Discografia
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Iron Maiden (1980)
Uno dei
debutti più fenomenali della storia del rock! La band miscela influenze
varie (Judas Priest, Thin Lizzy, Wishbone Ash, Deep Purple, Rainbow... e
anche un pizzico di irruenza punk) e va a creare l’inimitabile Maiden
Sound. Una sequenza di pezzi straordinaria, che ha i suoi punti di forza
nella cavalcata di ‘Phantom Of The Opera’, nell’introspezione di
‘Remember Tomorrow’, e nel puro heavy metal di ‘Running Free’
(un inno generazionale) e ‘Iron Maiden’. Un disco fondamentale per
la discografia di ogni metallaro.
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Killers (1981)
Da
molti considerato addirittura superiore al primo, ‘Killers’ colpisce
duro l’ascoltatore con una sequela di pezzi da brivido in apertura: lo
strumentale ‘The Ides Of March’,
e le potenti ‘Wrathchild’ e ‘Murders In The Rue Morgue’.
Il resto del disco si mantiene su livelli eccezionali, ma è da notare
come nella seconda metà emergano elementi davvero insoliti per il
Maiden Sound, che non saranno più ripresi in seguito. Un altro must
assoluto!
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The Number Of The Beast (1982)
Harris
cambia leggermente l’impostazione del songwriting, in maniera da
adattare il Maiden-sound allo stile vocale di Dickinson, dotato di
un’impostazione più “lirica” rispetto al suo predecessore. Nasce
un nuovo grandissimo disco, che contiene capolavori ineguagliati come la
title-track (con un riff che ha fatto la storia!), la trascinante ‘Run
To The Hills’ e la soffertissima ‘Hallowed Be Thy Name’.
Epocale!
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Piece Of Mind (1983)
Altra
prova eccellente della band, che accoglie fra le sue fila il
simpaticissimo e mostruosamente bravo Nicko McBrain (cosa che contribuirà
ad aumentare il lato ironico/divertito, da sempre un aspetto
fondamentale della loro immagine, della band). Altra serie di pezzi
incredibili, fra i quali si distinguono l’epica ‘Flight Of Icarus’,
la tiratissima ‘The Trooper’ e la cadenzata ‘Revelations’.
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Powerslave (1984)
Una
maestosa epopea che vede il Maiden-sound cristallizzarsi su pezzi
monumentali come l’opener ‘Aces High’, la potente ‘Two Minutes
To Midnight’ (che a dire il vero riprende un riff già utilizzato da
Riot e Accept), la tormentata titletrack, e soprattutto l’incredibile
cavalcata finale (più di tredici minuti) di ‘Rime Of The Ancient
Mariner’ (liberamente ispirata a un poema di Coleridge). Il suono
della band comincia ad essere un po’ statico, ma l’eccelsa qualità
dei brani fa comunque di ‘Powerslave’ un album superbo.
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Live After Death (1985)
Fenomenale
doppio album dal vivo che racchiude il meglio della produzione dei primi
Maiden. Disponibile anche in versione video (che permette di apprezzare
l’incredibile scenografia che accompagnava la band durante lo ‘World
Slavery Tour’), mostra una band letteralmente al top della forma.
Unica pecca: Bruce soffre decisamente sui pezzi del suo predecessore, ma
compensa il tutto con una stupenda prova di cuore.
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Somewhere In Time (1986)
Vengono
introdotti dei cambiamenti nel suono della band, con l’impiego di
chitarre sintetizzate e atmosfere più progressive (sostenute dal
cantato di Bruce, qui decisamente epico). Il risultato è notevole, dato
che molti considerano ‘Somewhere In Time’ il migliore disco dai
tempi di ‘Number Of The Beast’. Ed effettivamente l’altissima
qualità di canzoni come ‘Caught Somewhere In Time’, ‘Heaven Can
Wait’ e soprattutto ‘Wasted Years’ e ‘Alexander The Great’ è
un’ottimo sostegno a questa tesi.
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Seventh Son Of A Seventh Son
(1988)
Primo,
e per ora unico, tentativo della band di affrontare un concept tematico
(decisione ispirata dall’ascolto, da parte di Dickinson, del
capolavoro dei Queensrÿche ‘Operation Mindcrime’), ‘Seventh
Son’ accentua certi aspetti stilistici introdotti nel predecessore di
cui, pur senza raggiungerne le vette, è un degnissimo successore. Su
tutte spiccano le ottime ‘Moonchild’, ‘Can I Play With Madness’
e la grande titletrack.
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No Prayer For The Dying (1990)
L’arrivo
di Gers, dotato di uno stile molto più sporco (e per questo non molto
apprezzato dai fan) rispetto all’elegante Adrian Smith, porta una
mutazione nel sound del gruppo, che abbandona le atmosfere raffinate dei
dischi precedenti. Il risultato è però un disco mediocre, malamente
supportato da un song-writing poco ispirato e da una discutibile prova
di un Dickinson in evidente calo di ossigeno.
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Fear Of The
Dark (1992)
Una
decisa ripresa, rispetto alla delusione suscitata dal precedente disco,
per un ottimo album che ha nella mirabile titletrack e nella sofferta
‘Afraid To Shoot Strangers’ i suoi punti di forza. Curiosità: per
la prima volta in assoluto, l’Eddie (la mascotte zombie che da sempre
accompagna gli artwork e le esibizioni live dei Maiden) di copertina non
è disegnato dal suo creatore Derek Riggs.
