Salvo
D'Agostino
MAXWELL
ED EINSTEIN: METODO ED EQUAZIONI
In
queste brevi annotazioni mi soffermo su quello che ritengo uno dei
problemi fondamentali della filosofia della fisica, il rapporto fra
matematica ed
esperienza,
provocativamente sintetizzato da Wigner nel titolo "The
unreasonable affectiveness of mathematics in
science". Nel trattare questo
problema
con un'angolazione particolare, quella dell'uso delle equazioni nei
procedimenti
dimostrativi di Maxwell ed Einstein, che figurano come i due grandi
rappresentanti
della fisica classica e moderna, ho preferito rifarmi direttamente
alle
loro affermazioni, invece di impostare il problema sulla base di categorie
concettuali
che forse sono rese ormai desuete proprio dagli sviluppi della stessa
fisica.
L'occasione
e la sede della mia relazione giustificano il suo carattere
introduttivo
a una problematica che è stata sviluppata nella bibliografia corrente
e
che si spera possa dare occasione a critiche e successivi approfondimenti.
INDICE:
1.
Il metodo maxwelliano delle analogie.
2.
La filosofia dinamica
come sviluppo del metodo delle analogie.
3.
Valorizzazione del modello matematico nella costruzione
einsteniana.
4.
L'incompletezza delle teorie di campo e la tensione fra matematica
e
fisica negli scritti conclusivi di Einstein
5.Alcune
osservazioni a modo di conclusione
1.
Il metodo maxwelliano delle analogie.
Uno
storico della scienza e eminente fisico, Leon Rosenfeld, affermava 1
che
nessun fisico con aspirazioni culturali dovrebbe fare a meno di leggere la
prima
memoria elettromagnetica di Maxwell « Sulle linee di Forza di Faraday » .
In
questo suo primo lavoro di elettromagnetismo 2 Maxwell
enunciava i
tratti
salienti del suo melodo:
Dobbiamo
scoprire un qualche metodo di ricerca che consenta alla nostra
mente
di possedere in ogni stadio (della ricerca) una chiara concezione fisica,
senza
per questo affidarci ad una qualsiasi teoria che sia legata a quel capitolo
della
fisica da cui la concezione è (momentaneamente) presa in prestito. In tal
modo
la nostra mente non è fuorviata dall'argomento per cercare sottigliezze
matematiche
ma neppure si lascia incantare dalle ipotesi andando al di là della
verità
.
Per
comprendere le ragioni più profonde dell'innovazione nel metodo
della
ricerca proposte da Maxwell in questo suo primo contributo
all'elettromagnetismo
occorre tener presente che soltanto da pochi decenni
Kirchhoff
aveva unificato i fenomeni elettrostatici e delle correnti mediante il
concetto
di <<«potenziale>> in modo che la « tensione elettrica diventa
fisicamente
identica al potenziale dell'elettricità statica ». Il potenziale
elettrostatico
veniva ad essere così un caso particolare della forza elettromotrice.
Il
passo successivo era l'unificazione delle forze ponderomotrici fra correnti e di
quelle
responsabili dei fenomeni dell'induzione elettromagnetica. Esso avrebbe
costituito
una seconda tappa nel cammino verso una teoria unitaria delle forze
elettromagnetiche.
La soluzione di questo problema veniva data da Maxwell nella
teoria
del « potenziale vettore », da cui discendono sia le forze elettriche di
induzione,
sia, attraversO il campo magnetico, le forze agenti fra correnti.
Coerentemente
alle idee qui espresse, Maxwell riesce a comprendere
l'identità
fra tensione elettrica e potenziale elettrostatico in termini modellistici,
supponendo
che anche nei dielettrici la conducibilità sia piccola ma non nulla, in
modo
che le linee di forza elettriche siano anche qui linee di flusso. Questo primo
tentativo
di modellizzazione maxwelliana in cui non vi sono isolanti perfetti
(ideali)
è stato in seguito sostituito dal modello, che è il nostro, in cui il
dielettrico
ideale
ha conducibilità nulla.
Lo
scopo immediato che Maxwell si propone in questa prima memoria, è
quello
di mostrare che è possibile, adottando le « idee ed i metodi » di Faraday,
realizzare
una teoria unificata dei fenomeni elettrostatici, magnetostatici e delle
correnti,
ed infine, (ed in ciò consiste il risultato più importante) anche del
fenomeno
dell'induzione elettromagnetica scoperta da Faraday nel 1831. Ma
questa
teoria unificata basata sul potenziale vettore doveva essere aperta,
secondo Maxwell, a possibili interpretazioni fisiche. L'unità è infatti cercata in
una
concezione fisica, quella di Faraday, affermante che le forze elettriche e
magnetiche
esistono nello spazio indipendentemente dai corpi che sono le loro
sorgenti.
