Salvo D'Agostino

MAXWELL ED EINSTEIN: METODO ED EQUAZIONI

In queste brevi annotazioni mi soffermo su quello che ritengo uno dei problemi fondamentali della filosofia della fisica, il rapporto fra matematica ed esperienza, provocativamente sintetizzato da Wigner nel titolo "The unreasonable affectiveness of mathematics in science". Nel trattare questo problema con un'angolazione particolare, quella dell'uso delle equazioni nei procedimenti dimostrativi di Maxwell ed Einstein, che figurano come i due grandi rappresentanti della fisica classica e moderna, ho preferito rifarmi direttamente alle loro affermazioni, invece di impostare il problema sulla base di categorie concettuali che forse sono rese ormai desuete proprio dagli sviluppi della stessa fisica. L'occasione e la sede della mia relazione giustificano il suo carattere introduttivo a una problematica che è stata sviluppata nella bibliografia corrente e che si spera possa dare occasione a critiche e successivi approfondimenti.  

INDICE:

1. Il metodo maxwelliano delle analogie.  

2. La filosofia dinamica come sviluppo del metodo delle analogie.  

3. Valorizzazione del modello matematico nella costruzione einsteniana.  

4. L'incompletezza delle teorie di campo e la tensione fra matematica e fisica negli scritti conclusivi di Einstein  

5.Alcune osservazioni a modo di conclusione  

 

1. Il metodo maxwelliano delle analogie.  

Uno storico della scienza e eminente fisico, Leon Rosenfeld, affermava 1 che nessun fisico con aspirazioni culturali dovrebbe fare a meno di leggere la prima memoria elettromagnetica di Maxwell « Sulle linee di Forza di Faraday » . In questo suo primo lavoro di elettromagnetismo 2 Maxwell enunciava i tratti salienti del suo melodo: Dobbiamo scoprire un qualche metodo di ricerca che consenta alla nostra mente di possedere in ogni stadio (della ricerca) una chiara concezione fisica, senza per questo affidarci ad una qualsiasi teoria che sia legata a quel capitolo della fisica da cui la concezione è (momentaneamente) presa in prestito. In tal modo la nostra mente non è fuorviata dall'argomento per cercare sottigliezze matematiche ma neppure si lascia incantare dalle ipotesi andando al di là della verità . Per comprendere le ragioni più profonde dell'innovazione nel metodo della ricerca proposte da Maxwell in questo suo primo contributo all'elettromagnetismo occorre tener presente che soltanto da pochi decenni Kirchhoff aveva unificato i fenomeni elettrostatici e delle correnti mediante il concetto di <<«potenziale>> in modo che la « tensione elettrica diventa fisicamente identica al potenziale dell'elettricità statica ». Il potenziale elettrostatico veniva ad essere così un caso particolare della forza elettromotrice. Il passo successivo era l'unificazione delle forze ponderomotrici fra correnti e di quelle responsabili dei fenomeni dell'induzione elettromagnetica. Esso avrebbe costituito una seconda tappa nel cammino verso una teoria unitaria delle forze elettromagnetiche. La soluzione di questo problema veniva data da Maxwell nella teoria del « potenziale vettore », da cui discendono sia le forze elettriche di induzione, sia, attraversO il campo magnetico, le forze agenti fra correnti. Coerentemente alle idee qui espresse, Maxwell riesce a comprendere l'identità fra tensione elettrica e potenziale elettrostatico in termini modellistici, supponendo che anche nei dielettrici la conducibilità sia piccola ma non nulla, in modo che le linee di forza elettriche siano anche qui linee di flusso. Questo primo tentativo di modellizzazione maxwelliana in cui non vi sono isolanti perfetti (ideali) è stato in seguito sostituito dal modello, che è il nostro, in cui il dielettrico ideale ha conducibilità nulla. Lo scopo immediato che Maxwell si propone in questa prima memoria, è quello di mostrare che è possibile, adottando le « idee ed i metodi » di Faraday, realizzare una teoria unificata dei fenomeni elettrostatici, magnetostatici e delle correnti, ed infine, (ed in ciò consiste il risultato più importante) anche del fenomeno dell'induzione elettromagnetica scoperta da Faraday nel 1831. Ma questa teoria unificata basata sul potenziale vettore doveva essere aperta, secondo Maxwell, a possibili interpretazioni fisiche. L'unità è infatti cercata in una concezione fisica, quella di Faraday, affermante che le forze elettriche e magnetiche esistono nello spazio indipendentemente dai corpi che sono le loro sorgenti. Lo spunto per questa concezione unificante gli viene offerto da un passo di Faraday delle Experimental Researches (citato parzialmente nel testo) riguardante un cosiddetto « stato elettronico », uno stato dei conduttori in presenza di campi magnetici, le cui modificazioni sarebbero state la causa dei fenomeni di induzione. D'altra parte Maxwell ha presente un'interpretazione in termini elastici del « potenziale vettore » in una Memoria di W. Thomson, del 1847. La sintesi in questi due aspetti ha come risultato la nota relazione che collega il campo elettrico indotto alla derivata temporale del potenziale vettore:

E = - dA/dt .

Attraverso la relazione: B = rot A , il potenziale vettore viene a sua volta connesso con le forze magnetiche. Maxwell è soddisfatto di questo risultato, perché esso ha la forma puntuale, cioè causa ed effetto coesistono nello stesso punto. Trova però che l'interpretazione fisica, la concezione fisica dei fenomeni, a cui egli attribuisce un'importanza fondamentale come metodo di ricerca, non è ancora chiaramente formulata. Il compito di trovare una « physical conception » dello stato elettronico sarà rimandato alla Seconda Memoria Elettromagnetlca: Spero di scoprire attraverso uno studio accurato delle leggi dei solidi elastici e del ruoto dei fluidi viscosi un metodo per formarmi una concezione meccanica dello stato elettrotonico che si presti a ragionamenti generali. Questo risultato potrà ottenersi approntando la teoria di questo stato in una forma in cui tutte le sue relazioni possano essere concepite in modo distinto senza riferimento a simboli matematici (analytical symbols). E' uno dei fatti più significativi della storia della fisica che il risultato di questa ricerca tendente a superare l'aspetto puramente matematico della teoria sia stato l'unificazione fra ottica ed elettricità nella teoria elettromagnetica della luce. Ciò avviene nella memoria del 1862-3 «Sulle linee di forza fisiche » 6 dove l'introduzione di analogie fra sistemi idrodinamici ed elastici consente a Maxwell di formulare l'equazione:

rot H = J + dD/dt.

Egli trova inoltre mediante speciali ipotesi sulle caratteristiche elastiche dell'etere che la velocità delle oscillazioni magnetiche è uguale alla velocità della luce  (senza scrivere però un'equazione di propagazione alla D'Alembert). In breve, le analogie con sistemi a variabili diffuse come i sistemi idrodinamici ed elastici consentono a Maxwell di individuare una variabile di stato nei fenomeni delle attrazioni fra correnti e dell'induzione elettromagnetica, il potenziale vettore. E' questo un passo di grandissima portata per lo sviluppo successivo. Ma il potenziale vettore era stato già trattato 8 matematicamente da Franz Neumann (1798-1895) senza conseguenze rilevanti. Vi deve essere allora qualcosa di diverso nel caso di Maxwell. Ciò consiste, a mio parere, nel metodo mediante cui era stata fatta la scoperta, il metodo delle analogie. La forza e l'efficacia euristica del metodo non risiedono nell'analogia presa per se stessa, ma nel modo (il metodo) mediante cui l'analogia viene gestita. Infatti sia Thomson che Stokes avevano già individuato analogie meccaniche per le forze elettriche e magnetiche. Per Thomson lo scopo dell'analogia era quello di portare ad una concezione fisica (meccanica). A questo punto il processo si arrestava. Vediamo invece come si muove Maxwell: la parte formale dell'analogia deve essere guidata ed indirizzata alla ricerca di concezioni fisiche (esistenza di stati della materia) ma da questo occorre poi ripartire per la scoperta di analogie matematiche più profonde.  

