BIOMASSA


 

Teleriscaldamento

Costi

 

 

 

Introduzione

Per biomassa si intende ogni sostanza organica derivante direttamente o indirettamente dalla fotosintesi clorofilliana.

Mediante questo processo le piante assorbono dall'ambiente circostante anidride carbonica (CO2) e acqua, che vengono trasformate, con l'apporto dell'energia solare e di sostanze nutrienti presenti nel terreno, in materiale organico utile alla crescita della pianta. In questo modo vengono fissate complessivamente circa 2×1011 tonnellate di carbonio all'anno, con un contenuto energetico equivalente a 70 miliardi di tonnellate di petrolio, circa 10 volte l'attuale fabbisogno energetico mondiale.

Biomassa è un termine che riunisce una gran quantità di materiali, di natura estremamente eterogenea. In forma generale, si può dire che è biomassa tutto ciò che ha matrice organica, con esclusione delle plastiche di origine petrolchimica e dei materiali fossili. Le più importanti tipologie di biomassa sono residui forestali, scarti dell’industria di trasformazione del legno (trucioli, segatura, etc.) scarti delle aziende zootecniche, gli scarti mercatali, alghe e colture acquatiche e i rifiuti solidi urbani.

Il settore delle biomasse per usi energetici è  probabilmente la più concreta ed immediata F.E.R. (fonte energetica rinnovabile) disponibile.  Le principali applicazioni sono: produzione di energia (bioenergia), sintesi di carburanti (biocarburanti) e sintesi di prodotti (bioprodotti).

Il biossido di carbonio emesso dagli impianti termici alimentati a biomasse è lo stesso che viene assorbito dai vegetali per produrre una quantità uguale di biomassa. Nel ciclo energetico della biomassa il bilancio del biossido di carbonio è in pareggio-equilibrio.

Come risultato dei progressi tecnologici, la maggior parte dei motori dei veicoli attualmente in circolazione nell'Unione europea è in condizione di usare una miscela contenente una bassa percentuale di biocarburante senza problemi. I più recenti sviluppi tecnologici permettono di utilizzare percentuali più elevate di biocarburante nella miscela. Alcuni paesi utilizzano già  miscele contenenti il 10%, e oltre, di biocarburante.

Le flotte vincolate offrono la prospettiva di utilizzare una concentrazione più elevata di biocarburanti. In alcune città, flotte vincolate sono già in azione per quanto riguarda i biocarburanti puri e hanno, in alcuni casi, aiutato a migliorare la qualità dell'aria nelle zone urbane. Possono essere usati come biocarburante, in casi specifici in cui tale uso è compatibile con il tipo di motore usato e con i corrispondenti requisiti in materia di emissioni, gli oli vegetali puri provenienti da piante vegetali prodotti mediante pressione, estrazione o procedure analoghe, greggi o raffinati, ma chimicamente non modificati.

I principali vantaggi delle biomasse sono: abbondanza, facilità di estrazione energetica, economicità, rigenerazione di terre desolate, sviluppabilità in aree inutilizzate e creazione di occupazione, non contribuzione all'effetto serra, basso tenore di zolfo e quindi non contribuzione alla produzione di piogge acide, rinnovabilità.

Stato dell'arte

Ad oggi le biomasse soddisfano il 15% circa degli usi energetici primari nel mondo, con 55 milioni di TJ/anno (1.230 Mtep/anno). L’utilizzo di tale fonte mostra, però, un forte grado di disomogeneità fra i vari Paesi. I Paesi in via di sviluppo, nel complesso, ricavano mediamente il 38% della propria energia dalle biomasse, con 48 milioni di TJ/anno (1.074 Mtep/anno), ma in molti di essi tale risorsa soddisfa fino al 90% del fabbisogno energetico totale, mediante la combustione di legno, paglia e rifiuti animali.

Nei Paesi Industrializzati, invece, le biomasse contribuiscono appena per il 3% agli usi energetici primari con 7 milioni di TJ/anno (156 Mtep/anno). In particolare, gli USA ricavano il 3,2% della propria energia dalle biomasse, equivalente a 3,2 milioni di TJ/anno (70 Mtep/anno); l’Europa, complessivamente, il 3,5%, corrispondenti a circa 40 Mtep/anno, con punte del 18% in Finlandia, 17% in Svezia, 13% in Austria, l’Italia, con il 2,5% del proprio fabbisogno coperto dalle biomasse, è al di sotto della media europea.

L’impiego delle biomasse in Europa soddisfa, dunque, una quota abbastanza marginale dei consumi di energia primaria, rispetto alla sua potenzialità.

