Dott. Lino Lucchini

LONATO

Parlare in modo peculiare ed esclusivo di Lonato vuol dire riferirsi territorialmente all’attuale capoluogo e alle frazioni immediatamente confinanti.

La vasta parte rimanente del suo territorio ha avuto vicende e storia a se.

Mi riferisco a:

Drugolo

Esenta

Venzago e

Maguzzano.

Da circa duecento anni, cioè da quando, nel 1796, il Governo Provvisorio della Repubblica Bresciana, istituì il Cantone dei Colli con capoluogo Lonato, tutti questi borghi vennero compresi nella sua giurisdizione.

Ad essi verrà dato uno spazio a parte in chiusura.

Venendo a trattare di Lonato, ritengo sia ragionevole iniziare la conversazione partendo dal periodo della presenza romana che ci propone tre argomenti principali e cioè:

  1. Le fornaci dei Gorghi
  2. Il sito di Colombare delle Pozze
  3. La strada romana

Le fornaci romane dei Gorghi

Nel corso del I sec. a. C. nel territorio lonatese si possono ancora oggi leggere le testimonianze toponomastiche della organizzazione del vico, legate agli interventi di centuriazione (terreni del Cominello che ancora in documenti del secolo XIV erano chiamati Colonnelli, di chiara derivazione romana) e alla sistemazione della rete viaria, testificata da numerosi toponimi (Bettola, Corlo, Corrobiolo, Strada dei Sassi, Cittadella(1) ecc.) seguita all’abbandono di precedenti strade o piste di epoche antichissime leggibili nei toponimi quali Rova o Rua e Castel Vecchio in località Barcuzzi.

Lonato, ubicata esattamente al punto di intersezione fra la via Gallica e la principale diramazione verso nord, si trovava sull’asse del decumano massimo che partiva da Brescia e passava da Pontenove ortogonale al cardine Lonato- Carpendolo-Acquafredda, come risulta da studi finora compiuti sulla centuriazione in questo angolo della provincia bresciana interessato dalle colline moreniche.

Lonato era un nodo stradale importante e significativo e la documentazione archeologica è piuttosto abbondante, anche se purtroppo per ora mancano le evidenze di siti scavati sistematicamente.

Fortunatamente, nel 1985, in occasione di un grosso sbancamento effettuato dall’ ENEL, nella località Fornaci dei Gorghi, posta a sud di Lonato, nelle vicinanze della strada che congiunge Castiglione delle Siviere con Desenzano, venne alla luce un complesso di sei fornaci romane ed altri spazi di servizio che la Soprintendenza Archeologica della Lombardia ha potuto studiare con scavo sistematico, sotto la direzione della prof.ssa Filli Rossi.

Le fornaci scavate hanno permesso di stabilire che il sito costituiva un complesso artigianale di notevole importanza, adibito alla produzione esclusiva di laterizi, in particolare di embrici, mattoni e tegole, attivo nel I e II sec. d. C., abbandonato improvvisamente per motivi che non hanno potuto trovare risposta.

La scelta di quest’area fu determinata dalla prossimità di arterie di grande traffico ed in tutte le direzioni, dalla vicinanza di un corso d’acqua (il Redone) e dalla facilità di approvvigionamento del combustibile.

Il complesso doveva occupare manodopera di entità non trascurabile e la produzione era destinata ad un mercato che interessava un ampio raggio del territorio circostante.

Una sola fornace, dopo gli scavi, è stata restaurata con l’apertura al pubblico.

Il sito di Colombare delle Pozze

Se si fa eccezione della piccola iscrizione funeraria murata a destra della facciata della chiesa del Corlo (CIL. V. 4033), nel territorio lonatese non è conservato alcun reperto di epoca romana.

Eppure, quando, negli anni 1962-63, vennero alla luce le strutture murarie del sito poi vincolato di Colombare delle Pozze, posto nel pianoro sottostante la pieve romanica di S. Zeno, furono ammirati resti di pavimento a mosaico bicolore, basamenti di colonne, vari materiali ceramici e metallici, rilievi in marmo e alcune monete.

Il complesso venne datato fra il I e il IV sec. d. C.

I materiali dovrebbero essere conservati presso la Soprintendenza Archeologica della Lombardia.

Una mano in marmo, di grandezza naturale, parte di una statua ancora sepolta, è stata documentata con l’immagine fotografica pubblicata dal Giornale di Brescia del 29 novembre 1962, ma di essa se ne sono perse le tracce.

Anche di un capitello di colonna, rinvenuto alle Colombare, pubblicato a firma di uno degli assistenti agli scavi per conto della Soprintendenza, abbiamo la fotografia nel Numero Unico della Fiera di Lonato del 1967. Anche questo reperto è andato perduto.

Il Giornale di Brescia del 30 marzo 1988 rendeva nota una foto aerea all’infrarosso della località Pozze, dove venivano evidenziati i muri perimetrali di un notevole edificio absidato, compreso nell’area vincolata dalla Soprintendenza.

Nel Notiziario del 1990 della Soprintendenza Archeologica della Lombardia, a firma Filli Rossi, che aveva diretto altri sondaggi nel sito delle Pozze si afferma: Si può quindi confermare la presenza nell’area di un esteso complesso abitativo in uso probabilmente tra I e IV sec. d. C.

Nella estesa superficie affiorano da sempre, specialmente dopo le arature, abbondanti tessere di mosaico.

Dopo anni di silenzio, l’area è stata oggetto di prospezioni geofisiche avvenute nella primavera degli anni 1997-98 e 2000, con apparecchiature di proprietà dell’Università di Padova, Dipartimento di Geologia e Geofisica, in accordo con la Soprintendenza Archeologica della Lombardia.

Le indagini eseguite nel 1997, che hanno interessato un’area di circa 14 mila metri quadrati, sono state oggetto della tesi di laurea del geologo lonatese dott. Damiano Scalvini discussa a Padova nel 1997 e di una ampia e documentata relazione dello stesso Scalvini pubblicata sul Numero Unico della Fiera di Lonato del 1999.

