Sicilia e Francia nell'opera di Federico De Maria

di Ida Rampolla del Tindaro

Università di Palermo

 

Nella lunga serie dei francesisti siciliani, Federico De Maria occupa un posto a parte per la sua opera di appassionato studioso della letteratura francese e per i collegamenti da lui trovati tra la cultura francese e quella siciliana, della quale fu pure un grande cultore e divulgatore anche in Francia e in altri paesi francofoni.

Eppure, malgrado i numerosi onori e riconoscimenti tributatigli in vita, del De Maria si sono poi tutti dimenticati: nessuno ne ha parlato nemmeno in occasione del centenario della nascita (era nato a Palermo il 21 Luglio 1885) o del trentennale della morte (morí, sempre a Palermo, nel 1954).

De Maria ebbe invece notevoli meriti che è giusto gli siano riconosciuti. Nel 1905 aveva creato una rivista, La Fronda, in cui era apparso un manifesto di carattere futurista che precorre nettamente quello di Marinetti, del 1909. II carattere innovativo delle sue concezioni è riscontrabile anche nella conferenza da lui tenuta a Palermo nel 1906, intitolata Prima esegesi del metro libero, in cui sosteneva che il ritmo e il metro nascono con l'ispirazione poetica, ma che l'arte comporta freno e legge, anche quando questo freno e questa legge è l'artista stesso a crearseli e a imporseli. Appunto per questo De Maria, pur avendo aderito al futurismo, se ne distaccò appena ne vide gli eccessi.

Ancora più importante la sua opera di precursore nei riguardi del romanzo. In Santa Maria della Spina, scritto nel 1902-4, rimaneggiato nel 1908 e pubblicato nel 1911, appare per la prima volta il monologo interiore e sono presenti elementi che annunciano già Proust, Svevo e Joyce e addirittura gli esistenzialisti. Eppure solo Aldo Capasso, molti anni dopo, si accorse dell'importanza di questa genuina narrativa di scavo: sull'opera scese ben presto il più totale silenzio.

De Maria sentiva in modo particolare l'ansia di rinnovamento. Era stato, ad esempio, uno dei più attivi collaboratori della rivista La Bohème diretta da Gioacchino Noto e redatta da Santi Sottile Tomaselli, un vivace oppositore del dannunzianesimo imperante, uno dei primi poeti crepuscolari, che precedette perfino Corazzini). Lo stesso De Maria, ne La leggenda della vita, pubblicata nel 1908, anticipava alcuni toni gozzaniani, prima ancora che apparissero i Colloqui.

II poeta fu anche il primo a studiare e ad incrementare i rapporti culturali tra Sicilia e Tunisia. L'occasione gli era stata offerta da un medico trapanese, il dott. Pietro Brignone, Presidente della Dante Alighieri di Tunisi che lo aveva invitato nel 1907 a tenere una conferenza per gli italiani residenti nella città nordafricana. II tema scelto dal giovanissimo conferenziere, Nuove correnti della poesia italiana, era certo troppo impegnativo e aveva attirato scarso pubblico: gli intellettuali e le autorità presenti lo nominarono però ugualmente conferenziere perpetuo degli italiani di Tunisia impegnandolo a tornarvi ogni anno. Vi tornò infatti due volte nel 1908 e poi ancora nel 1909,1910, 1911 e 1921. In questi viaggi, volle come compagni altri siciliani che collaborassero con lui per intensificare i rapporti tra le due culture: tra questi, Giuseppe Mulè, col quale eseguì dei melologhi, un genere nel quale riuscì ad eccellere, e poi il trapanese Giuseppe Piazza e G.A. Borgese, col quale mantenne un'interessante corrispondenza. De Maria suggerì e preparò anche il primo tour nordafricano della compagnia dialettale diretta da Nino Martoglio, che riscosse un enorme successo. Nei suoi giri di conferenze in Tunisia, ebbe anche la non comune delicatezza di riservare ai collaboratori le città più importanti, lasciando per sé i piccoli centri ai confini del deserto, come Gabès, Gafsa, Tozeur dove portava ai contadini e agli emigrati la voce poetica della Sicilia. Ebbe modo così di constatare che i poeti dialettali siciliani Alessio Di Giovanni Vincenzo De Simone e Vanni Pucci erano estremamente popolari, per non parlare del Meli, i cui versi erano spesso citati anche dai piú modesti emigrati. Venne anche in contatto con un gruppo di studiosi che come lui si sentivano attirati da quella che chiamavano la piccola Sicilia africana: Aldo Camilleri, autore di molte pagine di argomento algero-tunisino, e Luigi Vetri, autore di un esame demo-storico-economico sulla Tunisia.

