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Le avventure di Valentina

(dedicato a un’amica)

di Laura Mensi

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7 - ATTRAVERSO LE MONTAGNE INVALICABILI


Fu una fortuna per i nostri amici che quella misteriosa nebbia si disperdesse tanto all’improvviso quanto all’improvviso era calata: in caso contrario sarebbero andati a sbattere, non solo metaforicamente, contro quella immensa muraglia di roccia a cui era stato messo l’appropriato nome di “Montagne Invalicabili”.

Erano infatti queste un vero e proprio muro, tanto vasto che anche alzando gli occhi al cielo non se ne poteva vedere la cima; la loro ombra si estendeva per diversi chilometri sulle terre intorno, e non si poteva aggirarle perché non sembravano mai avere fine. Elise e il duca Desiderio furono costretti a fermarsi perché il loro sentiero si interrompeva bruscamente ai piedi di quel colosso roccioso che troncava comunque anche altre strade; da una di queste, da sinistra per la precisione, era giunta pochi minuti prima anche l’ultima viaggiatrice, la giovane Valentina. Oltrepassata non senza rischi l’orribile palude in cui era caduta dopo essere rimasta separata dai suoi compagni, grazie all’indispensabile aiuto del fedele Plato era giunta sana e salva a quel punto morto, e vi era rimasta sola perché l’Uomo-Talpa, a disagio negli ambienti aperti, l’aveva saluta con ogni ossequio ed era tornato indietro. Si era così seduta a terra, imponendosi di cacciare dalla mente tutti i tristi pensieri che la solitudine le ispirava e provando a convincersi che presto avrebbe rivisto i suoi amici, sani e salvi. Per distrarsi prese a guardarsi intorno cercando una qualsiasi apertura, un passaggio che portasse dall’altra parte di quelle infernali montagne. Era tanto concentrata in questa ricerca da non accorgersi che i suoi amici erano ormai giunti alle sue spalle, fino a che non udì lo strillo di gioia di Elise che corse subito ad abbracciare la cara amica: dopo aver temuto a lungo ognuna per la sorte dell’altra, diedero ampio spazio al sollievo e si abbracciarono ridendo e saltellando felici. Anche il giovane duca si dimostrò profondamente felice di aver ritrovato l’altra fanciulla affidata alle sue cure, e tutti e tre si misero contemporaneamente a raccontarsi le avventure che avevano vissuto dal momento della forzata separazione. Certo, nessuno di loro riusciva a capire quello che stavano dicendo gli altri, ma non aveva importanza perché adesso erano di nuovo insieme.

