I turbini sollevano la
polvere
sui tetti, a mulinelli, e
sugli spiazzi
deserti, ove i cavalli
incappucciati
annusano la terra, fermi
innanzi
ai vetri luccicanti degli
alberghi.
Sul corso, in faccia al mare,
tu discendi
in questo giorno
or piovorno ora acceso, in
cui par scatti
a sconvolgerne l'ore
uguali, strette in trama, un
ritornello
di castagnette.
E' il segno d'un'altra
orbita: tu seguilo.
Discendi all'orizzonte che
sovrasta
una tromba di piombo, alta
sui gorghi,
più d'essi vagabonda: salso
nembo
vorticante, soffiato dal
ribelle
elemento alle nubi; fa che il
passo
su la ghiaia ti scricchioli e
t'inciampi
il viluppo dell'alghe:
quell'istante
è forse, molto atteso, che
ti scampi
dal finire il tuo viaggio,
anello d'una
catena, immoto andare, oh
troppo noto
delirio, Arsenio, d'immobilità...
Ascolta tra i palmizi il
getto tremulo
dei violini, spento quando
rotola
il tuono con un fremer di
lamiera
percossa; la tempesta è
dolce quando
sgorga bianca la stella di
Canicola
nel cielo azzurro e lunge par
la sera
ch'è prossima: se il fulmine
la incide
dirama come un albero
prezioso
entro la luce che s'arrosa: e
il timpano
degli tzigani è il rombo
silenzioso
Discendi in mezzo al buio che
precipita
e muta il mezzogiorno in una
notte
di globi accesi, dondolanti a
riva, -
e fuori, dove un'ombra sola
tiene
mare e cielo, dai gozzi
sparsi palpita
l'acetilene -
finché goccia trepido
il cielo, fuma il suolo che
t'abbevera,
tutto d'accanto ti sciaborda,
sbattono
le tende molli, un fruscio
immenso rade
la terra, giù s'afflosciano
stridendo
le lanterne di carta sulle
strade.
Così sperso tra i vimini e
le stuoie
grondanti, giunco tu che le
radici
con sé trascina, viscide,
non mai
svelte, tremi di vita e ti
protendi
a un vuoto risonante di
lamenti
soffocati, la tesa ti
ringhiotte
dell'onda antica che ti
volge; e ancora
tutto che ti riprende, strada
portico
mura specchi ti figge in una
sola
ghiacciata moltitudine di
morti,
e se un gesto ti sfiora, una
parola
ti cade accanto, quello è
forse, Arsenio,
nell'ora che si scioglie, il
cenno d'una
vita strozzata per te sorta,
e il vento
la porta con la cenere degli
astri.
- Da "Le
Occasioni"
- Verso Vienna
Il convento barocco
di schiuma e di biscotto
adombrava uno scorcio d'acque
lente
e tavole imbandite, qua e là
sparse
di foglie e zenzero.
Emerse un nuotatore, sgrondò
sotto
una nube di moscerini,
chiese del nostro viaggio,
parlò a lungo del suo
d'oltre confine.
Additò il ponte in faccia
che si passa
(informò) con un solo di
pedaggio.
Salutò con la mano, sprofondò,
fu la corrente stessa...
Ed al suo posto,
battistrada balzò da una
rimessa
un bassotto festoso che
latrava,
fraterna unica voce dentro
l'afa.
- A Liuba che parte
Non il grillo ma il gatto
del focolare
or ti consiglia, splendido
lare della dispersa tua
famiglia.
La casa che tu rechi
con te ravvolta, gabbia o
cappelliera?
sovrasta i ciechi tempi come
il flutto
arca leggera - e basta al tuo
riscatto.
- Non recidere, forbice,
quel volto
Non recidere, forbice, quel
volto,
solo nella memoria che si
sfolla,
non far del grande suo viso
in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala... Duro il
colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé
scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di
Novembre.