La campagna radar del 2000, eseguita sotto la direzione dell’ing. Ermanno Finzi del citato Dipartimento dell’Università di Padova, ha interessato in modo particolare l’edificio segnalato dalla foto aerea del 1988.

Sulle indagini ha riferito lo stesso ing. Finzi unitamente al dott. Scalvini in una relazione, documentata con molte diapositive, tenuta presso la sala consiliare del Comune di Lonato il 1 giugno 2000.

Anche se la prospezione georadar non permette di conoscere la qualità dei reperti segnalati né la loro datazione, è chiaro che essi vanno rapportati a quella stabilita dai sondaggi del decennio precedente.

Colpiscono le dimensioni dell’edificio absidato, che sono, per quanto riguarda il corpo principale, di circa m. 8 x 14. A esso sono uniti vari altri ambienti di minori dimensioni.

Alla luce di queste ultime indagini, il sito delle Pozze comincia ad avere una rilevanza sempre maggiore.

Pare ormai certo che esso sia stato il più antico insediamento, legato alla strada romana e alla Pieve di S. Zeno.

La strada romana

La strada romana, che passava in prossimità delle Colombare delle Pozze, aveva origine da Verona dove si staccava dalla via Postumia, e raggiungeva Brescia per proseguire poi verso Bergamo e Milano.

L’indagine moderna, per quanto riguarda il tratto Verona-Brescia, dopo gli studi di Pierluigi Tozzi(2), di padre Giovanni Coradazzi(3) e di Luciano Bosio(4), è giunta a risultati ormai difficilmente contestabili.

Due punti da tutti accettati sono:

-ARA DECIMA, posta nella località e via omonima in comune di Sona, frazione di S. Giorgio in Salici, posta esattamente a 10 miglia romane da Verona(5), toponimo indicato anche nella cartina al 25.000 dell’I.G.M.;

-PONTENOVE , dove la strada attraversava il Chiese e dove venne edificata la chiesa omonima del V sec., nel luogo di assistenza a passanti.

Altre due testimonianze del suo percorso ci vengono dalle pietre miliari numerate superstiti(6) e che si possono con certezza ritenere rinvenute sul luogo di provenienza:

-il miliare che il Mommsen (CIL.,V, 8023) dice rinvenuto a mille passi dopo Peschiera, con dedica all’imperatore Decio e perciò del III secolo, con l’indicazione di XVIIII miglia da Verona, che corrispondono esattamente a 28,5 Km. da Verona. Ora si trova al museo veronese Maffei.

-il miliare che il Mommsen (CIL., V, 8031) dice murato alla chiesa di S. Pietro di monte Roseo, ora cascina S. Pietro di Bedizzole, dedicato agli imperatori Valentiniano e Valente del IV sec., con l’indicazione di XXXII miglia da Verona, che corrispondono esattamente a 48 Km. da Verona. Oggi al Museo Bresciano.

Se si accettano questi quattro punti come dati certi, rimane da esaminare solo il tratto intermedio (di 13 miglia = a circa 28 Km.) che va da Peschiera a Monte Roseo di Bedizzole, posto nelle vicinanze di Pontenove.

Fra il miglio XVIIII (Km. 28,5) di Peschiera ed il miglio XXXII (Km. 48)di Bedizzole sono, pertanto, da collocare tutti gli altri miliari numerati rinvenuti tutti tra Sirmione e Rivoltella e cioè:

-quello a XX miglia (30 Km.) che sempre il Mommsen (CIL.,V, 8026) ha letto presso la chiesa della Madonna della Villa di Rivoltella, in località S. Francesco, dedicato a Magno Massimo e Flavio Costatino, del IV sec.;

-i due posti a XXIII miglia (34,5 Km.), dei quali il Mommsen dice averne trovato uno al campanile della chiesa campestre di S. Maria di Rivoltella, (CIL., V, 8027) dedicato a Costantino e perciò del IV sec. e l’altro, dedicato a Decio (III sec.), (CIL.,V, 8028), all’epoca murato all’angolo sinistro della chiesa di Maguzzano, ora al museo di Brescia;

-quello a XXVI miglia (39 Km.), dedicato a Valentiniano e Valente del IV sec. (CIL,, V, 8029), trovato a Maguzzano, ma poi scomparso(7).

Quanto sopra esposto riesce a chiarire le incertezze e le supposizioni da molti sostenute circa il percorso della via Gallica, nel tratto fra Verona e Brescia.

Almeno una cosa sembra certa: la via romana non passava da Maguzzano, come molti hanno sostenuto, ritenendo erroneamente rinvenuti in luogo i due miliari ivi murati.

La strada romana, costretta a correre in riva al lago per evitare le insidie della infida e impenetrabile Silva Lucana, da Rivoltella essa puntava verso il Venzago, vicino alle fornaci dei Gorghi e, attraversata la sella di Brodena, giungeva al sito di Colombare delle Pozze per proseguire poi per Brescia, passando dalla Bettola (Bibetula), monte Roseo e Pontenove.

Altro problema che è stato molto dibattuto, è quello della distanza fra Verona e Brescia che è di circa 65 Km. seguendo la Padana Superiore e che è uguale a quello indicato nella Tabula Picta o Tabula Pautingeriana(8) e nell’Itinerario Antoniniano che, entrambi, la indicano in 44-45 miglia (pari a circa 65 Km.), mentre nell’Itinerario Burdigalese, l’unico datato all’anno 333 e che sembra essere legato a Lonato, la distanza è di 31 miglia (47 Km. circa).(9)

Va detto che la Tabula di Pautinger, l’Antoniano e il Burdigalese(10) segnano la distanza nel senso da ovest a est, cioè in direzione di Aquileia, mentre i migliari trovati fra Verona e Brescia e da Brescia a Bergamo la calcolano da est verso ovest, cioè da Verona verso Brescia, ecc.

