizzare i territori posti al di là del Reno, Augusto inseguiva un sogno che era stato di Giulio Cesare, ma quel sogno si infranse nella foresta di Teutoburgo, come è stato ricordato (9 d.C.).

La conseguenza diretta della rovinosa sconfitta fu l’abbandono delle posizioni oltre il Reno e il Danubio.

L’occupazione romana in Germania si attestò quindi al di qua del Reno, con una serie di avamposti che, soltanto, nei decenni successivi, avranno un importante sviluppo urbano ( Bonn, Colonia, Xanten ).

Non a torto, quindi, quella di Teutoburgo è stata definita una delle battaglie decisive nella storia mondiale:essa ha condizionato l’intera storia d’Europa.

Con il rafforzamento militare dell’impero e il rinnovamento delle istituzioni dello Stato, Augusto inaugura una lunga epoca di pace e di prosperità.

La riforme istituzionali, invece, tanto quelle relative al vertice dello Stato quanto quelle concernenti la sua organizzazione, furono coronate da successo e sostanzialmente rimasero a lungo inalterate.

La scelta di accentrare il potere nelle mani di un unico uomo divenne irresistibile e anzi si andò via via accentuando, anche se rimanevano formalmente operanti le massime istituzioni dello Stato repubblicano.

Augusto si guadagnò l’appoggio del Senato pur rifondandone le basi: egli ridusse i senatori a 600 e innalzò a un milione di sesterzi il censo minimo per poter essere eletti senatori.

Legò a sé l’ordine equestre affidando ai cavalieri la gestione delle cariche istituite con il nuovo ordinamento amministrativo (prefetto annonario, dell’Egitto, del pretorio ecc.) e concedendo loro alti stipendi, che consentivano di aspirare alla carica di senatore.

La distribuzione di terre, la fondazione di colonie e il riconoscimento di premi in denaro gli assicuravano anche la fedeltà delle truppe, cui doveva molto del proprio successo.

L’organizzazione dello Stato, la divisione dell’Italia in 11 regioni e l’articolazione dell’impero in province imperiali e senatorie consentirono , nel primo caso, una più razionale raccolta fiscale per affrontare serenamente le sempre crescenti spese dello Stato e, nel secondo caso, un equilibrio maggiore tra i diversi poteri presenti a Roma: le province imperiali facevano capo all’imperatore quelle senatorie ai senatori.

Augusto divenne sinonimo di successo; la sua eredità fu l’ampia prospettiva di stabilità, che il mondo romano conobbe per quattro secoli a partire dal 31 a.C. (17)

La costruzione e il consolidamento del suo potere non furono però soltanto il frutto di fortunate campagne militari e di oculate mosse politiche, ma anche quello di un sapiente lavoro di propaganda e creazione di immagine che sarebbe continuato fino alla morte del principe.

Non si trattava, infatti, soltanto di assicurarsi un controllo territoriale dell’immenso impero: uno stato come quello romano, che per secoli era stato una repubblica, non si sarebbe adattato facilmente all’introduzione di una vera e propria monarchia.

La scommessa consisteva nel riuscire a creare un consenso quanto più ampio possibile intorno alla figura di Augusto, e, soprattutto, nel convincere Roma e tutto l’impero che il potere da lui esercitato era legittimo.

Il popolo, in fondo, si curava poco delle questioni strettamente politiche, mostrava interesse maggiore per la Pietas verso gli dei e il benessere della famiglia imperiale.

E di questo Augusto si preoccupò; sicuramente il suo principale obiettivo era quello di apparire a tutti il semidio che riteneva di essere, così come Ovidio stesso gli ricordava.

Comunque l’eredità fondamentale che Augusto lasciò fu l’ampia prospettiva di stabilità che il mondo romano conobbe per oltre quattro secoli; una stabilità conquistata spesso con mezzi illeciti, ma necessari.

Le situazioni, infatti, spesso imposero l’uso della violenza, ma il fine giustificò i mezzi: nessun prezzo era troppo alto per assicurare il dominio di Roma sul mondo.