  2. La filosofia dinamica come sviluppo del metodo delle analogie.

Si potrebbe essere tentati di paragonare l'uso delle analogie in Maxwell all'impiego, frequente oggi in fisica, di modelli (il modello a goccia per il nucleo). Sarebbe questa una interpretazione errata del suo pensiero, una svalorizzazione delle sue caratteristiche. Le analogie erano infatti per Maxwell sostenute dalla sua concezione che tutta la realtà fisica risultasse da materia in movimento. Questa "filosofia dinamica" di Maxwell, che egli ebbe modo di esprimere in varie occasioni, resta il sottofondo filosofico delle sue più importanti memorie, come risulta dallo stesso titolo delle memorie: « Una teoria dinamica del campo elettromagnetico » del 1865, « Sulla teoria dinamica dei gas » del 1866. Quest'ultimo titolo ci mostra che la sua filosofia dinamica lo guidò anche attraverso le ricerche sulla teoria cinetica dei gas.10 Secondo Maxwell le proprietà della materia in moto avrebbero prodotto i più imprevedibili effetti, come d'altra parte era mostrato nel caso di un sistema dinamico molecolare, lo stato gassoso. L'idea di Maxwell è che quando un fenomeno fisico è stato spiegato mediante la categoria di materia in moto, tutto è stato fatto, perché ogni ulteriore caratterizzazione è non solo impossibile ma irrilevante: ..quando un fenomeno fisico può essere descritto completamente come un cambiamento nella configurazione e enl moto di un sistema materiale, la spiegazione dinamica del fenomeno si dice completa; Non possiamo concepire che una qualsiasi alra spiegazione sia necessaria, desiderabile o possibile, perché appena sappiamo ciò che si intende con le parole configurazione, moto massa e forza, vediamo che le iddee da esse rappresentate sono così elementari che non possono essere spiegate per mezzo di qualsiasi altro. Mentre, ad un primo sguardo, l'elettromagnetismo e la teoria cinetica, i due versanti in cui maggiormente si esercitò l'originalità del suo pensiero, ci potrebbero apparire come distinti, la ricerca storica ci mostra che esiste un'unità di metodo e di concezione. Ciò è provato dalla concomitanza temporale dei contributi alla teoria cinetica ed alla teoria elettromagnetica, perché la prima memoria sulla teoria cinetica dei gas « Illustration of the Dynamical Theory of Gases » del 1857 (in cui fra l'altro si spiega in termini cinetici la legge di Boyle e quella dei volumi equivalenti) si trova intramezzata fra la prima e la seconda memoria elettromagnetica, e la seconda fondamentale memoria cinetica « On the Dynamical Theory of Gases » del 1866 segue a distanza di un solo anno l'altra memoria « A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field », dove è esposta una trattazione quasi completa della teoria del campo elettromagnetico e della teoria elettromagnetica della luce. E' anche probante per la nostra tesi unitaria, l'osservazione che nel titolo delle memorie si ripetono le due parole « Teoria dinamica ». Si può così affermare che, in complesso, tutto il pensiero di Maxwell è teso alla ricerca di un metodo che faccia superare i due schemi riduttivi:
 
a) un meccanismo o particellarismo come sovrapposizione alla teoria di rappresentazioni semplicistiche come quella di particelle interagenti a distanza, inadeguata al nuovo quadro fenomenico dell'elettromagnetismo.
b) un ricorso ad un puro matematicismo come quello dei fisici matematici Cauchy e Poisson, o ad un fenomenologismo matematico del tipo a cui approderanno in Germania Helmholtz e Kirchhoff.  
Nella storiografia tradizionale 12 le equazioni sono state considerate come il risultato matematico raggiunto, quasi suo malgrado, da chi cercava il modello meccanico del mezzo. In effetti uno studio 13 attento e spregiudicato dell'opera maxwelliana ha messo in rilievo come il metodo teorizzato da Maxwell nella sua "Dynamical Philosophy" rappresenti un superamento dell'idea che lo scopo definitivo della ricerca sia quello di trovare il " vero modello meccanico".14 Le equazioni sono il frutto di un modo particolare di concepire il rapporto fra la rappresentazione fisica e la matematica. In quanto tali esse rappresentano persino uno stadio intermedio, ritenuto per il momento soddisfacente, in attesa di sviluppare oltre la ricerca, verso il lato delle rappresentazioni.15 Nell'idea di Maxwell, il lato matematico dello sviluppo del metodo ha raggiunto uno stato soddisfacente con le equazioni (lato formale dell'analogia), ma verrebbe ora il turno della « physical conception », della rappresentazione, la quale dovrebbe spiegare chi si muove e ruota nel campo elettromagnetico.16 Le rappresentazioni verranno, se pure in una direzione non prevista da Maxwell (e che forse egli non avrebbe accettato), con la scoperta dell'elettrone e con la conseguente sintesi di concezioni particellari e di campo effettuata da Lorentz
. Infine, si può ammettere che con la scoperta dello spin dell'elettrone si è data una risposta alla domanda che Maxwell continuava a proporsi, dopo la sua . Una interpretazione di questo tipo è dovuta proprio ad Einstein: In occasione di una celebrazione maxwelliana nel 1931, Einstein affermò che la teoria del campo elettromagnetico di Maxwell era nata come teoria « meccanicistica ). Maxwell secondo Einstein non aveva rinunziato ad interpretare i fenomeni elettromagnetici come movimenti di masse dotate di inerzia, ma nella logica più profonda dello sviluppo dei pensiero fisico, questa interpretazione meccanicistica costituiva soltanto un prezzo pagato alla concezione predominante del tempo perché « non era immaginabile un diverso ordine d'interpretazione ». Lo schema meccanico sarebbe stato un inessenziale sostegno alla parte più essenziale della sua teoria, le equazioni. Tant'è vero, aggiunge Einstein, che Maxwell fece uso in occasioni differenti di schemi (o modelli) meccanici differenti, « senza prenderne nessuno in seria considerazione, così che in definitiva soltanto le due equazioni apparirono come essenziali, mentre le forze del campo che vi figuravano risultavano entità elementari non suscettibili di essere riferite ad altro». (Albert Einstein, Mein Weltbild ed altri testi, trad. italiana in Albert Einstein, Idee ed opinioni, Schwarz Editore, 2@ ed. 1958, p. 252). Questa affermazione di Einstein, che riprende in effetti una frase analoga di Hertz del 1889, è stata interpretata spesso nel senso che solo la matematica è la sola essenziale nella formulazione della fisica, sottacendo, o mettendo in sottofondo, l'altro aspetto altrettanto essenziale che la matematica in fisica va interpretata. Tutta la ricerca particolare di Maxwell è quindi unificata e diventa comprensibile se si include nel risultato della sua attività la sua motivazionefilosofica. Lo scienziato di successo viene integrato nel pensatore. Se è vero quanto precede, possiamo concludere che le equazioni furono il risultato di questo difficile equilibrio, di questa stretta via fra matematicismo e affidamento totale a una rappresentazione della natura come quella di Faraday o di Kelvin.  

