VALKIRIA

Perché ritorna, così
insistente, fra la cenere
che s'accumula dietro i miei passi,
l'immagine evidente, quasi
reale dell'amata — inaccessibile
amata — dei venti anni?
Ritorna, anche quando m'incontro
con la stanca sua persona viva
d'oggi, e si pone fra me
e questa, e la cancella
più viva, sola viva!

Ritorna, fanciulla dal passo
lieve, quasi alato,
nella guaina nera
del lungo abito appena scollato,
alta sopra la snella
taglia la testa dai densi
neri capelli, infiammati
da una rosa, rossa come
le sue labbra; ed è pallida e austera
e un po' assente nel suo pensiero
ch'era mio, che io solo avevo
letto già nelle nere grandi stelle
dei suoi occhi, bella alla mia follia
come una favolosa regina giovinetta,
e quale una sera
— l'ultima sera — m'apparve
in alto, accanto al fumante paesaggio
wagneriano, tra valanghe di musiche sovrumane.
Ma è sempre taciturna
la sua bocca e non sorride
mai, oggi come allora.
Solo i suoi occhi mi parlano
come allora, per dire:
«Addio, da domani!»
(Fra le musiche intanto la notturna
ninfa,cinta di fiamme,
s'adagiava in letargo, inaccessibile!)

Ma ora no, mia regina del sogno, lontana
cima, fra le varie impossibili cime
della mia giovinezza,
no, tu oggi non sei
più triste. Per la prima volta
sorridi! La tua stanca
persona, che fu ed è d'un altro uomo,
non sei tu. Tu aspettavi che io ti raggiungessi per nuovo
sentiero, diverso da quelli del mondo,
ed ora, solo ora, al confine
dell'eterno, intatta, per sempre ti trovo!

 

























Comincia, piano e distante,
ma crescendo, la misica:
l'
Incantesimo del Fuoco della
Valkiria di R. Wagner











La musica prosegue,
altissima, sino alla fine.

MAGGIO


Maggio, il gaudioso maggio, fascia il mondo,
ed il lontano cielo e le mie carni
e l'anima di luci e di colori
inusati, ci inonda di profumi
e di sorrisi. Nei boschi i detriti
fradici, su le spiagge i fuchi e l'alghe
agonizzanti, nei campi il concime,
fervono al sole e brulican di vite.
I vermi metton ale, i fiori si offrono,
il vento reca pollini ed odori
di fecondazione. Dalle cime
alte le ultime nevi in gai ruscelli
precipitan cantando; cantan, ebbri
di lor musiche, uccelli tra stormire
di gaie fronde; al notturno brillio
degli sciami celesti, dalle siepi
rispondono i volanti
sfavillii delle lucciole. Ogni cosa
esprime nuova vita, eternità
di vita!

                E anch'io son preso in queste spire
di colori e di luci, di profumi
e di musiche, anch'io sento dissolvermi
in atomi beati nell'immenso
e l'anima salire nell'affIato
che passa dai fili d'erba alle stelle.

Ma in fondo a questa coppa
di nettare che maggio mesce al mio
declino, sento crescere di volta
in volta l'amarognola
feccia che m'avvelena con l'angoscia
d'un dubbio: Tornerà?
Porterà fiori ancora il nuovo maggio?

MURO

L'unica voce che per me colmava
Il mondo d'armonie,
tace...
E un muro di silenzio ora mi cinge
duro e compatto come acciaio,
in un angusto lembo di deserto
ai confini del mondo con l'abisso.
L'abisso nero
e senza fondo è alle mie spalle; e il muro
di silenzio che sale altissimo e mi vieta sole e stelle
s'inalza sempre più
d'ora in ora e sul poco suolo scivola
lento, e me, che ai suoi piedi mi dibatto
cercando uno spiraglio,
incalza e spinge verso il buio profondo.
Oh, so che il vasto mondo
e luce e amore e giovinezza e riso
di vita sono dietro
quel muro, e tu ci sei
- immagine per me d'un universo
di gioie! Odimi! Resta
nel tuo mondo più immenso, immacolata
e da me divisa per sempre,
Felicità che non ebbi:
ma ora odimi! Grida
una volta il mio nome!
Dissipa questo muro, e un'ora almeno
io sopravviva
illuso dal ritorno della luce!