Lo
spunto per questa concezione unificante gli viene offerto da un passo di
Faraday
delle Experimental Researches (citato parzialmente nel testo)
riguardante
un cosiddetto « stato elettronico », uno stato dei conduttori in presenza
di
campi magnetici, le cui modificazioni sarebbero state la causa dei fenomeni di
induzione.
D'altra parte Maxwell ha presente un'interpretazione in termini
elastici
del « potenziale vettore » in una Memoria di W. Thomson, del 1847.
La
sintesi in questi due aspetti ha come risultato la nota relazione che collega
il
campo elettrico indotto alla derivata temporale del potenziale vettore:
E
= - dA/dt .
Attraverso
la relazione: B = rot A , il potenziale vettore viene a sua volta
connesso
con le forze magnetiche.
Maxwell
è soddisfatto di questo risultato, perché esso ha la forma puntuale,
cioè
causa ed effetto coesistono nello stesso punto. Trova però che
l'interpretazione
fisica, la concezione fisica dei fenomeni, a cui egli attribuisce
un'importanza
fondamentale come metodo di ricerca, non è ancora chiaramente
formulata.
Il
compito di trovare una « physical conception » dello stato elettronico sarà
rimandato
alla Seconda Memoria Elettromagnetlca:
Spero
di scoprire attraverso uno studio accurato delle leggi dei solidi elastici e
del
ruoto dei fluidi viscosi un metodo per formarmi una concezione meccanica
dello
stato elettrotonico che si presti a ragionamenti generali.
Questo
risultato potrà ottenersi approntando la teoria di questo stato in una
forma
in cui tutte le sue relazioni possano essere concepite in modo distinto senza
riferimento
a simboli matematici (analytical symbols).
E'
uno dei fatti più significativi della storia della fisica che il risultato di
questa
ricerca tendente a superare l'aspetto puramente matematico della teoria
sia
stato l'unificazione fra ottica ed elettricità nella teoria elettromagnetica
della
luce.
Ciò
avviene nella memoria del 1862-3 «Sulle linee di forza fisiche » 6 dove
l'introduzione
di analogie fra sistemi idrodinamici ed elastici consente a Maxwell
di
formulare l'equazione:
rot
H = J + dD/dt.
Egli
trova inoltre mediante speciali ipotesi sulle caratteristiche elastiche
dell'etere
che la velocità delle oscillazioni magnetiche è uguale alla velocità della
luce (senza scrivere però un'equazione di
propagazione alla D'Alembert).
In
breve, le analogie con sistemi a variabili diffuse come i sistemi idrodinamici
ed
elastici consentono a Maxwell di individuare una variabile di stato nei
fenomeni
delle attrazioni fra correnti e dell'induzione elettromagnetica, il
potenziale
vettore.
E'
questo un passo di grandissima portata per lo sviluppo successivo. Ma il
potenziale
vettore era stato già trattato 8
matematicamente
da Franz Neumann
(1798-1895)
senza conseguenze rilevanti. Vi deve essere allora qualcosa di diverso
nel
caso di Maxwell. Ciò consiste, a mio parere, nel metodo mediante cui era stata
fatta
la scoperta, il metodo delle analogie.
La
forza e l'efficacia euristica del metodo non risiedono nell'analogia presa per
se
stessa, ma nel modo (il metodo) mediante cui l'analogia viene gestita. Infatti
sia
Thomson che Stokes avevano già individuato analogie meccaniche per le forze
elettriche
e magnetiche. Per Thomson lo scopo dell'analogia era quello di portare
ad
una concezione fisica (meccanica). A questo punto il processo si arrestava.
Vediamo
invece come si muove Maxwell: la parte formale dell'analogia deve
essere
guidata ed indirizzata alla ricerca di concezioni fisiche (esistenza di stati
della
materia) ma da questo occorre poi ripartire per la scoperta di analogie
matematiche
più profonde.
2.
La filosofia dinamica come sviluppo del metodo delle analogie.
Si
potrebbe essere tentati di paragonare l'uso delle analogie in Maxwell
all'impiego,
frequente oggi in fisica, di modelli (il modello a goccia per il nucleo).
Sarebbe
questa una interpretazione errata del suo pensiero, una svalorizzazione
delle
sue caratteristiche. Le analogie erano infatti per Maxwell sostenute dalla
sua
concezione che tutta la realtà fisica risultasse da materia in movimento.
Questa
"filosofia dinamica" di Maxwell, che egli ebbe modo di esprimere in
varie
occasioni,
resta il sottofondo filosofico delle sue più importanti memorie, come
risulta
dallo stesso titolo delle memorie: « Una
teoria dinamica del campo
elettromagnetico » del 1865,
« Sulla teoria dinamica
dei gas »
del 1866.
