La vita di....
GABRIELE  D'ANNUNZIO

Prefazione

Gabriele D’Annunzio può essere considerato come uno dei personaggi più illustri della prima parte del ‘900, infatti oltre ad essere stato un grande poeta e prosatore è stato un punto di riferimento per la società del tempo.
 
Vita e opere
La sua vita ha inizio a Pescara venerdì 12 marzo 1863. Gabriele D’Annunzio è il vero nome legittimo e legale; la diffusa e tenace diceria che gli attribuì il cognome di Rapagnetta ha duplice radice: 1° si chiamava Rapagnetta il parente che ne denunciò la nascita allo stato civile; 2° il padre di Gabriele, nato nel casato dei Rapagnetta, era stato adottato da un D’Annunzio e ne aveva assunto il cognome

Terzogenito di Francesco Paolo e di Lucia De Benedictis, ortonese, dopo Anna ed Elvira e prima di Ernesta e di Antonio, Gabriele trascorse la fanciullezza a Pescara compiendovi la sua istruzione primaria. Imparò precocemente a leggere e scrivere alla scuola delle sorelle Ermenegilda e Adele del Gado; ebbe come precettore Filippo de’ Titta e fu preparato a entrare al ginnasio dal maestro comunale Giovanni Sisti. I due ultimi ne preconizzarono la grandezza.

A 10 anni indirizzò al de’ Titta, rimasto sempre suo amico, uno scherzoso sonetto, primo saggio di versificazione che di lui si conosca. Per gli studi secondari fu posto dal padre, a partire dal 1874-75, nel collegio Cicognini di Prato, ove seguì , distinguendosi non meno per l’ingegno sveglio che per la sfrenata vivacità, gli studi ginnasi e, conseguita con un anno di anticipo a Chieti la licenza ginnasiale, quelli liceali.

Ma prima  dell’inizio degli studi liceali si era destato in lui, in seguito alla lettura delle Odi Barbare del Carducci, l’amore per la poesia; e prima che conseguisse con menzione onorevole la licenza già aveva dato in luce, a spese del padre, i suoi primi versi: nel marzo del 1879, a Prato, era stampata l’Ode a re Umberto; e, dopo un altro saggio ( In memoriam, Pistoia, 1880) nel novembre, a Chieti, sotto il nome di Floro, una raccolta in versi, Primo Vere, che, recensita da G. Chiarini nel “ Fanfulla della Domenica” gli diede subito una certa notorietà e gli aprì la collaborazione a quel periodico ( dove pubblicò nel dicembre 1880 la sua prima prosa, Cincinnato ) e ad altri.

Nell’autunno del 1880 aveva pubblicato la 2° edizione di Primo Vere e annunziato ai giornali la propria morte.

Per tempo il D’Annunzio provò l’amore: dalla fanciullezza fino al tempo di Primo Vere spasimò per una Teodolinda dei marchesi Pomarici, conosciuta a Pescara; nel Primo Vere appare una bionda Lilia, che altri non è che la figlia di un mastro muratore, Maria Ciccarini, detta anche dal poeta Ciccarella o Calcinella.  A tacere di altri  fugaci palpiti, nella primavera del 1880 i suoi ardori andavano a Giselda Zucconi, figlia del professor Tito Zucconi, docente al Cicognini, la E. Z. a cui è dedicato il Canto Novo, nel quale essa è celebrata con il nome di Lalla.
Nel novembre 1881 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’università di Roma; udì le lezioni del filologo Ernesto Monaci; e a Roma, presso l’editore allora di moda A. Sommaruga, pubblicò ( 1882 ) un volume di versi, Canto Novo, e uno di novelle,  Terra Vergine, che non ancora ventenne lo resero famoso.

