L' epoca, secondo la storia, sarebbe l'anno 778. Ma la storia non è che
un'astrazione.
Questo melodramma non può rispettarla, né tenerne alcun conto, come, del resto
— io ne sono convinto — noi non siamo usi a rispettare la storia neppure
quando ne
scriviamo i trattati destinati alla scuola.
Per questa volta, dunque, la storia farà il comodo mio come fa sovente il
comodo
di professori e di uomini cosiddetti politici, per fini molto meno innocui e
meno puri dei
miei. Farà il mio comodo come già fece quello dei poeti delle Chansons des
gestes, del
Pulci, del Boiardo e dell'Ariosto, che io m'ingegno continuare e concludere.
I miei personaggi, anzi i miei burattini, si muovono quindi in una atmosfera
che
non è quella respirata dai nostri polmoni d'uomini pretenziosi di conoscere il
fondo di
molte cose, di saperla lunga.
Essi vivono in un'esistenza più grandiosa di quella reale, ch'è
l'irrealtà. Siccome
io sono stufo dette azioni degli uomini, anche delle più straordinarie, che non
cessano
d'esser ispirate da moventi comuni, penso che molti oggi — come me — sentano
la
necessità di distogliere la nostra attenzione, per lo meno nel campo dell'arte,
da coteste
comuni azioni umane.
Dove specialmente questa necessità mi pare più manifesta è nel teatro, ove
ormai
ci si affanna a imitare la vita di tutti i giorni, sia essa veduta attraverso la
cronaca che
attraverso la patologia. L' arte rappresentativa è diventata così
contortamente meschina
da non riuscire a nulla più in là di destarci un vellichìo alla corteccia del
cervello.
Eccitamento della dura madre che al più ci provocherà la meningite.
Ma che cosa importa pel diletto e per la gioia degli uomini l'apporto sul
palcoscenico di nevrastenici e di paranoici che non somigliano agli uomini veri
più di
quel che una tenda di carta dipinta non somigli a una stanza o a una strada? Ma
che cosa
può mutare in noi o può aggiungere a quel che di troppo già conosciamo della
vita,
l'imitazione di un fatto avvenuto, quando le cronache dei giornali che vanno
oggi anche
per le mani dei lustrini, ci rivelano ogni giorno fatti che sorpassano e realtà
vissute che
superano tutte le più studiate realtà e i fatti più costruiti dell'arte
umana, dell' arte —
come si dice — più vicina alla vita?
L'arte à ragione di essere in quanto precorre e ingigantisce la vita, in
quanto ci
allontana da quella realtà, sempre grama, in seno alla quale noi meniamo,
ingegnandoci
ad attenuarne le miserie, i nostri giorni, i nostri minuti. La teoria dei
ribaldi e degli
imbecilli, delle mogli adultere e dei mariti cornuti, degli amanti sfruttatori,
delle vergini
folli, è fatta monotona ormai. Le Clitennestre, le Elettre, le Elene non anno
che cambiato
d'abito, anzi di toilette.
Il palcoscenico: altra monotonia! Si fanno drammi e commedie strizzate e
insalsicciate in atti non più lunghi di così e non più corti di così,
arbitrariamente
imprigionati fra scene e quinte di cui è palese la falsità. E si pretende
somigliare alla
realtà, sopra un intavolato chiuso da carta che fruscia, peggio delle case
giapponesi che
vanno in disuso?
Io so che per interessare i fanciulli si raccontano loro le fiabe, che tanto
più
piacciono quanto più si allontanano da quelle realtà che sono la serva, il
maestro e —
perché no? — anche il babbo e la mamma. So che l'uomo che si diverte è
vicino al
fanciullo. Il godimento non cerca mai di farsi pensoso né grave: è lieve ed
aereo, è una
piccola parte di noi che s'impenna di ali. — Se una pensosità involontaria
esso lascia, è
una traccia lucente che si accenderà col ricordo, più tardi. Per questo
avviene che la
pochade e la farsa abbiano più fortuna del dramma a tesi e, se fan ridere di
cuore, non
eccitano proteste contro illogicità come la commedia psicologica che non è
neppure
capace di far piangere.
Divertire senza aver per interprete un attore brillante o un famoso clown è
sommamente più difficile, lo riconosco: ma è quel che bisogna cercare di fare,
con mezzi
nuovi ed insoliti.
Divertire come diverte il cinematografo. Appunto: perché l'arte non deve
raggiungere e superare il cinematografo che richiama folle non più viste nei
teatri di
prosa?