Quest'ultimo
titolo ci mostra che la sua filosofia dinamica lo guidò anche
attraverso
le ricerche sulla teoria cinetica dei gas.10 Secondo
Maxwell le proprietà
della
materia in moto avrebbero prodotto i più imprevedibili effetti, come d'altra
parte
era mostrato nel caso di un sistema dinamico molecolare, lo stato gassoso.
L'idea
di Maxwell è che quando un fenomeno fisico è stato spiegato mediante la
categoria
di materia in moto, tutto è stato fatto, perché ogni ulteriore
caratterizzazione
è non solo impossibile ma irrilevante:
..quando
un fenomeno fisico può essere descritto completamente come un
cambiamento
nella configurazione e enl moto di un sistema materiale, la
spiegazione
dinamica del fenomeno si dice completa; Non possiamo concepire che
una
qualsiasi alra spiegazione sia necessaria, desiderabile o possibile, perché
appena
sappiamo ciò che si intende con le parole configurazione, moto massa e
forza,
vediamo che le iddee da esse rappresentate sono così elementari che non
possono
essere spiegate per mezzo di qualsiasi altro.
Mentre,
ad un primo sguardo, l'elettromagnetismo e la teoria cinetica, i due
versanti
in cui maggiormente si esercitò l'originalità del suo pensiero, ci
potrebbero
apparire come distinti, la ricerca storica ci mostra che esiste un'unità
di
metodo e di concezione. Ciò è provato dalla concomitanza temporale dei
contributi
alla teoria cinetica ed alla teoria elettromagnetica, perché la prima
memoria
sulla teoria cinetica dei gas « Illustration of the Dynamical Theory of
Gases
» del 1857 (in cui fra l'altro si spiega in termini cinetici la legge di Boyle
e
quella
dei volumi equivalenti) si trova intramezzata fra la prima e la seconda
memoria
elettromagnetica, e la seconda fondamentale memoria cinetica « On the
Dynamical
Theory of Gases » del 1866 segue a distanza di un solo anno l'altra
memoria « A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field », dove è
esposta
una
trattazione quasi completa della teoria del campo elettromagnetico e della
teoria
elettromagnetica della luce. E' anche probante per la nostra tesi unitaria,
l'osservazione
che nel titolo delle memorie si ripetono le due parole « Teoria
dinamica
».
Si
può così affermare che, in complesso, tutto il pensiero di Maxwell è teso
alla
ricerca di un metodo che faccia superare i due schemi riduttivi:
a)
un meccanismo o particellarismo come sovrapposizione alla teoria di
rappresentazioni
semplicistiche come quella di particelle interagenti a distanza,
inadeguata
al nuovo quadro fenomenico dell'elettromagnetismo.
b)
un ricorso ad un puro matematicismo come quello dei fisici matematici
Cauchy
e Poisson, o ad un fenomenologismo matematico del tipo a cui
approderanno
in Germania Helmholtz e Kirchhoff.
Nella
storiografia tradizionale 12 le equazioni
sono state considerate come il
risultato
matematico raggiunto, quasi suo malgrado, da chi cercava il modello
meccanico
del mezzo. In effetti uno studio 13 attento e
spregiudicato dell'opera
maxwelliana
ha messo in rilievo come il metodo teorizzato da Maxwell nella sua
"Dynamical
Philosophy" rappresenti un superamento dell'idea che lo scopo
definitivo
della ricerca sia quello di trovare il " vero modello meccanico".14 Le
equazioni
sono il frutto di un modo particolare di concepire il rapporto fra la
rappresentazione
fisica e la matematica. In quanto tali esse rappresentano
persino
uno stadio intermedio, ritenuto per il momento soddisfacente, in attesa di
sviluppare
oltre la ricerca, verso il lato delle rappresentazioni.15 Nell'idea di
Maxwell,
il lato matematico dello sviluppo del metodo ha raggiunto uno stato
soddisfacente
con le equazioni (lato formale dell'analogia), ma verrebbe ora il
turno
della « physical conception », della rappresentazione, la quale dovrebbe
spiegare
chi si muove e ruota nel campo elettromagnetico.16
Le
rappresentazioni verranno, se pure in una direzione non prevista da
Maxwell
(e che forse egli non avrebbe accettato), con la scoperta dell'elettrone e
con
la conseguente sintesi di concezioni particellari e di campo effettuata da
Lorentz.
Infine, si può ammettere che con la scoperta
dello spin dell'elettrone si è
data
una risposta alla domanda che Maxwell continuava a proporsi, dopo la sua
. Una
interpretazione di questo tipo è dovuta proprio ad Einstein:
In
occasione di una celebrazione maxwelliana nel 1931, Einstein affermò che
la
teoria del campo elettromagnetico di Maxwell era nata come teoria «
meccanicistica
). Maxwell secondo Einstein non aveva rinunziato ad interpretare
i
fenomeni elettromagnetici come movimenti di masse dotate di inerzia, ma nella
logica
più profonda dello sviluppo dei pensiero fisico, questa interpretazione
meccanicistica
costituiva soltanto un prezzo pagato alla concezione predominante
del
tempo perché « non era immaginabile un diverso ordine d'interpretazione ».