Molti anni dopo, nel 1934, De Maria scrisse un romanzo, La vita al vento, basato proprio sull'importanza dei rapporti tra i due paesi. L'opera passò ancora una volta sotto silenzio: solo gli italiani di Tunisia dimostrarono di aver gradito che per la prima volta la loro regione avesse ispirato in Italia un’opera letteraria. In queste sue pagine sulla Tunisia, lo scrittore siciliano non andava in cerca del color locale come avevano fatto tanti autori francesi: il suo scopo era quello di incrementare i rapporti culturali e la conoscenza reciproca tra la Sicilia e il vicino paese, in nome di un suo senso di apertura e di una vocazione mediterranea che coltivò per tutta la vita.

Queste qualità ispirarono e guidarono sempre anche il suo interesse per la cultura francese.

Sedicenne appena, De Maria aveva pensato-di recarsi, nel 1902, a Parigi, in occasione del centenario della nascita di V. Hugo. Lo spunto occasionale era stato la lettura di un verso delle Contemplations: "Nous errions, elle et moi, dans les monts de Sicile"... L'interesse per l'opera del poeta francese era stato destato proprio da questo riferimento alla Sicilia. Ma su queste sensazioni ed emozioni esiste una pagina del De Maria scritta direttamente in francese e rimasta inedita, che val la pena di riportare:

Victor Hugo et la Sicile

En 1901, s'approchant le centenaire de la naissance de Victor Hugo, un tout petit homme, presq'un enfant, sicilien, lisait le Contemplations et rencontrait I'Eglogue qui commence: « Nous errions, elle et moi, dans les monts de la Sicile »... Heureseument frappé que le poète connaissait son pays, il feuilleta les mémoires de Victor Hugo: il ne trouva pas de traces de son passage dans I'ïle de Théocrite. Mais il s'aperput alors que I'Eglogue du poète avait une signification bien plus haute que celle apparente; que l'aventure mythologique et amoreuse vécue par la fantaisie de Victor Hugo dans une région qu'il connaissait seulement à travers I'ancienne littérature, était un de ces souffles de I'esprit qui passent sur le monde et font aimer toutes les régions comme une plus grande patrie: que des hommes privilégiés peuvent oublier toutes les divisions augmentées par le progrès et la civilisation et au dessus de la politique, des grandes industries, des sports et des banques, se rechercher, s'entendre, s'aimer et se faire aimer.

Cependant, j'ai connu encore mieux ce poète, cet homme. Je me suis aperpu aussi que son génie universel était latin surtout; et que ce cives romanus, ce disciple de Virgile et de Lucrèce, outre que franqais de naissance et de passion, était italien de dévotion et de goút.

En effet, in n'y a pas parmi les poètes et les artistes les plus significatifs, Shakespeare excepté, personne de si rapproché de Dante Alighieri que V. Hugo; et pas à Dante seulement, mais aussi au poète dantesque du marbre, Michel-Ange, et au poète dantesque des notes, Giuseppe Verdi.

Ces trois génies italiens sont reproduits en Victor Hugo, mélange sublime de gothique et de baroque. Mais il y a une troisième affinité spirituelle entre Victor Hugo et I'Italie: son intérét à notre renaissance politique et son amitié pour notre héros national Giuseppe Garibaldi, l'un de ses frères d'élection: amitié et fratérnité héroïques qui arrivaient jusqu’au sacrifice de son activité politique, lorsqu’a Bordeaux il se trouva, presque seul, à défendre le général des chemises rouges contre toute l’Assemblée des députés. Voilà pourquoi I'enfant de 1901 décida de faire participer son pays aux prochaines fétes du centenaire de la naissance de Victor Hugo en apportant, le 29 Février 1902 à la maison du oète un al,bum contenant des autographes d'écrivains et d artistes italiens à l’hommage de V. Hugo.