- Nuove stanze
Poi che gli ultimi fili di
tabacco
al tuo gesto si spengono nel
piatto
di cristallo, al soffitto
lenta sale
la spirale del fumo
che gli alfieri e i cavalli
degli scacchi
guardano stupefatti; e nuovi
anelli
la seguono, più mobili di
quelli
delle tua dita.
La morgana che in cielo
liberava
torri e ponti è sparita
al primo soffio; s'apre la
finestra
non vista e il fumo s'agita.
Là in fondo,
altro stormo si muove: una
tregenda
d'uomini che non sa questo
tuo incenso,
nella scacchiera di cui puoi
tu sola
comporre il senso.
Il mio dubbio d'un tempo era
se forse
tu stessa ignori il giuoco
che si svolge
sul quadrato e ora è nembo
alle tue porte:
follìa di morte non si placa
a poco
prezzo, se poco è il lampo
del tuo sguardo
ma domanda altri fuochi,
oltre le fitte
cortine che per te fomenta il
dio
del caso, quando assiste.
Oggi so ciò che vuoi; batte
il suo fioco
tocco la Martinella ed
impaura
le sagome d'avorio in una
luce
spettrale di nevaio. Ma
resiste
e vince il premio della
solitaria
veglia chi può con te allo
specchio ustorio
che accieca le pedine opporre
i tuoi
occhi d'acciaio.
- DA "LA BUFERA E
ALTRO"
- La Bufera
La bufera che sgronda sulle
foglie
dure della magnolia i lunghi
tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo
nido
notturno ti sorprendono,
dell'oro
che s'è spento sui mogani,
sul taglio
dei libri rilegati, brucia
ancora
una grana di zucchero nel
guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende
in quella
eternità d'istante - marmo
manna
e distruzione - ch'entro te
scolpita
porti per tua condanna e che
ti lega
più che l'amore a me, strana
sorella, -
e poi lo schianto rude, i
sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa
fuia,
lo scalpicciare del fandango,
e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti e con la mano,
sgombra
la fronte dalla nube dei
capelli,
mi salutasti - per entrar nel
buio.
- L'Arca
La tempesta di primavera ha
sconvolto
l'ombrello del salice,
al turbine d'aprile
s'è impigliato nell'orto il
vello d'oro
che nasconde i miei morti,
i miei cani fidati, le mie
vecchie
serve - quanti da allora
(quando il salce era biondo e
io ne stroncavo
le anella con la fionda) son
calati,
vivi, nel trabocchetto. La
tempesta
certo li riunirà sotto quel
tetto
di prima, ma lontano, più
lontano
di questa terra folgorata
dove
bollono calce e sangue
nell'impronta
del piede umano. Fuma il
ramaiolo
in cucina, un suo tondo di
riflessi
accentra i volti ossuti, i
musi aguzzi
e li protegge in fondo la
magnolia
se un soffio ve la getta. La
tempesta
primaverile scuote d'un
latrato
di fedeltà la mia arca, o
perduti.
- Sulla colonna più
alta
- Moschea di Damasco
Dovrà posarsi lassù
il Cristo giustiziere
per dire la sua parola.
Tra il pietrisco dei sette
greti, insieme
s'umilieranno corvi e
capinere,
ortiche e girasoli.
Ma in quel crepuscolo eri tu
sul vertice:
scura, l'ali ingrommate,
stronche dai
geli dell'Antilibano; e
ancora
il tuo lampo mutava in
vischio i neri
diademi degli sterpi, la
Colonna
sillabava la Legge per te
sola.
-
- L'Anguilla
-
L'anguilla, la sirena
dei mari freddi che lascia il
Baltico
per giungere ai nostri mari,
ai nostri estuari, ai fiumi
che risale in profondo, sotto
la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello,
assottigliati,
sempre più addentro, sempre
più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché
un giorno
una luce scoccata dai
castagni
ne accende il guizzo in pozze
d'acquamorta,
nei fossi che declinano
dai balzi d'Appennino alla
Romagna;
l'anguilla, torcia, frusta,
freccia d'Amore in terra
che solo i nostri botri o i
disseccati
ruscelli pirenaici
riconducono
a paradisi di fecondazione;
l'anima verde che cerca
vita là dove solo
morde l'arsura e la
desolazione,
la scintilla che dice
tutto comincia quando tutto
pare
incarbonirsi, bronco
seppellito;
l'iride breve, gemella
di quella che incastonano i
tuoi cigli
e fai brillare intatta in
mezzo ai figli
dell'uomo, immersi nel tuo
fango, puoi tu
non crederla sorella?