Nella Tabula di Pautinger, fra Brescia e Verona, a 32 miglia (Km. 48 Km. circa) è collocata Ariolica (Peschiera).

L’Antoniniano, esattamente a metà fra le due città, cioè a 22 Miglia (33 Km. circa) segnala la Sermione mansio.

Il Burdigalese, un elenco di tappe steso da un pellegrino cristiano che si mosse da Burdigala (Bordeaux) per raggiungere la Terra Santa(11) indica: da civitas Brixia a mansio Ad Flexum mil. XI, da questa alla mutatio Beneventum mil. X e poi per civitas Verona mil. X, per un tolate di sole 31 miglia (47 Km. circa).

La differenza di quasi 10 miglia, unitamente alla collocazione della mansio Ad Flexum, hanno fatto versare fiumi d’inchiostro. Molti la collocano a Bedizzole(12), altri a Rivoltella, altri ancora a Sedena, frazione di Lonato.(13)

Il Bosio(14), volendo far coincidere la Mansio Ad Flexum con Sirmione, come nell’Antoniniano, pensa che fra Brixia e Ad Flexum sia caduta una mutatio e, pertanto ricostruisce il percorso come segue:

Civitas Brixia

mutatio …. mil. XI

mansio Ad Flexum mil. XI

mutatio Beneventum mil. X

civitas Verona mil. X

Quest’ipotesi non convince. E’ forse più accettabile la caduta di una V per la distanza da Brescia alla mansio Ad Flexum. Si avrebbero così XVI miglia da Brescia, pari a circa 24 Km., che coincide esattamente alla distanza da Brescia a Lonato.

Certamente la mansio Ad Flexum si trovava a segnalare un’importante svolta (flexus), un ampio arco o tornante, come il toponimo stesso indica.

A causa della morfologia della zona morenica che la strada doveva affrontare, non era possibile rispettare la legge di linearità sempre praticata dai Romani dove possibile e caratteristica delle strade romane e non è fuori luogo pensare che, nel IV secolo, la grande curva che essa formava passando nel territorio lonatese, sia stata nota e comunemente conosciuta come quella della mansio Ad Flexum, sita alle Colombare delle Pozze.

Sulla base delle indicazioni e degli elementi oggettivi precedentemente esposti, possiamo ritenere, a mio modesto avviso, che, nel IV secolo, la strada da Verona a Brescia aveva il seguente percorso: uscita da Verona dove si congiungeva con la via Postumia che portava ad Aquileia, con un rettilineo segnato al X miliare dall’Ara di Decima ( mutatio Beneventim), per proseguire fino a Peschiera (Ariolica) e Sirmione (che fu probabilmente in epoca precedente mansio) e Rivoltella. Qui la strada si staccava dalla riva del Garda per raggiungere S. Pietro di Desenzano, Centenaro, Venzago, Brodena e Lonato dove, nel secolo IV, si trovava la mansio Ad Flexum e vi era l’incontro ortogonale con il cardo Lonato, Carpendolo, Acquafredda. Proseguiva poi, toccando la Bettola e monte Roseo, fino a Pontenove, dove attraversava il Chiese e da qui, con un rettilineo, raggiungeva Brescia, passando Rezzato e S. Eufemia.

Caduto l’impero romano, le strade vennero abbandonate e le mansio cancellate, per cedere il posto, nei secoli successivi, alle Pievi.

A conclusione dell’argomento, non è fuori luogo considerare che tutte le Pievi sorte lungo il binario della strada romana Brescia – Verona sono legate a punti nevralgici della viabilità (incroci stradali, ponti, posti fortificati). Quella di Nuvolento, dove vi era il mercato alla biforcazione con Vobarno, Pontenove, nel punto di attraversamento del Chiese, Sirmione e Peschiera sedi di importanti presidi militari.

La Pieve romanica di S. Zeno

Anche la Pieve di S. Zeno, seguendo questa logica, trae origine dalla mansio Ad Flexum, dopo che essa fu completamente cancellata quale luogo di sosta dei viandanti, con servizi di alloggio ed empori di merci per le necessità degli utenti la strada.

Per accresciute esigenze di difesa la popolazione sentì la necessità di trasferirsi sulla più sicura collina sovrastante, molto probabilmente richiamandosi all’antico pagus.

La Pieve lonatese è da sempre compresa nella diocesi di Verona. Non va trascurato che le mansio corrispondevano in genere ad una località a circa una giornata di marcia dalla città(15). Nel nostro caso da Verona, appartenente alla X Regio Venetia et Histria, con il Patriarcato di Aquileia.(16)

La Pieve di S. Zeno, che documenti originali dei secoli successivi descrivono dotata di notevole, antico patrimonio(17),fu sede insieme civile e religiosa della comunità dei vicini, la Vicinia o Università, antenata del Comune rurale che, in un primo tempo, non poteva che rimanere nell’orbita della città capoluogo (cioè Brescia) ed obbedire e vivere secondo gli Statuti di questa.(18)

Non solo intorno alla Pieve di S. Zeno, ma anche dove poi sorgerà la Lonato attuale, in Cittadella, si riorganizzarono e vissero gli antenati lonatesi nei secoli VI-X.(19)

La presenza longobarda sul nostro territorio è ricordata dai numerosi toponimi quali Centenaro, i vari gazi, brede, ecc. Ancora nel 1260 un lonatese dichiarava di vivere secondo la legge longobarda.(20)

Documenti relativi a Lonato dei secoli che vanno fino al XII, fatta eccezione per quello del 10 giugno 977(21), non ne sono pervenuti.

Il più antico che registra l’esistenza di Lonato è la Bolla di papa Eugenio III data a Viterbo nel 1145, dove la Plebem de Leunado è nominata, oltre che cum cappellis et decimis, anche cum castello.(22)

Altro documento segnala la presenza dell’Arciprete Aicardus de Leonadi in data 28 settembre 1167, alla consacrazione della chiesa di S. Michele di Drugolo.