 Collaboratore, oltre che del “ Fanfulla “, della “ Cronaca Bizantina”, nella cui redazione conobbe il Carducci, e del  “Capitan Fracassa “, diretto da Edoardo Scarfoglio, si immerse nella vita galante e mondana della capitale, e a Roma ebbe abituale soggiorno per 10 anni, segnalandosi, oltre che per l'attività letteraria, per l'ostentazione di raffinate eleganze, per le clamorose avventure e i frequenti duelli.  Il 28 luglio 1883 sposò, contro la volontà genitori della fanciulla e dopo aver eseguito una specie di ratto, Maria Hardouin, duchessa di Gallese, con la quale si stabilì in Abruzzo, prima a Porto S. Giorgio, poi nella modesta casa, detta superbamente “ Villa del Fuoco”, appartenente alla famiglia D'Annunzio,  a Francavilla presso Pescara

Alla fine del 1884 tornò a Roma ed entrò alla “ Tribuna “, ove rimase dal 1884 al 1888 come redattore di cronache mondane sotto svariati pseudonimi (Duca Minimo, Mab Svelt, Vere de Vere, Lila Biscuit, ecc.).

Dal matrimonio gli nacquero tre figli: Mario (1884), Gabrielljno (1886) e Ugo Veniero (1887).  Nel settembre 1885, a Chieti, ricevette in duello una lunga ferita al cuoio capelluto, dalla quale ebbe principio la pronunciata calvizie. In quello stesso anno, in seguito al dissesto del Sommaruga, assunse il 15 novembre la direzione della “Cronaca Bizantina”.  Al 1884 e al 1885 in Roma risalgono i primi incontri con Eleonora Duse; l'attrice la prima volta respinse l'intraprendente galanteria del poeta; il secondo incontro si concluse sotto il segno di una reciproca ammirazione e simpatia.

Nell'aprile 1887 ebbe inizio l'amore per Barbara Leoni (Elvira Natalia Fraternali in Leoni: l'Eletta delle EIegie Romane e l'IppoIita Sanzio del Trionfo della morte), che si protrasse fino al 1892, dando luogo a un nutrito corteggio.

Il decennale periodo romano fu essenziale alla formazione dello scrittore; e l’immagine della vita che il giovane poeta si scelse e, per così dire, si sfoggiò, si riflette in varie opere in versi e in prosa, tra le più rappresentative del gusto dannunziano. Proprio in questo periodo romano si ha il passaggio dalla produzione rivolta all’osservazione dell’ambiente regionale alla produzione che riflette invece le sue esperienze erotiche e montane, il raffinato gusto delle varie arti e delle supreme eleganze, gli aspetti della Roma che gli fu più cara (“...non la Roma dei Cesari, ma la Roma dei Papi.....”).

 Poco tempo dopo, sarà costretto ad abbandonare ogni attività letteraria e giornalistica, per adempiere gli obblighi militari, prestando servizio nel reggimento di cavalleria “Alessandria” in una caserma romana, per un intero anno scrive poco e poco guadagna e si ammala di febbri malariche. Non è mai stato così infelice, con l'aggravante di essere costretto a vivere fra volgari commilitoni.
Terminato il servizio di leva il poeta si separa dalla moglie e si trasferisce in un appartamento nei pressi di piazza di Spagna, dove scrive il Giovanni Episcopo edito a Napoli nel 1892, segue poi un altro trasferimento in un convento abruzzese dove fu ospitato da Michetti ( un pittore amico del padre di Gabriele ), luogo ideale per sottrarsi ai creditori e favorevole alla creazione letteraria. Successivamente nel 1891 parte per Napoli.Gli anni napoletani furono per varie ragioni turbati ed inquieti, lo stesso scrittore li definì anni di «splendida miseria».

Prima di separarsi dalla Leoni fu avvinto dal tempestoso amore per la principessa Maria Gravina Cruyllas di  Ramacca, moglie del conte Anguissola, dalla quale ebbe la figlia Renata ( la Sirenetta del Notturno ). Nel 1893 la coppia affronta un processo per adulterio, nel quale fu condannato con la Gravina a cinque mesi di reclusione, pena condonata per indulto.