Lo
schema meccanico sarebbe stato un inessenziale sostegno alla parte più
essenziale
della sua teoria, le equazioni. Tant'è vero, aggiunge Einstein, che
Maxwell
fece uso in occasioni differenti di schemi (o modelli) meccanici differenti,
«
senza prenderne nessuno in seria considerazione, così che in definitiva
soltanto
le
due equazioni apparirono come essenziali, mentre le forze del campo che vi
figuravano
risultavano entità elementari non suscettibili di essere riferite ad
altro». (Albert Einstein,
Mein
Weltbild ed altri testi,
trad. italiana in Albert
Einstein,
Idee ed opinioni,
Schwarz Editore, 2@ ed. 1958, p. 252).
Questa
affermazione di Einstein, che riprende in effetti una frase analoga di
Hertz
del 1889, è stata interpretata spesso nel senso che solo la matematica è la
sola
essenziale nella formulazione della fisica, sottacendo, o mettendo in
sottofondo,
l'altro aspetto altrettanto essenziale che la matematica in fisica va
interpretata.
Tutta
la ricerca particolare di Maxwell è quindi unificata e diventa
comprensibile
se si include nel risultato della sua attività la sua motivazionefilosofica.
Lo scienziato di successo viene integrato nel pensatore.
Se
è vero quanto precede, possiamo concludere che le equazioni furono il
risultato
di questo difficile equilibrio, di questa stretta via fra matematicismo e
affidamento
totale a una rappresentazione della natura come quella di Faraday o
di Kelvin.
3.
Valorizzazione del modello matematico nella costruzione
einsteniana.
E'
noto ch Einstein guardava con interesse e rispetto alla grande tradizione
della
meccanica classica con cui era venuto a contatto attraverso una lettura
diretta
dei classici e dell'opera di Ernst Mach, ma sentiva al contempo una
grande
ammirazione per la teoria di Maxwell, « l'argomento più affascinante nei
miei
anni di studente » 18
, che
riportava tutta la speculazione teorica nell'ambito
dell'azione
mediata, un passaggio che Einstein aveva classificató come «
rivoluzionario
".
Si
può cominciare ad osservare che l'ambito fenomenico a cui si rivolgeva
inizialmente
l'attenzione di Einstein era sostanzialmente quello di Maxwell,
l'elettromagnetismo
e la termodinamica dei gas. Anch'egli si trovò davanti al
problema
di individuare un punto di vista generale che comprendesse e
giustificasse
il discontinuo delle particelle e la continuità dei campi che Maxwell
aveva
unificato nella Dynamical Phylosophy .
Ma
dopo Maxwell, con l'intervento di Boltzmann e di Lorentz (con la sua
teoria
dell'elettrone) la particellarità aveva di nuovo fatto valere i suoi diritti ed
avanzato
le sue esigenti pretese quasi in antagonismo con gli ideali di una
fondamentale
continuità. Einstein aveva quindi presenti Boltzmann e Lorentz
che
avevano introdotto con successo il particellarismo in termodnamica ed
elettrodinamica.
La scoperta dell'elettrone fatta da J.J. Thomson nel 1896 si
presentava
infatti come un evento fuori quadro rispetto a quelle concezioni del «
continuo
» a cui Maxwvell ed Hertz si erano ispirati nella costruzione delle loro
teorie.
Alla fisica
dell'elettrone si era aggiunla l'opera infaticabile di Ludwig
Boltzmann
nel proporre, con la sua teoria cinetica, un ritorno al discontinuo, al
discreto,
nelle fondazioni della fisica teorica.
Occorre
tener conto che la teoria degli elettroni di Lorentz proponeva la
convivenza
di continuo e discreto, il continuo dei campi e il discreto delle
particelle.
Questa
convivenza "di fatto", non teoricamente unificata, Einstein
vedeva
con disappunto, quasi un compromesso fra due concezioni diverse. Egli
contribuirà
fra l'altro con l'abolizione dell'etere nella sua teoria della Relatività a
rendere
impossibile questa convivenza, facendo vedere che quella parte di essa, la
cantinuità,
che Lorentz fondava sull'idea dell'etere veniva a cadere con l'etere
stesso.
La
sintesi fra continuo e discreto che Einstein proporrà sarà quindi ancora più
difficile
e richiederà livelli più alti di matematizzazione.