Mais son aspiration était plus grande que ses possibilités. II fera un jour peut-étre le récit de son voyage: petite abeille de I'idéal, il enleva le miel de la sympathie au calice des ámes des artistes et des écrivains qu'il visitait dans son pèlerinage. II trouva aussi des épines, des hostilités sourtout chez les médiocres. II fut obligé d'abandonner son entreprise car il était déjà trop tard, et de renoncer à Paris, où M. Paul Meurice avait déjà fait annoncer sur le « Gaulois » son argonauthique de poésie.

Cependant il continuait sa moisson idéale. 30 ans après sa première tentative, à l'occasion où la France féte le centenaire du Roi s'amuse la plus grande bataille théátrale de V. Hugo, et pendant qu'en Italie on féte le cinquantennaire de la mort de Garibaldi, il peut enfin accomplir les voeux de sa première jeunesse, il arrive gráce à la société Dante Alighieri de Paris au seuil de gloire du prophète vénéré et au nom de la fraternité - lien immortel - de la poésie qui connait une patrie immense et sans frontières, il pose ce bouquet de fleurs de la pensée et de l’art italiens sur le tombeau radieux de celui qui a fait plus grand et plus aimé le nom de la France dans le monde.

A Parigi, dopo queste prime delusioni dovute alla giovane età e ai progetti troppo ambiziosi, egli ebbe in seguito lusinghieri riconoscimenti. Nel 1905, "le Figaro" e "Le Journal des Débats" lo salutavano già come messaggero di rinnovamento dell'arte e della poesia italiane. In seguito, nel Novembre del 1929, tenne addirittura un corso straordinario alla Sorbona - Institut international - su L'epopea francese nella tradizione siciliana e, nel Maggio 1932, un corso su Victor Hugo e la poesia italiana del secondo Ottocento, all'Institut Victor Hugo di Parigi. Nel 1935, fu nominato Officier d'Académie per meriti letterari; nel 1951, a Parigi, gli fu conferito il Grand Prix international de poésie de la Méditerranée e fu nominato membro dell'Académie méditerranéenne di Nizza,

Tutti questi riconoscimenti, venuti sempre dalla Francia, coronavano la lunga attività di un francesista che si era continuamente ispirato alla letteratura e alla cultura francese per le proprie opere, anche quelle di un ambiente siciliano. Basti ricordare, tra tutte, Corte d’amore a Maredolce, un'azione scenica in due atti ambientata nella Palermo del 1242, che ha, tra i protagonisti, diversi trovatori provenzali, L'Aquila del Vespro, ispirata al Vespro siciliano e vincitrice, nel 1911, di un concorso nazionale bandito in occasione del cinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia, e la traduzione - riduzione di Carmosina - la fidanzata di Palermo, una fiaba storico-romantica di Alfred de Musset ispirata a una novella del Boccaccio.

Ma la sua principale opera teatrale, che rappresenta un ideale collegamento con l'epopea carolingia e ne costituisce in un certo senso il completamento, è La spada d'Orlando, un poema drammatico dalla storia travagliata.

Dapprima l'opera, in quattro atti, aveva avuto come titolo I Paladini di Francia, cambiato poi in La Spada d'Orlando a causa del significato simbolico da lui dato alla Durlindana. De Maria, inoltre, aveva avuto sempre una vera passione per l'opera dei pupi, e aveva intervistato noti pupari, che gli avevano rivelato di non avere testi scritti, ma di rifare a memoria le imprese dei paladini. A uno di questi pupari il poeta aveva promesso di scrivere una vera e propria commedia su Orlando. Per ispirarsi, si era recato più volte nell'oscuro deposito in cui venivano riposti i pupi; e là, come egli amava raccontare agli amici, aveva avuto la sensazione precisa che i fantocci inermi lo ascoltassero e che si animassero nell'udire declamare i brani del poema drammatico che egli andava elaborando dentro di sé... Da questa fantasia di poeta è nata La spada d'Orlando, un'opera dalle geniali trovate e innovazioni.

