Il mio dominio, ch'io sognai già vasto
e ricco come un continente prima,
come un'isola poi, come una cima
di monte, ora è una stanza senza fasto.
Da un balcone s'affaccia su una piazza
angusta e fra alti muri sempre chiusa
come un pozzo, dal vasto moto esclusa;
ma un po' di sole giunge alla terrazza.
Mobili bruni e carichi d'oscuro
passato. Io mi compiaccio dell'ignoto
che dorme in questo legno da remoto
tempo: io, che fui poeta del futuro.
Il letto — un poco bara, come tutti
i letti — mi dà il senso di mistero
del sonno e della morte: cimitero
d'anime, porta dei miei sogni i lutti.
Sul tavolo, la piccola persona
d'una Vittoria bronzea, mai stanca
di tener l'ali aperte, però manca
della mano che porge la corona.
La marmorea Venere, che braccia
non à per allacciare amanti, in posa
musicale, offre a me, voluttuosa e
pura, la sua bellezza senza faccia.
Lì di fronte la Vergine e Sant'Anna
ambigue sorridono al Bambino
Gesù, d'un demoniaco e divino
riso che, se mi esalta, anche mi danna.
Sorriso ambiguo, che anima la tela
leonardesca con un senso acuto
di dubbio e d'amarezza d'un perduto
bene, d'un bene che non si rivela.
Su gli stalli del coro stan seduti
labili amici che io non riconosco.
Sorridono; ma con un che di fosco
nelle occhiaie. E quei lor dialoghi muti,
e quei lor cenni vaneggianti e fluidi
come fatti in un aere più denso
delle lor membra, alfine dànno un senso
di molestia, perché parlan di buio.
La biblioteca tenta, col sorriso
delle sue melagrane, ravvivare
i libri, i serii immoti libri, amare
mummie d'anime eroiche. O paradiso
d'intenzioni, o infinito d'utopia,
biblioteca, sepolcro che mi tenti
da ragazzo, e mi tieni, ai tuoi frammenti
d'anima unisco i brani della mia.
La mia che passa e non si riproduce
— fedele, intatta, qual'è — in nulla. I versi,
i romanzi ed i drammi son dispersi
accenti; ma il mio buio o la mia luce
chi domani saprà da uno scaffale
coglierli appieno, intenderli, sapere
come fui fatto, riveder le vere
mie fattezze? Io non rivivrò più eguale!
Nessuna cosa è in me chiara, ma tronca
o deformata. Di peccato olezza
la mia Divinità, la mia Bellezza
è mutila, la mia Vittoria è monca!