Einstein
si trovava nei primi decenni del Novecento in una posizione che gli
consentiva
di guardare sia alla grande messe di teorie e di esperimenti in cui la
luce
e la radiazione elettromagnetica si presentavano come un'onda, sia a quei
casi, pochi in confronto ma molto significativi per lui, in cui gli
aspetti particellarisembravano
essere preminenti.
Planck
aveva introdotto la quantizzazione in modo poco chiaro dal punto di
vista
fisico come un artifizio matematico per rendere possibile il calcolo e non
ìnsisteva
sul significato fisico dei suoi elementi di energia. L'effetto fotoelettrico
era
uno di questi. Il saggio di Einstein del giugno 1905, « Su un punto di vista
euristico
al riguardo della produzione e trasformazione della luce » 22 non prende
in
considerazione soltanto l'effetto fotoelettrico, ma tiene presente tutta la
problematica
sulla natura discreta o continua della radiazione (come lo stcsso
titolo
dell'articolo sottolinea). Einstein non fu influenzato all'inizio dal lavoro da
Max
Planck perché già il suo « punto di vista euristico » del 1905 costituiva
una
posizione
sufficientemente originale e problematica sulla natura del campo
elettromagnetico.
Ma il lavoro di Planck del 1900 lo aveva incitato a trovare una
sua
originale strada per trattare la radiazione . La
memoria di Einstein inizia:
Vi
è una profonda differenza formale fra le concezioni teoriche che i fisici sisono
formati sui gas e gli altri corpi ponderabili e la teoria di Maxwell dei
processi
elettromagnetici nello spazio cosiddetto vuoto.24
Come
osserva Klein 25
questo
dualismo fra campo e particella, fra meccanica
ed
elettromagnetismo, che Einstein vede significativamente come differenza
formale
fra le due teorie, da sanare quindi sul piano formale della matematica,
costituiva
il punto di partenza delle sue considerazioni.
Uno
scorcio sul metodo iniziale di Einstein in fisica teorica si ricava dalla
lettura,
nell'articolo citato del 1905, della dimostrazione che l' energia dei quanti
di
luce dipende dalla frequenza. Einsten parte dalla considerazione di uno spazio
limitato
da pareti riflettenti in cui è contenuto un gas assieme ad un certo
numero
di elettroni con « legame armonico », che si comportano come sorgenti ed
assorbitori
di radiazione ma, nello stesso tempo, interagiscono meccanicamente
con
le molecole lel gas.Già la scelta del sistema palesa lo scopo della teoria, il
sanamento
della dicotomia continuo-discreto. Gli elettroni oscillanti costituivano il
collegamento fra la radiazione, ( la teoria elettromagnetica), e il sistema
meccanico
del gas(la teoria termodinamica). Ambedue le teorie davano una
risposta
per la densità media di energia u.
Per
la meccanica statistica:
u
= kT
(k
costante di Boltzmann, T
temperatura assoluta, u densità media di energia
per
un oscillatore in equilibrio con la radiazione).
Per
la teoria elettromagnetica, all'equilibrio fra emissione ed assorbimento,
l'energia
media dell'oscillatore doveva essere proporzionale all'energia mediadella
radiazione circostante. Se p (n,
T ) è questa energia media, per l'oscillatore
doveva
aversi, per la teoria elettromagnetica:
u
= c 3 /8pv 2 r(n, T)
dove
c é la velocità della luce, n
la frequenza della radiazione .
Uguagliando:
r (n,
T) = (8pv
2 /c 3 )KT
Questa
uguaglianza rappresenta l'espressione di una presumibile legge del
corpo nero, ottenuta per via completamente differente da quella proposta
da altri
per
le vie ben note. Il risultato tuttavia è inaccettabile perchè conduce per la
energia
totale della radiazione per unità di volume alla forma: "integrale di n 2 dn,
fra
zero e infinito" corrispondente,
secondo l'espressiva denominazione di
Ehrenfest,
alla catastrofe ultravioletta. Il compromesso di Lorentz esplodeva in
seguito
a questo semplice test di Einstein, mostrando l'intrinseca incompatibilità
della
convivenza fra particelle ed onde nella concezione classica.
Einstein
ricorre allora ad alcune analogie « formali » della termodinamica che
si
ricavano da espressioni così generali come quelle che derivano dal secondo
principio.
La soluzione posta da Einstein al problema non è quella di scegliere fra
continuità
e particellarità perchè, accettando la prima avrebbe emarginato
Lorentz
e Boltzmann, mentre scegliendo la seconda avrebbe rifiutato la lezione di
Maxwell ed Hertz. La
sua soluzione è una scelta di una posizione, quale espressa
appunto
dal secondo principio della termodinamica, rispetto a cui i due aspetti
sono
entrambi limitativi. Egli considera le variazioni di entropia S-So di
due
sistemi.