Anzitutto, egli introduce nella vicenda eroica un nuovo personaggio, Truffaldino, una specie di Sancio Pancia ma malizioso e perverso. Scettico e opportunista, egli non crede nel significato e nella validità degli ideali cavallereschi, e si propone piuttosto di impadronirsi dei beni dei paladini, perché vede negli oggetti di loro possesso un potere misterioso utilizzabile per fini pratici: L'elmo di Mambrino che difende da tutti i colpi come l'onestà, il cavallo Bajardo veloce e ìndomabile come il buon diritto, il corno Olifante che si ode a qualunque distanza come la voce della fama, l'Ippogrifo che si solleva tra le stelle come la fantasia, Durendal la spada che assicura il primato sulla terra e che asseriscono sia quella della dea Giustizia, eccetera! Tutte storie da bambini, in fondo, alle quali però molti uomini da tempo mostrano di credere, e che sono quindi necessarie per darle da bere ai gonzi.

Come avviene per l'opera dei pupi, anche De Maria si ispira prevalentemente ai romanzi e ai poemi cavallereschi italiani, che avevano trasformato e arricchito di elementi fantasiosi l'originale epopea carolingia. L'elemento nuovo è soprattutto Truffaldino, unico essere umano della commedia, il cui linguaggio dissacratore crea uno stridente contrasto con quello aulico e solenne dei cavalieri, rappresentati dai pupi.

A Olivero che, parlando a Rinaldo orgoglioso delle proprie imprese, dice: "II valore / più alto è quel che cela i suoi bagliori / dinanzi alla sciagura" Truffaldino replica, a parte: "Com'è sonnifero questo sputasentenze!". E poco dopo, a proposito d'Astolfo: "... Vorrei vedere io se questo idiota con la testa sempre tra le nuvole, che vorrebbe essere poeta, volasse non metaforicamente, dove andrebbe a fiaccarsi l'osso del collo!"

II linguaggio dei paladini ha invece sempre un certo sapore arcaico, che dà la sensazione di un mondo remoto e staccato dalla realtà. De Maria si cimenta anche nelle ottave, con risultati abbastanza felici:

L'Ippogrifo innalzavasi a spirale
e sotto a noi la Terra sprofondava
nerastra nell'abisso azzurro; I'ale
turbinanti, sicuro, ora poggiava
a un raggio, ora a una nube, su per scale
fluide, a noi soli offerte nella cava
immensità dov'io, ebbro, sentivo
d'essere il centro, piccolo, ma vivo!

Poi I'ombra c'inseguí con le sue onde
torpide, il freddo ci aggredì: fu un mare
di color perso, muto e senza sponde.
Ma cominciaron lente a gocciolare
le stelle, a galleggiare - come bionde
meduse - le comete; e biancheggiare
vidi alfine, pìú prossima, fra torme
d'asteroidi, come un arco enorme
la luna!

Non sempre tuttavia De Maria raggiunge effetti d'arte: vi sono momenti in cui i versi hanno un tono prosastico e altri in cui si nota una retorica che i critici del tempo non avvertivano. II linguaggio di Truffaldino è poi a volte addirittura triviale, o ha degli anacronismi che stridono terribilmente col mondo fantastico che l'autore vuole creare. Frasi altisonanti, termini desueti ed espressioni grossolane (a proposito sempre del solo Truffaldino) si alternano però a momenti di puro lirismo e a fantasie che ricordano le interpretazioni romantiche delle mitologie nordiche, come quando nella foresta, Angelica vede apparire fauni, gnomi, streghe a cavallo delle scope e stregoni su enormi lumache, o il mago Merlino su un carro formato da una ghianda colossale tirata da tartarughe. E non mancano scene che rivelano un'abile tecnica teatrale, paragonabile a quella che proprio in quegli anni suggeriva di ricorrere al cinema per esprimere le visioni segrete e per rappresentare sul palcoscenico un doppio spettacolo.

De Maria non si serve in realtà del cinema, ma mostra delle immagini dietro una tenda "in una luce di sogno": la visione di Bramimonda vestita da suora, quella di Bradamante in armi a cavallo "per una foresta illuminata di verde luce", quella di Angelica "adagiata su plumei cuscini, fra ruote smeraldine di pavoni e incensieri fumanti".