All’avanguardia, nello sfruttamento delle biomasse come fonte energetica, sono i Paesi del centro-nord Europa, che hanno installato grossi impianti di cogenerazione e teleriscaldamento alimentati a biomasse. La Francia, che ha la più vasta superficie agricola in Europa, punta molto anche sulla produzione di biodiesel ed etanolo, per il cui impiego come combustibile ha adottato una politica di completa defiscalizzazione. La Gran Bretagna invece, ha sviluppato una produzione trascurabile di biocombustibili, ritenuti allo stato attuale antieconomici, e si è dedicata in particolare allo sviluppo di un vasto ed efficiente sistema di recupero del biogas dalle discariche, sia per usi termici che elettrici. La Svezia e l’Austria, che contano su una lunga tradizione di utilizzo della legna da ardere, hanno continuato ad incrementare tale impiego sia per riscaldamento che per teleriscaldamento, dando grande impulso alle piantagioni di bosco ceduo (salice, pioppo) che hanno rese 3÷4 volte superiori alla media come fornitura di materia prima. Nel quadro europeo dell’utilizzo energetico delle biomasse, l’Italia si pone in una condizione di scarso sviluppo, nonostante l’elevato potenziale di cui dispone, che risulta non inferiore ai 27 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio).

 

La Bio-energia

La bioenergia è qualsiasi forma di energia utile ottenuta dai biocombustibili. La biomassa rappresenta la più consistente tra le fonti di energia rinnovabile anche se esistono molteplici difficoltà di impiego dovute all’ampiezza e all’articolazione delle fasi che costituiscono le singole filiere.

Le tecnologie per ottenere energia dai vari tipi di biomasse sono naturalmente diversi, e diversi sono anche i prodotti energetici che si ottengono. Ad esempio, se un materiale ha molto carbonio (C) e poca acqua (H2O), è adatto per essere bruciato per ottenere calore o elettricità; se, viceversa, ha molto azoto (N) ed è molto umido, può essere sottoposto ad un processo biochimico che trasforma le molecole organiche in metano ed anidride carbonica. Infine, combustibili liquidi adatti ad essere utilizzati nei motori a benzina o diesel possono essere ottenuti a partire da particolari specie vegetali.

In sintesi, i processi di conversione in energia delle biomasse possono essere ricondotti a due grandi categorie: processi termochimici e processi biochimici. 

Processi termochimici: I processi di conversione termochimica sono basati sull'azione del calore che permette le reazioni chimiche necessarie a trasformare la materia in energia, e sono utilizzabili per i prodotti ed i residui cellulosici e legnosi in cui il rapporto C/N abbia valori superiori a 30 ed il contenuto di umidità non superi il 30%. Le biomasse più adatte a subire processi di conversione termochimica sono la legna e tutti i suoi derivati (segatura, trucioli, ecc.), i più comuni sottoprodotti colturali di tipo ligno-cellulosico (paglia di cereali, residui di potatura della vite e dei fruttiferi, ecc.) e taluni scarti di lavorazione (lolla, pula, gusci, noccioli, ecc.). 

Processi biochimici: I processi di conversione biochimica permettono di ricavare energia per reazione chimica dovuta al contributo di enzimi, funghi e micro-organismi, che si formano nella biomassa sotto particolari condizioni, e vengono impiegati per quelle biomasse in cui il rapporto C/N sia inferiore a 30 e l'umidità alla raccolta superiore al 30%. Risultano idonei alla conversione biochimica le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, ortive, patata, ecc.), i reflui zootecnici e alcuni scarti di lavorazione (borlande, acqua di vegetazione, ecc.), nonché lacune tipologie di reflui urbani ed industriali.

1.3 Valorizzazione energetica delle biomasse: processi termochimici

Co-firing (Co-combustione)

Una immediata opportunità per l'utilizzo massiccio delle biomasse come fonte per ottenere energia elettrica è data dalla tecnologia della co-combustione (cofiring). Fin dal 1990 molte verifiche sperimentali hanno dato esito positivo nella sostituzione di una porzione di carbone con biomassa da utilizzare nella stessa caldaia dell'impianto preesistente, ciò può essere fatto miscelando la biomassa con carbone prima che il combustibile venga introdotto nella caldaia o utilizzando alimentazioni separate per la biomassa e il carbone.

Si può arrivare a sostituire il 20% di carbone con biomasse, riducendo le emissioni di protossido d'azoto, di anidride solforosa e di anidride carbonica.

In U.S.A. gli impianti termoelettrici a carbone predisposti per il cofiring hanno avuto un tempo di ammortamento medio di 8 anni, ed è stato ritenuto molto conveniente dalle stesse società proprietarie di tali impianti.

 

 

Pirolisi

E’ un processo di decomposizione termochimica di materiali organici, ottenuto fornendo calore, a temperature comprese tra 400 e 800°C, in forte carenza di ossigeno. I prodotti della pirolisi sono gassosi, liquidi e solidi, in proporzioni che dipendono dai metodi di pirolisi (pirolisi veloce, lenta, convenzionale) e dai parametri di reazione. Uno dei maggiori problemi legati alla produzione di energia basata sui prodotti della pirolisi è la qualità dei medesimi. Spesso, infatti, il livello di qualità non risulta essere sufficientemente adeguato per le applicazioni con turbine a gas e motori diesel.