La
variazione di entropia DS
= S-S o per
la radiazione di densità ridotta, di
frequenza n, e di energia E,
in un processo adiabatico che comporti un
cambiamento
di volume 26 da
V o a V:
DS = E/bn
log V/V o .
La
stessa variazione per un gas ideale di N particelle con variazione di volume
V
o - V , è:
DS = NK log V/V o .
N, numero di Avogadro; K, costante di Boltzmann. .
Einstein
si serve poi della formula Boltzmanniana per ricavare una
probabilità
relativa di stato per la radiazione nella variazione dal volume V
o al
volume
V. (cioè, misura il rapporto fra le probabilità
di stato nei due volumi V
o eV
).Trova, in base a considerazioni classiche, che la
probabilità " perchè si
possano
trovare concentrati ( per caso) nel volume v,
in un momento scelto a caso,
tutti
gli n punti, in moto in un volume v
o ed
indipendenti fra loro", è:
W
g = ( v/v o ) n (1)
espressione
che, introdotta nella legge di Boltzmann:
DS
= S - So = R/N lg W , da:
DS
= S - S o = R ( n/N ) lg (v/v o ).
Dopo
confronto con il DS nella trasformazione adiabatica della
radiazione si
ha:
W
= ( v/v o ) NE/Rbn
Dopo
il confronto dela (1) con la (2) la conclusione è:
Una
radiazione monocromatica di densità ridotta (nei limiti di validità della
legge
di Wien ) si comporta nell'ambito della termodonamica, come se fossecomposta
di quanti di energia di grandezza Rbn/N indipendenti fra loro...Se una
radiazione
monocromatica ( di densità sufficientemente ridotta) si comporta,
rispetto
alla relazione entropia-volume, come un mezzo discontinuo... dovremmo
esaminare
l'ipotesi che le leggi di emissione e di trasformazione della luce sieno
costituite
anche loro, come se la luce fosse formata da simili quanti di energia.
Cercheremo
di rispondere a questa domanda in seguito.
b è una costante che appare nella legge di
distribuzione proposta da Wien
nel
1896 :
p
(n, T) = an 3
exp (-bn/kT),
a, b costanti.
Per hn/KT
--> infinito nella legge di
Planck,
e confronto con Wien, si ha: Kb=h.
Einstein
avanza qui riserve sulla nozione di probabilità di stato (sulla
definizione
Boltzmanniana di probabilità di stato di un sistema discreto di
particelle
indipendenti), ripromettendosi in un'altra occasione di dimostrare la
legge
di Boltzmann in base al concetto di "probabilità statistica".
Eisntein, La
teoria dei quanti di luce,
cit., p. 63.
Questo
esame viene svolto nelle pagine successive del saggio, con
considerazioni
sulla validità limitata della legge di Wien, l'emissione di raggi
catodici
dai solidi, e la ionizzazione di un gas con luce ultravioletta.
Nel
suo metodo di dimostrazione del quanto di radiazione Einstein ci offre un
esempio
della potenza del metodo matematico, unito a quello delle analogie
formali.Si potrebbe
affermare che le analogie di Einstein sono sviluppate più
sul
piano formale rispetto
all'esigenza maxwelliana di un processo alternantefra
interpretazione fisica e rilievo formale. Nella diversa concezione di Einstein
di
una
« fisica dei principi », l'aspetto formale delle leggi più generali (come i
principi
della termodinamica, e i due principi relativistici) viene scelto come
principio
guida, garantito appunto dalla fondamentalità e generalità dei principi
stessi.
I principi vengono assunti come postulati fondazionali da cui si svolge la
matematica
della teoria.
Si
sbaglierebbe però a concludere che questa enfasi del livello formale-matematico
della
teoria sia scevra da problemi. Questi vengono affrontati dallo
stesso
Einstein in molti suoi saggi e riassunti mirabilmente in uno dei suoi scritti
conclusivi.
4.
L'incompletezza delle teorie di campo e la tensione fra matematica
e
fisica negli scritti conclusivi di Einstein
Il
metodo sopra indicato trova una sua più completa applicazione nella teoria
della
Relatività Generale (GR) e nella teoria del campo unificato. Il suo pensiero
è
riflesso in forma meravigliosamente concentrata nei suoi scritti del 1949 , la
finale
documentazione del suo travaglio sull'immagine di fisica che era implicito
nei
suoi grandi contributi.
In
questi scritti conclusivi Einstein fa spesso riferimento alla debolezza
dei
postulati fondamentali della teoria della GR che non consentono equazioni
sufficentemente
sovradeterminate da avere soluzioni singolari correlabili a
oggetti
fisici:
Si
resta colpiti dal fatto che la teoria......introduce due specie di enti fisici,
cioè:
1) le aste di misura e gli orologi,
2) tutto il resto, come ad es il campo
elettromagnetico,
il punto materiale , etc.
