Aveva aspirazioni come cantante, ma la morte del suo maestro lo disimpegnò completamente dal sogno di diventare baritono. Cantò comunque « La Calunnia » del Barbiere, nel teatro di Feltre, ma ... il teatro era vuoto! Aveva dato una mancia al custode per poter calcare quel palcoscenico e la sua voce davvero tonante riempiva il piccolo teatro senza orchestra. Nel '25, la pubblicazione del primo libro da Gobetti. Ma l'incontro con Gobetti era stato preceduto da uno scambio di cartoline, motivato dalla consegna del manoscritto di poesie da parte di Cesare Ludovici. Poi Montale andò a trovare Gobetti a Torino, in via Fabro. Era giovane, molto giovane, imberbe, occhialuto, parlarono a lungo e il Gobetti gli disse e gli confermò che avrebbe pubblicato il libro. In seguito ci fu una breve corrispondenza, poi si incontrarono a Genova, perché Gobetti, per la sua opposizione al Regime Fascista, stava per lasciare l'ItaLa. Montale lo accompagnò alla stazione, si abbracciarono e lui prese un posto di terza classe. Dopo pochi giorni, leggendo il giornale, Montale ebbe la notizia che Gobetti era morto (aveva 25 anni)!

 

Nel '27 Montale andò a Firenze. Era segretario dell'editore Bemporad. finché prese posto al Gabinetto Viesseux, una Biblioteca dell' '800, molto importante, visitata da tutti gli stranieri. Era Direttore e vi rimase fino al '38, finché fu licenziato per ragioni politiche: non era iscritto al Partito Fascista e volevano liquidarlo con la qualifica di commesso di libreria. A Firenze collaborò attivamente alla stampa, a Solaria. Il direttore era Carocci, poi più tardi l'affiancò Giansiro Ferrata, che era laureato da poco. Quelli furono gli anni migliori della rivista, perché in essa si parlava di letteratura straniera e di tanti altri argomenti evitando la politica. E destò molti sospetti tanto che una rivista che si faceva dall' altra parte (non cioé alle Giubbe Rosse, che era stato, del resto, il quartier generale delle avanguardie fiorentine di « Lacerba » e della « Voce », ma al Pascoschi, caffé di fronte) che si chiamava l'Uníversate, diretta da Alberto Ricci, li attaccava violentemente, dicendo che erano tutti bigi, zoppi ed anche dubbi dal punto di vista morale. Incontrò anche Umberto Saba; lo andò a visitare nel suo negozio. Aveva già letto il Canzoniere Triestino e fu accolto molto cordialmente. Saba lo portò con sè in via Francesco Crispi, dove abitava e gli recitò la sua poesia Il Cane. Svevo lo conobbe a Milano, per caso. Aveva già scritto su di lui e aveva visto la sua fotografia su Les nouvelles littéraires; lui stava fermo dinanzi al manifesto del Lohengrin, dinanzi ai portici della Scala, forse era in dubbio se andare o non an-

 

dare a teatro. Era accompagnato dalla moglie, Montale lo seguì un pezzo, non osava abbordarlo, e poi lo fermò e gli disse: « Lei è il signor Schimtz ? ». « Si ! ». « Io mi chiamo Montale ! ». Il nome gli fece una straordinaria impressione, non che Svevo lo conoscesse (Montale era sconosciuto per lui), ma era stato in rapporti d'affari col padre, che gli vendeva acqua ragia, cloroformio e cose di questo genere. Forse la simpatia che Schimtz dimostrò al nostro, per quei pochi anni che gli restavano da vivere fu proprio legata al fatto che era stato in rapporti, eccellenti rapporti di affari col padre di Montale. Dylan Thornas, invece, il poeta inglese morto in giovane età nel 1953, ,andò a trovarlo. Ma non si presentò perché fosse portato da grande ammirazione ed amicizia per lui, andò condotto dal suo traduttore Luigi Berti che voleva fargli conoscere un poeta italiano. Dylan però fu colpito da una istintiva, istantanea e intuitiva antipatia perché giunse in un momento in cui Montale era assente e quindi non fu ricevuto subito. Corse allora in una camera dove c'era un armadio e vi si chiuse dentro rifiutandosi di uscirne e poté dirgli solo qualche parola quando fu tratto fuori: era naturalmente molto ubriaco. Dopo due o tre anni lo ritrovò a Oxford, in una specie di gargotte, e ricordava vagamente il precedente incontro. Però era talmente ubriaco che non riuscì a parlargli neanche quella volta. A Parigi gli fu presentato Samuel Beckett, che aveva tradotto delle sue poesie in una rivista (This quartes) di tipo poundiano.