Il documento fondamentale, che finalmente ci offre un primo scenario di Lonato, è la Bolla di papa Lucio III data a Verona il 10 ottobre 1184.(23)

Il lungo elenco delle proprietà appartenute alla Pieve di S. Zeno porta a considerare in modo particolare la netta e chiara distinzione che viene fatta fra il sobborgo del vecchio castello e l’altro sobborgo già esistente in Lonato, ai piedi della Cittadella.

Oltre a questo principale documento, la lettura delle pergamene dei secoli XIV- XV dell’Archivio Storico del Comune ci fornisce una mappa di Lonato con centro principale in Cittadella e relativa piazza, con il sobborgo che si snodava fra la sottostanti piazze di Corrobiolo, Corlo, Pelagallo e Montebello.

Il Comune di Lonato conservò l’autonomia posseduta da tempo immemorabile. Ne è prova il Privilegio in data 23 ottobre 1184(24) rilasciato dall’imperatore Federico I Barbarossa ai due consoli che, a nome della Comunità, si erano recati a Verona ottenendo conferma dell’indipendenza e della conservazione delle proprietà comunali.

Dopo un lungo periodo di alterne dominazioni degli Scaligeri, dei Gonzaga, dei conti di Casaloldo, Lonato entrò, nel XIV secolo, nella sfera di influenza dei Visconti di Milano.

La Cittadella

 

Della sua esistenza, come abbiamo già accennato, si accenna nella famosa Bolla di papa Lucio III del 1184, dove si descrivono le proprietà che la Chiesa lonatese aveva nel sobborgo di Lonato. L’esistenza di un sobborgo sottintende quella del borgo che non poteva essere che la Cittadella della quale trattano gli antichi Statuti di Lonato.

Sappiamo che essi vennero a formarsi nel tempo, raccogliendo norme e consuetudini che probabilmente in precedenza vennero tramandate solo verbalmente e codificate solo nel 1412, al tempo della dominazione Gonzaga, ma includendo in gran parte quelle, purtroppo andate perdute, avute al tempo dell’ età viscontea, che si possono chiaramente enucleare perché del tutto identiche a quelle degli Statuti di Salò del 1386.

Gli Statuti lonatesi del 1412, agli articoli 51 e 100 (aggravamento delle pene per reati commessi) e 283 (divieto di accesso alle fosse)(25)parlano della Cittadella indicandola come il centro principale della vita della comunità, perché sede delle magistrature amministrative e politiche, munita di fosse e porte.

Se si considera che l’attuale sede del Comune(26) è stata costruita solo nei primi anni del 1600, appare chiaro che in precedenza aveva sede in Cittadella, così come lì avevano sede il Capitano e Podestà in epoca viscontea ed i Rettori, cioè il Provveditore e il Podestà, dal 1441, quando Lonato entrò a far parte della Terraferma della Serenissima.

La rappresentazione prospettica della Cittadella, redatta nel 1700, conservata sia presso l’archivio storico del Comune che presso la biblioteca Da Como(27), fa pensare alla struttura del castrum romano, con le due porte (la principale posta alla piazza Mercato, e la Milanesa), la srada centrale che le metteva in comunicazione e le diramazioni laterali e cinto di mura e di fosse.

Della porta che si apriva verso l’attuale piazza Mercato esiste un’ interessante descrizione in un atto di compra-vendita di una casa stipulato il 16 ottobre 1539(28) e conservato nell’archivio storico del Comune. La casa, dice il documento, era in muratura e coperta di coppi e si trovava a margine della fossa della Cittadella e vicino al rivellino della porta i cui ruderi sono segnati al punto 15 del disegno del 1700 e ricordati nelle Memorie storiche lonatesi del Cenedella.(29)

La Cittadella aveva, al centro della sua piazzetta, un pozzo pubblico, segnato ancora nelle prime mappe del XIX secolo e ora trasferito nell’area della casa Da Como.

La Cittadella, quale entità edilizia tanto importante per la storia di Lonato, non è mai stata considerata dagli storici locali, perché con il suo accorpamento entro le mura, costruite nel XIV secolo, perse la sua identità e ai riferimenti contenuti negli Statuti non si diede mai rilevanza.

Il canonico Andrea Parolino, nella sua Succinta informazione dello stato della Terra di Lonato avanti e dopo le sue rovine (30)(quelle del 1339), scritta nella seconda metà del 1600, fa risalire la costruzione della Cittadella al periodo visconteo. La sua affermazione(31) venne poi ripresa dai successivi studiosi lonatesi e provocò una certa confusione alla quale è tempo di porre rimedio auspicando studi approfonditi dell’area.

La distruzione del 1339

 

Nel 1339 Azzone Visconti divenne Signore di Brescia e suo territorio, compreso Lonato.

Fu in quello stesso anno che Lonato subì la più completa distruzione che la sua storia ricordi e che portò all’abbandono del borgo che sorgeva intorno all’antica Pieve di S. Zeno, che venne ricostruita mediante l’utilizzo dei materiali rovinati, ma non rimase più la sede parrocchiale, trasferita nel sobborgo della Cittadella, sotto il nome di S. Giovanni Battista, titolare del fonte battesimale.

Avvenne che il fratellastro di Azzone, Lodrisio Visconti, capo di una grossa schiera di soldati di ventura di nazionalità tedesca patrocinata dagli Scaligeri, gente scellerata e assetata di bottino che si diede beffardamente i nome di Compagnia di San Giorgio, assalì l’antico borgo e lo rase al suolo, uccidendo, incendiando e disperdendo gli abitanti.(32)

Il castello visconteo

 

I Visconti, subito dopo l’atterramento e l’abbandono dell’area di S. Zeno, costruirono in Lonato, in posizione strategica, il Castello, localmente chiamato Rocca, inglobando nella fortezza la Cittadella. La sua costruzione, con l’aiuto della popolazione di Calcinato(33),venne ultimata nella seconda metà del XIV secolo.

