Università
degli Studi di Genova
Facoltà di Medicina
D.U. di Tecnico dell’Educazione
e della Riabilitazione Psichiatrica e Psicosociale
A.A. 2001/2002 di Laura Mensi Il
percorso della "follia": l'evoluzione nel trattamento
psichiatrico del disturbo mentale. Dal sistema manicomiale
all’intervento sul territorio.
Ripercorrendo
storicamente la concezione che si aveva del malato mentale, i modi di
gestire il "fenomeno follia" e gli interventi su di esso,
si osserva come nel Seicento e nel Settecento la cura (nel senso
attuale del termine) di questa categoria di persone era inesistente;
allora ci si poneva nei confronti di tale fenomeno come davanti a
qualcosa da dover controllare per tutelare la società dai
"folli"; questo controllo avveniva tramite la reclusione in
differenti generi di strutture che andavano dagli ospedali alle
prigioni, dai lebbrosari alle case di assistenza.
Le origini del sistema di
internamento in Europa sono rintracciabili in Inghilterra nel 1575,
anno in cui fu promulgato un atto che prescriveva la costruzione di
case di correzione. Nel Seicento si vede prendere questo tipo di
iniziativa anche da altri paesi europei, come ad esempio, le nazioni
di lingua tedesca e la Francia.
Nel periodo tra il Seicento e il
Settecento, le diverse "cure" consistevano in metodi
piuttosto estremi di intervento: si ricorreva a sostituzioni di
sangue dei malinconici con sangue più chiaro e leggero, ad
ulcerazioni provocate sulla cute o sulla pelle del corpo per creare
delle vie d'uscita agli spiriti animali interni al malato, a bagni
d'acqua riversata violentemente sui pazienti per distruggere alla
radice tutte le idee stravaganti e le impurità che
costituivano la follia. E ancora, la restrizione fisica, il
confinamento o alternativi metodi di intervento, erano tesi ad
annullare i presunti deficit fisici, causa dell'alterazione del
cervello e della conseguente follia.
Tra la fine del
Settecento e l'inizio dell'Ottocento, vennero introdotte nuove
modalità di organizzazione e di gestione della devianza per
differenziare i casi più strettamente giuridici da quelli
relativi al "mentale". La cura diventava più
complessa ed ai trattamenti "medici" tradizionali (purghe,
salassi, bagni caldi o gelati) si aggiungevano trattamenti educativi
e rieducativi. In questa epoca era imperante comunque,
indipendentemente dalla categoria deviante alla quale si apparteneva,
un principio che tendeva a sottoporre il "folle" ad una
sorta di ristrutturazione della mente, al fine di ottenere un
rimodellamento dello spirito che favorisse un adattamento alle norme
e alle regole della società.
Nell'Ottocento si intrapresero
tentativi più umanitari e liberali e si cominciò a
sottoporre i malati, che manifestavano una moralità ed una
volontà condannabili nella loro essenza e quindi da
combattere, a trattamenti finalizzati all'acquisizione di una
personale autodisciplina e autorepressione. E' in questo periodo che
Pinel, medico che storicamente viene considerato nel mondo
psichiatrico "il liberatore degli alienati", diede vita al
principio del "trattamento morale", che sorgeva in polemica
contro la psichiatria più distruttiva e oppressiva). Egli
attribuì al "folle" il ruolo di malato, che, in
quanto tale, non doveva più essere sottoposto a punizioni ma
doveva essere rieducato per consentirgli di riacquistare la volontà
e la capacità di padroneggiare quegli istinti, il cui libero
sfogo dava luogo alla follia. dell'autocontrollo, che causa una
espressione eccessiva di passioni ed emozioni.