Southern afferma:“Grief was becoming a way of life, subordinated to the governament of Rome. The show must go on, and the principal actor had to be on the stage”(18).

Gli ultimi anni di regno di Augusto furono funestati dai numerosi lutti familiari, dalla scandalosa condotta della figlia e della nipote Giulia, ambedue esiliate per la licenziosità dei costumi, dalla già ricordata terribile sconfitta subita a opera dei Germani nella selva di Teutoburgo, dove furono sterminate tre legioni, al comando di Varo.

Augusto fu, tuttavia, uno dei pochi imperatori che finì con il morire nel suo letto, circondato dalle cure della moglie e assistito dagli amici.

Si narra che prima di morire egli domandasse se aveva recitato bene nella vita; ambiguo, dissimulatore e profondamente ambizioso, cercò fino alla fine di accattivarsi il consenso di tutti.

Pronto a reprimere ogni turbamento dell’ordine dentro e fuori l’impero con la forza delle armi, Augusto riuscì ad inaugurare la ripresa della vita civile e a garantire un’era di pace: era la Pax Augusta.

Furono molti gli imperatori che, nelle loro affermazioni e nella loro propaganda, rivendicavano di discendere politicamente da lui; più di uno si propose come il “Nuovo Augusto”, mentre altri, nel venerarne la memoria, si richiamavano alla pietas augustea.

Si rifacevano a lui con enfasi, sottolineando il proprio legame con il fondatore del Principato (19).

Gli storici sono concordi nell’affermare che Augusto fu unico nel suo genere: ambizioso, innovatore, riformatore, abilissimo generale portò il suo impero a vivere uno periodi più belli ed entusiasmanti che si possa ricordare.

Però bisogna anche dire che gli storici contemporanei si sono spesso trovati d’accordo nel negare  le qualità militari di Augusto, insistendo sul fatto che raramente egli andò personalmente sui campi di battaglia(20): per P. e A. Piganiol “Augusto ha scarso talento come generale”(21), invece, per  P. Petit “Augusto non aveva nulla di un capo di guerra (22).

L’immagine di Augusto viene riabilitata dagli studi di Aurelio Vittore, facendosi eco di una tradizione antica, dà di questo principe un ritratto più lusinghiero: con lui, noi pensiamo che si debba riabilitare Augusto come generale (23).

Tutti gli imperatori che, nel tempo, si sono rifatti a lui hanno solo potuto tentare di imitare la sua grande capacità politica e militare; fu per tutti sinonimo di successo; “…l’uomo non va in combattimento per la lotta, ma per la vittoria…”(24).

Per questo ebbe a cuore che la sua opera e la sua straordinaria storia fosse ricordata nel tempo e dai posteri, così Cesare Augusto ordinò che le sue Res Gestae venissero incise su colonne di bronzo all’esterno del Mausoleo. Quel documento testimoniava il suo personale ed unico diritto alla fama.

Prima di tutto, è al suo regno che risale l’organizzazione dell’esercito quale possiamo osservare sotto tutto l’Alto Impero(25).

Certo, non ha costruito tutto partendo dal niente: la Repubblica aveva già avuto a disposizione forze ben strutturate per conquistare buona parte del mondo mediterraneo.

Tutto il bene e le innovazioni positive che riuscì a realizzare durante il suo principato non sono da imputare  ad una sola persona: in un regime monarchico, il ruolo del sovrano assume grande importanza è, infatti, lui che decide in ultima analisi, ed è su di lui che grava anche la responsabilità della scelta dei suoi consiglieri.

Ma non tutto era frutto di un solo uomo: l’entourage che lo circondava lo aiutavano nella gestione del Principato.

L’esercito viveva in simbiosi con l’Impero: numerosi legami univano l’uno all’altro, e prima di tutto in campo politico.

Il regime si definiva come una monarchia militare, il che vuol dire che si appoggiava più o meno apertamente sui soldati: il sovrano ricordava sempre ai suoi sudditi che il potere si trovava nell’esercito.

Tacito parla del “segreto dell’Impero”(26): i nuovi capi dello Stato non erano più scelti nella capitale, e soprattutto non nella Curia, ma nelle province, e più precisamente nei campi della province (27).