In realtà non erano neppure soli, perché a loro insaputa qualcuno li stava osservando e non ci mise molto a rivelare la propria presenza. Forse disturbata dagli schiamazzi dei nostri amici, aveva fatto la sua comparsa una giovane bellezza bruna e selvaggia, dall’aspetto fiero ed indomito, avvolta in una corta veste dì pelle che evidenziava in modo mirabile le sue forme femminili; si fermò di fronte ai rumorosi intrusi, con le armi in pugno e uno sguardo bellicoso. Si limitò a osservarli freddamente, senza rompere il silenzio che di nuovo si era fatto profondo e totale; chissà che impressione doveva avere di quello strano terzetto di sconosciuti che aveva invaso, a quanto sembrava, il suo territorio: una ragazzina, poco più di una bambina, una fanciulla che al suo apparire era arrossita ed aveva distolto gli occhi vergognosa, e un giovanotto muscoloso ed elegante che le rivolgeva sguardi di incondizionata ammirazione al limite dell’educazione. Vedendo che la situazione ristagnava mentre nessuno sembrava voler prendere l’iniziativa di intavolare un discorso, Valentina respirò a fondo e facendosi coraggio si avvicinò cautamente alla guerriera, cercano di spiegarle in modo convincente chi erano e cosa facevano lì. Doveva comunque essere stata poco chiara, o forse la guerriera non capiva la loro lingua, perché continuò a guardarli dubbiosa, fino a quando non scoppiò in una risata fragorosa e mascolina che rincuorò non poco la ragazzina; smise finalmente di balbettare ed avanzò decisa con la mano allungata per stringere quella della nuova amica, ma questa preferì assestarle una sonora pacca sulle spalle che per poco non la fece cadere a terra. La guerriera rimase ad ascoltare, adesso molto interessata, il racconto che i nostri amici a turno le fecero in breve delle ultime peripezie a cui erano andati incontro nel loro viaggio verso la Valle di Fergin. Sentendo pronunciare questo nome, divenne molto seria, e avvertì i viaggiatori che quello era davvero un luogo malvagio e che avrebbero fatto meglio a tornare da dove erano venuti; al che anche la timida e ritrosa Elise si sentì punta sul vivo dal tono sprezzante con cui la donna aveva parlato, e la informò che loro non erano degli sprovveduti, che avevano già affrontato grandi pericoli in quel viaggio e comunque non si facevano spaventare solo dalle sue parole maligne. Non erano venuti lì per fare una gita, avevano un motivo molto serio; e qui Elise si fece triste e con le lacrime agli occhi raccontò del suo perduto amore e della terribile sorte che gli sarebbe toccata se loro non fossero accorsi in suo aiuto. Fatica sprecata, perché l’imperturbabile guerriera sembrava davvero insensibile a qualsiasi sentimento di pietà o compassione; con voce tagliente informò la compagnia che trovava ridicole quelle sciocche romanticherie da fanciulle lacrimose e che lei non avrebbe saputo che farsene di un mollusco di principe che non riusciva neanche a liberarsi da solo da una prigione (fosse pure quella di una potente strega) e aveva bisogno addirittura dell’aiuto della sua fidanzata. Promise comunque dì aiutarli, e i nostri tre amici anche se profondamente indignati furono costretti ad accettare, perché si rendevano conto che solo lei aveva dimestichezza con quell’ambiente e poteva condurli dall’altra parte delle Montagne Invalicabili. Queste erano infatti meno invalicabili di quanto il loro minaccioso aspetto facesse supporre: la guerriera sembrava conoscere ogni anfratto e piccola rupe di quel colosso roccioso, e li condusse per canali e passaggi scavati nella fredda pietra sull’altro versante della montagna. Il viaggio non fu molto lungo, o almeno così parve ai tre giovani, che rimasero ammaliati dalla vivacità con cui la loro guida raccontò la propria storia; innanzitutto il suo nome era Iliana, ed era figlia di un nobile, ma fin dall’infanzia era stata educata non a corte ma negli accampamenti reali, perché nella sua famiglia era tradizione che l’ultimo nato - maschio o femmina che fosse - entrasse nell’esercito di Sua Maestà. Così era stato, e ciò spiegava il carattere e i modi di quella combattiva creatura; ancora adolescente era diventata capitano delle guardie personali della regina, e quando già aveva imboccato la strada di una luminosa carriera, era stata allontanata dal suo incarico e dal suo paese perché aveva scoperto e denunciato, spinta dal suo senso del dovere, l’amore proibito che era sbocciato tra il suo luogotenente e la regina stessa. Si era allora ritirata a vivere in totale solitudine in quei luoghi dimenticati e maledetti, alimentando il sordo rancore e le sete di vendetta contro coloro che l’avevano tradita e non le avevano creduto; il suo cuore non era infatti mai stato animato da un sentimento più forte e di natura più dolce, che potesse cancellare l’odio che ora lo possedeva.

Giunti alla fine dell’oscuro tunnel che stavano percorrendo, i nostri giovani eroi uscirono nuovamente alla luce, e per la prima volta videro la meta del loro viaggio, l’oscura terra verso cui si stavano affrettando. Rozzi gradoni scavati nel fianco della montagna scendevano a spirale verso il suolo, come in una rappresentazione dell’Inferno dantesco, e si perdevano tra il fitto di alberi che avvolgevano il nero castello della perfida nemica, la Signora di Phert.