Intanto in Francia,
con la Rivoluzione francese, si attuava l'eliminazione degli ospedali
generali, dove i cittadini potevano essere internati, in assenza di
norme precise a riguardo. Nacquero così luoghi specifici di
assistenza per alienati, i manicomi. Nel corso dell'Ottocento la
struttura manicomiale si diffonde in Europa tramite la formulazione
di leggi che sono volte a regolamentare l'assistenza psichiatrica,
finalizzata a tutelare la società sana dalle persone
portatrici di disagio mentale.
Nella seconda metà
dell'Ottocento, la lettura della follia nei termini di una
manifestazione umana stravagante e bizzarra che andava eliminata,
entrò in crisi per opera delle nuove teorie della psichiatria
positivista (che vedeva questo fenomeno come effetto di un organismo
che "funzionava male" in quanto malato) e dei progressi nel
campo della fisiologia e dell'anatomia patologica. Il comportamento
dei pazienti era considerato incomprensibile e la ricerca si volgeva
verso lo studio di quei germi che producevano i disturbi mentali. In
questo frangente si assiste alla sistematizzazione dei comportamenti
psichiatrici che vengono organizzati in sindromi e malattie. Figura
di spicco di questo periodo fu Kraepelin, che classificò le
malattie mentali, ordinandole in un corpo organico di nosografia
psichiatrica, al fine di individuare le leggi che le governavano,
andando al di là delle variazioni individuali, e creando così
teorie interpretative generali.
Durante il Novecento, se fino alla
seconda guerra mondiale lo sviluppo della ricerca scientifica porta
ad un perfezionamento del sistema manicomiale, si può
osservare come i nuovi germi culturali introdotti dalla psicoanalisi
e da teorie sociologiche che si occupano del fenomeno "follia",
iniziano ad intaccare il modello medico del disturbo mentale. D'altro
canto il campo medico ha dovuto registrare il fatto che non erano
state ancora trovate le cause biologiche della nevrosi e della
psicosi; e di conseguenza interventi come la lobotomia,
l'elettroshock e più recentemente gli psicofarmaci, non
avevano portato ad un effetto curativo vero e proprio, ma ad un
controllo del sintomo.
Il sistema curativo di elezione
diviene quello della psicoterapia, tramite la quale si permette al
paziente di riappropriarsi ed elaborare le proprie dinamiche
inconsce. La tecnica terapeutica diviene quindi quella di analizzare
le difese e le resistenze del soggetto nei confronti dei propri
desideri e dei pensieri inconsci, che sono alla base dei disturbi
psichici.
Intanto il discorso culturale
sviluppatosi in antitesi al modello biomedico, faceva sì che
in Stati come Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti, nella
prima metà del Novecento comparisse un nuovo atteggiamento
nella cura del disagio mentale, con la riorganizzazione degli
ospedali e la nascita di strutture extra-murali che sostenessero un
intervento incentrato sulla cura e sulla riabilitazione. Sul piano
pratico si crearono, accanto alle strutture psichiatriche, delle
comunità che si ponevano come alternativa ad esse.
Per quanto riguarda
l'Italia, si può valutare cosa succedeva agli inizi del
Novecento rispetto alla cura dei "malati di mente",
ricordando che nel 1904, con molto ritardo rispetto agli altri stati
europei, veniva promulgata una legge istitutiva di manicomi nei quali
ricoverare persone affette da alienazione mentale, pericolose per sé
e per gli altri; il principale compito affidato ai manicomi era
quello di custodia e secondariamente quello di cura, dati anche i
requisiti indispensabili per il ricovero: manifestazione di
comportamenti pericolosi o di pubblico scandalo. Alle norme stabilite
dalla legge corrispondeva anche una esiguità di mezzi di
intervento (data l'inesistenza degli psicofarmaci, nati intorno al
1950) costituiti da isolamento, farmaci ancora aspecifici,
elettroshock e mezzi di contenzione.