I soldati erano la forza dell’impero la loro semplice presenza pesava sulla vita materiale del tempo: si era circondata una zona di prosperità che circondava l’Impero.

Essi mantenevano la famosa pax romana: la loro prima missione consisteva nel lottare contro il nemico esterno e la seconda nello svolgere attività di polizia.

Inoltre, i militari giocavano un ruolo importante senza volerlo, e forse anche senza saperlo, è quello della cultura: essi diffondevano la romanizzazione nelle regioni dove spendevano i salari.

Roma è stata capace di edificare un Impero vasto e duraturo, e ha potuto farlo evidentemente per le sue truppe, che furono il pilastro portante della evoluzione storica di Roma e, inoltre, rappresentarono uno degli elementi costitutivi del potere centrale: una “struttura” dello Stato.

La solidità politica del regime augusteo era determinata dalla larga adesione del popolo al suo programma e dal senso di riconoscenza per l’istaurazione della pace.

Il nuovo equilibrio garantì una ripresa generale della vita civile e dell’economia; nelle periferie si avviò uno sviluppo che nel giro di circa un secolo condusse alla concorrenza fra la produzione e il commercio delle province e dell’Italia. La riorganizzazione politica e amministrativa dello Stato avviò, da un lato, una più gerarchizzazione  della società, con la separazione netta fra ordine senatorio ed equestre, dall’altro, maggiori possibilità di avanzamento a tutti i livelli, per le accresciute opportunità di arrichimento e per la nuova articolazione delle funzioni amministrative.

Tutto ciò che Augusto riuscì a realizzare durante il suo Principato fu per la gloria di Roma che risplendeva della sua gloria.

Amava Roma perché, anche, grazie a Roma Augusto visse una vita entusiasmante e notevolmente brillante.

 Visse per Roma, perché la grandezza di Roma era la sua personale vittoria e i Romani lo amarono per questo e continuarono ad amarlo nel tempo.

 


Note.

1.                             P. Southern, Augustus, op. cit., p.1.

2.                             W. Eck, Augusto e il suo tempo, op. cit., p.40-41.

3.                             D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.47.

4.                             D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.91.

5.                             C.M. Wells, L’impero romano, op. cit., p.44.

6.                             Velleio II, 78.

7.                             L. Canali, Potere e consenso nella Roma di Augusto, op. cit., p.135.

8.                             Y. Garlan, La guerre dans l’Antiquè, Parigi 1972, p.103, trad. Guerra e società del mondo antico, Bologna, 1985.

9.                             L. Canali, Potere e consenso nella Roma di Augusto, op. cit. p.240.

10.                         C.M. Wells, L’impero romano, op. cit., p.96.

11.                         Dione LIV,8.

12.                         L. Canali, Potere e consenso nella Roma di Augusto, op. cit., p.241.

13.                         C. Parain, Augusto, op. cit., p.154.

14.                         Cic., De Republica III, 24.

15.                         Tac., Ann.I, 11.

16.                         P. Southern, Augustus, op. cit., p.100.

17.                         D. Shotter, Cesare Augusto, op. cit., p.121.

18.                         P. Southern, Augustus, op. cit., p.170.

19.                         R. Syme, L’aristocrazia augustea, Milano 1993, p.649.

20.                         Y. Le Bohec, L’esercito romano, Le armi imperiali da Augusto alla fine del terzo secolo, op. cit., p.244.

21.                         P. e A. Piganiol, Historie de Rome, Parigi 1962, p.225.

22.                         P. Petit, Historie gènèrale de l’Empire romain, Parigi 1972, p.32.

23.                         Aurelio Vittore, De Caes., I, I.

24.                         A. du Picq, Etudes sur le combat, Parigi 1903, p.5.

25.                         Dio. Cass., Hist. Rom., LIV, 25,5-6.

26.                         Tac., Hist., I, 4, 2.

27.                         P. Le Roux, L’armèe romaine et l’organisation des provinces ibèriques, Parigi 1982, p.127.