  3. Valorizzazione del modello matematico nella costruzione einsteniana.

E' noto ch Einstein guardava con interesse e rispetto alla grande tradizione della meccanica classica con cui era venuto a contatto attraverso una lettura diretta dei classici e dell'opera di Ernst Mach, ma sentiva al contempo una grande ammirazione per la teoria di Maxwell, « l'argomento più affascinante nei miei anni di studente » 18 , che riportava tutta la speculazione teorica nell'ambito dell'azione mediata, un passaggio che Einstein aveva classificató come « rivoluzionario ". Si può cominciare ad osservare che l'ambito fenomenico a cui si rivolgeva inizialmente l'attenzione di Einstein era sostanzialmente quello di Maxwell, l'elettromagnetismo e la termodinamica dei gas. Anch'egli si trovò davanti al problema di individuare un punto di vista generale che comprendesse e giustificasse il discontinuo delle particelle e la continuità dei campi che Maxwell aveva unificato nella Dynamical Phylosophy . Ma dopo Maxwell, con l'intervento di Boltzmann e di Lorentz (con la sua teoria dell'elettrone) la particellarità aveva di nuovo fatto valere i suoi diritti ed avanzato le sue esigenti pretese quasi in antagonismo con gli ideali di una fondamentale continuità. Einstein aveva quindi presenti Boltzmann e Lorentz che avevano introdotto con successo il particellarismo in termodnamica ed elettrodinamica. La scoperta dell'elettrone fatta da J.J. Thomson nel 1896 si presentava infatti come un evento fuori quadro rispetto a quelle concezioni del « continuo » a cui Maxwvell ed Hertz si erano ispirati nella costruzione delle loro teorie. Alla fisica dell'elettrone si era aggiunla l'opera infaticabile di Ludwig Boltzmann nel proporre, con la sua teoria cinetica, un ritorno al discontinuo, al discreto, nelle fondazioni della fisica teorica. Occorre tener conto che la teoria degli elettroni di Lorentz proponeva la convivenza di continuo e discreto, il continuo dei campi e il discreto delle particelle. Questa convivenza "di fatto", non teoricamente unificata, Einstein vedeva con disappunto, quasi un compromesso fra due concezioni diverse. Egli contribuirà fra l'altro con l'abolizione dell'etere nella sua teoria della Relatività a rendere impossibile questa convivenza, facendo vedere che quella parte di essa, la cantinuità, che Lorentz fondava sull'idea dell'etere veniva a cadere con l'etere stesso. La sintesi fra continuo e discreto che Einstein proporrà sarà quindi ancora più difficile e richiederà livelli più alti di matematizzazione. Einstein si trovava nei primi decenni del Novecento in una posizione che gli consentiva di guardare sia alla grande messe di teorie e di esperimenti in cui la luce e la radiazione elettromagnetica si presentavano come un'onda, sia a quei casi, pochi in confronto ma molto significativi per lui, in cui gli aspetti particellarisembravano essere preminenti. Planck aveva introdotto la quantizzazione in modo poco chiaro dal punto di vista fisico come un artifizio matematico per rendere possibile il calcolo e non ìnsisteva sul significato fisico dei suoi elementi di energia. L'effetto fotoelettrico era uno di questi. Il saggio di Einstein del giugno 1905, « Su un punto di vista euristico al riguardo della produzione e trasformazione della luce » 22 non prende in considerazione soltanto l'effetto fotoelettrico, ma tiene presente tutta la problematica sulla natura discreta o continua della radiazione (come lo stcsso titolo dell'articolo sottolinea). Einstein non fu influenzato all'inizio dal lavoro da Max Planck perché già il suo « punto di vista euristico » del 1905 costituiva una posizione