Nel 1968 la legge 431 restituisce
l'infermo di mente alla medicina, modificando la funzione del
manicomio che vede in primo piano i fini terapeutici. Sono introdotte
inoltre delle novità relative al ricovero che diventa anche di
tipo volontario e all'istituzione di Centri d'igiene mentale
costituiti da ambulatori dove effettuare visite, diagnosi,
prescrizione e somministrazione di farmaci.
Con il tempo, sono stati creati nuovi
servizi distribuiti nel territorio e differenziati in base alla
specifica area di intervento ad essi affidata. In quest’ottica,
rivolta al superamento dell'ospedale psichiatrico, ed al suo
smantellamento, e la conseguente presa in carico del problema da
parte della comunità, è ingiustificata l'esclusione
sociale del paziente istituzionalizzato; si vede nel reinserimento
sociale la modalità più efficace e produttiva per poter
programmare un intervento terapeutico.
Le riflessioni
critiche degli operatori del settore e diversi dibattiti parlamentari
portano all'approvazione della legge 180 del 13 maggio 1978, che dava
un primo assetto alla riforma psichiatrica. Con questa legge e le
seguenti è stato modificato il concetto di ricovero
obbligatorio (Trattamento Sanitario Obbligatorio), dettato non più
dalla pericolosità del soggetto, ma dalla presenza di
alterazioni psichiche tali da richiedere un urgente intervento
terapeutico e si stabilisce che la gestione del disturbo psichico
viene affidata a servizi di natura dipartimentale, costituiti da
strutture ospedaliere e territoriali, con prevalenza di queste ultime
investite di funzioni preventive, curative e riabilitative.
Struttura
dei servizi di salute mentale
Un passo importante
seguito alla riforma operata in seguito alla legge 180 è stato
il decentramento dei servizi, costituito da strutture territoriali in
cui si sono inseriti operatori in contatto più stretto con la
collettività, e in grado quindi di pianificare degli
interventi diretti ad una fascia di utenza più circoscritta.
Questo tipo di innovazione ha creato una scissione rispetto al
passato, perché vede il disagio mentale inserito in un
contesto, in una realtà, all'interno della quale affrontare il
problema della sofferenza, nel rispetto della persona e del suo
diritto a non essere alienata dalla "propria realtà".
Esiste quindi ora il D.S.M.
(Dipartimento di Salute Mentale) che offre ai pazienti un ampio
ventaglio di interventi, a livello preventivo, curativo e preventivo,
in maniera continuativa. La cura del paziente da parte di una équipe
che mantiene la sua presenza nel contesto, permette infatti una
continuità di rapporti e di interventi che dà la
possibilità di sfruttare al meglio le strutture del D.S.M. e
quindi di utilizzare il ricovero in un reparto psichiatrico come
intervento estremo.
Come punto di raccordo dei servizi si
pone il presidio psichiatrico territoriale (o Centro di Salute
Mentale) che svolge i suoi interventi attraverso varie modalità.
Ad esempio gli interventi ambulatoriali, in fase di approccio
iniziale con il paziente, sono costituiti da consulenze e colloqui
con la persona che presenta il disagio ed eventualmente con i suoi
familiari, per poter individuare la natura del problema ed il tipo di
trattamento da adottare. Quest'ultimo a sua volta è
differenziato in base alla gravità del disturbo, al tipo di
supporti esterni che il paziente può avere, ecc., e può
consistere nella somministrazione di farmaci, in sedute
psicoterapeutiche ed interventi di tipo sociale, come l'inserimento
lavorativo delle persone dimesse dal reparto psichiatrico di diagnosi
e cura. Nel caso di persone che hanno difficoltà o
impossibilità di recarsi personalmente presso le strutture
competenti, può essere effettuato anche un intervento di tipo
domiciliare.
L'intervento sulla crisi prevede
un'operatività sette giorni su sette per l'intero arco delle
24 ore, e implica un'organizzazione tale da poter intervenire nel
territorio nei momenti di acuzie, con ricoveri in genere brevi presso
il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (S.P.D.C.), o, nei casi
meno gravi, nei reparti ospedalieri psichiatrici.