Indicativamente, facendo riferimento alla taglia degli impianti, si può affermare che i cicli combinati ad olio pirolitico appaiono i più promettenti, soprattutto in impianti di grande taglia, mentre motori a ciclo diesel, alimentati con prodotti di pirolisi, sembrano più adatti per impianti di piccola potenzialità. In particolare, a livello sperimentale, si nota che:  

·         con una pirolisi lenta a basse temperature e lungo tempo di permanenza si ottiene carbone di legna in misura pari a circa il 30% del peso iniziale, con un contenuto energetico di circa il 50%;

·         la pirolisi estremamente veloce (flash pirolisi) condotta ad una temperatura relativamente bassa (intorno a 500 °C con un massimo di 650°C) e con un tempo di permanenza molto basso (meno di 1 secondo) fa aumentare i prodotti liquidi fino all’80% in peso;

·         la pirolisi estremamente veloce (flash pirolisi) condotta a temperature superiori (sopra i 650°C) fa aumentare i prodotti gassosi fino all’80% in peso;

·         una pirolisi condotta in condizioni convenzionali, ovvero a temperature moderate (inferiori a 600 °C) dà origine a prodotti gassosi, liquidi e solidi in proporzioni più o meno costanti.

La produzione di bio-olio consente di avere un combustibile a più alto contenuto energetico se comparato con la biomassa di partenza e, una volta stabilizzato, stoccabile per lungo tempo a temperatura ambiente senza problemi di degradazione.

 

Carbonizzazione

La carbonizzazione è, in sostanza, un processo di pirolisi.

E' un processo di tipo termochimico che consente la trasformazione delle molecole strutturate dei prodotti legnosi e cellulosici in carbone (carbone di legna o carbone vegetale), ottenuta mediante l’eliminazione dell’acqua e delle sostanze volatili dalla materia vegetale, per azione del calore nelle carbonaie all’aperto, o in storte chiuse che offrono una maggior resa in carbone e vari altri prodotti (alcol, acido acetico, acetone, catrame, ecc.).

Il carbone di legna può essere usato come combustibile o anche come materia prima per l'ottenimento di prodotti chimici industriali quali ad esempio i carboni attivi.

Gassificazione

Processo di conversione del carbone e/o della biomassa  in composti gassosi (ossido di carbonio, anidride carbonica, metano, idrogeno e miscele di essi come il syngas), eseguito per reazione con aria, ossigeno, vapore o loro miscele. Il gas prodotto può essere impiegato direttamente nell’industria chimica ed elettrica, o altrimenti convertito in idrocarburi liquidi o solidi tipo cere (Processo Fischer-Tropsch).

La gassificazione consiste nell'ossidazione incompleta di una sostanza in ambiente ad elevata temperatura (900/1000°C) per la produzione di un gas combustibile (detto gas di gasogeno o syngas). Il gas di gasogeno può essere trasformato in alcool metilico (CH3OH), che può essere agevolmente utilizzato per l'azionamento di motori e per la produzione di biodiesel.

Le tecnologie di gassificazione della biomassa sono ritenute promettenti sia perché nell'immediato possono essere abbinate alle attuali tecnologie di produzione dell'energia elettrica, in particolare nelle centrali a gas a ciclo combinato, sia perché possono essere abbinate alle eventuali future centrali elettriche a fuel-cell, in particolare MCFC e SOFC, nelle quali gas composti da idrogeno e carbonio sono ottimali.

 

Valorizzazione energetica delle biomasse: processi biochimici

Digestione anaerobica

La digestione anaerobica è un insieme di processi biologici mediante i quali le sostanze organiche possono essere "digerite" in un ambiente privo di ossigeno, arrivando alla produzione di gas combustibile e di fanghi humificati e mineralizzati, con migliorate caratteristiche fertilizzanti (il termine "mineralizzati" significa che il materiale presente non può essere ulteriormente degradato, mentre per "humificazione" si intende la trasformazione del materiale organico, originariamente putrescibile, in un prodotto metastabile ed innocuo, soggetto a decomposizione molto lenta).

Questi processi avvengono ad opera di una flora batterica di natura anaerobica, che può sussistere solo in ambiente privo di ossigeno. I batteri responsabili della fermentazione metanigena sono saprofiti eterotrofi che utilizzano come fonte di carbonio e di energia i composti organici.

In relazione all'intervallo di temperatura in cui agiscono, i batteri sono suddivisi in:

Psicrofili, quando agiscono a temperature inferiori a 25°C;

Mesofili, quando agiscono a temperature comprese tra i 25°C e 45°C;

Termofili, quando agiscono a temperature superiori a 45°C.

Tali batteri sono sempre presenti nella massa organica originale, si sviluppano rigogliosamente in ambiente chiuso, e trasformano i composti organici in CH4 e CO2, utilizzando gli enzimi come catalizzatori biologici. Gli enzimi sono molecole di natura proteica, sintetizzati dall'organismo stesso che li usa; possono essere di natura unicamente proteica, oppure costituiti da due parti, il coenzima, che è una molecola organica di origine vitaminica, e l'apoenzima, che è la parte propriamente proteica.

La digestione anaerobica è condotta in reattori (digestori), opportunamente concepiti per evitare il contatto tra la massa liquida in essi contenuta e l'ossigeno atmosferico.