La rappresentazione grafica più antica è una stampa risalente alla prima metà del XV secolo, opera di certo Giovanni Pisato.(34)

La descrizione di Marin Sanuto, del 1483(35),in cui viene menzionata per la prima volta la Cittadella, è corredata da un disegno estremamente semplificato del Castello, è forse l’unica descrizione pervenutaci:

Lonà è uno castello sopra uno colletto de monte…tutto murado di mure de cuogoli debellissime…A’ una cittadella arente il castello, murada, ma trista, con alcune caxe…Il castello che di sopra è pinto, è più alto di la terra, et è in triangolo con molti toresini, et signoriza la terra; et ben che la terra fusse persa, tamen la rocha poria aver soccorso da la banda di Sallò. A’ il soccorso forte murada de mure alte pur de cuogoli, de bombarde et artigliarie ben munita, sichè avendo vituaria al tempo di guerra, se poria tener forte.

Nei primi affidabili impianti planimetrici del secolo XVIII(36) il Castello appare collegato alle mura e alla sottostante Cittadella, a sua volta separata dal resto del borgo per mezzo della sua cortina muraria che era coronata da merli alla guelfa, a forma di parallelepipedo, a difesa del cammino di ronda.

Nella parte ad est del quartiere più elevato detto rocchetta è situata la casa del castellano, ora sede del museo ornitologico e di una sala per convegni.

Dopo l’improvvisa scomparsa dell’ultimo dei Visconti, il grande Gian Galeazzo, colto dalla peste il 3 settembre 1402, la vedova Caterina Visconti consegnò Lonato e la sua fortezza a Francesco Gonzaga a garanzia di un grosso debito contratto dal marito per la sua condotta militare.

I Gonzaga, data l’enorme importanza strategica che aveva il castello di Lonato perché situato al confine del loro stato, gli riserbarono particolari attenzioni, nominando in esso un Podestà, quale giudice togato, e rielaborando gli Statuti lonatesi che Gianfrancesco Gonzaga faceva riscrivere in un corpus unificato ed emanato il 1 gennaio 1412.(37)

In epoca veneta Lonato era un avamposto di notevole importanza strategica, anche se dal XVIII secolo in poi, non servì mai a tale scopo per le mutate regole di guerra e la condizione di neutralità armata e disarmata dichiarata dalla Repubblica del Leone. Dal 1441 al 1797 (salvo il breve periodo 1509 – 1516) Lonato fu dichiarata fortezza della Terraferma di Venezia.

Lonato e la cinta muraria

 

Con la costruzione del castello visconteo, delle mura con fossato e le porte, avvenuta nel XV secolo, Lonato cambiò radicalmente la sua identità urbanistica.

La viabilità fra Brescia e Verona, oggi identificabile con il percorso della Via Regia Antica, venne fatta passare all’esterno della fortezza.

Nella cinta urbana, dotata di alcuni torrioni (Pedegallo e Monello), si aprivano tre porte: Corlo, Clio e Cremonese. La prima recava a Brescia, la seconda verso Verona e la terza, detta successivamente Porta Stoppa, murata al tempo della dominazione della Serenissima.

Il borgo fortificato subì notevoli cambiamenti nel tessuto urbano che vide le prime abitazioni in muratura e coperte da tegole (cuppate) e che nel XVI – XVII secolo occuparono tutta l’area recintata, con al centro la Chiesa Parrocchiale titolata a S. Giovanni Battista, ampliata e riedificata più volte, ed il cimitero.(38) Solo nel XVIII - XIX secolo, fuori delle porte Corlo e Clio, verranno a formarsi i rioni nuovi, per la decadenza del prestigio militare della fortezza.

Nell’intento di fornire un percorso temporale dell’edilizia entro le mura, va ricordato che una primitiva chiesa del Corlo forse sorgeva già prima della recinzione muraria, come testimoniano gli affreschi, venuti alla luce nel 1950, databili ai secoli XII – XIII, che si richiamano allo stile gotico – bizantino.(39) Va ricordata, a questo punto, anche la chiesa romanica di S. Cipriano, fuori le mura, risalente al XII – XIII secolo.(40)

Fino al XVI secolo, tutti gli edifici dove risiedevano i rappresentanti della Comunità e i Rettori erano situati in Cittadella, fatta eccezione della Chiesa Parrocchiale e annesso cimitero.

Dalla metà del 1500 in poi sorgono la Torre Civica(41), fino alla metà del 1800 coperta con un capolino di piombo, il palazzo del Provveditore, quello del Podestà, quello della Casa Comunale (primi 1600), il rifacimento della chiesa del Corlo ad opera della Confraternita dei Disciplini, la chiesa di S. Giacomo e Filippo(42), la chiesa di S. Antonio(43) e S. Giuseppe.(44)

Fuori le mura fu costruito il Convento dei Padri Minori Osservanti, soppresso in epoca napoleonica, oggi noto come la Fabbrica dei fiammiferi, posto in località Lonatino.(45)

L’unico esempio di edilizia abitativa quattro - cinquecentesca, ancora oggi visibile, è rappresentato dalla Casa Papa già Cerutti, localizzata nella zona a sud, lontana rispetto alle sedi dei poteri militare e religioso.(46)

A cavallo fra il XVI e il XVII secolo sorse il palazzo in origine di proprietà Tommasi, oggi di proprietà comunale, chiamato Carpeneda, contiguo al Duomo.

Opera della metà del Settecento, attribuito ad Antonio Tubino (1675 – 1756) è il palazzo Gerardi, poi Ungano ed oggi di varie proprietà, che non si presenta in buone condizioni di manutenzione.