Esistono poi strutture intermedie che
permettono di attuare interventi multidisciplinari, che si pongono
come mediazione istituzionale e momento di passaggio verso la
comunità. In base al tipo di accoglienza e di trattamento del
paziente, esse si suddividono in semiresidenziali o residenziali.
Le strutture semiresidenziali o
diurne, come il Day Hospital, intervengono nei casi in cui il
paziente non necessita di un ricovero e allo stesso tempo non trova
giovamento dal trattamento di tipo ambulatoriale.
Le strutture
residenziali dal canto loro contemplano il soggiorno dei pazienti per
periodi dipendenti dal tipo di gravità e di intervento
richiesto, ed includono varie tipologie di comunità protette
che negli anni si sono poste in netta antitesi alle vecchie realtà
manicomiali. Nell'ambito di queste strutture, la più
rappresentativa, sorta storicamente in antitesi al sistema
manicomiale è la Comunità Terapeutica. Il trattamento
in questo caso consiste nella vita comunitaria articolata in attività
individuali e di gruppo, sia lavorative che socio-culturali, sempre
in relazione al contesto esterno, correlate a trattamenti
farmacologici, psicoterapeutici e riabilitativi.
Sempre all'interno
delle strutture residenziali, prevalentemente alloggiativa e
genericamente riabilitativa è la Comunità alloggio, che
ospita pochi pazienti privi di un sufficiente grado di autonomia.
L'obiettivo è quello di promuovere l'autonomia, e quindi
reinserire il paziente nel contesto familiare e sociale; il
trattamento consiste principalmente nel dare sostegno per la gestione
dei servizi domestici e per le necessità di ordine sociale e
sanitario. In tali strutture lo scopo finale è quello di
creare un gruppo stabile che possa omologarsi alla famiglia, al cui
interno si compia l'esperienza terapeutica di singole persone in
interazione tra di loro e con un gruppo di operatori.
Ricapitolando, il
D.S.M.: si occupa dell’organizzazione, gestione e produzione
delle prestazioni finalizzate alla promozione della salute mentale,
alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione del disagio
psichico, del disturbo mentale e delle disabilità psicofisiche
delle persone per l'intero arco della vita.
Esso comprende:
CENTRO DI SALUTE MENTALE: il
Centro di Salute Mentale è la sede organizzativa degli
operatori e del coordinamento nel territorio di competenza degli
interventi di prevenzione; cura riabilitazione e reinserimento
sociale. In particolare il Centro di Salute Mentale svolge: attività
di accoglienza, analisi della domanda ed attività
diagnostica, definizione ed attuazione di programmi
terapeutico-riabilitativi e socio-riabilitativi personalizzati,
tramite interventi ambulatoriali, domiciliari e di rete; consulenza
specialistica ai servizi di confine, alle strutture residenziali per
anziani e per disabili e agli Ospedali collocati nel territorio
competente; attività di filtro ai ricoveri e di controllo
della degenza nelle Case di Cura Psichiatriche accreditate, al fine
di assicurare la continuità terapeutica.
SERVIZIO PSICHIATRICO di DIAGNOSI
e CURA (S.P.D.C.): il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura è
il reparto ospedaliero dove vengono attuati trattamenti psichiatrici
volontari ed obbligatori in condizioni di ricovero; è parte
integrante del Dipartimento di Salute Mentale .
CENTRO DIURNO: è una
struttura semiresidenziale, collegata al Centro di Salute Mentale
(C.S.M.), con attività terapeutiche e riabilitative, con
particolare attenzione alla risocializzazione dell'utente,
attraverso progetti individualizzati. Ha il compito di prevenire e
contenere il ricovero, promuovere programmi riabilitativi e
risocializzanti individuali ed integrati per gruppi omogenei di
utenti, di supportare gli inserimenti formativi, lavorativi ed
occupazionali con livelli differenziati di protezione.