Sono degne di rilievo anche le idee di De Maria sul teatro, che riecheggiano quelle sul teatro fantastico annunciate quasi un secolo prima da Gautier, creatore di un delizioso teatro poetico da leggere, come quello di Musset, "dans un fauteuil". Dice infatti l'autore Siciliano: "Sia, insomma, una volta il teatro del meraviglioso e del complesso, l'arte dei trucchi scenici e dei meccanismi, che sorprenda e diverta, che ci distacchi dal drammatico e dal comico quotidiani. Realizzata sul solito palcoscenico - aggiungendovi finalmente tutto quanto la nostra raffinata esperienza meccanica (i russi insegnino) può dare - tutta quella complessità fantastica e fantasiosa che gli uomini portarono un tempo nei romanzi e nelle epopee e che oggi non han saputo portare oltre il cinematografo, pur avendola apportata nella vita. II telegrafo senza fili e l'aeroplano non sono infinitamente più fantastici di una commedia di pensiero?"

La suggestione teatrale dev'essere per lui alimentata anche dal sottofondo musicale, di cui egli dà gli elementi: ".. una musica lontana, in sordina, che formerà come l'atmosfera della irrealtà in cui i personaggi stessi si muovono. Questa musica sarà più vibrata e piú descrittiva nelle pause e negli intermezzi, quando il teatro s'abbui. Tacerà talvolta quando l'azione diverrà più serrata; tacerà sempre, anche troncandosi bruscamente, quando parlerà Truffaldino".

Anche nelle didascalie e nell'Introduzione, l'inconfondibile lirismo del De Maria trova modo di manifestarsi per dare all'opera un carattere del tutto nuovo e diverso da quello di tutte le altre rappresentazioni teatrali del tempo.

Ciò è evidente anche dalla particolare vicenda descritta nel poema drammatico. La spada d'Orlando inizia con l'arrivo di Truffaldino nel ridotto in cui sono riposti i pupi, i quali si animano improvvisamente e reagiscono contro l'uomo che vuol distruggere il loro regno incantato.

Truffaldino, impaurito, capisce che, per i suoi fini interessati, non gli resta che inserirsi in quel mondo, incarnando il personaggio a lui piú affine, e cioè il traditore Gano di Magonza. Divenuto marionetta, egli, con le sue perfide arti, riesce a scatenare guerre e rivalità tra i paladini. Così tiene tutto in pugno e si impadronisce anche di una pietra di enorme valore, la pietra della felicità. Il potere è ora nelle sue mani: i paladini, privi dei loro magici ausili, errano smarriti in un mondo che non sembra piú fatto per loro. La stessa Angelica subisce il fascino sinistro di Truffaldino, che la invita a godimenti piú concreti di quelli offerti dai cavalieri. Gli ideali sembrano dunque tutti crollati, ma Truffaldino deve ancora realizzare la sua piú grande aspirazione: quella di impadronirsi della spada Durlindana, simbolo di eroismo e di virtù. Ma quest'impresa non riuscirà: la spada di Orlando salirà in cielo, irraggiungibile per chiunque non sia poeta e non abbia l'animo puro. Così si conclude la favola drammatica in cui si mescolano elementi dell'epopea carolingia e del poema ariostesco, fusi in un'atmosfera irreale e fantasiosa, che ricorda in alcuni tratti la levità shakespeariana della Tempesta o del Sogno di una notte di mezza estate.

Truffaldino, simbolo del reale che si contrappone all'ideale, dell'uomo comune che non può raggiungere certe altezze e del male che si contrappone al bene, è però forse la sua migliore creazione.

De Maria si ispirò a questo tema anche in un'altra opera, L'uomo che sali a! cielo, rappresentata con successo a Parigi nella primavera del 1953, imperniata sulla conversione dell'emiro di Sicilia Ajub-ben-Temin, che aveva subito il fascino spirituale di Ruggero d'Altavilla.

