"Meriggiare pallido e assorto"

Metro: tre quartine e una strofa di cinque versi, che comprendono, come il resto del componimento, novenari, decasillabi ed endecasillabi. La prima strofa presenta rime baciate (AABB), la seconda alternate (CDCD, con un verso ipermetro, il v. 7), la terza ancora baciate (EEFF); nella quarta compaiono delle consonanze.

 

Meriggiare pallido e assorto

presso un rovente muro d'orto,

ascoltare tra i pruni e gli sterpi

schiocchi di merli, frusci di serpi.

 

Nelle crepe del suolo o su la veccia

spiar le file di rosse formiche

ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano

a sommo di minuscole biche.

 

Osservare tra frondi il palpitare

lontano di scaglie di mare

mentre si levano tremuli scricchi

di cicale dai calvi picchi.

 

E andando nel sole che abbaglia

sentire con triste meraviglia

com'è tutta la vita e il suo travaglio

in questo seguitare una muraglia

che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

 

ANALISI DEL TESTO

La vita sospesa: E’ un momento di sospensione quasi assoluta, in cui la vita sembra essersi arrestata nelle proprie forme e parvenze, in un colloquio muto fra l'uomo e le cose. L’influsso dannunziano:  Il paesaggio è quello arido e scabro della prima raccolta montaliana, in cui è possibile cogliere echi dell'influsso di D'Annunzio (Mengaldo ha ad esempio individuato, ai vv. 9-10, l'arcaismo «frondi» e dannunziano l'espressione « scaglie di mare », riconducendola a L'onda, in Alcyone). Non c'è tuttavia traccia, in questi versi, del panismo dannunziano, inteso come immedesimazione e quasi fusione del poeta in una mitica natura. Il quadro paesistico propone al contrario il motivo dell'aridità, dominante negli Ossi di seppia come emblema oggettivato di una condizione esistenziale desolata, prosciugata e svuotata di ogni slancio vitale (« rovente muro », « pruni » e « sterpi », « crepe del suolo », « calvi picchi », « sole che abbaglia »). Il paesaggio: Il paesaggio di Montale non si apre all'uomo (e per l'uomo); vive in se stesso, chiuso nella propria realtà incomunicabile. Esso non è uno scopo, il cui conseguimento possa appagare il poeta (come suprema conquista di un estetismo vitalistico), ma un tramite, senza sbocchi risolutori, verso l’ “altro", verso un qualcosa che resta, alla fine, misterioso e inconoscibile, crudele nel suo rifiuto di dare risposte (si pensi alla «divina Indifferenza» del T145, Spesso il male di vivere ho incontrato). La dimensione metafisica: E’ la dimensione metafisica che incombe sulle cose, insieme presente e assente, nella tangibile concretezza delle sue apparenze e nella remota lontananza delle sue ragioni, che lasciano metafisica nell'oscurità lo scopo dell'esistenza. Il «sole che abbaglia » (v. 13) è luce che non lascia vedere; di qui uno stupito e dolente ripiegarsi su se stessi («sentire con triste meraviglia»), nel tentativo di ascoltare e di comprendere il «travaglio» della «vita», che resta tuttavia misterioso e indecifrabile. I due versi conclusivi esprimono con straordinaria intensità (proprio per il loro andamento comune e dimesso, quasi prosastico) questa condizione: la «muraglia» (che riprende il « rovente muro d'orto » del v. 2), con i « cocci aguzzi di bottiglia » che la sovrastano, rappresenta la chiusura in questa prigione esistenziale, l'impossibilità di attingere ad una verità e pienezza che si collocano al di là dell'ostacolo, irraggiungibili. Gli oggetti: E’ evidente qui anche la tecnica con cui Montale costruisce il suo discorso poetico: esso è tutto affidato all'enumerazione di nudi oggetti, che costituiscono il correlativo oggettivo di una condizione metafisica. Il verbo all’infinito e l’alliterazione:  L'uso del verbo all'infinito, su cui si regge la struttura del componimento, accentua il senso di una continuità e di una durata uniformi, su cui si sovrappone un intenso gioco di allitterazioni, quasi per rendere, attraverso una mutevole sonorità verbale, il « palpitare » della natura e delle sue voci. Si veda la sequenza dei termini in rima della prima quartina (<<assorto>> / «orto» / «sterpi» / «serpi»), che si ripercuote sull'intero componimento, nelle svariate combinazioni della liquida r con altre consonanti (ad esempio « presso », « tra i pruni », «merli», «frusci», «crepi», «intrecciano», «frondi», «mentre», «tremuli», «triste», «travaglio »). L'animazione sonora di « scricchi » (preceduto da « tremuli », con esito sinestetico, al v. 11), anticipata dagli «schiocchi» del v. 4, conduce alla rima, attraverso l'allitterazione in c, con il v. 12: « di cicale dai calvi picchi ». Particolarmente insistiti, infine, sono gli effetti combinati di rima e di consonanza dell'ultima strofa, nella serie « abbaglia » / « meraviglia » / «travaglio» / «muraglia» / «bottiglia». Oltre D’Annunzio  e Pascoli: la lezione dantesca: Le reminiscenze dannunziane si mescolano qui con la ripresa di termini usati da Pascoli, in un impasto linguistico che resta tuttavia originale, in una ricerca di parole e di rime «aspre » che si può far risalire alla grande lezione dantesca. La poesia può costituire un esempio di quelle « storte sillabe e secche come un ramo », a cui fa menzione la dichiarazione di poetica contenuta in Non chiederci la parola.