COMUNITÀ PSICHIATRICA:
è una struttura residenziale con elevato livello di attività
terapeutico-riabilitativa ed assistenziale per persone a lungo
assistite dai Centri di Salute Mentale del D.S.M., non assistibili a
domicilio e richiedenti un alto livello di intervento sia
terapeutico che assistenziale non raggiungibile all'interno delle
altre strutture del Dipartimento di Salute Mentale. In relazione
alle finalità proprie della struttura la Comunità
psichiatrica persegue i seguenti obiettivi: offrire ospitalità
residenziale di lungo periodo, prestare assistenza alle principali
funzioni di base dell'utente, erogare attività terapeutico -
riabilitative individualizzate; promuovere attività di
socializzazione, elaborare progetti di reinserimento nel tessuto
sociale DAY HOSPITAL
PSICHIATRICO: è una struttura semiresidenziale, collegata
al Centro di Salute Mentale (C.S.M.), con attività sanitaria,
terapeutica e riabilitativa a breve e medio termine per progetti
terapeutici individualizzati. Ha la funzione di evitare ricoveri a
tempo pieno, nonché di limitarne la durata quando questi si
rendono indispensabili. Si rivolge ad utenti con psicopatologia
sub-acuta, aventi necessità di interventi farmacologici,
psicoterapeutici e riabilitativi. La
riabilitazione.
Ripercorrendo la
storia delle attività riabilitative in campo psichiatrico, si
può constatare come grande impulso sia stato dato dal processo
di demanicomializzazione attuato nel Novecento, che ha visto quindi
spostarsi il centro delle attività curative e di intervento
dalle mura ospedaliere alla comunità.
Questo cambiamento
ha richiesto la formazione di strutture e di competenze che
permettessero nuovi tipi di interventi.
Su iniziativa di
operatori non professionali e dei pazienti nacquero centri di
riabilitazione psicosociale, dove gli utenti vengono aiutati a
risolvere più i problemi concreti della vita reale, che quelli
di tipo intrapsichico, tramite la loro partecipazione attiva nel
gruppo, un inserimento lavorativo, etc. Venne favorito
l'apprendimento delle capacità sociali, basato sui principi
della psicologia sociale e della teoria dell'apprendimento,
finalizzato all'acquisizione da parte dei pazienti di nuove
competenze che permettano di sviluppare quelle capacità
pratiche necessarie a fronteggiare i problemi della vita quotidiana.
Rispetto ai tipi di intervento
richiesti in ambito riabilitativo, si può constatare come allo
stato attuale essi si collochino in due aree. La prima vede la sua
funzionalità nell'ambito della deistituzionalizzazione
progressiva dei pazienti internati prima della legge 180, al fine di
permettere loro di riacquistare quelle competenze e quelle capacità
che durante il ricovero non hanno avuto modo di essere espletate, e
di favorire un loro reinserimento nel contesto sociale. La seconda
area si localizza in quella fascia di "nuova cronicità"
(posteriore all'abolizione del manicomio) che non può essere
trattata in modo adeguato tramite ricoveri nei SPDC, somministrazione
di farmaci e relazioni terapeutiche di tipo ambulatoriale. Per poter
intervenire con un piano riabilitativo efficace, che segua il
paziente nella sua evoluzione, è importante un monitoraggio
continuo dell'intervento per poterne valutare la funzionalità
e modificare eventuali carenze. La riabilitazione quindi, diventa un
momento nel quale ci si prende cura del paziente tramite la
trasformazione della sua realtà contestuale, finalizzata ad un
parallelo cambiamento del suo mondo interno. Bibliografia
La riabilitazione psichiatrica
(Liberman)
Metodologia della riabilitazione
psicosociale (Ba)
VADO (Morosini, Magliano,
Brambilla) Internet:
Eurispes, Il
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Riabilitazione
Psichiatrica
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Capitolo 2
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