La rappresentazione della Spada d'Orlando fallì invece miseramente anche se a causa di motivi contingenti. L'opera era andata in scena a stagione quasi conclusa, il 10 Maggio 1929, in un teatro periferico di Milano, il teatro Dal Verme, davanti a un pubblico distratto e con una messa in scena assai poco curata. Ecco come Ettore Romagnoli, che aveva saputo mirabilmente mettere in evidenza il personaggio di Truffaldino, descriverà uno dei momenti piú infelici della rappresentazione: "... Truffaldino, per coronare i suoi ladronecci, vorrebbe impossessarsi anche di Durendala, la famosa spada d'Orlando. Ma costui, in punto di morte, supplica il Signore di non far cadere la nobile arma in mani sí turpi; e poi la scaglia verso il cielo. La spada non ricade e si trasforma in costellazione. Ma, per dare scenica attuazione a questa bella fantasia, Durendala fu legata con una corda che al momento opportuno avrebbe dovuto farla ascendere al cielo. Sennonché, quando si presentò in scena Orlando che la impugnava, avvenne che si vedeva la corda piú che la spada... Orlando rientra allora sulle quinte per sciogliere la corda. Poi ci rientra ancora per scagliare in alto la spada senza che la si veda ricadere. Confusione. Un paio di scene vuote, sia pure brevissime... E così il finale andò a picco."

La Spada d'Orlando, malgrado l'insuccesso della rappresentazione, rimane una delle opere più significative del De Maria, quella che meglio riassume i caratteri del suo stile e della sua ispirazione. Tra le tante recensioni positive seguite alla pubblicazione dell'opera in volume, si può citare quella di Arturo Massolo, che ha saputo centrare il vero significato della Spada d'Orlando: "... Questa fusione del reale e dell'irreale, a cui vien dato un valore positivo, dà un meraviglioso senso di magia, di sogno che non è sogno, reso in un'atmosfera di super realtà che è o dovrebbe essere la sola realtà vera del teatro".

Altre recensioni favorevoli apparvero in Francia, tra cui una particolarmente interessante di Concetta Arena su Les transformations du personnage traditionnel de Roland dans La spada d'Orlando de Federico De Maria.

II poeta siciliano aveva in Francia e in Belgio moltissimi amici, con i quali era in corrispondenza e dai quali vedeva spesso tradotte le proprie poesie. Naturalmente era spesso invitato a partecipare alle varie manifestazioni letterarie organizzate oltralpe. Tra i suoi numerosi interventi e discorsi, bisogna almeno citare quello pronunziato alla prima Biennale di poesia di Knokke nel 1952, intitolato Méditerraneisme et universalité de la poésie et des arts. In queste pagine, egli rivela una notevole capacità di sintetizzare e di esprimere l'essenza della civiltà mediterranea, della quale sa cogliere tutta la perenne vitalità: "... Le mediterraneïsme, aujourd'hui, est d'une parfaite actualité. Les moyens de communication ont aboli les frontières: comment pourraient ne pas les abolir, dans le domaine de I'esprit, la poésie, I'art, la pensée qui dépasse les vitesses supersoniques? Comment pourraient-ils rester clos en un petit bourg, limités en un petit moi, quand les peuples se cherchent, aspirent méme inconsciemment à s'unir, à fraterniser? (...) L'art méditerranéen, riche en sève vitale, humain et éloquent (je dis éloquent dans le sens de sa clarté, de son pouvoir communicatif) est de tous les temps et de tous les pays, tout en changeant et en évoluant dans ses formes, tout en demeurant moderne è chaque époque. Plusieurs pédagogues, dès I'humanisme et dès la Renaissance, ont appelé cela « classicisme ». Mais en vérité, il doit étre appelé plutót classique et romantique en méme temps. Le classicisme n'est que la fausse atmosphère crée par érudits; le classique est l'espression définitive, claire et directe de la chose, I'espression qui a la méme valeur en grec qu'en italien, en français qu'en anglais (...) La tragédie grecque est toujours vivante (et si vous venez un jour à Syracuse aux représentations classiques, vous verrez qu'elle emeut toujours, I'artiste comme le paysan, I'homme cultivé comme I'ouvrier). Elle n'est ni littérature, ni cérébralité. Elle s'est perpetué, en dehors de la volonté, d'artiste-à artiste et d'un temps à I'autre. Nous retrouvons Eschyle en Shakespeare, et Euripide a été le lointain aïeul du dramaturge le plus personel et singulier de notre demi-siècle, Pirandello .