I problemi economici, accresciuti dalla nuova famiglia, spronano D’Annunzio ad affrontare un intenso lavoro; ma tali problemi non cessano affatto, infatti oltre ai debiti da lui contratti si sommano quelli del padre deceduto il 5 giugno 1893. Nel dicembre dello stesso anno torna a Francavilla con la Gravina e la figlia; qui termina la sua opera il Trionfo della Morte.

Le opere pubblicate fra il 1892 e il 1894 rappresentano nel loro complesso il tentativo di superare l’estetismo voluttuoso con la ricerca di una più profonda umanità. Appaiono in esse accenni, ancora vaghi e discordanti, ma sempre più chiari, alla realizzazione di un tipo di umanità più forte, trionfatrice del dolore e della passione e creatrice del proprio destino

Dal 1894 al 1896 l’opera letteraria del D’Annunzio compie la svolta decisiva verso la concezione nietzschiana  della vita e approda alla dottrina del «superuomo» dello stesso Nietzsche.

 

 

Nell’estate del 1895 con un gruppo di amici il poeta abruzzese effettuò un viaggio in Grecia. Fu un vero bagno nell’ellenismo, che ebbe ampio riflesso sulla sua opera successiva specie in alcune tragedie. Ritornato dal viaggio D’Annunzio pronuncia a Venezia l’orazione Allegoria dell’autunno, che inserirà poi nel romanzo Il Fuoco, in occasione della chiusura della prima esposizione nazionale d’arte.

A Venezia, mentre preparava l’orazione, ebbe inizio dopo un fortuito incontro all’alba, l’amore con Eleonora Duse ( famosissima attrice teatrale del tempo ), durato con varia alternativa di rotture e turbamenti dal 1895 sino al 1904. A questo amore è legato il romanzo Il Fuoco oltre che l’esperienza drammatica del D’Annunzio. Quando il poeta pescarese torna a Francavilla trova la moglie Maria Gravina che, non ancora rassegnata all’abbandono del marito, gli avrebbe dato un’altro figlio ( Gabriele Dante, 1897 ). Durante questo periodo D’Annunzio inizia a scrivere Il Fuoco pensando alla Duse che si trovava a New York per una scrittura teatrale.

In quegli anni il D’Annunzio si erra concesso un’altra esperienza: la vita politica. Nel 1897, candidato alla destra conservatrice, venne eletto deputato della 20° legislatura per il collegio di Ortona a mare.

Poco assiduo in parlamento, la sua azione non ebbe particolare rilievo, se non per qualche battuta ( «Dite al Presidente che io non sono un numero» - quando venne invitato a entrare in aula per raggiungere il numero legale ) e per il passaggio clamoroso dai banchi della destra a quelli della sinistra per affermare la sua solidarietà con l’opposizione contro i provvedimenti del governo Pelloux ). Quando la magistratura si sciolse si presentò candidato in un collegio fiorentino con l’appoggio dei socialisti, ma non fu rieletto.

Nel 1898 si era stabilito in una villa di Settignano, presso Firenze detta la «Capponcina » ( dalla famiglia Capponi, proprietaria della villa nel ‘600 ). A Settignano si stabilì anche Eleonora Duse; e qui, salvo soggiorni sempre più frequenti in altre ville dell’interno toscano, dimorò fino al 1910, attuando in conformità con una sua antica aspirazione un tenore di vita fastosissimo con sontuoso arredo di oggetti d’arte e di antiquariato, numerosa servitù, cani e cavalli di razza. In questi anni il poeta pescarese inizia a coltivare la passione per l’aviazione. A Brescia, nel settembre del 1909, insieme con l’aviatore americano Glenn Curtiss eseguiva il primo volo.