8 - ARRIVO AL CASTELLO


Sentimenti diversi animavano i nostri amici viaggiatori; erano finalmente giunti in vista della loro meta, e fra non molto avrebbero dovuto affrontare i nemici, ma non avevano ancora formulato un piano per riuscire a liberare il principe prigioniero della Signora di Phert. Fermi su una sporgenza della roccia, contemplarono il castello ancora lontano, divisi tra il sollievo per essere arrivati fino a lì dopo tanti pericoli, l’eccitazione di aver compiuto quell’impresa e la frustrazione perché c’era ancora molto da fare prima di poter mettere la parola fine a quella storia. Il duca Desiderio era dilaniato nell’intimo dall’angoscia perché presto Elise avrebbe riabbracciato il suo amato, e lui non avrebbe più potuto sperare di conquistare il suo cuore; eppure il suo senso del dovere era tale da spingerlo a mettere a repentaglio anche la vita pur di rendere felice la fanciulla che adorava. Il giovane fremeva dal desiderio di dare battaglia, come diversivo al dolore che lo straziava, e spinse il gruppo a cominciare la discesa, ma fu interrotto da un ruggito potente e spaventoso di un qualche feroce animale che doveva essere lì vicino. In effetti, non erano passati che pochi istanti quando un gigantesco leone li attaccò, gettando a terra Iliana che per prima si era fatta avanti. Ma anche la guerriera sapeva difendersi: seguì un breve combattimento furioso che ebbe fine grazie all’intervento di Desiderio; il nobile cavaliere non poteva rimanere insensibile alla vista di una fanciulla in difficoltà, fosse pure quella specie di amazzone scorbutica, e colpì ripetutamente la belva uccidendola. Lungi dal provare gratitudine per l’aiuto che le era stato dato, la fanciulla rifiutò sprezzante il braccio gentile che egli le offriva per rialzarsi da terra, e lo insultò perché a lei piaceva risolvere da sola i propri problemi, e soprattutto non sopportava di ricevere soccorso da un uomo come se lei fosse stata una qualsiasi svenevole donzella. Desiderio era stanco dì essere offeso da quell’ingrata, quando la riempiva di gentilezze: la sollevò di peso e le ordinò di tacere, con una tale voce che anche lei non poté non obbedire. Tutt’altro che intimorita, comunque, gli lanciò uno sguardo di sfida a cui egli rimase del tutto indifferente perché sapeva di avere ragione. Iliana si sorprese a pensare a quanto belli fossero i suoi occhi, anzi a quanto bello fosse tutto; Desiderio d’altro canto era rimasto colpito dall’affascinante guerriera, fin dal loro primo incontro, non si poteva negarlo. Anche lui si incantò a fissarla, finché Elise, del tutto ignara della nascita di un dolce sentimento tra i due giovani, animata solo dal desiderio di rivedere al più presto il suo amore, non fece notare che stava diventando buio e che avrebbero fatto meglio ad avviarsi perché il viaggio non era ancora finito. Era troppo in fermento per accorgersi di quello che stava succedendo, ma a Valentina, ripresasi dal breve istante di timore all’aggressione della belva, non era sfuggito quello scambio di languide occhiate, e ne era stata felice. Fin dall’inizio era stata dispiaciuta per Desiderio, che amava senza speranza una fanciulla il cui cuore era già di un altro, e gli aveva augurato di trovare presto la felicità perché se lo meritava, perché aveva molto amore da dare ed era fatto per riceverne. Elise, da quando erano giunti in vista del castello si era quasi dimenticata della sua presenza, e poi Valentina non aveva mai pensato che sarebbero stati bene insieme: al giovane serviva una donna forte ed indipendente (una come Iliana). Chissà qual era il tipo di donna che piaceva al suo misterioso cavaliere, si sorprese a pensare, e non per la prima volta, Valentina. Aveva cercato di allontanare il ricordo del suo salvatore, perché pensarvi non poteva certo venirle utile, anzi: qualunque cosa avesse lei in testa, di certo lui la considerava solo una bambina. Ed in ogni modo non era neppure sicura che lo avrebbe rivisto. Quel semplice desiderio era invece destinato a realizzarsi: una grande ombra si profilò all’improvviso sopra di loro, e presto il grande drago Baldassarre si abbassò a terra e l’eroe di Valentina fu vicino a loro. Si inchinò al duca e baciò le mani delle signore trattenendo un po’ più del dovuto quella di Valentina, gratificandola di un tenero sorriso. La ragazzina, tutta rossa, riuscì a balbettare appena un saluto, ma per fortuna gli altri erano impegnati a chiedere notizie al nuovo arrivato, che raccontò di essersi nascosto nei pressi del castello e di averne scoperto il segreto. Xavier, questo era il suo nome, si offrì di trasportare tutti, compresa Iliana, che ormai era parte integrante del gruppo, fino al castello della Signora di Phert. La notte era appena calata quando i nostri amici atterrarono davanti alle mura di Phenon, il castello inespugnabile che la Strega aveva costruito con la magia (e, si diceva, maledetto con il sangue di mille bambini rapiti in molti regni), che in quel momento del giorno sembrava ancor più tetro e mostruoso. Xavier spiegò che, quando c’era di mezzo la magia, era inutile usare la forza; esisteva solo un modo per penetrare nel castello: bisognava pronunciare una formula magica, che Xavier aveva scoperto durante la sua lunga sorveglianza. Una parete, perfettamente liscia ed uguale alle altre, si sollevò infatti su un corridoio completamente buio e per fortuna deserto, e si richiuse immediatamente alle loro spalle. A quel punto non potevano far altro che andare avanti, e così camminarono per un tempo che a Valentina parve infinito, procedendo lentamente e a tentoni, fino a quando la ragazzina, sfinita, si appoggiò alla parete e fece scattare una molla nascosta, che rivelò la presenza nel muro di un’apertura da cui proveniva un discreto chiarore.