De Maria si interessava naturalmente anche di letteratura italiana: nel '36 cominciò a insegnare letteratura poetica e drammatica al Conservatorio di Palermo, e dal '38 fu nominato titolare per chiara fama. Nel '44 fu incaricato per la stessa materia all'Università di Palermo. Dall'agosto '46 al Febbraio '47, Radio Palermo trasmise 37 sue originali radioscene su miti e leggende storiche di Sicilia. Tra le manifestazioni piú importanti degli ultimi anni, bisogna però ricordare le celebrazioni del VII centenario della poesia e della lingua italiana, svoltesi nel Giugno 1951 a Palermo, promosse e dirette appunto da Federico De Maria. Erano presenti naturalmente numerosi critici stranieri, che pubblicarono poi grandi resoconti della manifestazione sui loro giornali.

Le cronache del tempo si dilungano molto anche sulle cerimonie legate al Gran Prix de la Méditerranée, conferito a Parigi a De Maria da una giuria prestigiosa (fra gli altri, ricordiamo Pierre Benoit, Francis Carco, Paul Fort, Gabriel Faure...). Alla presenza dell'Ambasciatore d'Italia Quaroni, fu organizzata anche, al Théátre national du Palais de Chaillot, una serata poetica in cui André Chamson, presidente del PEN Club di Francia, volle rendere un vibrante omaggio alla lingua italiana attraverso l'opera di De Maria. Anche Francis Guex-Gastambide, sulla Gazette de la République des Lettres, pubblicò un interessante profilo del poeta, ricordandone l'opera di precursore e la lunga, fervida militanza nel mondo delle lettere.

Tra gli apprezzamenti stranieri, ve ne è uno che ha il pregio di essere poetico e inedito: la poesia scritta dal noto poeta belga Maurice Caréme in ricordo di Federico De Maria subito dopo aver appreso la notizia della sua morte. Si tratta di una delicata composizione inviata da Caréme a un amico palermitano, e rimasta fino ad oggi ignota:

Complainte

La maison dans la nuìt délire.
A quoi bon écouter la pluie,
La pluie des morts, la pluie de cire!
Il était un petit navire
Après la pluie fondra la neige.
Ma téte trouée de soucis
Laissera fuir ses sortilèges.
Ce soir, les morts trempés de pluie
Vont y entrer en longs cortèges.
Parmi les cloches siciliennes,
Est-ce toi qui reviens déjà,
Cher Federico de Maria,
Rejoindre l'ombre musicienne
Qui protège Garcia Lorca?
Où se sont perdues vos lumières?
C'est mon souvenir qui essuie
La précieuse lampe sans verre
Où luisait la mélancolie
de votre vie couleur de terre.
Mon coeur est malade aujourd'hui
De tant d'amour qu'on abandonne.
Ma tristesse rouillée de pluie
Aux doigts de pluie de vos morts sonne,
Enrouée d'automne et d'ennui.

Maurice Caréme

 

Qualunque giudizio critico si possa oggi dare dell'opera del De Maria ìl cui successo fu per molti versi legato alla sua attività di operatore culturale, entusiasta e instancabile, è innegabile l'importanza del poeta siciliano quale ambasciatore della nostra letteratura all'estero e quale diffusore in Sicilia della letteratura francese e francofona. È giusto quindi ricordare un personaggio che è entrato anche nella storia del costume letterario per le sue numerose iniziative e che ha dato un'impronta alla vita letteraria palermitana per un mezzo secolo.

Bisogna anche riconoscere il suo merito di precursore di un'unione europea basata sulla cultura e sull'intensificarsi degli scambi: infatti, nessuno come il De Maria abbinò a un profondo amore per la propria terra un cosí grande senso di apertura verso gli altri paesi e una tale capacità di trovare dei punti d'incontro tra culture diverse, e in particolare tra quella siciliana e quella francese.