sufficientemente originale e problematica sulla natura del campo elettromagnetico. Ma il lavoro di Planck del 1900 lo aveva incitato a trovare una sua originale strada per trattare la radiazione . La memoria di Einstein inizia: Vi è una profonda differenza formale fra le concezioni teoriche che i fisici sisono formati sui gas e gli altri corpi ponderabili e la teoria di Maxwell dei processi elettromagnetici nello spazio cosiddetto vuoto.24 Come osserva Klein 25 questo dualismo fra campo e particella, fra meccanica ed elettromagnetismo, che Einstein vede significativamente come differenza formale fra le due teorie, da sanare quindi sul piano formale della matematica, costituiva il punto di partenza delle sue considerazioni. Uno scorcio sul metodo iniziale di Einstein in fisica teorica si ricava dalla lettura, nell'articolo citato del 1905, della dimostrazione che l' energia dei quanti di luce dipende dalla frequenza. Einsten parte dalla considerazione di uno spazio limitato da pareti riflettenti in cui è contenuto un gas assieme ad un certo numero di elettroni con « legame armonico », che si comportano come sorgenti ed assorbitori di radiazione ma, nello stesso tempo, interagiscono meccanicamente con le molecole lel gas.Già la scelta del sistema palesa lo scopo della teoria, il sanamento della dicotomia continuo-discreto. Gli elettroni oscillanti costituivano il collegamento fra la radiazione, ( la teoria elettromagnetica), e il sistema meccanico del gas(la teoria termodinamica). Ambedue le teorie davano una risposta per la densità media di energia u. Per la meccanica statistica:

u = kT

(k costante di Boltzmann, T temperatura assoluta, u densità media di energia per un oscillatore in equilibrio con la radiazione). Per la teoria elettromagnetica, all'equilibrio fra emissione ed assorbimento, l'energia media dell'oscillatore doveva essere proporzionale all'energia mediadella radiazione circostante. Se p (n, T ) è questa energia media, per l'oscillatore doveva aversi, per la teoria elettromagnetica:

u = c 3 /8pv 2 r(n, T)

dove c é la velocità della luce, n la frequenza della radiazione . Uguagliando: r (n, T) = (8pv 2 /c 3 )KT Questa uguaglianza rappresenta l'espressione di una presumibile legge del corpo nero, ottenuta per via completamente differente da quella proposta da altri per le vie ben note. Il risultato tuttavia è inaccettabile perchè conduce per la energia totale della radiazione per unità di volume alla forma: "integrale di n 2 dn, fra zero e infinito" corrispondente, secondo l'espressiva denominazione di Ehrenfest, alla catastrofe ultravioletta. Il compromesso di Lorentz esplodeva in seguito a questo semplice test di Einstein, mostrando l'intrinseca incompatibilità della convivenza fra particelle ed onde nella concezione classica. Einstein ricorre allora ad alcune analogie « formali » della termodinamica che si ricavano da espressioni così generali come quelle che derivano dal secondo principio. La soluzione posta da Einstein al problema non è quella di scegliere fra continuità e particellarità perchè, accettando la prima avrebbe emarginato Lorentz e Boltzmann, mentre scegliendo la seconda avrebbe rifiutato la lezione di Maxwell ed Hertz. La sua soluzione è una scelta di una posizione, quale espressa appunto dal secondo principio della termodinamica, rispetto a cui i due aspetti sono entrambi limitativi. Egli considera le variazioni di entropia S-So di due sistemi. La variazione di entropia DS = S-S o per la radiazione di densità ridotta, di frequenza n, e di energia E, in un processo adiabatico che comporti un cambiamento di volume 26 da V o a V:

DS = E/bn log V/V o .

