Cenni biografici
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Federico De Maria nasce a Palermo il 21 luglio 1883 (e non nel 1885, come riportano tutti - o quasi - i lavori che sono stati scritti su di lui, Enciclopedia Treccani compresa) da Giuseppe e da Giulia Serafini.

Il suo estro creativo, così come il suo talento drammatico, si manifestarono con eccezionale precocità: aveva soltanto sette anni quando la stampa per la prima volta lo segnalò come eccezionale dicitore di poesie in occasione di un pubblico saggio scolastico. Ancor bambino interpretò parti di ragazzino in teatro. Alcuni suoi ammiratori gli regalarono un importantissimo teatrino, dotato di molte marionette e di un ricco corredo di scenari, e in questo teatrino vennero allestiti pubblici spettacoli per un pubblico di amici e di vicini. I soggetti erano scritti da lui stesso, a volte tratti da romanzi, a volte da lui stesso creati. Il successo era sempre eccezionale.

A 14 anni scrive La Leggenda del Giamma, romanzetto ambientato in India, che viene pubblicato e favorevolmente giudicato da molti critici. 

Nel 1901, a diciotto anni, ha inizio la sua carriera di conferenziere, carriera straordinaria che avrà fine soltanto praticamente alla vigilia della sua morte (1). La sua prima conferenza celebrava il centenario di Victor Hugo.

Nel 1903 pubblica la sua prima raccolta di versi: Voci (sottotitolo: Poema della Natura). Il poeta è appena diciottenne, e molti di quei componimenti risalgono addirittura ai quattordici-quindici anni. Al di là di qualunque apprezzamento critico (pure inevitabile di fronte a poesie quali Czolgocz, La canzone dell'usignuolo, gli Agnelli...), non potevano non provocare reazioni di diverso segno i segni di certe folgoranti acquisizioni quali l'esperimento del cosiddetto verso libero (espressione che peraltro egli più tardi criticherà nel saggio Prima esegesi del metro libero), più rispondente alle esigenze liriche della nuova generazione. 

Il 1905 è un anno cruciale per l'attività di F. D. M., che, nella Pasqua di quell'anno, pubblica un manifesto con cui annunzia la prossima uscita di un giornale letterario-scientifico, "La Fronda". Questo manifesto è un documento di capitale importanza: esso precorreva infatti, senza alcun dubbio, il ben posteriore Manifesto del futurismo di Marinetti. Sull'argomento vedi i saggi di Pedrina e di Biondolillo.

Del 1905 è anche la seconda raccolta di poesie: Canzoni Rosse. Quanto quest'opera abbia scosso l'ambiente letterario, non solo italiano, del tempo, si deduce dalle recensioni di delle maggiori personalità del tempo, e dalla considerazione internazionale di cui il giovanissimo autore cominciò a godere.

Nel 1907 pubblica Interludio Classico, quasi una sfida ai fedelissimi della tradizione, in cui dimostra di saper padroneggiare perfettamente la metrica tradizionale, anche se non è quello il suo naturale linguaggio poetico: e riprende il discorso lasciato in Canzoni Rosse con La Leggenda della Vita (1909), nella cui introduzione, Della relatività e dell'individualismo artistico, è un esaustivo saggio sull'estetica da lui propugnata.

Acceso nazionalista e colonialista, nel 1910 si reca in Libia, e, grazie al suo ...eccessivo attivismo, i turchi lo credono una spia italiana, rischia di essere fucilato e deve fuggire precipitosamente; ma l'anno seguente è al seguito della spedizione italiana, come corrispondente di guerra del Resto del Carlino. Nel frattempo si era molto dato da fare come conferenziere, in giro per l'Italia, al fine di promuovere la spedizione e la conquista della Libia. Tutte queste esperienze sono riportate nel volume Passeggiate sentimentali in Tripolitania - Visioni di pace e di guerra.

Nel frattempo, però, guerra o non guerra, la sua Musa non lo aveva abbandonato: in quello stesso anno 1911 vince, con l'Aquila del Vespro, il 1° premio al Concorso Nazionale per un dramma di soggetto storico-patriottico (in occasione del cinquantenario dell'Unità d'Italia). Quest'opera, di un genere letterario affatto diverso rispetto alle sue fin lì pubblicate opere di poesia, e vero atto di coraggio di fronte alle più o meno recenti e spettacolari prove dannunziane, ebbe grande successo di critica e di pubblico: fu rappresentata numerosissime volte e fu più tardi ripresa con gran successo dalle compagnie Tumiati Mariani Tempesti Masi e Monaldi Tagliaferri.

Ma pare che l'intensa attività di poeta, giornalista e drammaturgo non bastasse in quegli anni ad esaurire le energie creative del De Maria, che nel 1912 dava alle stampe un romanzo al quale lavorava già da qualche anno: Santa Maria della Spina.

Questo romanzo è di eccezionale importanza non per l'indubbio successo di cui godette (due edizioni nel giro di due anni e, una decina d'anni più tardi, un clamoroso plagio) ma per il fatto di essere il precursore assoluto di un genere letterario che di lì a poco avrebbe dominato in Europa con Proust, Joyce, Svevo: Dio ci guardi dal fare classifiche di merito, ma, cronologicamente, F. D. M. precede tutti questi giganti. Solo che la critica, con la sola eccezione di Aldo Capasso, non se ne accorse minimamente.

 

 

(1) Morì infatti, il 1° aprile 1954, in seguito ad un infarto che lo aveva colpito, qualche mese prima, dopo aver tenuto una conferenza su Walt Withman al Circolo Artistico di Palermo. Chi scrive lo ricorda bene, dato che era presente, malgrado l'età, a quella conferenza.

 
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