Camino
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La sonnolenta Spoleto s’attedia
sotto la neve che cala, che vortica
a ogni turbine di vento improvviso
come un vertiginare di falene.
Ed io la guardo con affaticati
occhi, dietro le vetriate, dove
vengo a seder per lunghe ore, da sei
giorni: guardo la neve oltre i ghiacciati
vetri, guardo la mia ospite sempre
muta nella cucina che mi accoglie
col suo tepor benigno. Aspetteremo.
Aspetteremo che la nevicata
cessi, per andar fuori, per andare
al camposanto, a deporre due fiori
sulla tomba dei morti di mia madre.
Io l’aspetto da sei giorni. Da sei
giorni? Infiniti. Furon cosi brevi
ventiquattr’anni che ricordo pallidi
e lontani, e son dunque cosi eterni
questi ospitali sei giorni di neve?

Siede sotto la cappa del camino
fuligginoso la vecchia signora,
smagliettando una calza. Ad ogni filza
compiuta leva gli occhi, a sé tirando
per il filo il gomitolo che trottola
leggero sui mattoni netti, volge
uno sguardetto a me e alla finestra,
esclama: "Che calduccio!"
o: "Sarà buona
la polenta coi tordi"
, rattizzando
il fuoco che scoppietta, ansa, sfavilla.
Attorno a lei (da quanti anni?) tranquille
sonnecchiano le vecchie suppellettili
pulite, il ramaiolo, la marmitta,
la padella di rame, a una parete
appese, che di tratto in tratto accendonsi
d’un riflesso del mobil fuoco, il tavolo
d’assi schiette, la madia, gli scannetti
impagliati e le snelle lucernine
d’ottone. Da quanti anni? Dall’infanzia
sua, di suo padre, dei suoi morti; ed ànno
tutti come una lor melanconia
di troppe cose, di troppi ricordi.
La vecchia cenerentola, contenta
del suo camino, vive qui, così
presso gli alari, con la calza, forse
da tempo immemorabile, ma senza
rimpianti, senza desideri: il suo
mondo non à orizzonti oltre la chiusa
finestra; arde il suo sole nella cappa
fuligginosa, come per quel vecchio
soriano ravvolto sulle ceneri
calde, che non ricorda più amorosi
gennai sui tetti annevicati, e dorme
tutto con qualche lento desiderio
di cibo dentro il ventre intorpidito.

Ah! non c’è mondo di là da quel fuoco
nemmen per me: non ricordo, non penso.

Tepida inerzia. Mi dànno fastidio
sol le campane, incessanti campane.
Di là un moscone ronzante mi canta
la ninna-nanna...
E anch’io mi sento l’anima
d’un gatto, d’un buon gatto sornione
come quello che pisola e si grogiola
presso la fiamma. Presto fumerà
la polenta sul desco, e poi di nuovo
riposo, e poi domani... all’infinito...

  (novembre 1907)

 
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