 

A Montale piace anche dipingere e tiene molto ai suoi quadri, la moglie però diceva che nel piccolo appartamento milanese, dove il poeta vive da 19 anni, i colori ad olio puzzavano e poi sporcavano, e fu costretto a dipingere con dei piccoli gessi scolastici. Ora Montale è solo. Nel 1963 (20 ottobre) quella donna impareggiabile per le energie che gli dette e per quelle che gli chiedette e che tutti chiamavano mosca (chissà perché ?) e che diceva che quei quadri ad olio puzzavano nel piccolo appartamento milanese, è morta. Con i suoi 74 anni (è nato a Genova il 12 ottobre 1896), il poeta sente molto la mancanza della compagna defunta e più ne ricerca l' arcana ospitale presenza. Montale non agisce mai a caso o per forza. Ora restano gli Xenia (1964-1966) dedicati alla moglie, per testimoniare quest'ansia febbrile della memoria e far partecipi gli amici e i lettori di un nuovo dono di poesia. Una pietas viva e non inerte, una « offerta » pura come soltanto la poesia può ricreare e ridonare a noi ed estendere dopo e di là di noi. Ci fa conoscere l'uomo, e « quel groviglio di mortificato e di eroico che si confida a ben pochi », spunta da ogni riga di Montale, anche qui, dove la poesia si dona alla poesia. In quella Milano dove si trasferì dal 1948 entrando a far parte della redazione del Corriere della Sera, dove collaborava dal 1947 (fra i suoi compiti era quello delle « prime » alla Scala sul Corriere d'Informazione) e collabora tuttora con pezzi giornalistici, inchieste, interviste,

 

viaggi, cronache e critiche musicali, ora vive. Milano è una città molto ospitale ed uno dei vantaggi che ha è che non esiste un ambiente letterario, non esistono luoghi dove s'incontrano sempre le stesse facce, gli stessi amici, ecc., ognuno fa una vita separata, indipendente. Del resto Montale conosce poco Milano e forse non finirà qui la sua vita. Vorrebbe andare in campagna, forse ritornare in Toscana, nella sua Firenze, che tanto rimpiange e dove c'erano tanti suoi amici, ormai morti. Ora ricordi, ricordi cari ed indistruttibili, come i primi versi di « Meriggiare », nel 1916, a vent'anni o «Musica Sognata » ... prima altri versi, scomparsi, mai pubblicati, ma suoi che non sono morti, trasfigurati in tante altre « parole » che la tradizione letteraria ha ormai assorbito per renderli immortali. Con Montale il mestiere di poeta si trasforma radicalmente ed il suo desiderio di scomparire, di non, emergere, di essere un « pover'uomo » tra un' infinítà di poveri uomini sta a denunciare ancora una volta la novità della sua presenza e la positiva coscienza della sua scelta. Montale va misurato nel tempo, nello spazio dell'uomo dove il poeta ha vissuto e vive poeticamente in rapporto storico. Le sue tre raccolte poetiche: Ossi di Seppia del '25, Occasioni del '39, La Bufera e altro del '56, si riferiscono nei titoli a questo tempo, cogliendo e sentendo più profondamente il rapporto con i grandi momenti storici