Sia, insomma, una volta il teatro del meraviglioso e complesso, l'arte dei
trucchi
scenici e dei meccanismi, sorprenda e diverta, che ci distacchi dal drammatico e
comico
quotidiani. Realizzare sul solito palcoscenico — aggiungendovi finalmente
tutto o quanto
la nostra raffinata ,esperienza meccanica (i russi insegnino) può dare —
tutta quella
complessità fantastica e fantasiosa che gli uomini portarono un tempo nei
romanzi e nelle
epopee e che oggi non àn saputo portare oltre il cinematografo, pur avendola
portata
nella vita. Il telegrafo senza fili e l'aeroplano non sono infinitamente più
fantastici di una
commedia di pensiero ?
Dicevo che l'azione si dovrebbe svolgere, secondo la storia, nell'anno 778
della
nostra era.
Nulla di più arido della storiografia, massime di quel tempo. Così arida,
ch'è
corsa dietro alle leggende, ch'è rimasta sopraffatta dalle invenzioni e dai
fiori fantastici
dei cantastorie e dei poeti.
Che felice cosa! Ecco perché è il periodo senza dubbio più suggestivo e
più
affascinante della vita dei popoli europei. Si, dei popoli, poiché esso
appartiene all'anima
dei francesi, come dei tedeschi, come degli italiani, come degli spagnoli:
franchi — e
quindi germanici — gli eroi, francese la costruzione leggendaria, italiana la
volgarizzazione poetica, spagnolo il teatro dell'epopea.
Aridi i documenti cronistici, doviziosissima la leggenda. Fare una cosa scema
attenendosi agli uni; ripetere cose trite seguendo pedissequamente 1'altra.
No: una cosa non finì di dirci l'epopea francese e un'altra l'epopea
italiana: che
ne fu di Durendala e che ne fu di Angelica.
Io lo seppi alfine dalla bocca di Truffaldino, mio personaggio ancor vivo e
sempre
vivo, creatura d'allora e d'oggi, eroe di tutti i tempi, che Turoldo non volle
conoscere e
che Ariosto trascurò, ma che a me s'impose per esser collocato di fronte al
protagonista.
Io dirò, dunque, la storia vera di Truffaldino, di Angelica e di Durendala.
Storia
vera. Chi me la vorrà contraddire? Io so ch'è così perché mi piace che sia
così: e così è la
storia vera, più che quella di Turpino e di Eginardo, com'è vera tutta la
gesta dei paladini
nell'opra d'i pupi dei burattinai di Sicilia, che la fanno rivivere agli
occhi del popolo
sugli angusti palcoscenici dei quartieri plebei, infiorandola di sempre nuovi
episodi, da
parecchi secoli, di generazione in generazione.
I costumi, le scene, gli attrezzi, non avranno la gretta fedeltà storica.
Immaginosamente anacronistici anch'essi, come nelle meravigliose incisioni di
Gustavo
Dorè, saranno — se possibile — più fantasiosi, pur senza mai cessare di
mantenersi
armonici e lontani dal grottesco.
Il dialogo dei personaggi, nei momenti lirici che verranno successivamente
marcati, sarà commentato da una musica lontana, in sordina, che formerà come
l'atmosfera della irrealtà in cui i personaggi stessi si muovono. Questa musica
sarà più
vibrata e più descrittiva nelle pause e negli intermezzi, quando il teatro
s'abbuia, tacerà
talvolta quando 1'azione diverrà più serrata; tacerà sempre, anche
troncandosi
bruscamente, quando parlerà Truffaldino.
I burattini, come loro si conviene, parlano in versi; versi endecasillabi a
lasse più
o meno lunghe di assonanze, come nelle antiche epopee; ma talora anche, per
bocca di
Astolfo, in ottave e in strofe rimate.
Truffaldino solo parla in prosa; e non recita, dice.
AGISCONO:
L'UOMO:
Truffaldino
LA CREATURA REALE E IRREALE:
Angelica
CARLOMAGNO: Personaggio invisibile
I BURATTINI:
Conte Orlando
d'Anglante, sire di Blaia, capo dei paladini di Francia
Astolfo, duca
d'Inghilterra
Rinaldo,
principe di Montalbano
Il gigante
Ferraù, re di Granata
Gano di
Magonza
L'arcivescovo
Turpino
Il negromante
Malagige
Il mago
Merlino
Il re Cimosco
Il messo di
Alda
Il Marchese
Oliviero
Anselmo di
Guascogna
Il Siniscalco
Eggiardo
Gerino
Geriero
Giovone
Gioviero
Cladinoro
Berlingiero
Sansone
Ottone
LE FIDANZATE DEL SOGNO
Alda, la
bella.
Bramimonda,
la Bruna.
Bradamante,
la Fiera.
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