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Judas Priest Non sono pochi
coloro che individuano in SAD WINGS OF DESTINY dei Judas Priest il primo album
heavy metal della storia
della musica. Il che dà idea dell’importanza che la band inglese ha avuto
nella nascita e nello sviluppo del genere. Nata all’inizio degli anni ‘70,
la prima formazione vedeva impegnati Al Atkins (voce), K.K. Downing (chitarra),
Ian Hill (basso) e John Ellis (batteria). Il nome Judas Priest (preso dal titolo
di un album di Bob Dylan) in realtà apparteneva già alla band precedente in
cui militava Atkins, ma è questo il nucleo originale che avrebbe dato vita ad
una delle band più importanti degli ultimi trent’anni. Il quartetto aveva
cominciato ad esibirsi dal vivo (facendo anche da gruppo spalla a gruppi come
Ufo, Thin Lizzy e Status Quo) e a comporre brani propri. Dopo alcuni anni la
line-up si assesta, grazie all’ingresso di Rob Halford alla voce, in
sostituzione di Atkins che preferisce un lavoro “regolare” alla professione
di cantante, del chitarrista Glenn Tipton e del batterista John Hinch e la band
nel 1974 riesce a siglare un contratto con la label indipendente Gull. Nello
stesso anno vede così la luce ROCK’A’ROLLA, disco di debutto che arriva nei
negozi tra l’indifferenza generale. La band nel 1975 si esibisce al Reading
Festival, ottenendo ottimi consensi; e poco tempo dopo vede la luce SAD WINGS OF
DESTINY, lavoro storico che contiene anche la versione originale di “Victim of
changes”, uno dei brani metal per eccellenza. Una curiosità: il pezzo è in
realtà il risultato della fusione di due pezzi, il primo scritto
originariamente per Atkins e il secondo composto con l’aiuto di Halford. Alla
batteria siede Alan Moore, che già aveva suonato nel gruppo nei suoi primi anni
di vita e che poco dopo deciderà di abbandonarlo per la seconda volta a causa
della disastrosa situazione finanziaria in cui versava a causa delle scarse
vendite degli album. La situazione si risolleva grazie all’intervento della
CBS Records che offre ai Priest un contratto importante e permette loro di
realizzare nel 1977 SIN AFTER SIN (con l’aiuto di Simon Phillips alla
batteria). La band parte per il suo primo tour europeo, la formazione cambia
ancora con l’ingresso del nuovo batterista Les Binks, la popolarità cresce e
nel 1978 esce l’ottimo STAINED CLASS, lavoro che consacra i Judas Priest a
veri e propri mostri sacri del genere. La creatività del gruppo non si
esaurisce e poco tempo dopo ecco la pubblicazione di KILLING MACHINE (intitolato
“Hell bent for leather” nell’edizione americana), seguito da un estenuante
tour che aiuta la band a conquistare ulteriore popolarità: ormai i fan sono
innumerevoli, il look e il sound di Tipton e soci influenzano legioni di
musicisti, e i gruppi (tra cui gli Iron Maiden) che poco dopo daranno vita alla
cosiddetta New Wave of British Heavy Metal citeranno i Judas Priest come una
delle loro principali influenze. Nel 1979 viene registrato in Giappone lo
storico live UNLEASHED IN THE EAST, indicato da molti come il miglior metal live
album di sempre e su cui non mancano le polemiche (“Unleashed in the studio”
lo definisce qualcuno…). La band cambia di nuovo batterista, è il turno di
Dave Holland, e nel 1980 incide un’altra pietra miliare del metal: BRITISH
STEEL è un successo strepitoso, diventa il loro secondo disco di platino negli
USA (dopo “Unleashed in the East”) e brani come “Living after midnight”
e “Breaking the law” entrano direttamente nella leggenda. Il tour che segue
è sold out ovunque in Europa e negli USA e i Priest si ritrovano a suonare al
Monsters of Rock come una delle band principali del cartellone. Il successo
continua anche col seguente POINT OF ENTRY, che mantiene viva la leggenda del
gruppo. E’ però con l’album SCREAMING FOR VENGEANCE che il quintetto
ottiene il suo maggiore successo: trascinato dall’hit-single “You got