SOLITUDINE NELLA FORESTA

La sera lenta e dolce mi sorprende
nella foresta. I cìmoli degli alti
lecci fioriscon d'aria dorata;
poi l'ombra li disfoglia e infine sbocciano
su invisibili cespi tremolanti
luci. Beata ombra mi cinge, annega
ogni forma qui in basso, ove la mia
persona esiste s'io la palpo, come
esistono al mio tatto i tronchi attorno
e cespugli e macigni. Aerei, vivono
suoni: il sibilo della biscia, il chiurlo
dell'assiolo, il pigolio d'un nido.
E, più sommessi, il mio respiro, il battito
del mio cuore. Ma un più vasto respiro
e un più diffuso battito è degli alberi
e dell'erba, e giunge anche dagli spazi
palpitanti di stelle. Si rispondono
cuori a cuore, respiri
a respiro: siam tutti creature
viventi; anzi io, confuso con la densa
ombra, sono materia come i tronchi
poderosi, come i cespugli fragili,
come la terra che ci regge: l'anima
mia è parte dell'anima di questa
selva e — più ancora — si diffonde, sale
negli spazi, è pure anima di quelle
piccole fiamme, di quei mondi immensi.
Materia e anima in questa solitudine
s'imbevono di pace,
si dilatano ai ritmo delle musiche
mute dell'ombra e dell'immensità,
intendon l'eloquenza dei susurri
e dei brividi che passan fra terra
e cielo: l'universo, ecco, paterno,
svela a me, solitario
uomo, il suo senso recondito: «Amore».

Ma uno svolìo di desti uccelli e crepiti
di frasche calpestate da fuggenti
zampe ed un trasalir di fronde a un gracile
sparo, viola a un tratto
le armonie della notte e della sacra
solitudine: è l'altro uomo, che arriva!

PIAZZA DELLA CONCORDIA

Piazza della Concordia, sotto un cielo
di madreperla. Le fontane a un tratto
divampano. Son gli zampilli liquido
fuoco, sprizzano gocce
che son faville. Attorno,
sul palco dei veicoli, sul flusso
dei viandanti, le diffuse ceneri
del vespero s'avvivano col sùbito
sgorgar di mille lampade. Alla pallida
luna ed alle smarrite stelle in cielo
rispondon mille lune e centomila
stelle dalla supina terra — immensa
nell'ora — ove s'accampano
argentei fantasmi
di sparsi monumenti fra la tenera
fumea verde del Bosco, svanente
nell'aria lontana. Quei viali,
quel ponte sul fluire
del fiume, e questo piano ove io mi apparto
fra il moto vasto eppur tacito, giungono
all'orizzonte, forse oltre, si spingono
verso confini favolosi? Il cielo,
la bellezza degli astri,
non sono compimento
divino dell'immensità di questo
mondo umano, di questa altra bellezza
nata nel tempo
da volitivi spiriti? — Oh, bellezza,
connubio di natura
con creativo genio
e con lavoro d'uomini, di miei
simili, che per me, per altri oprarono;
bellezza che mi fa
smarrire e insieme mi esalta, da te
mi viene gioia e orgoglio d'esser uomo,
d'essere vivo!

                        Milioni d'uomini
col declinar dei lustri
ànno già calpestato questo suolo
e contemplato questo cielo, meno
lucènte della terra
che l'arte umana à ornato; come me
ebbero in cuore un tremito felice,
gioia prossima al pianto. E cosi forse
in altre piazze, in altri
luoghi del mondo dove sorge un tempio
e sparsi monumenti,
dove sono tracciati altri viali
fioriti in mezzo a boschi, e impresso è un segno
benefico del genio umano.