Si sviluppa in tre fasi successive:

1. idrolisi della cellulosa, delle proteine, dei lipidi e degli zuccheri e degli amminoacidi;

2. fase acidogenica con formazione di acidi grassi, in particolare di acido acetico;

3. metanizzazione del prodotto della seconda fase; tale stadio coinvolge una serie di metano-batteri, che completano la trasformazione in metano ed anidride carbonica degli acidi grassi, secondo la reazione seguente:

CH3COOH → CH4+CO2,

in cui un atomo di carbonio è l'accettore finale di idrogeno e produce metano, mentre l'altro atomo va a costituire l'anidride carbonica.

I prodotti finali sono:

·                    un gas combustibile con PCI di 5300÷5800 kCal/Nm3;

·         un residuo liquido chiarificato;

·         un fango ispessito.

Il gas prodotto è una miscela contenente il 65-70% di metano, il 30-35% di anidride carbonica, tracce di acido solfidrico, piccole percentuali di H2, CO, e di idrocarburi saturi.

Il surnatante (liquido chiarificato), può essere impiegato per la diluizione, se necessaria, della sostanza organica in ingresso al digestore, per l'allestimento di zone di lagunaggio adibite a colture energetiche, e per la fertirrigazione.

Il fango, la parte ispessita del digerito, quasi inodore e stabilizzata (sia umida che essiccata), può trovare impiego in agricoltura come fertilizzante, in quanto contiene azoto, fosforo e potassio, essenziali per un buon concime.

Per le conversioni di tipo biochimico risultano idonee le colture acquatiche, alcuni sottoprodotti colturali (foglie e steli di barbabietola, patata, ortive, ecc.), i reflui zootecnici ed alcuni scarti di lavorazione (acque di vegetazione dei frantoi, ecc.), nonché la biomassa organica eterogenea immagazzinata nelle discariche controllate. Risultano invece non idonee le sostanze contenenti lignina (biomasse forestali e scarti della lavorazione del legno) in quanto tale sostanza non risulta metabolizzabile dalle diverse specie di batteri metanigeni.

Biocarburanti

Bioetanolo

La fermentazione alcolica è un processo di tipo micro-aerofilo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produzioni vegetali in bioetanolo (alcool etilico). Ne risulta un prodotto utilizzabile anche nei motori a combustione interna normalmente di tipo “dual fuel”, come riconosciuto fin dall’inizio della storia automobilistica. Se, però, l’iniziale ampia disponibilità ed il basso costo degli idrocarburi avevano impedito di affermare in modo molto rapido l’uso di essi come combustibili, dopo lo shock petrolifero del 1973 sono stati studiati numerosi altri prodotti per sostituire il carburante delle automobili (benzina e gasolio); oggi, tra questi prodotti alternativi, quello che mostra il miglior compromesso tra prezzo, disponibilità e prestazioni è proprio il   bioetanolo; in alcuni paesi del Sudamerica viene utilizzato puro in normali motori a combustione interna opportunamente tarati. Nell' immediato potrebbe essere utilizzato additivato alla benzina fino al completo sfruttamento delle risorse agricole disponibili senza dover lasciare improduttive le vaste aree per le quale oggi si incentiva  il  non sfruttamento in base alle vigenti norme sulle eccedenze agroalimentari. I residui di lavorazione e produzione sono sostanze azotate e minerali, quindi fertilizzanti, che rimmessi nei terreni di coltura completano e chiudono il ciclo energetico; in pratica si sfrutta il potere dei vegetali di produrre energia per azione della fotosintesi clorofilliana.

Le materie prime per la produzione di etanolo possono essere racchiuse nelle seguenti classi: 

·         Residui di coltivazioni agricole;

·         Residui di coltivazioni forestali;

·         Eccedenze agricole temporanee ed occasionali;

·         Residui di lavorazione delle industrie agrarie e agro-alimentari;

·         Coltivazioni ad hoc; 

·         Rifiuti urbani.

Per quanto riguarda le coltivazioni ad hoc, quelle più sperimentate e diffuse sono la canna da zucchero (si veda l'esperienza Brasiliana), il grano, il mais. Ci sono poi altre colture, quali la bietola, il sorgo zuccherino, il topinambur ed altre, che rimangono ancora in fase sperimentale. Secondo la loro natura, le materie prime possono essere classificate in tre tipologie distinte:

·         Materiali zuccherini: sostanze ricche di saccarosio come la canna da zucchero, la bietola, il sorgo zuccherino, taluni frutti, ecc;

·         Materiali amidacei: sostanze ricche di amido come il grano, il mais, l'orzo, il sorgo da granella, la patata;

·         Materiali ligneo-cellulosici: sostanze ricche di cellulosa come la paglia, lo stocco del mais, gli scarti legnosi, ecc.

 

 

Piccoli impianti a biomasse

 

Il fuoco che brucia è uno spettacolo che non stanca, un ambiente

arredato con un caminetto ha un valore aggiunto. Non è il modo

ottimale per riscaldare l’ambiente, poiché buona parte del calore si

perde al camino, ma l’ambiente è così caldo ed affascinante!