Questo, in un certo senso, è
contradittorio:
a rigore, aste di misura ed orologi dvrebbero essere rappresentati
come
soluzioni delle equazioni fondamentali (oggetti consistenti in configurazioniatomiche
in movimento) e non come, diciamo, entità teoricamente autosufficienti.
Tuttavia
il procedimento si giustifica perchè è chiaro sin dagli inizi che i
postullati
della teoria non sono
abastanza forti da
permettere di dedurne
equazioni
sufficientemente complete per eventi fisici sufficientemente scevri di
arbitrarietà,
si da poter fondare su queste basi una teoria delle aste di misura e
degli
orologi. (corsivo
S.D.)
E'
significativo per quel che dirò che la sovradeterminazione delle equazioni è
vista
nel passo come criterio
di completezza,
e che la loro attuale
Fu soltanto
nel 1906 che Einstein si rese conto che Planck aveva introdotto
nella
fisica una nuova concezione del <<discreto>>.
Più
tardi Einstein si convinse che la distribuzione di Planck implicava
necessariamente
la particellarità della luce nell' emissione e nell'assorbimento.
Questo
avvenne nella riunione degli scienziati tedeschi a Salzburg nel 1909.
Attraverso
lo studio dei fenomeni delle fluttuazioni dimostrò che la
quantizzazione
alla Planck non era soltanto una condizione sufficiente per
ottenere
la legge del corpo nero, ma che essa era anche necessaria (infatti essa
appariva
indipendentemente in una formula così generale qual'era quella delle
fluttuazioni
nella densità quadratica media dell'energia di una cavità
elettromagnetica (Klein, cit. p. 145).
Così M. Klein, in M. Klein, "No firm Foundation:
....", cit. p.169.
Solo
recentemente la ricerca storica e filosofica ha rivalutato l'ampiezza del
dibattito
che si è svolto negli anni trenta intorno alle posizioni metodologiche di
Einstein
sulla relativita generale (GR) e sulle teorie del campo unificato. Questo
dibattito
è stato incentivato dagli scritti metodologici dello stesso Einstein.
sottodeterminazione
porti ad arbitrarietà. Il tema della
sovradeterminazione
teorica
identificata con la
completezza
viene
ripreso, da li a poco tempo, nelle note
conclusive "Reply to Criticism":
Alla
costruzione dell'attuale teoria della relatività è essenziale ciò che
segue:
1)
Le cose fisiche sono descritte da funzioni continue, da variabili di campo a
quattro
coordinate. Queste ultime si possono scegliere liberamente, purchè sia
conservata
la connessione topologica.
2)
Le variabili di campo sono componenti tensoriali; fra i tensori c'è il tensore
simmetrico g mn che serve a descrivere il campo gravitazionale.
3)
Vi sono oggetti fisici che (nel campo macroscopico) misurano l'invariante ds.
Se
si accettano la 1) e la 2), la 3) diventa plausibile, ma non necessaria.
La
costruzione della teoria matematica si fonda esclusivamente sulla 1) e sulla 2).
Una
teoria completa della fisica, complessivamente considerata, che si
accordi
con la 1) e con la 2), non
esiste ancora. Se esistesse, non ci sarebbe posto
per
la supposizione 3) Infatti, gli oggetti usati come strumenti di misura non
hanno
un'esistenza indipendente accanto agli oggetti considerati dalle equazioni
di
campo.34 (corsivo
S.D.)
Sono
significative affermazioni sulla differenza fra teoria fisica e matematica
e
sulla richiesta che, in una teoria
completa, gli
oggetti usati come strumenti di
misura
non debbano avere un'esistenza
indipendente accanto agli oggetti
considerati
dalle equazioni di campo.
La
considerazione che i requisiti 1) e 2) sono sufficienti a qualificare soltanto
una
teoria matematica, mentre per una teoria fisica è oggi giocoforza accettare la
3)
senza poterla razionalmente giustificare - la 3) si deve accettare come
plausibile,
ma logicamnte non necessaria sebbene non contaddittoria - introduce
un'interessante
tesi del pensiero einsteiniano sul criterio di completezza come
requisito
ideale per una sintesi matematica-fisica. Essa si presenterebbe come
palingenesi,
unificazione risolutiva, delle due storiche tradizioni, spesso
contrapposte
nella storia, della fisica teorica e della fisica matematica.
5.Alcune
osservazioni a modo di conclusione
Nella
sua prima lezione di Fisica Sperimentale al Laboratorio Cavendish
James Clerk Maxwell dichiarava:
Qualcuno
ha affermato che la speculazione metafisica (la filosofia) è una cosa
del passato e che essa è stata estirpata dalla fisica. Non mi sembra
tuttavia che
la
discussione sulle categorie dell'esistenza si possa oggi considerare sorpassata
mentre,
al contrario, le discussioni sulla filosofia continuano ad essere oggi
altrettanto
allettanti ad ogni viva intelligenza, come erano al tempo di Talete.36
E
nel 1856, all'inizio della sua carriera, si confessava in una corrispondenza
privata:
Mi
trovo ad essere sempre più interessato di metafisica e meno di calcoli
interminabili...
