Le
società occidentali conobbero nel dopoguerra una lunga fase di sviluppo
che ebbe come suoi elementi portanti la crescita economica, che si
traduceva in aumento del reddito e dei suoi consumi, e il consenso
sociale, garantito, oltre che dalla crescita stessa, dai meccanismi del welfare
state. Questo equilibrio iniziò a entrare in crisi alla fine degli
anni sessanta, con l’esplosione di quel movimento generalizzato di
protesta che, nel linguaggio storico-politico, è comunemente indicato
come “il Sessantotto”. Il Sessantotto fu un movimento
internazionale, che interessò, sia pure con intensità e
caratteristiche diverse, gli Stati Uniti. L’Europa occidentale,
l’America latina, il Giappone e si fece sentire anche al di là della
“cortina di ferro”, in Cecoslovacchia. Abbiamo anche visto che uno
dei più rilevanti fenomeni sociali del dopoguerra fu la scolarizzazione
di massa, che trasformò l’istruzione media e superiore da privilegio
di un’elite in un bene accessibile, almeno in linea di
principio, ai giovani di tutte le fasce sociali. La scolarizzazione di
massa portò con sé l’emergere di un nuovo soggetto sociale, i
giovani, portatore di bisogni, ideali e progetti destinati a entrare in
conflitto con l’ordine politico e il sistema di valori dominanti. Il
Sessantotto fu infatti un movimento essenzialmente giovanile, nato nelle
università e dai qui poi estesosi, con maggiore o minore intensità nei
diversi paesi, ad altri settori sociali e alla classe operaia. La scuola
fu dunque l’ambito nel quale maturò il movimento di protesta. Una
scuola che era diventata “di massa”, ma non aveva modificato nella
sostanza la propria impostazione: rimaneva elitaria nella concezione,
nei metodi e nelle strutture, come quando era riservata a un’elite
di privilegiati. La contestazione giovanile iniziò negli Stati Uniti.
Qui l’aumento della produzione e della ricchezza sociale aveva reso
ancora più stridente il contrasto con le ampie aree di povertà e di
ingiustizia tuttora esistenti nel paese. Nel 1964, grazie ad alcune
inchieste ufficiali, gli americani scoprirono che oltre il 40 per cento
di loro viveva al di sotto della “soglia della povertà”: ma era
davanti agli occhi di tutti il degrado dei quartieri poveri delle
gigantesche metropoli, gli slums, dove l’emarginazione
produceva violenza e disperazione, in particolare presso la popolazione
nera. Nel corso degli anni sessanta, la protesta della popolazione nera
aprì drammatiche lacerazioni nella società americana: Martin Luther
King, leader del movimento non violento per l’integrazione razziale e
la parità dei diritti, fu assassinato nel 1968; presero piede movimenti
estremistici, come le “pantere nere” del Black panther
party o il Black power (“potere nero”), che rifiutavano
l’integrazione nella società dominata dai bianchi; a più riprese i
ghetti neri di Chicago, Detroit, Los Angeles e altre grandi città
furono teatro di violente e sanguinose ribellioni. Tutte queste
contraddizioni alimentarono la protesta giovanile, che dilagò nelle
università a partire dal 1966. Essa esprimeva diverse esigenze e
obiettivi: l’impegno per i diritti civili a fianco della popolazione
nera; il rifiuto della guerra del Vietnam, nella quale il governo
statunitense andava assumendo un impegno sempre maggiore; la ribellione
contro un sistema scolastico autoritario e selettivo;
l’insoddisfazione per uno stile di vita ispirato ai valori della
competizione, del successo, del denaro e del consumo e al tempo stesso
caratterizzato dall’appiattimento di ogni aspirazione ideale e dal
conformismo. Dal punto di vista politico e ideologico, il Sessantotto
statunitense non ebbe una caratterizzazione marcata: al suo interno
trovavano posto sia gli intellettuali di sinistra, marxisti o radicali,
sia gli hippies, i “figli dei fiori”, che predicavano il
rifiuto della civiltà dei consumi, la non violenza, la vita
comunitaria. In Europa il movimento di contestazione giovanile, che ebbe
il suo momento culminante nelle grandi manifestazioni parigine del
maggio 1968, il maggio francese, assunse un carattere più decisamente
politico ed ideologico e si tradusse in una critica globale del sistema
capitalistico. Quest’ultimo andava combattuto in quanto organizzazione
dello sfruttamento a livello internazionale e poteva essere modificato
non attraverso riforme (come sostenevano i partiti della sinistra
tradizionale), ma esclusivamente attraverso un rovesciamento
rivoluzionario. |