La tecnologia può però contribuire moltissimo al miglioramento

dell’efficienza, soprattutto nell’impiantistica convenzionale. Alcuni

passi sono stati fatti in questa direzione; ad esempio negli ultimi

anni sono stati concepiti e diffusi caminetti a ventilazione forzata

nei quali la fiamma viene isolata dall’ambiente attraverso l’interposizione

di uno schermo di vetro; questo accorgimento permette di

raggiungere dei buoni rendimenti di conversione. Altra innovazione

rispetto ai sistemi tradizionali (rappresentati dalle stufe, caminetti,

ecc.) si è avuta con le termocucine costituite dalle tradizionali stufe

che hanno però una funzione aggiuntiva: mediante un sistema di

recupero è possibile cedere il calore dei fumi della combustione al

fluido termovettore dell’impianto di riscaldamento dell’abitazione.

Sostituire i combustibili fossili con fonti energetiche rinnovabili

può migliorare l’ambiente in cui si vive e permettere un

considerevole risparmio sui costi del riscaldamento, senza

compromettere il comfort della nostra abitazione.

Oggi la maggior parte delle abitazioni è riscaldata con i termosifoni;

anche chi ha uno o più sistemi tradizionali di riscaldamento (stufe,

caminetti) possiede un impianto ausiliario alimentato a combustibile

fossile (gasolio, metano o GPL). Per ognuno di questi impianti oggi è

disponibile una tecnologia alternativa che utilizza le biomasse (principalmente

legno) quale fonte energetica.

1.5.1 Caldaie per utenze singole alimentate con legna in pezzi

Il riscaldamento degli ambienti mediante la combustione della

legna da ardere in pezzi è la forma più diffusa di utilizzo delle biomasse

per scopi energetici. Le stufe a legna tradizionali, utilizzate

per singoli ambienti, hanno bassi rendimenti di conversione energetica,

a volte inferiori al 20%, necessitano di manutenzione ed in

alcuni casi sono pericolose fonti di ossido di carbonio.

L’evoluzione tecnologica delle moderne caldaie a legna ha permesso

la realizzazione di prodotti con ottime prestazioni e con

ridotta manutenzione; le tipologie sono

essenzialmente due:

 

Caldaie a tiraggio naturale

Il principio di funzionamento è

simile a quello delle stufe a legna tradizionali,

in cui il combustibile viene

caricato nella parte inferiore e la combustione

si alimenta per convezione

naturale dal basso verso l’alto. Il controllo

della combustione non è molto

preciso, poiché la ventilazione naturale

della camera di combustione non

permette l’esatta taratura dell’aria di

combustione. Il rendimento di questo

tipo di caldaia si aggira attorno al

40%; infatti i fumi prodotti da questo tipo di combustione contengono

ancora dei gas incombusti che, mandati in atmosfera

attraverso la canna fumaria, portano con se una buona parte di

energia rimasta inutilizzata oltre che composti inquinanti.

 

Caldaie a fiamma inversa

In questo tipo di caldaia si

hanno due camere di combustione.

La catasta di legna viene caricata nella

prima camera dove, nella sua parte

più bassa, avviene la combustione

primaria. I fumi sviluppati passano

quindi alla seconda camera di combustione

dove, con un sistema di ventilazione

forzata (di tipo soffiato o

aspirato in base alla posizione del

ventilatore rispetto alla camera di

combustione) vengono alimentati con

aria (quindi ossigeno): in questo

modo i fumi si incendiano liberando

l’energia termica in essa contenuta e portando la temperatura di

combustione a 800-900°C.

Questa nuova tecnologia consente:

a - rendimenti fino all’80 % con un ridotto consumo di legna;

b - un buon controllo del calore erogato ed una ridotta manutenzione;

c - l’immissione in atmosfera di gas a bassissimo contenuto di

composti inquinanti.

Un impianto che utilizzi in maniera ottimale le tecnologie disponibili

prevede, oltre alla caldaia a fiamma inversa e al regolatore

dell’aria di combustione, un serbatoio dell’acqua calda, che

verrà accumulata ed utilizzata nei momenti di maggior richiesta. Il

serbatoio consente un utilizzo più razionale del calore prodotto

dalla caldaia favorisce un risparmio di combustibile nelle mezze

stagioni.

Impianti di questo tipo possono soddisfare utenze singole (P=25

kW) o aggregati di poche famiglie (fino a P=80 kW), con una spesa

annua di combustibile ridotta ad 1/3 rispetto ad un equivalente

impianto a gasolio.

 

Caldaie a cippato di legno per impianti di piccole e

medie dimensioni

Queste caldaie utilizzano il legno in forma di cippato, cioè legno

sminuzzato in particelle di lunghezza massima di 3 – 4 cm dette

chips” (vedi capitolo precedente), e la loro alimentazione è completamente

automatica. Il cippato infatti viene stoccato in un silos e

portato alla camera di combustione della caldaia mediante una

coclea.

