Campioni d’Italia

Francesco Delfino


6. L’antimafia del generale

Delfino rispunta in Italia nel 1887, con il grado di colonnello (anche se non ha mai comandato prima, come è d’uso tra i Carabinieri, una compagnia e un gruppo). Dopo aver attraversato terrorismo nero e rosso, si tuffa nella nuova emergenza nazionale: Cosa Nostra. In attesa di un nuovo incarico è inviato a Palermo come vicecomandante della Legione. Un incarico non operativo, dicono all’Arma, un parcheggio: aveva la responsabilità dell’ufficio amministrazione, della motorizzazione e dell’infermeria.

Ma Delfino non la racconta così: sostiene di aver raccolto 400 uomini in un capannone dove erano riparati gli elicotteri e, «senza dire a nessuno l’obiettivo perché è mia abitudine non fidarmi di nessuno», di essere partito alla ricerca di Riina. Dove? Nella villa in costruzione di Balduccio Di Maggio. «Purtroppo», racconta Delfino alla Commissione parlamentare antimafia il 25 giugno 1997, «non ho trovato Riina in quella villa in costruzione, quasi ultimata, di un personaggio che nessuno conosceva come l’autista di Riina».

La leggenda aggiunge particolari mirabolanti all’impresa di Delfino a Palermo: la scoperta di lunghissimi cunicoli sotterranei che partivano dalla villa di Di Maggio; l’esplosione dell’auto di Delfino, addirittura nel cortile della sede della Legione... Agli altri Carabinieri tutto ciò non risulta. Vero è invece che Delfino viene assegnato al comando della Legione di Alessandria. «Dissero che a Palermo mi agitavo troppo», spiega Delfino alla Commissione antimafia, lasciando capire che la sua intenzione di cercare davvero i boss latitanti era stata la causa del suo allontanamento.

Delfino cerca di rientrare in gioco a Palermo quando a Novara gli capita tra le mani Di Maggio: per una assoluta casualità (Balduccio, arrestato a Borgomanero su impulso dei Carabinieri di Palermo che avevano cominciato a cercarlo già nel primo semestre del 1992, chiede di parlare con un pezzo grosso, un generale, durante quella lunghissima notte del 9 gennaio ’93 a Novara). Che cosa si dissero, quella notte, Delfino e Di Maggio? Il generale promise davvero un miliardo a Balduccio in caso di «pentimento»? Balduccio raccontò davvero già in quelle ore la storia del bacio tra Riina e Andreotti, che Delfino si guardò bene dal mettere a verbale? Ci furono altri patti segreti stipulati quella notte?

Certo è che Delfino non consegnò quello strano verbale, firmato da ben quattordici carabinieri, al magistrato di turno della procura di Novara, la dottoressa Caroselli, ma lo portò a Gian Carlo Caselli, che era a Torino in attesa di partire per Palermo, dove, dopo la morte di Giovanni Falcone, aveva chiesto di andare a fare il procuratore della Repubblica. Delfino cercò di agganciarsi a Caselli e di essere trascinato con lui in Sicilia, a occuparsi delle ricerche di Riina. Ma Caselli non accettò l’offerta e Delfino fu allora costretto a trasmettere gli atti a Palermo, dove entrò in scena la squadra di «Ultimo». Con tutto ciò, Delfino non mancò di far filtrare sulla stampa che il merito della cattura di Riina era suo. E, prima di ciò, fece trapelare la notizia dell’arresto di Di Maggio e del suo «pentimento», che doveva restare segreto il più a lungo possibile.
(6.continua)