another thing comin’” l’album arriva al diciassettesimo posto delle
classifiche americane e registra vendite da capogiro. Il vento sta però
cambiando e i gusti dei metal kid pure: il seguente DEFENDERS OF THE FAITH segna
ancora un grosso successo per il gruppo, grazie anche a brani come “Love bites”
e “Freewheel burnin’”, ma il fulcro della scena metal si è ormai spostato
nella Bay Area, e si prepara l’invasione del trash e dei suoi seguaci. I Judas
Priest decidono invece di proseguire per la propria strada e pubblicano TURBO,
album controverso e che delude molti a causa della presenza massiccia di
tastiere e sintetizzatori, ma che vende la solita cifra spropositata di copie
spinto dal nome e dalla fama della band più che dall’effettiva qualità del
lavoro. Il 1986 e il 1987 trascorrono interamente in tour e da alcuni questi
show è tratto l’album PRIEST…LIVE!, che contiene solo materiale degli anni
Ottanta e sarà il primo lavoro della band dai tempi di “Stained glass” a
non ottenere il disco d’oro. L’inizio della fine? Niente affatto, perché
nel 1988 esce un lavoro che riporta le coordinate stilistiche dei Priest su
binari decisamente pesanti ed oscuri: RAM IT DOWN riporta in alto il nome del
quintetto, ma è solo un antipasto di quanto succederà di lì a poco. Il
batterista Dave Holland abbandona il gruppo e viene rimpiazzato da Scott Travis,
già nei Racer X, e la nuova line-up nel 1990 registra PAINKILLER, un disco che
lascia a bocca aperta i fan e i critici mondiali: pesante, melodico, presenta
tutte le caratteristiche fondamentali che hanno reso famosi i Priest rilette in
chiave moderna, con una produzione assassina e sonorità che rendono
immediatamente brani come la title track o “Touch of evil” dei veri e propri
classici. Ancora una volta la band si lancia in un interminabile tour mondiale,
ma poco dopo dovrà affrontare i primi veri problemi: innanzitutto una grana
legale che la porterà a dover spender tempo e denaro per difendersi dall’
assurda accusa di aver istigato al suicidio due ragazzi nel 1985 con l’album
“Stained glass”, che secondo le accuse conteneva messaggi subliminali; in
secondo luogo l’abbandono di Rob Halford, vera e propria mazzata inaspettata.
Il cantante decide di dedicarsi anima e corpo al suo progetto solista chiamato
Fight, con cui pubblica due album (le sonorità sono vicine a quelle dei
Pantera), prima di dare vita ai Two assieme all’ onnipresente Trent Reznor dei
Nine Inch Nails. La band nel frattempo è ferma e solo nel 1996 si tornerà a
parlare dei Judas Priest e del loro nuovo cantante: si tratta di Tim
“Ripper” Owens, già frontman dei misconosciuti Winter’s Bane,
specializzati proprio in cover dei Priest. Owens batte la concorrenza tra gli
altri di Ralf Scheepers, ex cantante dei Gamma Ray. Bisognerà aspettare ancora
qualche tempo perché il nuovo album veda la luce: nel frattempo Glenn Tipton
pubblica il suo primo lavoro da solista, intitolato “Baptizm of fire”, e le
case discografiche si sbizzarriscono a pubblicare raccolte di ogni tipo più o
meno ufficiali (quella che riscuote maggior successo è probabilmente “Metal
works 73-93”). Poco dopo tocca finalmente a JUGULATOR, un disco che da un lato
stupisce per la sua violenza e il suo essere al passo coi tempi, dall’altro
delude molti fan che si aspettavano una maggiore dose di melodia. La band torna
in tour e nel 1998 registra il doppio live LIVE MELTDOWN 98 che contiene
moltissimi classici del gruppo, reinterpretati in maniera convincente da Ripper
Owens. Nel frattempo Rob Halford forma una nuova band chiamata appunto Halford e
si rimette a sfornare brani tipicamente metal, facendo sognare i fan che sperano
in una reunion con la sua band madre (e le voci cominciano a girare subito…).
Nella primavera del 2001 vede la luce il nuovo lavoro di Tipton e soci,
intitolato DEMOLITION, che segna in parte un ritorno allo stile del passato. |
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