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A Real Live Dead One (1993)
Originariamente
uscito come due album separati, è composto da due CD, registrati
rispettivamente durante il tour di ‘Fear Of The Dark’ e quello di
farewell di Bruce. Dei due, il migliore è sicuramente il primo, che
presenta una discreta scelta di pezzi post ‘Live After Death’
suonati da una band ancora in forma. Decisamente discutibile invece il
secondo, in cui i vecchi classici vengono rovinati da una prova stanca
del gruppo e da un terrificante Bruce Dickinson, in evidente calo di
motivazione e voce.
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Live At Doningtone (1993)
In un
evidente tentativo di sfruttare per l’ultima volta il nome di Bruce,
Harris fa uscire il terzo live dei Maiden nel giro di pochissimi mesi.
Se la scelta è criticabile, il risultato è comunque apprezzabile, dal
momento che questo ‘Live At Donington’ (presentato come bootleg
ufficiale) è di sicuro il migliore dei tre, e pone rimedio
all’insipienza del ‘Live One’ e allo scempio del ‘Dead One’.
Curiosità: su ‘Running Free’ si unisce al gruppo il redivivo Adrian
Smith e si va quindi a comporre per la prima volta, in maniera
estemporanea, quella che sarebbe divenuta la line-up attuale.
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The X Factor (1995)
Primo
disco con alla voce Blaze Bayley, e primo disco in studio dai tempi di
Iron Maiden non prodotto dal leggendario Martin Birch (e si sente, visto
che il suono fa schifo), ‘The X-Factor’ è una grandissima delusione
per i fan di tutto il mondo. A differenza di quanto fatto in passato con
Bruce, Harris non adatta lo stanco songwriting allo stile del nuovo
singer, e il povero Blaze (che comunque è oggettivamente molto meno
tecnico del suo predecessore) rimedia una figura barbina su pezzi
mediocri che non sono scritti per la sua voce. Un mezzo disastro!
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Virtual XI (1998)
Il
disastro è totale. Un album svogliatissimo e mediocre, che non va al di
là del ricalcare scolasticamente i classici del passato, con un
continuo ricorrere al cliché dell’inizio lento e arpeggiato. Inoltre
si registra la tendenza ad allungare a dismisura i pezzi, nel
forzatissimo tentativo di ricreare le atmosfere più progressive dei
primi album. Si salva ‘The Clansman’, un pezzo comunque scritto
chiaramente per la voce di Dickinson (come dimostrerà il tour del
’99), sul quale Bayley non è assolutamente in grado di lasciare un
segno.
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Brave New World
Brave news World è
uno degli album più attesi e pompati della
storia dei Maiden.
Loro stessi lo definiscono il miglior album che abbiano mai
realizzato e Dickinson ha addirittura ammesso di
amarlo più di Piece Of Mind
, il suo preferito di sempre. Ora per i fans una sola
domanda rimane aperta: Brave New World sarà all'altezza di tutto
questo hype? Beh, che il DNA sia quello maideniano e' chiaro già
dallo splendido disegno in copertina.....E una volta schiacciato
il play, un' altro po' di paura va via : gli standard maideniani
si preannunciano alti ! Il livello compositivo e il sound cattivo
ma con classe , sono degni di album come Somewhere
In Time e Seventh
Son ... Le prestazioni
tecniche della band sono come sempre superiori, impreziosite
questa volta dal ritrovato affiatamento e dall'attacco a 3
chitarre (forse gli assoli si sprecano un po', ma deve
essere difficilmente complicato gestire tre ottimi chitarristi
come questi in studio); e poi c'è Bruce
che più intenso , appassionato e bravo che mai, riesce a dare
anche ai brani meno convincenti la classica marcia in più
riconfermandosi una delle migliori ugole che il mondo del metal
abbia conosciuto negli ultimi 20 anni ! Anche
il tocco di Adrian
Smith, sia a livello
chitarristico che compositivo, ha un impatto decisivo,
specialmente quanto a gusto e a stile (quelli che
probabilmente avrebbero elevato allo status di
capolavori album di caratura purtroppo "solo potenzialmente
" grande quali Fear Of
The Dark e No Prayer For The Dying), Brave New World
è un mix di brani carichi e immediati come The Wicker Man
(grandioso singolo apripista), The
Fallen Angel e The
Mercenary , ma anche piu'
epici come The Nomad (immaginate
un brillante incrocio di To
Tame A Land e Powerslave:
bel ritornello incisivo e un'arrangiamento di chitarre di un
livello mai toccati dai Maiden!!), Blood
Brothers (semi-ballad in
continua evoluzione , figlia di Harris e un cantato di Bruce
Dickinson che riporta in
tempi molto lontani, come se fosse un antico menestrello di corte)
e l'infinita The Thin Line
Between Love
And Hate (melodia
delicata , su metal groove potentissimo). Ghost
Of The Navigator e Dream
Of Mirrors hanno invece
stampato in ogni battuta il marchio dei classici di
ferro. Ma sia chiaro che Brave
New World non e' un disco facilmente
assimilabile, da amare alla follia al primo ascolto ! Questo e' il
metal targato y2k ed esige orecchio fino e una certa apertura
mentale. D'altronde uno dei pregi dei Maiden
e' sempre stata la loro natura di pionieri....Palma d'oro anche
alla produzione ad opera di mastro
Kevin Shirley che ha
superato la grande prova facendo rivivere , con personalità e un
pizzico di modernità, il tocco storico del grande Birch: ampio
respiro ai nuovi elaborati arrangiamenti ma con il giusto risalto
al gancio pesante del Maiden
Sound anni '80
(chitarre aggressive, rullante secco , piatti brillanti e bassi in
attacco). Dunque preparatevi a digrignare i denti , in perfetto
stile Eddie,
perchè Brave New World segna
il grande ritorno degli Iron Maiden, come li abbiamo sempre amati
!! Questo è il disco che aspettavamo da tanto, troppo tempo.
Finalmente!!!!
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