Godibile è, invece, il palazzo Zambelli costruito a fine secolo XVIII, già sede della Pretura, di proprietà comunale, con belle sale affrescate e la nota galleria degli specchi decorata con stucchi rococò.(47)

Molto interessante la coeva casa Robazzi già Girelli, con un bellissimo camino del 1500.(48)

Altro bellissimo palazzo è quello già Savoldi, oggi Canale, purtroppo non aperto al pubblico, con affreschi di un pittore di vaglia, tale Bozzoli di Bedizzole, ed un portico con colonnato in stile ionico.(49)

Uscendo da Lonato per dirigersi a Desenzano, sulla destra si può ammirare la loggetta di casa Orlandini con colonne ioniche e un balcone in ferro battuto. All’interno, come in molte case lonatesi, un portico con colonnato.

Agli inizi del secolo scorso il senatore Ugo Da Como, avendo acquistato dal Comune di Lonato, con atto del 1906, la cadente caserma Podestà, volle sull’area costruirsi una dimora ove poter raccogliere, come avvenne, inestimabili tesori bibliografici e d’arte, in ogni sua espressione.

La costruzione, che alla morte del Da Como fu costituita in Fondazione, amministrata dall’Ateneo di Brescia, è opera dell’architetto Antonio Tagliaferro e dell’ing. Arnaldo Trebeschi.

La Fondazione Da Como è visitabile a pagamento. Custodisce preziosi mobili, peltri, tele, affreschi, ceramiche, suppellettili, ed oggetti vari, raccolti dal proprietario. La grandiosa Biblioteca custodisce manoscritti ed incunaboli unici.

Secondo il Lechi(50) sono da attribuire a Floriano Ferramola (1478 – 1528) i bellissimi affreschi del grande atrio d’ingresso, fra i quali spiccano i ritratti di quattro condottieri, che dovevano appartenere al palazzo Calini di vicolo Borgondio in Brescia. Apparteneva al palazzo Ugoni già Cigola di Brescia il bellissimo soffitto ligneo, dono dell’amico on. Marziale Ducos.

Drugolo

 

E’ un castello residenziale in buono stato di conservazione. Si presenta in una struttura uniforme, compatta e imponente, con quattro grosse torri d’angolo.

Attualmente è chiuso al pubblico. Dalla strada è visibile il possente lato nord. Ad est, nascosto da una recente muraglia, c’è l’ingresso con il ponte levatoio. I merli sono a coda di rondine, l’insegna ghibellina, anche se i vecchi feudatari, gli Averoldi furono guelfi.

Costruito, nelle sue mura perimetrali, sulla fine del Trecento, sembra dai Griffi, presto scomparsi dalla scena politica di Brescia, dopo alterne vicende, fu venduto alla ricca famiglia Averoldi nel 1436, che lo tenne per circa cinque secoli. Attualmente è di proprietà del barone Lanni della Quara che lo acquistò nel 1935.

Esenta

 

L’origine del nome di Esenta e della stessa borgata è dovuto al trattato concluso fra la Repubblica di Venezia, rappresentata dal doge Agostino Barbarigo, ed il Principato dei Gonzaga, retto da Rodolfo, in data 16 ottobre 1492(51) per la risoluzione del problema dei confini fra Lonato e Castiglione delle Stiviere.

Fra i patti stipulati in quella occasione si stabilì di creare una fascia di 200 pertiche fra le Bocche di Malocco ed il confine di Castiglione dove era proibito ad entrambe le parti ed in perpetuo di costruire qualsiasi opera di fortificazione ars aliqua sive turris ad usum belli. Essa doveva essere destinata ad esclusivi usi agricoli e exempta et immunis ab omni angaria tam reali quam personali et mixta et imbotado.

Pur appartenendo territorialmente a Lonato gli eventuali coloni di questo piccolo paradiso fiscale vennero posti, per le cause tanto civili che penali, sotto la giurisdizione del Podestà di Brescia e non a quella del Podestà di Lonato.

Questa particolare situazione politico - amministrativa rimase fino alla caduta della Serenissima.

Sorse, insieme con le prime case, un oratorio dedicato a S. Marco, in seguito sostituito dalla bella chiesa parrocchiale a croce greca, dedicata a S. Ottavio martire.

La chiesa di Esenta rimase legata a Castiglione fino al 1784. In quell’ anno Castiglione si staccò dalla diocesi di Brescia per passare sotto quella di Mantova mentre Esenta rimase sotto quella di Brescia ed assegnato alla parrocchia di Calcinato.

Oggi il borgo di Esenta conta oltre 1000 abitanti ed è la frazione più numerosa di Lonato.

Nella grande piazza è stato eretto un monumento a ricordo dei caduti delle due guerre mondiali.

Il Venzago(52)

Il territorio del Venzago costituiva la parte di Lonato delimitata da una linea che correva ai piedi delle colline moreniche di S. Cipriano, Brodena, Malocco ed Esenta ed andava agli attuali confini di Desenzano, Pozzolengo, Cavriana, Solferino e Castiglione delle Siviere.

Il lonatesi la chiamavano la possessione perché acquistata dagli originari all’inizio del XV secolo.

Essa fu causa di secolari liti fra originari e non e fra il Comune di Lonato e la Magnifica Patria di Salò che cessarono solo alla fine del 1700, quando la possessione, divisa in lotti, fu venduta al pubblico incanto per risanare il Comune degli infiniti debiti contratti al tempo della campagna di Napoleone del 1796.

Non si conoscono le vicende del Venzago dal tempo della caduta dell’impero romano fino all’VIII secolo.

Della presenza romana, oltre alle famose fornaci dei Gorghi, è conservato il ricordo della centuriazione nel nome dei colonnelli che interessavano non solo la piana dei Campagnoli, ma tutto il suo territorio.

Fino al XII secolo il Venzago risulta appartenere ad alcuni monasteri maschili e femminili(53),per passare in feudo alla famiglia Boccacci di Rivoltella nel secolo successivo.

Nell’Estimo di tutte le Quadre e Terre del territorio bresciano, formato sotto il dominio dei Visconti, datato 1385(54) troviamo il comune di Venzago compreso nella Quadra di Montichiari.

Nel secolo XV, essendo Desenzano, capoluogo della Quadra di Campogna della Magnifica Patria di Salò, diventato il più importante mercato di biade della Terraferma veneta, la appartenenza territoriale del Venzago a Lonato venne messa in discussione.