Qui Einstein
tocca il tema, altrove trattato, della Vieldeutigkeit o
indeterminatezza
delle teorie rispetto al piano empirico.
Dopo
queste significative affermazioni di Maxwell, mi piace citare la nota dichiarazione
di Einstein sull'importanza per la scienza della riflessione
epistemologica:
The reciprocal relationship of epistemology and science is of a
noteworthy
kind. Epistemology without contact with science becomes an empty scheme.
Science without epistemology is - insofar as it is thinkable at all -
primitive and muddled.Dopo
aver dato il giusto rilievo all'importanza che Einstein annetteva alla
filosofia
della scienza e ai suoi dubbi sulla completezza delle sue teorie, èdoveroso
tener conto che la teoria Einsteniana della RG ha ricevuto sino ad oggi
diverse
ed importanti conferme sperimentali; essa continua inoltre a sostenere
sullo
stesso piano interessanti sviluppi, quali le ricerche di onde gravitazionali,
un
effetto previsto della teoria, ma non ancora verificato. Anche sul piano degli
sviluppi
teorici la RG è stata feconda, sia nel suggerire possibili estensioni nelle
cosidette
teorie del campo generalizzato, a cui lo stesso Einstein dedicò gli ultimi
anni
della sua vita, sia nel porre problemi di tipo astrofisico e cosmologico (nelle
cosidette
teorie degli universi ad essa collegate).
Non
si possono però ignorare i dubbi avanzati dallo stesso Einstein sulla
consistenza
interna del metodo della nuova teoria, dubbi che secondo le sue
stesse
dichiarazioni, riportate nelle pagine precedenti, creerebbero problemi nella
stessa
interpretazione del significato fisico dei termini della teoria stessa,39
quindi
sulla sua validità quale teoria fisica della realtà.
Egli
stesso ebbe a dire che l'atteggiamento empirico dello scienziato
consisterebbe
nell'ignorare volutamente i problemi della filosofia della scienza.40
Queste
considerazioni porterebbero a scindere, cioè a considerare indipendenti,
da
una parte i successi della scienza sul piano empirico e, dall'altra, i problemi
epistemologici
sulla sua razionalità.41
Ma qualche
passo più avanti nello stesso
scritto
Einstein affermava (vedi sopra il passo citato) l'inscindibile unità di
scienza
e filosofia. I successi sul primo piano (quello empirico) non esimerebbero
quindi
dal prendere in considerazione i problemi aperti nel secondo.
Cito
un solo passo fra quelli che mi sembrano più significativi, in cui Einstein
esalta
la funzione del pensiero critico nella scienza - una funzione cioè di continua
revisione
delle posizioni passate. Riferendosi al superamento del concetto di
tempo
assoluto, uno di quei concetti della meccanica classica che per due secoli
furono
considerati unici e definitivi canoni di interpretazione del mondo fisico,
egli
così continua:
La
mancanza di chiarezza che, dal punto di vista delle sue conseguenze
empiriche,
appare implicita nella nozione di tempo della meccanica classica, fu
mascherata
dalla rappresentazione assiomatica dello spazio e del tempo come di
entità
che ci sono date indipendentemente dai nostri sensi. Un uso siffatto di
concetti...
non danneggia seriamente la scienza. Si può, tuttavia, facilmente
cadere
nell'errore di credere che questi concetti, la cui origine viene dimenticata,
siamo
dei complementi necessari e intoccabili del nostro pensiero, e questo errore
può
costituire un serio danno per il progresso della scienza.42
E'
chiaro il riferimento alla necessità che il progresso della scienza sia legato
a
un
tipo di analisi concettuale che ponga sempre il problema del rapporto, nella
costruzione
della teoria fisica, fra ciò che è dato (dalla realtà fisica) e ciò che è
posto
(dal pensiero) . Il "dimenticare" che alcuni concetti (come quelli di
spazio e
tempo)
non hanno la caratteristica di essere dati (imposti dal di fuori), non sono
"complementi
necessari e intoccabili del nostro pensiero", ma sono da noi
costruiti, questa dimenticanza costituisce, per Einstein, "un errore
[che] può
costituire
un serio danno per il progresso della scienza".
Sembra
quindi di poter concludere che per Einstein condizione di progresso
nella
scienza è l'analisi critica delle teorie, cioè la presa in considerazione di
quegli
stessi problemi che egli aveva onestamente additato come insiti nella
stessa
sua teoria e alla cui soluzione aveva lavorato negli ultimi decenni della sua
vita.