                                            Eppure,
malgrado tanta luce
accesa sulla terra, troppi altri uomini
per vie buie e fumose
vanno divisi. Giungon dai lontani
continenti aspre brezze
d'odio; barriere di rancore chiudono
le strade e i cuori.
Soltanto fame d'oro e di dominio
e effimeri piaceri
chiamano folle e invitano a contendere;
e i mezzi di lavoro sempre più
inumani, le macchine terribili,
e tutto ch'è folle progresso, incita
alla contesa finale che avrà
per arena la Terra fatta angusta.

Tu sola pura, e dolce
all'anima, Bellezza della Terra
e del Cielo, (o sortita
dalle mani dell'uomo per la gioia
dello spirito da quando l'antico
primo commosso barbaro graffì
forme viventi
sulla roccia, o sentì voci divine
giungere dagli spazi illuminati
al suo cuore, e ripeterle
tentò con modulata
armonia nel suo canto e all'inesperto
vibrare della prima cetra; fino
a me, fino a quanti altri, oggi e domani,
te adoreranno nell'arrisa Patria
senza frontiere), tu forse potrai
intenerire i cuori che la vita
non à ancora impietrito,
far che gli uomini sentano pietà
di se stessi e che piangano d'amore!

LO SPECCHIO

All'offesa del nemico
io balzai — dura e vibrante volontà
di stritolano, a vendetta.
E tosto vidi balzarmi di fronte,
non più lui che si ritraeva
sgomento, ma me stesso
— furente ed orribile.
Un attimo, ed in costui riconobbi
la fiera originaria, ridesta
in me da lontananze di millenni:
quell'entità celata
nella mia scorza
mondana, quella che si fa ragione
con le unghie e coi denti o che inventa
l'arme perfetta, quella
che non accorda quartiere al fratello nemico.

Quella? Ed io che avevo elevato
il mio pensiero alle sfere più eccelse
dei cieli, io che avevo parlato con Dio,
ero anche colui
che imbestia, pronto alla violenza?
Io, sublime in un'opera bella,
in una parola d'amore,
ero anche l'efferata
belva che dà in un attimo la morte?

Ed allora ebbi paura
del violento che s'era scatenato
in me, e chiesi perdono di me stesso
al mio sognante spirito deluso.

POEMA DEL MEDITERRANEO


Mare Mediterraneo, mi sei come sangue delle mie vene,
come respiro mi sei nelle tue brezze,
sonno alle bonacce e sogno alle notti piene di stelle,
e mi sei ira nelle tue tempeste.

Specchio del mondo primevo, vedesti il caos diradare
i suoi nembi e dissolversi al sole i fumi dei tuoi vulcani,
sposarsi all'azzurro del cielo l'azzurro delle tue acque,
e di millennio in millennio Dei accorrere ed in te mirarsi.

Da altre rive d'ogni angolo della Terra, da monti remoti,
lungo migranti fiumi, a te convennero popoli
dei tre continenti, obbedendo ad un'aerea voce
che prometteva in quelle acque tutti i tesori del mondo.

Ebbre di te, per goderti senza rivali, tribù
di pari sangue si trucidaron fra loro; stirpi illustri
si estinsero; esuli cinsero corone; talor l'avventura
divenne mito o il mito a verità nuove die' luce.

Balenò sulle tue acque, or crucciato ora propizio, il viso
del Dio unico; a te scesero i suoi profeti, i santi, i messia;
ti percorse da oriente a occidente il verbo divino,
pose all'ombra chi della croce, chi delle spade il Paradiso.

Alle tue sponde rivestì ogni forma perfetta la Bellezza
assoluta: poema fu, musica e danza, scena e tempio,
magia di colori e di marmi; e di fronte ad essa l'Idea
penetrò negli abissi più oscuri, s'inalzò oltre le stelle.

Delle tue salse gromme vestisti ugualmente l'acropoli
e l'angiporto, la reggia e la suburra. Ispirasti il coro
d'Eschilo e il flauto del pastore. Il linguaggio delle Orse
e del Sole apprendesti all'oscuro navicellaio e a Colombo.

Non governò le tue onde e i tuoi lidi la spada
soltanto, ma seguì la quinquereme di Lutazio Catulo
la bilancia di giuste leggi. Dalla scimitarra
degli emiri l'agricoltore saraceno forgiò l'aratro.