Venuto meno il sentimento tra la Duse e D’Annunzio e incrinatosi definitivamente il loro rapporto, il poeta ospita alla «Capponcina » Alessandra Strarabba di Rudinì, vedova del marchese Carlotti del Garda, con la quale instaura un tenore di vita oltremodo lussuoso e mondano, trascurando l’impegno letterario. La bella Nike, così era denominata la Di Rudinì, lungi dall’essere la nuova musa ispiratrice favorisce lo snobismo del poeta, spronandolo ad un oneroso indebitamento, che decreta in seguito l’ imponente crisi finanziaria. Nel maggio del 1905 Alessandra si ammala gravemente, travolta dal vizio della morfina, il D’Annunzio la assiste affettuosamente, ma la lascia dopo la sua guarigione; la donna sceglierà poi la vita conventuale delle Carmelitane scalze. Segue poi un rapporto tormentato e drammatico con la contessa Giuseppina Mancini da Firenze che si concluse con la pazzia della donna. Le immense difficoltà economiche costringono D’Annunzio ad abbandonare l’Italia e a recarsi nel marzo 1910 in Francia con la giovane russa Natalia Victor de Goloubeff..

Aveva così inizio quello che il D’Annunzio chiamò «esilio» e che si protrasse per cinque anni ( 1910-1915 ).

In questi anni seguirono altri amori come quello della pittrice inglese Romaine Brooks a la mima russa Ida Rubinstein.
La produzione di questi anni, principalmente rivolta al teatro, si apre ad una corrente mistica  che si manifesta in in modi vagamente cristiani nel Martyre de Saint-Sébastien e in  senso risolutamente anticristiano nella Contemplazione della morte, meditazione che gli fu ispirata dal decesso contemporaneamente annunziatogli di due amici, Giovanni Pascoli  e il cattolico francese Adolphe Bremond, che aveva cercato di convertirlo.

In questi stessi anni la Chiesa aveva già colpito con la condanna all’indice tutti i romanzi e i drammi del D’Annunzio.

La campagna di Libia fu un’occasione per il poeta abruzzese di riprendere la lirica patriottica e di destare, in armonia con certa parte dell’opinione pubblica italiana ( si andava formando in quegli anni il partito nazionalista ), spiriti imperialistici ed espansionistici; tra il 1911 e il 1912 compose le Canzoni delle gesta di oltremare. L’opera, appena stampata, fu sequestrata per ordine del governo presieduto da Giovanni Giolitti perché conteneva una violenta apostrofe contro l’imperatore d’Austria.

Intanto spento il Pascoli, l’Ateneo di Bologna offrì al D’Annunzio la cattedra li letteratura italiana che era stata del Carducci, ma il poeta pur ringraziando, asserì di preferire la libertà e rifiutò.

Nel 1914 stendeva il soggetto del film Cabiria, ideato da Giovanni Pastrone ( Pietro Fosco ),e successivamente scrive la sua prima opera cinematografica: La crociata degli innocenti.

Lo scoppio della prima guerra mondiale produsse nel poeta profonda impressione: schieratosi subito idealmente a fianco della Francia, che gli era stata larga di cordiale ospitalità, non tardò a farsi fautore dell’intervento italiano contro gli imperi centrali, movendo sulla linea dell’irredentismo antiasburgico e nel nome di una fratellanza latina da contrapporre al germanesimo.

Alla fine dell’Aprile 1915, auspice Ferdinando Martini, entrò in rapporto col governo presieduto da Antonio Salndra e venne invitato a pronunciare l’orazione inaugurale del monumento commemorativo della spedizione dei Mille eretto a Quarto.

Il 3 maggio partì per l’Italia; il 5  dello stesso mese, a Quarto, presenti le autorità locali e i superstiti della spedizione, ma, com’era convenuto, né il re né alcun ministro, pronunciò la Sagra dei Mille, che fu come la diana della guerra contro l’Austria, con la quale pareva continuarsi il Risorgimento nazionale. A Roma, dal 12 al 17 maggio e poi ancora due volte il 20 maggio, parlò dinanzi a fervide e tumultuanti riunioni di popolo. Il 14  al «Costanzi » tenne il discorso La pubblica accusa, che ebbe gran risonanza; il 19 maggio fu ricevuto dal re.