- Da "Satura"
- Xenia I
Avevamo studiato per l'aldilà
un fischio, un segno di
riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella
speranza
che tutti siamo già morti
senza saperlo.
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e
incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un
insetto miope
smarrito nel blabla
dell'alta società. Erano
ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere loro il tuo
zimbello:
di esser visti anche al buio
e smascherati
da un tuo senso infallibile,
dal tuo
radar di pipistrello.
- La Storia
La storia non si snoda
come una catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono.
La storia non contiene
il prima e il dopo,
nulla che in lei borbotti
a lento fuoco.
La storia non è prodotta
da chi la pensa e neppure
da chi l'ignora. La storia
non si fa strada, si ostina,
detesta il poco a paco, non
procede
né recede, si sposta di
binario
e la sua direzione
non è nell'orario.
La storia non giustifica
e non deplora,
la storia non è intrinseca
perché è fuori.
La storia non somministra
carezze o colpi di frusta.
La storia non è magistra
di niente che ci riguardi.
Accorgersene non serve
a farla più vera e più
giusta.
La storia non è poi
la devastante ruspa che si
dice.
Lascia sottopassaggi, cripte,
buche
e nascondigli. C'è chi
sopravvive.
La storia è anche benevola:
distrugge
quanto più può: se
esagerasse, certo
sarebbe meglio, ma la storia
è a corto
di notizie, non compie tutte
le sue vendette.
La storia gratta il fondo
come una rete a strascico
con qualche strappo e più di
un pesce sfugge.
Qualche volta s'incontra
l'ectoplasma
d'uno scampato e non sembra
particolarmente felice.
Ignora di essere fuori,
nessuno glie n'ha parlato.
Gli altri, nel sacco, si
credono
più liberi di lui.
- La belle dame sans
merci
Certo i gabbiani cantonali
hanno atteso invano
le briciole di pale che io
gettavo
sul tuo balcone perché tu
sentissi
anche chiusa nel sonno le
loro strida.
Oggi manchiamo
all'appuntamento tutti e due
e il nostro breakfast gela
tra cataste
per me di libri inutili e per
te di reliquie
che non so: calendari,
astucci, fiale e creme.
Stupefacente il tuo volto
s'ostina ancora, stagliato
sui fondali di calce del
mattino;
ma una vita senz'ali non lo
raggiunge e il suo fuoco
soffocato è il bagliore
dell'accendino
- Morgana
Non so immaginare come la tua
giovinezza
si sia prolungata
di tanto tempo (e quale!).
Mi avevano accusato
di abbandonare il branco
quasi ch'io mi sentissi
illustre, ex gregis o che
diavolo altro.
Invece avevo detto soltanto
revenons
à nos moutons (non pecore
però)
ma la torma pensò
che la sventura di
appartenere a un multiplo
fosse indizio di un'anima
distorta
e di un cuore senza pietà.
Ahimè figlia adorata, vera
mia
Regina della Notte, mia
Cordelia,
mia Brunilde, mia rondine
alle prime luci,
mia baby-sitter se il
cervello vàgoli,
mia spada e scudo,
ahimè come si perdono le
piste
tracciate al nostro passo
dai Mani che ci vegliarono, i
più efferati
che mai fossero a guardia di
due umani.
Hanno detto hanno scritto che
ci mancò la fede.
Forse ne abbiamo avuto un
surrogato.
La fede è un'altra. Così fu
detto ma
non è detto che il detto sia
sicuro.
Forse sarebbe bastata quella
della Catastrofe,
ma non per te che uscivi per
ritornarvi
dal grembo degli Dei.