Campioni dItalia Più solide invece le accuse sulla gestione dei sequestri a Milano, alla fine degli anni Settanta: una storia che era costata al generale un avviso di garanzia, ma che era poi stata archiviata dal giudice nel novembre 1994. Con una formula, però, che lascia aperti i dubbi e che oggi ripropone tutte le domande lasciate senza risposta allora. Il via allindagine lo aveva dato Saverio Morabito, ieri killer spietato della Ndrangheta al Nord, oggi collaboratore di giustizia considerato di «attendibilità pressocché assoluta». È lo stesso personaggio che ricorda i bei tempi in cui suo padre andava a trovare il giovane tenente Delfino a Luino prima di passare il confine svizzero carico di materiale di contrabbando. «Delfino ha raccolto le mie confidenze tanti anni fa», racconta Morabito, «e alla fine ha mostrato un piccolo registratore che aveva in una cartella e mi ha detto: vedi, io avrei potuto registrare tutto, ma non ho registrato niente. Se parlerai ai magistrati, raccontagli quello che vuoi, ma non firmare niente». Poi il generale, sibillino, aggiunge: «Ti prometto che ti farò avere gli arresti domiciliari». Morabito capisce, e tace. Solo tre anni dopo si decide a parlare con il sostituto procuratore di Milano Alberto Nobili: svelando i giochi pericolosi di Delfino, il suo slalom infinito tra guardie e ladri. Dopo Morabito, molti altri calabresi decidono di parlare. Erano anni difficili. Mentre lattenzione dellopinione pubblica era calamitata dalle azioni eversive dei gruppi di estrema sinistra, la criminalità organizzata accumulava ricchezze e potere. A Milano e in Lombardia tra il 1976 e il 77 lallarme sequestri aveva raggiunto il massimo grado. Delfino, allora capitano, era attivissimo. Nel 76 riesce a penetrare nel covo dovè tenuto prigioniero Carlo Alberghini pronunciando addirittura la parola dordine dei rapitori. Nel 77 libera Erminio Rimoldi e arresta una trentina di persone. Come riesce a ottenere questi fulminei successi? «Avevo sei confidenti negli ambienti dei calabresi di Corsico e di Buccinasco», risponde Delfino. «Tra di noi cè un infiltrato», si allarmano i calabresi. Delfino inizia a pedinare e intercettare boss e soldati delle famiglie Sergi e Papalia. Sono i compaesani di Platì e San Luca trapiantati a Corsico e Buccinasco, nellhinterland milanese. I controlli iniziano esattamente un mese prima che venga messa a segno una tripletta di sequestri in dieci giorni. Ma, stranamente, i rapimenti non sono evitati. Anzi, proprio nei giorni in cui avvengono i primi due (l8 e il 16 maggio 1977) i servizi di pedinamento sono sospesi. Come mai? Delfino ha un suo uomo detro il gruppo che li organizza: è Antonio Nirta detto «Due Nasi», il nome che in Calabria si dà al fucile a canne mozze. Ma il capitano interviene solo a cose fatte: mette a segno «brillanti operazioni» che gli valgono encomi, fama e avanzamento di carriera. Più 300 milioni (una somma enorme, per quegli anni), che dice di dividere tra i suoi sei fantomatici confidenti. Racconta Mario Inzaghi, il killer della banda: «Come poi abbiamo potuto capire tutti chiaramente, siamo stati lasciati eseguire il sequestro Galli e soprattutto il sequestro Scalari». Poi Nirta è finito in carcere. Non lo chiamano più
«Due Nasi», ma «LEsaurito». Fa il pazzo,
cammina avanti e indietro nella gabbia degli imputati durante i processi,
pronuncia discorsi complicati senza capo né coda. Conosce molti
dei segreti di Delfino, ma non sembra volerli raccontare. Il generale,
del resto, ha dichiarato di non conoscere nessuno della famiglia Nirta.
«In questo modo», commenta Morabito, gli ha mandato a dire:
stattene tranquillo che io non ti tradirò». Nella villa di
Delfino a Meina, vicino a Novara, un grande muro e un pesante cancello
custodivano i suoi segreti. Tra il giardino e la ferrovia ci sono addirittura
vetri antiproiettile. |