La rete stradale del Venzago, alle spalle del grande emporio di biade di Desenzano, venne rivendicata da Salò, che mise in discussione la sua appartenenza a Lonato, richiamandosi anche all’Estimo del 1385.

La lunga contesa con la Magnifica Patria venne chiusa con sentenza emessa il 3 dicembre 1550 da uno speciale Collegio di Venti Senatori e Dieci Sapienti Ordinari, nominato dal Senato Veneto. Il Venzago, pur rimanendo di proprietà degli originari di Lonato, fu annesso come territorio della Quadra di Campagna, con motivazioni che si richiamavano alla opportunità e alla ragion politica.

La nuova ripartizione territoriale avvenuta nel 1797, con la Repubblica Bresciana, Il Venzago ritornò definitivamente a far parte di Lonato.

Maguzzano

Alcuni resti di plutei, pilastrini ed architravi confermano che una abatiola con una piccola comunità di monaci esisteva a Maguzzano già nei secoli VII o VIII.(55)

Notizia sicura della sua esistenza è fornita da un decreto datato 929(56) con il quale il vescovo di Verona Raterio interveniva con provvedimenti disciplinari e con la nomina di monaci benedettini.

Altro documento importante è la bolla in data 1154 di papa Eugenio III inviata al vescovo di Verona Teobaldo nella quale, fra le chiese appartenenti alla sua Diocesi, è elencato anche il Monasterium de Maguzano cum cappellis et decimis et pertinentibus suis.

Dal 1190 inizia la lunga serie degli abati e da allora la vita della comunità religiosa forma tutt’uno con quella civile.

Nel corso del XIV secolo, abbandonata perché inabitabile(57),i monaci trovarono rifugio in Lonato, in una casa di loro proprietà sita nell’area dell’attuale Istituto Paola di Rosa. Papa Eugenio IV decretò l’unione perpetua dell’attigua chiesa di S. Giacomo e Filippo con l’abbandonato ed inabitabile monastero di Maguzzano. Nel Breve dato a Firenze il 10 dicembre 1436 il nuovo monastero fu registrato sotto il titolo di S. Maria di Lonato alias de Maguzzano.

Dopo altre vicende, i cui particolari è impossibile qui riassumere, il monastero di S. Maria di Lonato, alias di Maguzzano, passò pleno jure a quello di S. Benedetto di Polirone. I confratelli mantovani nel 1491 s'assunsero l’onere di riedificare dalle fondamenta l’attuale magnifico monastero. L’opera fu completata nel 1496.

Nel secolo XVI Maguzzano divenne un centro religioso e culturale di grande prestigio ed ospitò il cardinale inglese Reginaldo Pole.(58)

L’abbazia fu soppressa nel 1797 e divenne proprietà privata. Fu acquistata nel 1904 dai monaci cistercensi trappisti che l'abbandonarono nel 1938.

I Cistercensi, trasferitisi in Francia, nella millenaria abbazia di Notre Dame D’Aiguebelle, portarono con se una grande fotografia di Gabriele D’Annunzio con la seguente dedica autografa:

A’ mes chers Frères en le Fils de l’Homme,

nunc et semper. Maguzzano a 19 sept. 1922(59)

Oggi l’antica abbazia è retta con amorevole cura dalla Comunità religiosa di don Calabria ed è un ritrovo di spiritualità e d'ecumenismo.

Suggestivi e di grande rilevanza artistica sono il chiostro e la pala del Moretto conservata nella chiesa attigua.

 

 

 

NOTE

1-Che conserva ancora oggi la serrata planimetria a schema quadrangolare, tipica delle fortificazioni di origine romana, con due porte e fossato.

2-PIERLUIGI TOZZI, Storia padana antica, Milano, 1972, pp. 116-126.

3-GIOVANNI CORADAZZI, La strada romana da Pontenove a S. Eufemia, in "Memorie Storiche della Diocesi di Brescia", V, XXXI, 1964 e La rete stradale romana fra Brescia, Bergamo e Milano, Brescia, 1974.

4-LUCIANO BOSIO, Le strade romane della "Venetia" e dell’"Histria", Padova, 1991.

5-Dove era posta la mutatio Beneventum dell’Itineraio Burdigalese.

6-PATRIZIA BASSO, I miliari della Venetia romana (Archeologia Veneta, IX) Padova, 1986.

7-I due miliari vennero portati, alla fine del XV sec., dai Benedettini di Polirone, quando ricostruirono il Monastero di Maguzzano, per dare al nuovo edificio un piccolo richiamo di romanità, come era consuetudine in epoca rinascimentale.

8-Custodita nella Biblioteca Nazionale di Vienna e che segna il tratto Bergamo-Verona.

9-Le numerosissime discordanze delle distanze tra i vari Itinerari, sono da attribuire spesso alle disattenzionioni dei copisti, ma anche ai vari interventi di ristrutturazione e riadattamenti.

10-OTTO CUNTZ, Itineraria Romana, V. I, Lipsia, 1929.

11-Una copia di questo documento è custodita presso la Biblioteca Capitolare di Verona (Mss. 52).

12-ODIRICI, Storie Bresciane, II, p. 83.

13-LORENZONI, Da Tellegate a Beneventum dell’itinerario Burdigalese, Brescia, 1962.

14-Op. cit., p. 103.

15-L. BOSIO, Itinerari e strade della Venetia Romana, Padova, Cedam, 1970, pp. 89-92.

16-La tradizione vuole che l’evangelizzazione delle terre comprese nell’arco che va da Peschiera alla Valtenesi sia avvenuta per opera del vescovo di Verona S. Zeno. Va ricordato anche che il Patriarca di Aquileia, del quale si hanno notizie certe risalenti al III-IV secolo (al Concilio di Aquileia del 381 partecipò anche S. Ambrogio), ancora nei secoli VII.VIII era metropolita di una vasta regione che comprendeva una ventina di Vescovadi in Italia e una decina oltre le Alpi, grossomodo l’area della X Regio.