E’ cero che l’Italia sarebbe intervenuta anche senza il D’Annunzio; ma non è meno certo che egli più di ogni altri contribuì a creare la rovente atmosfera per cui la piazza impose al parlamento la risoluzione per la guerra. Il 19 giugno fu chiamato a sua domanda come sottotenente nei lancieri «Novara ». Dopo essersi recato a Pescara per salutare la madre ( che morì nel 1917 ), raggiunse il 18 luglio a Venezia il Comando Supremo, al quale era stato aggregato. E la sua attività di combattente, iniziata il 20 luglio, si esplicò con la partecipazione a una serie di azioni marittime, terrestri e aeree, in seguito alle quali venne decorato di medaglie al valore militare d’argento e d’oro; inoltre ebbe la croce di cavaliere e ufficiale dell’Ordine militare di Savoia, tre promozioni e tre croci per merito di guerra. Fu insignito anche del distintivo di mutilato, poiché nel 1916 in un atterraggio forzato nel corso di un volo di guerra, riportava una contusione all’occhio destro che in seguito perdette.

Le più notevoli azioni guerresche alle quali il D’Annunzio partecipò con le forze del mare furono l’incursione contro Pola e quella contro le grosse unità austriache ancorate nel Golfo del Quarnaro ( la «beffa» di Buccari ,1918 ), eseguita con i motoscafi antisommergibili ( i MAS ) comandati da Luigi Rizzo e da Costanzo Ciano. Tra le azioni terrestri sono degne di particolare ricordo quelle del Carso ( con i «lupi» della brigata  «Toscana», 1916 ). Degne di maggior rilievo sono le azioni compiute come aviatore e comandante della squadriglia «Serenissima»: le numerose incursioni aeree su Pola ( 1917 ), quella su Cattaro ( 1917 ) e il sorprendente volo su Vienna ( 1918 ), su cui furono gettati manifesti tricolori. La produzione dannunziana degli anni  di guerra, da questa trae costantemente l’ispirazione o almeno l’occasione.

Nel clima  di ebbrezza ma anche di prostrazione prodotto dal paese dallo sforzo vittorioso della guerra, tra l’irrequietudine delle folle esasperate dall’indigenza dei più e dall’opulenza dei profittatori a agitate da aspirazioni  rivoluzionarie, dinanzi all’incertezza dei governanti e del parlamento, il D’Annunzio diventò il rappresentante del combattimento insoddisfatto e del patriottismo deluso. Sono della primavera 1919 vari scritti e discorsi, nei quali dà voce  veemente alla  protesta contro la politica del governo, a suo giudizio troppo remissiva verso gli Alleati, che sembravano voler contendere all’Italia i frutti di una sanguinosa vittoria.

Nella stessa primavera D’Annunzio si dimise dall’esercito.

Quando apparve evidente che la città di Fiume, la quale con una specie di proclamazione popolare aveva manifestato la sua volontà di essere unita all’Italia, non sarebbe stata compresa entro il nuovo confine dello stato italiano, il D’Annunzio capeggiò un colpo di mano, organizzato da giovani militari e da esponenti del nazionalismo ( tra i quali Benito Mussolini )  che condusse all’occupazione della città ( 30 agosto 1919 ). Questa fu l’azione nota con il nome di «Marcia di Ronchi », dalla località del Goriziano dalla quale mossero i reparti militari e i «legionari» che seguirono il poeta.  Di Fiume fu proclamata solennemente l’annessione all’Italia: il D’Annunzio investito di pieni poteri con il titolo di «Comandante», divenne l’autocrate della città. L’azione fu accompagnata dal consenso di una parte notevole dell’opinione pubblica ( aderirono all’atteggiamento del D’Annunzio anche personaggi come Guglielmo Marconi e Augusto Murri  ) e lasciò interdette le cancellerie politiche delle potenze occidentali.