9 - LA FINE DEL SOGNO


Si trovarono in una piccola anticamera da cui partiva una scala a chiocciola; non si vedeva altra uscita, e ai nostri amici non restò che salire e sperare di non incontrare nessuno che desse l’allarme prima che potessero organizzare un piano d’attacco. Inutile preoccupazione: arrivati in cima alla scala sentirono una voce femminile infuriata che proveniva da una stanza alla loro sinistra e, scostati i pesanti tendaggi che chiudevano l’entrata, apparve ai loro occhi l’oggetto della loro ricerca. Una donna giovane e di grande bellezza era in piedi di fronte ad un ragazzo dall’aria addolorata ed inveiva contro di lui minacciandolo di farlo marcire in catene fino alla fine della sua miserabile vita, se non avesse accettato di sposarla all’istante. Elise ebbe un gemito e si sarebbe lanciata nella stanza se i suoi amici non l’avessero trattenuta: aveva infatti riconosciuto nel prigioniero il suo amato principe, ma sarebbe stato pericoloso rivelare la sua presenza; il soave aspetto della donna era illusorio: alle sue spalle si trovava un alto specchio in cui si rifletteva la sua vera immagine, una vecchia mostruosa e ripugnante, che usava le proprie arti magiche per ingannare gli ingenui e gli innocenti. Il dolore della povera Elise era tale da darle la forza per liberarsi dall’affettuosa stretta che la fermava, e la fanciulla si precipitò verso il suo amore, ma non riuscì a raggiungerlo; la malvagia strega, furiosa di vedere ostacolati i suoi tentativi di seduzione, creò un muro magico per separare i due innamorati. Elise tese la mano verso il principe che, pur in catene, riuscì ad alzarsi ed avvicinarsi un poco a lei; le loro mani si sfiorarono e questo fu sufficiente. Il muro, le catene scomparvero e i due giovani si gettarono l’uno nelle braccia dell’altra, finalmente liberi di amarsi. La forza dell’amore aveva vinto dove la forza delle armi era uscita sconfitta. La Signora di Phert lanciò un urlo terribile che fece accapponare la pelle ai nostri amici che avevano assistito alla scena senza poter intervenire, e fece loro desiderare di trovarsi molto lontano da quel luogo maledetto, tanto più che tutto il castello, non più sorretto dai poteri magici della strega sconfitta, aveva cominciato a tremare e dissolversi intorno a loro. Prima di quanto potessero accorgersi, si ritrovarono all’aperto mentre Phenon e tutte le maligne creature che lo abitavano erano scomparsi nel nulla. Gioivano del successo della loro missione, ma erano ansiosi di tornare a casa: corsero verso il drago che li attendeva poco lontano, ed inspiegabilmente Valentina, nonostante corresse molto veloce, rimaneva sempre più indietro. Una scossa del terreno più forte delle altre la gettò a terra, e quando la ragazzina riaprì gli occhi che aveva chiuso per lo spavento, scoprì di essere distesa sul pavimento del museo in cui era cominciata quella sua folle avventura. Valentina guardò subito verso il quadro in cui era entrata, convinta di aver sognato tutto, ma non era possibile, perché il soggetto della tela era cambiato: non era più solo la bella fanciulla dagli occhi sognanti, che ora abbracciava il suo bel principe, ma c’erano anche il duca Desiderio e Iliana, la donna-guerriera, e naturalmente Xavier, il gentile cavaliere che aveva rapito il cuore della ragazzina. Tutti loro la guardavano e sorridevano come per ringraziarla di esser rimasta al loro fianco anche nelle prove più dure del lungo viaggio. Solo il cavaliere sembrava assorto, quasi dispiaciuto che l’avventura fosse giunta al termine; aveva una mano tesa in avanti e Valentina ebbe la curiosa impressione che la stesse chiamando verso di sé. Allungò la propria mano e sfiorò la tela, senza però più riuscire ad attraversarla. Qualcosa le cadde sul palmo e lei lo nascose prontamente in tasca, perché sulla soglia della stanza era comparsa la sua professoressa, che la stava sgridando per essersi allontanata da sola nel museo. Valentina la seguì, ma prima di uscire si voltò a guardare il quadro, che ora era tornato quello di prima, con la meravigliosa figura della fanciulla in attesa, forse, dell’inizio di un altro viaggio, con altri amici. La ragazzina prese il piccolo oggetto che il cavaliere le aveva donato, e con emozione si rese conto che si trattava dello stesso medaglione che lui le aveva già dato all’inizio con gli stessi versi incisi sul retro ma con la sua miniatura all’interno, non quella di Elise. Dunque era un regalo tutto per lei, con cui Xavier le voleva far capire che non si sarebbero mai dimenticati di lei. E neanche Valentina avrebbe mai dimenticato la più fantastica avventura della sua vita.


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