Sulla scia di galee rostrate veleggiarono le fuste
colme di buone merci; tesori esotici giunsero
da ogni orizzonte; dagli orti delle tue isole profumi
nuovi su ale di zefiri volarono sopra i tuoi flutti.

Cavaliere il bandito, eroe il duce della conquista
e talvolta anche all'arrembaggio il corsaro, alla scorreria
il pirata. All'atleta si concesse la regina;
l'adusta schiava d'oriente al biondo sovrano die' principi.

Dolce l'amore e la pietà; ma c'è quando impazza lo stupro
e la vendetta. Al fondersi di carni ed anime, spunta
la nuova razza — magnifica bastarda — che emigra, raggiunge
ogni lontano lido, diventa maestra di tutti.

*

Mediterraneo, ma avverrà il nuovo e forse non ultimo
cozzo fra genti estranee sopra i tuoi flutti.
Tutto quello che ài dato, Mediterraneo, è perduto.

Le risacche di Salamina e di Lepanto non rotolarono
cadaveri quanti le maree delle Sirti e dell'Adriatico,
ieri. Ma ancora per tutto il Mediterraneo e gran tratto

della terra vanno cadaveri di vivi... Oh, non c'è più un semidio
che chiuda le Colonne d'Ercole! Ora i semidii
delle macchine e dei congegni varcano gl'infiniti

spazi dei cieli! Mediterraneo azzurro, i grigi oceani
ti sommergono, i cieli dalle nebbie
fredde gravan su te, il tuo sole vogliono spegnere!

Civiltà dello Spirito e della Bellezza, risorgi!
Mediterraneo, salva ancora il mondo!
Aiuta, Dio: precipita un'altra volta il demonio!

STELLA

C'è una stella
altissima sopra il mio capo,
nel centro del cielo, che mi guarda — lucente occhio sbarrato —
ovunque io vada: all'aperto
la notte, sia sereno
o sia nuvolo, o col giorno;
e s'io mi annidi, o se fermi le palpebre,
essa nel mio cervello riproduce
la cupola nera in cui sta
altissima, intenta a fissarmi.

C'è una stella, da quando s'accese
il cielo
e il primo atomo di me nacque,
che mi veglia: da millenni.
Io ricordo i millenni alla sua luce.
L'anima mia era un filo
di nebbia in mucillagini informi,
e la stella era stella e splendeva
su me dal centro del cielo.
Finché l'anima chiusa in velami
d'insensibilità cominciò a intravedere
luci, la sua luce;
e pur prigioniera stormi
al vento con le grandi fronde
che abitava, e si protese
da rami invocanti
per svellersi dalla terra sorda e salire!

E i millenni trasfusero un'anima
più sveglia in un'ardente creatura
trascorrente leggera
per lande e steppe, su cui
dal centro del cielo
sempre la stella era stella e splendeva.
La vita era moto ed ardore
per la barbara anima lieta,
ed essa non avventava men gaio
il suo nitrito al lucente
occhio che la fissava
dal centro del cielo.

E passarono i millenni
finché l'anima fu anima d'uomo.
Oh, perché quest'anima che ora accoglie
in sé il tempo e l'infinito
si sgomenta a guardare, a sentire
in sé i millenni da quando quell'astro
dal centro del cielo
splende e si riproduce
dentro il mio cranio, a pupille
chiuse? Perché à paura
dei millenni che verranno?
Da millenni tu sarai forse spenta
Anima — e la materia che facesti
viva non sarà più che sasso inerte
o sparpagliata polvere
sotto l'occhio del cielo — eternità
di luce nell'eternità di buio.

O non piuttosto tu sarai salita
ad alimentare anche di te
quell'inestinguibile fiamma?
Contemplerai allora l'inerte
materia che già fu tuo velo
e insieme le spoglie
di tutti gli orgogli e le ignavie
umane sulla terra, anch'essa ormai
arido sasso, percorrendo nei suoi vani giri
le sterminate vie dell'universo.