Quando dal Governo, presieduto da Giolitti, fu concluso con la Jugoslavia il trattato di Rapallo, secondo il quale veniva riconosciuta l’indipendenza di Fiume, mentre la tutta Dalmazia, tranne Zara, venivano assegnate alla Jugoslavia, il D’Annunzio occupò  le isole di Veglia e di Arbe, mentre Mussolini, con un improvviso voltafaccia, accettò il fatto compiuto. Allora, riuscita vana ogni trattativa con il  «Comandante» e fallito ogni compromesso, in esecuzione del trattato, le forze armate di terra e di mare agli ordini del generale Caviglia eseguivano un’azione di fuoco ( Natale 1920 ) nella quale il poeta pescarese fu ferito da una granata.   Successivamente, di fronte al rifiuto di trattative opposto dal generale Caviglia,il  «Comandante» rimetteva i poteri alla rappresentanza comunale di Fiume. Dopo aver reso omaggio ai caduti del «Natale di sangue», lasciava Fiume e si recava a Venezia ( gennaio 1921 ).

 Poco appresso affittò e poi acquistò la villa Cargnacco a Gardone Riviera e la venne trasformando secondo quel suo gusto collezionistico e fastoso, che aveva già esplicato alla «Capponcina» e ora veniva piegando alle nuove esigenze celebrative d’una mistica eroica e patriottica, affiorata nei suoi discorsi specialmente del tempo della guerra e di Fiume.

La villa, così rinnovata con l’opera dell’architetto Gian Carlo Maroni, venne chiamata Vittoriale e ne fece dono «al popolo italiano tutto » con regolare atto notarile.

Dal Vittoriale il D’Annunzio non uscì nel complesso molto di frequente e sempre più rade furono le sue uscite con l’andare degli anni; ma vi ricevette per solito molta gente.

Prima dell’avvento del fascismo al potere, inclinò a una certa attività politica. Ebbe poi dei rapporti con Benito Mussolini, cui aveva generosamente perdonato il tradimento fiumano, per dar vita a un movimento inteso ad assumere il governo dello Stato.

Comunque fra i due corsero dissapori e rimbrotti. Non fu un vero e proprio antagonismo, non furono mai uno contro l’altro sul medesimo piano, infatti Mussolini apparteneva al mondo dell’azione politica mentre D’Annunzio al mondo della poesia.

D’Annunzio fu manifestamente e quasi ostentatamente onorato dal regime fascista, che in gran parte ne aveva derivato alcuni modi del dire e alcuni tratti della simbologia rituale e celebrativa; ma non mancò mai di tenerlo d’occhio mediante uno speciale servizio di custodia. E il poeta a volte ripagò il regime con la stessa moneta usando con esso un atteggiamento vario ed estroso, ora confidenziale ora distaccato, ora cordiale e aperto, ora ermetico e pieno di riserbo.

Il poeta abruzzese si entusiasmò per la campagna di Etiopia ( 1935-1936 ), da lui definita come «la seconda gesta d’oltremare».

Negli ultimi anni della sua vita Gabriele D’Annunzio ebbe una miriade di riconoscimenti, come quello di essere nominato presidente dell’Accademia d’Italia, uno dei più grandi riconoscimenti che un poeta si potesse aspettare.

Al Vittoriale si spense improvvisamente il 1° marzo dell’anno 1938 per emorragia celebrale. Gli furono tributati funerali solenni, ai quali partecipò di persona il capo del Governo, in una pesante e compassata cerimonia officiata con rito cattolico: il poeta fu sepolto in piedi, al suono di un quartetto di Beethoven  che egli stesso aveva scelto.

 

Tesina apprezzata anche dal nipote del mitico Gabriele D'Annunzio!!!!

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