Questa tipologia d’impianto si può utilizzare anche per singole abitazioni,

ma le utenze ottimali sono quelle con più elevata richiesta di

calore, quali piccoli complessi residenziali, scuole, uffici, condomini

__________________________

ed alberghi dove le caldaie a pezzi di legno a caricamento manuale

non sono proponibili.

In tali impianti si possono raggiungere potenze installate di alcuni

MW, sufficienti a scaldare un’intera comunità in ambito montano.

Un impianto alimentato a cippato di legno è composto dalle

seguenti sezioni:

1. caldaia a cippato di legno, che può essere a griglia fissa o a griglia

mobile in funzione delle dimensioni (nelle piccole unità è sempre

fissa) ma anche in relazione al contenuto di umidità della biomassa;

2. tramoggia di carico del combustibile, con serranda taglia fuoco

per evitare ritorni di fiamma verso il silos di stoccaggio;

3. sistema di alimentazione per combustibili solidi;

4. silos di stoccaggio, per garantire un’autonomia di almeno una

settimana (si può arrivare anche a diversi mesi).

In questo caso l’aspetto ambientale assume un significato rilevante

nell’economia dell’intervento; infatti un impianto di riscaldamento

a cippato di legno che alimenti un edificio di medie dimensioni

evita di immettere nell’ambiente molte tonnellate di CO2 annue (per

una caldaia di 1 MW risultano evitate, mediamente, oltre 580.000

t/anno).

 

 Impianti di riscaldamento a pellets

Grazie alle particolari caratteristiche di fluidità, densità energetica

e peso specifico, il pellet è una biomassa combustibile con elevate

caratteristiche energetiche (come riportato nel capitolo precedente).

Può essere utilizzato nei seguenti impianti:

a - caldaie a gasolio, previa sostituzione del combustore e alcuni

accorgimenti per ottimizzare l’aria di combustione;

b - caldaie a cippato di legno senza nessuna modifica all’impianto;

c - caldaie a legno in pezzi, assemblando il pellet sotto forma di bricchetti

dall’aspetto di piccoli tronchi di legno (questi ultimi sono

attualmente facilmente reperibili e in vendita presso molte attività

commerciali).

Riscaldare con pellets comporta un risparmio economico rispetto

ai combustibili fossili ma una spesa maggiore se paragonato al

cippato di legno o alla legna in pezzi. L’utilizzo di questo combustibile

 risulta però molto comodo per gli utenti ed i vantaggi

ambientali sono uguali a quelli ottenuti utilizzando cippato o

legna in pezzi.

 

I costi del riscaldamento a biomasse

Un litro di gasolio possiede una quantità di energia chimica, convertibile

in calore attraverso la combustione, pari a 9,9 kWh (8514

kcal); un chilo di legna contiene mediamente 3,4 kWh (2924 kcal),

con umidità del 30%: un litro di gasolio riscalda quindi quanto 3 kg

di legna.

Il costo medio di un litro di gasolio per riscaldamento domestico è

di 0,823 Euro mentre quello della legna da ardere, resa all’utente, è

di circa 0,10 Euro al kg.

Se si ipotizza di sostituire una caldaia a gasolio che consumi 3.000 l

di combustibile annui (per una spesa di 2.470 Euro) con una caldaia

a biomassa che necessiti annualmente di 9.000 kg di legna (con un

costo medio di 900 Euro/anno) le spese dovute al combustibile si

riducono di circa 2/3 rispetto alla caldaia convenzionale, con un

risparmio pari a 1.570 Euro/anno.

Nella tabella seguente vengono riassunti i costi relativi alle sole

spese di riscaldamento relative ad un’abitazione isolata di 120 – 150

m2, situata ad un’altitudine di circa 1000 m in ambiente montano.

Considerando che la combustione del gasolio produce oltre 2,5 kg

di CO2 per kg combusto, si eviterà inoltre di immettere nell’ambiente

almeno 7,5 t annue di CO2 da una fonte non rinnovabile e

non compensate da un analogo assorbimento da parte della pianta

viva.

 

RENDIMENTO DI UNA CALDAIA E POTENZA NOMINALE

La potenza nominale di una caldaia indica la potenza massima erogabile

all’utente in condizioni di normale e continuato funzionamento dell’impianto.

La potenza al focolare indica invece quanta energia primaria (del combustibile)

per unità di tempo consuma la caldaia per fornire all’utente la

potenza nominale. Il rapporto tra queste due potenze esprime il rendimento

di combustione della caldaia, indica cioè quanta energia termica è

fornita per ogni unità di energia immessa con il combustibile.

Naturalmente il massimo teorico è del 100%, situazione che si verificherebbe

qualora tutta l’energia contenuta nel combustibile fosse resa

disponibile all’utente, ma nella pratica una caldaia efficiente, alimentata

a biomassa, a fiamma rovesciata, ha dei rendimenti di conversione compresi

tra 70 e 80%.