17-Come si può leggere nella Bolla di papa Lucio III data a Verona il 6 ottobre 1184 e conservata in copia autentica nell’archivio parrocchiale di S. Giovanni Battista di Lonato.

18-L’organizzazione territoriale del Cristianesimo, alle sue origini, è legato alla precedente organizzazione amministrativa.

Cfr. G. CORADAZZI, La Pieve, Travagliato, 1960.

19-Pergamena del 977 in Archivio di Stato/ A. S. C. (Archivio Storico Civico) – Codice Diplomatico Bresciano – Busta 4, pergamene LVII (originale) e LVI (copia posteriore). Certo Rozo de loco Leunado roga un atto di permuta di alcuni beni con la Badessa di Santa Giulia.

20-Cfr. L. LUCCHINI, La Curtis Malochi, in Brixia Sacra, N. S., Anno VI, n. 2-3, 1971.

21-Vedi nota 18.

22-UGHELLI, Italia Sacra, tomo V, p. 791.

23-Copia notarile dell’originale è conservata nell’Archivio della parrocchia di S. Giovanni Battista di Lonato.

24-Cfr. F. ODORICI, Storie bresciane, VI, Codice Diplomatico, p. 37.

25-L. LUCCHINI – G. GANDINI, Gli Statuti Criminali di Lonato del secolo XV, Lonato, 1999.

26-La Vicinia (o Università o Consiglio Generale), cioè l’intero corpo elettorale, depositario dei diritti elettivi attivi e passivi, si riuniva alla fine di ogni anno, ancora nei secoli successivi ed in particolari casi (peste 1630) nella Chiesa Parrocchiale.

27-Disegno di anonimo e disegno del 1792 di Domenico Inganni.

28-A. S. L. , segnatura 297

29-J. A. CENEDELLA, Memorie storice lonatesi,mss. presso la Biblioteca Queriniana di Brescia e copie dattiloscritte presso il Comune di Lonato e la Fondazione Da Como. Quest’opera, anche se ormai superata in molte parti, costituisce il più completo tentativo di una Storia di Lonato. Deriso e disprezzato dai suoi conterranei, lasciò l’opera alla Queriniana, perché riteneva i suoi compatrioti indegni.

30-Parte finale del manoscritto datato 1676 dal titolo: Del facilissimo modo di poter restituire la Chiesa Archipresbiteriale di Lonato in Collegiata senza pregiudizio d’aggravio della Mag.ca Comunità, ne meno della Ven. Confraternita, conservato presso l’archivio della parrocchia di S. Giovanni Battista di Lonato.

31-Bisogna ricordare che il suo scritto può considerarsi il primo trattato di storia lonatese.

32-Cfr. Copia integrale del documento di Regina della Scala, a p. 208 del libro Gli Statuti criminali di Lonato a cura di L.LUCCHINI – G. GANDINI, Lonato, 1999.

33-A. MARINI, Storia della Rocca di Lonato, Calcinato, 1985, p. 68.

34-Carte geografiche del territorio bresciano, Giovanni Pisato, 1440, Biblioteca Comunale di Treviso.

35-Itinerario di Marin Sanuto per la terra ferma veneziana nell’anno 1483, Padova,Tipografia del Seminario, 1847, p. 66.

36-Vedi nota n. 26

37-Le vicende di questo periodo sono, per sommi capi, esposte nel citato libri degli Statuti Criminali.

38-A. PIAZZI, Lonato, la Basilica di S. Giovanni Battista, Brescia, 1980.

39-A. PIAZZI, La Confraternita dei Disciplini e la Chiesa del Corlo in Lonato, Verona, 1975.

40-L. LUCCHINI, La chiesa romanica di S. Cipriano, in Numero Unico Fiera, 1995.

41-L. LUCCHINI, Notizie storiche della torre civica di Lonato, in Numero Unico Fiera 1971.

42-L. LUCCHINI, La chiesa di S. Giacomo e Filippo, in Numero unico Fiera 1994.

43-E. FACCHINI, Lonato nella geografia e nella storia, Lonato, 1928, p. 76. Cfr. anche A. PIAZZI in Numero Unico Fiera Lonato, 1977.

44-L. LUCCHINI, La chiesa di S. Giuseppe in Lonato, Numero unico Fiera 1997.

45-Molte notizie storiche sono contenute nel manoscritto Ristretto istorico dell’anno 1736, presso la Biblioteca Da Como.

46-F. LECHI, Le dimore bresciane in cinque secoli di storia, V. VII, p. 409.

47-Ibidem, p. 406.

48-Ibidem, p. 413.

49-Ibidem, V. IV, p. 281.

50-Ibidem, V. II, p. 399.

51-A. S. C. L. , pergamena originale, segnatura: 283.

52-Cfr.: L. LUCCHINI, In Venzago di Lonato: una proprietà dal XV al XVIII secolo, in Memorie dell’Ateneo di Salò, Vol. VI, Seconda Serie, 1994.

53-G. B. BIANCOLINI, Notizie storiche delle chiese di Verona, libro V, Verona, 1749.

54-Archivio di Stato di Brescia, Ufficio del Territorio, Indice annuale 1037 usque 1496, tomo I.

55-A. NODARI, L’abbazia di Maguzzano, Montichiari, 1991, p. 23.

56-BETTONI, Codice diplomatico benacense in Storia della Riviera di Salò,1880,vol. III, pp. 4-5.

57-G. GANDINI, Storia di un’abbazia: MAGUZZANO, Vol. II, p. 28.

58-Più dettagliate notizie si trovano in: A. NODARI, L’Abbazia di Maguzzano, Zanetti editore, 1991, ed in UDO DA COMO, Umanisti del sec. XVI, Zanichelli, 1928.

59-L. LUCCHINI, Gli ultimi frati di Maguzzano, in Numero Unico Fiera di Lonato 1976.

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