 

"Spesso il male di vivere ho incontrato"

Metro: due quartine composte da endecasillabi ad eccezione del verso finale, che consta di due settenari, di cui il primo sdrucciolo. Le rime sono ABBA e CDDA.

 

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l'incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.

 

Bene non seppi, fuori del prodigio

che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

 

ANALISI DEL TESTO

Il “correlativo oggettivo”: Il testo può essere additato come esemplare del "correlativo oggettivo" montaliano, ossia del rapporto che la parola stabilisce con gli oggetti da essa nominati. Il primo verso introduce un movimento che va dal soggetto alla realtà, dall'astratto al concreto. Il male di vivere: Il poeta, che interviene in prima persona, esprime il motivo di una tipica condizione esistenziale, il «male di vivere», ma usa un verbo («ho incontrato») che materializza il concetto, presentandolo quasi come una presenza reale e fisicamente tangibile. Il «male di vivere» non viene evocato attraverso forme o complementi di paragone, in un senso metaforico e analogico, ma si identifica direttamente («era») con le cose che lo rappresentano, emblemi nei quali si incarnano e si rivelano il dolore e la sofferenza: «il rivo strozzato che gorgoglia», «l’incartocciarsi della foglia / riarsa», «il cavallo stramazzato». Le realtà che lo rivelano e le allitterazioni: Il malessere esistenziale del poeta prende corpo nella realtà, che ne riproduce concretamente le espressioni, attraverso immagini di tormento affannoso, di un'arsura che si sgretola, di un accasciamento pesante e mortale, rese più sensibili dal gioco delle allitterazioni e delle corrispondenze foniche («strozzato» / «stramazzato», con ulteriore rima interna, come sbocco e destinazione semanticamente "forte" di «ho incontrato»; le allitterazioni delle liquide r e 1, spesso unite ad altra consonante, a renderne più faticosa la pronuncia, oppure precedute dalle vocali e ed a, come in «era», «incartocciarsi», «riarsa»). L’ “indifferenza” stoica: In opposizione al «male di vivere » che si manifesta negli aspetti più comuni della natura, non vi può essere per Montale altro «bene» che l'atteggiamento di stoico distacco e di « indifferenza » assunto dalla divinità di fronte alla miseria del mondo. Ai tre emblemi del «male » si contrappongono così nella seconda strofa, con studiato parallelismo, tre correlativi oggettivi di questa specie di «bene»: la statua, la nuvola e il falco. La tripartizione, ora, non è più scandita dalla triplice anafora di «era» (il verbo compare solo una volta, al v. 7), ma viene nettamente scandita dalle virgole e dal polisindeto («e ... e ... »). Ricompare anche, ai vv. 6-7, la forma dell'enjambement, «sonnolenza / del meriggio» (ai vv. 3-4 «foglia / riarsa»). A segnare la contrapposizione tra le due terne di immagini, la rima «levato» del v. 8, che indica un movimento dal basso verso l'alto, è antitetica rispetto a quella dell'ultimo verso della strofa precedente, «stramazzato», che indica un movimento dall'alto verso il basso.