 

DETRAZIONI FISCALI SU NUOVI IMPIANTI

Tra le principali misure previste dalla manovra finanziaria del 2002

(Legge 448 del 28 dicembre 2001), si segnala la conferma dei vantaggi

fiscali per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio. Tale disposizione

consente la detrazione IRPEF nella misura del 36% e l'applicazione

dell'aliquota IVA ridotta al 10% sulle spese sostenute per gli interventi

di manutenzione ordinaria e straordinaria; tra questi sono previsti anche

gli interventi di risparmio energetico sul patrimonio edilizio (art.8 della

legge 10/91, riconfermato nel DM 15.2.92 del MICA) e quindi l'installazione

di impianti che utilizzano fonti di energia rinnovabili.

 

Impianti a biomassa con rete di teleriscaldamento

Cos’è il teleriscaldamento

Il teleriscaldamento consente la distribuzione del calore prodotto

da una o più centrali termiche con una rete di tubazioni isolate che

corrono al di sotto delle strade del paese o della città, alla quale vengono

allacciate le singole utenze. In pratica si fornisce calore per il

riscaldamento e per l’acqua sanitaria mediante scambiatori di calore

installati presso ogni abitazione, che sostituiscono quindi le singole

centrali termiche.

Un’unica centrale che collega più utenti, grazie anche ai tubi preisolati di

nuova generazione che nella distribuzione non disperdono energia, è

dotata di una tecnologia più avanzata rispetto a quella delle tradizionali

caldaie domestiche e garantisce rendimenti elevati e minor inquinamento

atmosferico. La rete di teleriscaldamento può quindi far parte delle

reti tecnologiche che normalmente portano i servizi nelle nostre

case, quale la rete idrica, quella elettrica o quella fognaria.

 

Caldaia a biomassa per il teleriscaldamento

Se gli utenti da riscaldare sono numerosi e situati a breve distanza

tra di loro, può risultare conveniente realizzare un impianto di

teleriscaldamento a biomassa. Questi impianti sono costituiti da

un’unica centrale termica alimentata con legno sminuzzato o con

altre biomasse, alla quale sono allacciati diversi utenti per mezzo di

una rete di distribuzione del calore costituita da tubi interrati.

La potenza va da pochi MW a qualche decina di MW.

Il principio di funzionamento delle caldaie a biomassa di grande

potenza è lo stesso di quello visto per le caldaie di medie dimensioni:

il combustibile legno viene bruciato in una camera di combustione, ed

i gas caldi ottenuti cedono il calore al fluido vettore (acqua) che circola

nell’impianto di riscaldamento dell’abitazione. Però, a differenza

delle piccole caldaie, gli impianti

industriali sono caratterizzati da

una tecnologia più sofisticata che

consente di raggiungere rendimenti

più elevati con vantaggi sia economici

che ambientali. La camera di

combustione di queste caldaie può

essere di diversi tipi: a griglia fissa,

a griglia mobile, a griglia inclinata,

a griglia a tappeto, ecc., ma tutti i

sistemi sono progettati per ottimizzare

il processo di combustione del

legno che, a seconda della tipologia

di griglia scelta, può essere introdotto

in camera di combustione

anche con elevati contenuti di umidità.

Questi impianti sono inoltre

caratterizzati da un alto grado di

automazione, con impiego di sistemi di controllo e taratura che

assicurano una corretta combustione dei materiali legnosi, nel

rispetto delle attuali norme in materia di emissioni (D.L. 05/02/97 -

D.M. 05/02/98 - DECRETO RONCHI- D.P.C.M. 8/03/02).

Rispetto ai sistemi per il riscaldamento domestico fin qui

presentati, l’impianto di riscaldamento centralizzato

differisce per alcuni aspetti:

• la caldaia installata è di grandi dimensioni, capace di riscaldare

tutte le abitazioni allacciate (comunemente da 1 a 10 MW, che

significa da un insieme di condomini ad un intero paese, come ad

esempio a La Villa (BZ), nota località turistica montana della Val

Badia dove è attualmente attivo un impianto di biomasse);

• la gestione della centrale è affidata ad un’azienda e non impegna

in alcun modo gli utenti che devono solo impostare i tempi e le

temperature per il riscaldamento domestico;

• la centrale è completamente automatizzata e può garantire in tal

modo un’elevata efficienza del servizio di riscaldamento;

• non essendo necessaria l’installazione di caldaie singole per il

riscaldamento domestico, non è necessario neppure provvedere

alla manutenzione delle stesse ed ai controlli annuali previsti dalle

nuove normative;

• la gestione centralizzata e l’uso della biomassa quale combustibile

consentono di ridurre, a livello urbano, le emissioni di sostanze

inquinanti, con un considerevole miglioramento della qualità dell’ambiente.

 

Scambiatore di calore

Presso ogni utente viene installata una sottocentrale dotata di

scambiatore di calore nel quale l’energia viene ceduta all’acqua circolante

nell’impianto domestico.

Lo scambiatore a piastra permette

quindi all’acqua che giunge

dalla centrale di cedere calore al

circuito idraulico dell’abitazione;

lo scambiatore è corredato da un

sistema di misurazione della

portata e della temperatura dell’acqua

in ingresso e in uscita.