Ida Rampolla del Tindaro

NOTE

Ecco infatti alcune considerazioni del De Maria apparse nel primo numero: "Per noi, insomma, è arte grande solo quella che rispecchia la vita, mirando al futuro... vogliamo quindi che chi fa arte sia uomo d'oggi, figlio di questi ultimi due secoli ardenti di luce meravigliosa, fratello di coloro che han dato all'umanità il vapore, le macchine elettriche, il telegrafo senza fili, la radio e mille fulgide promesse per l'avvenire... Possibile che i poeti d'Italia e di tutta la latinità ora non siano buoni che a frugare, rimestando tra le morte ceneri della tradizione? Siano allora buttate a mare queste tradizioni e queste.glorie del passato, quando non servono che a incepparci invece d'esserci fari in un libero cammino. O diamo meglio uno sgambetto a tutti coloro i quali non sanno metterci dinanzi agli occhi che il passato, il passato, quest'eterno passato!".

Cfr. il volume di Francesco Pedrina, ll poeta precursore (Palermo, Palumbo, 1954), che però contiene solo un esame parziale dell'opera del De Maria.

Introduzione a La spada d'Orlando, Milano,1929, p. 6.

Ibidem.

<5&127; citato da Lucio D'ambra nella Prefazione a La spada d'Orlando, cit., p. XV.

&127;6&127; A. Massolo, La spada d'Orlando, in &127;·Novale,&127;, Settembre 1929.

&127;r1 &127;&127;La Phalange&127;&127;, Paris,17 Juin 1937, pp. 624-639.

Citiamo alcuni passi significativi: &127;&127;... Auteur important, il n'est pourtant pas un auteur

populaire. II s'est fait néanmoins par ce poème dramatique le rapsode, I'aede, I'áme profonde

de son pèuple et de son pays. On voit'qu'il a suivi toute la parabole des fluctuations de la lé-

gende épique, d'abord aristocratiques et reservées, portées ensuite à se démocratiser et à

s'altérer au cours des représentations et devant les auditoires populaires successifs de la lé-

gende en tournée dans I'ïle (...) II convient plutòt de remarquer comment le poète a su profiter

de son fond, donnant un particulier relief aux points les plus saillants de I'émotion et des sen-

timents en contraste, nous offrant à chaque page la fusée d'une remarque juste, d'une obser-

vation fort pénetrante, d'un élan à la fois poétique et critique&127;&127;.

Pubblìcato in Témoignages sur la poésie du demi-siècle, ed. La maison du poète,

1953.

&127;91 &127;&127;... On peut dire qu'il a toujours été en Italie à I'avant-garde de la poésie contemporai-

ne. C'est lui qui, le premier de tous les poètes européens, écrivit avant Marinetti et le futuri-

sme une Ode à la gloire de I'aviation et, plus particulièrement, à la gloire des aviateurs Wil-

bur Wright et Hubert Lathan. Aujourd'hui il demeure le précurseur qu'il a toujours été. En ef-

fet, I'avant-garde de la poésie italienne contemporaine n'est pas, comme on pourrait se I'ima-

giner, de militer pour I'hermetisme et le surréalisme, mais bien au contraire de retrouver, dans

la clarté et dans I'amour de la tradition, les sentiments huniversels humains qui n'ont cesé de

présider au destin éternel de la poésie. C'est dans cet esprit que Federico De Maria se trouve

étre avec ses amis Ugo Betti, Aldo Capasso, Lionello Fiumi, Elpidio Jenco, A. Ugolini, à la téte

d'un mouvement appelé réalisme lyrique (...) Poète de I'humain, poète &127;&127;humanitariste&127;&127;, oui, F.

De Maria I'est totalement. C'est pour I'homme qu'il écrit, hors de tout égocentrisme, dans une

compréhension émouvante de I'áme de I'humanité (...) Un héros, par exemple le Roland de la

chevalerie franqaise le captive seulement par se grandeur d'áme et non par ses exploits ou

ses faits d'armes&127;&127; (F. Guex·Gastambide, Pour federico De Maria lauréat du Prit international

de la Méditerranée étre à I'avant garde de la poésie signifie &127;&127;ne pas désespérer de !'homme&127;&127;

Gazette de la République des lettres, Novembre,1951).