Mediante un sistema di telecontrollo

il dato sul consumo delle

utenze è trasmesso e registrato

presso gli uffici della centrale termica

per la tariffazione. Lo

scambiatore di calore non è soggetto

alla normativa vigente per

gli impianti termici, può essere

installato ovunque, non fa fumo,

non consuma energia elettrica e

non è alimentato da combustibili

pericolosi; si limita a prelevare

energia dall’acqua calda della

rete di teleriscaldamento e trasmetterla all’acqua fredda del condominio

attraverso un semplice contatto di piastre.

 

L’ACQUA COME VETTORE ENERGETICO

Normalmente, nelle nostre città,

sotto le strade corrono le tubazioni

che provvedono a portare il metano

necessario ad alimentare le caldaie

degli impianti di riscaldamento.

Laddove la rete metanifera non

arriva, è necessario stoccare il

combustibile vicino alla caldaie e,

per far questo, occorre rispettare le

numerose norme di sicurezza

imposte dal fatto che i combustibili

fossili risultano esplosivi e/o

incendiabili. Il discorso non vale

per l’acqua che è un vettore energetico

non pericoloso perché non

esplosivo, non in pressione e non

infiammabile. Lo scambiatore che

s’installa nell’abitazione non è soggetto

a restrittive norme di sicurezza

e risulta più sicuro.

 

AGEVOLAZIONI AGLI UTENTI DELLA RETE DI TELERISCALDAMENTO

Con la legge Finanziaria 1998, e successive integrazioni, viene riconosciuto

agli utenti allacciati alle reti di teleriscaldamento alimentate a biomassa

uno sconto di 0,26 Euro alla tariffa del kwh termico utilizzato.

La riduzione è stata prorogata fino al 30.9.2002. Gli sconti sopra indicati

devono essere riconosciuti direttamente all’utente dalla Società di produzione

nelle fatturazioni all’utenza diventando “Credito d’Imposta”

della Società nei confronti dello Stato.

L’art. 29 della Finanziaria 2001 prevede inoltre che agli utenti che si collegano

dal 1° Gennaio 2001 alla rete di cui sopra è concesso un contributo

pari a 20,65 Euro per ogni KW di potenza impegnata: anche questo

sconto viene anticipato dalla Società che quindi matura un nuovo

“Credito d’Imposta”.

I costi del teleriscaldamento

Nella tabella seguente vengono riassunti i costi relativi alle sole

spese di riscaldamento relative ad un’abitazione isolata di 120 – 150

m2, allacciata alla rete di teleriscaldamento situata ad un’altitudine di

circa 1000 m in ambiente montano.

I costi del teleriscaldamento risultano confrontabili con quelli dei

sistemi di riscaldamento tradizionali; bisogna però considerare alcuni

vantaggi offerti da questa tipologia di soluzione impiantistica:

• l’utente finale non deve sostenere i costi d’installazione di una caldaia

a metano o gasolio;

• il gestore delle rete solitamente offre, nel prezzo esposto sopra,

anche il servizio di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’impianto

fino allo scambiatore compreso;

• la telegestione e la telecontabilizzazione permettono all’utente di

programmare e gestire il servizio come desidera e di pagare esattamente

il corrispettivo dell’energia termica consumata;

• il teleriscaldamento risulta sicuro, come già evidenziato in precedenza;

• il teleriscaldamento si propone come unica soluzione per chi

voglia riscaldare a biomassa ma non abbia a disposizione lo spazio

necessario per installare un caldaia a legna individuale.

 

Fonti di finanziamento per l’acquisto e la messa in opera

di impianti termici funzionanti a biomasse

Piano di Sviluppo Rurale

L’Unione Europea, tramite il Regolamento (CE) n. 1257/99 del

Consiglio del 17 maggio 1999, nel definire il quadro del sostegno

comunitario per lo sviluppo rurale sostenibile, ha previsto un sistema

articolato di misure di intervento contenute nel Piano di

Sviluppo Rurale (PSR) di durata settennale (2000 - 2006).

Ogni anno la Regione del Veneto emana i bandi del PSR che vengono

pubblicati sul B.U.R e sono disponibili presso gli organismi regionali

e provinciali competenti in materia (per es. Ispettorati Regionali

Agricoltura, Direzione Regionale Politiche Agricole Strutturali -

http://www.regione.veneto.it/agricoltura/indici/bandopsr.htm).

Il bando per l’anno 2002 prevedeva finanziamenti per l’acquisto e la

messa in opera di impianti termici funzionanti a biomasse. Nella tabella

che segue vengono riportate le suddette opportunità di finanziamento.

Obiettivo 2

Un’altra fonte di finanziamento relativa all’utilizzo delle biomasse

a scopo energetico proviene dal Regolamento (CE) n.1260/1999.

Con DGR n. 1682 del 2002 la Regione del Veneto ha approvato il

bando per la presentazione delle domande di contributo per

“Investimenti di carattere energetico” (misura 2.2).