La stessa variazione per un gas ideale di N particelle con variazione di volume V o - V , è:

DS = NK log V/V o .

N, numero di Avogadro; K, costante di Boltzmann. . Einstein si serve poi della formula Boltzmanniana per ricavare una probabilità relativa di stato per la radiazione nella variazione dal volume V o al volume V. (cioè, misura il rapporto fra le probabilità di stato nei due volumi V o eV ).Trova, in base a considerazioni classiche, che la probabilità " perchè si possano trovare concentrati ( per caso) nel volume v, in un momento scelto a caso, tutti gli n punti, in moto in un volume v o ed indipendenti fra loro", è:

W g = ( v/v o ) n (1)

espressione che, introdotta nella legge di Boltzmann:

DS = S - So = R/N lg W , da:

DS = S - S o = R ( n/N ) lg (v/v o ).

Dopo confronto con il DS nella trasformazione adiabatica della radiazione si ha:

W = ( v/v o ) NE/Rbn

Dopo il confronto dela (1) con la (2) la conclusione è: Una radiazione monocromatica di densità ridotta (nei limiti di validità della legge di Wien ) si comporta nell'ambito della termodonamica, come se fossecomposta di quanti di energia di grandezza Rbn/N indipendenti fra loro...Se una radiazione monocromatica ( di densità sufficientemente ridotta) si comporta, rispetto alla relazione entropia-volume, come un mezzo discontinuo... dovremmo esaminare l'ipotesi che le leggi di emissione e di trasformazione della luce sieno costituite anche loro, come se la luce fosse formata da simili quanti di energia. Cercheremo di rispondere a questa domanda in seguito. b è una costante che appare nella legge di distribuzione proposta da Wien nel 1896 :

p (n, T) = an 3 exp (-bn/kT), a, b costanti. Per hn/KT --> infinito nella legge di

Planck, e confronto con Wien, si ha: Kb=h. Einstein avanza qui riserve sulla nozione di probabilità di stato (sulla definizione Boltzmanniana di probabilità di stato di un sistema discreto di particelle indipendenti), ripromettendosi in un'altra occasione di dimostrare la legge di Boltzmann in base al concetto di "probabilità statistica". Eisntein, La teoria dei quanti di luce, cit., p. 63. Questo esame viene svolto nelle pagine successive del saggio, con considerazioni sulla validità limitata della legge di Wien, l'emissione di raggi catodici dai solidi, e la ionizzazione di un gas con luce ultravioletta. Nel suo metodo di dimostrazione del quanto di radiazione Einstein ci offre un esempio della potenza del metodo matematico, unito a quello delle analogie formali.Si potrebbe affermare che le analogie di Einstein sono sviluppate più sul piano formale rispetto all'esigenza maxwelliana di un processo alternantefra interpretazione fisica e rilievo formale. Nella diversa concezione di Einstein di una « fisica dei principi », l'aspetto formale delle leggi più generali (come i principi della termodinamica, e i due principi relativistici) viene scelto come principio guida, garantito appunto dalla fondamentalità e generalità dei principi stessi. I principi vengono assunti come postulati fondazionali da cui si svolge la matematica della teoria. Si sbaglierebbe però a concludere che questa enfasi del livello formale-matematico della teoria sia scevra da problemi. Questi vengono affrontati dallo stesso Einstein in molti suoi saggi e riassunti mirabilmente in uno dei suoi scritti conclusivi.  

  4. L'incompletezza delle teorie di campo e la tensione fra matematica e fisica negli scritti conclusivi di Einstein

Il metodo sopra indicato trova una sua più completa applicazione nella teoria della Relatività Generale (GR) e nella teoria del campo unificato. Il suo pensiero è riflesso in forma meravigliosamente concentrata nei suoi scritti del 1949 , la finale documentazione del suo travaglio sull'immagine di fisica che era implicito nei suoi grandi contributi. In questi scritti conclusivi Einstein fa spesso riferimento alla debolezza dei postulati fondamentali della teoria della GR che non consentono equazioni sufficentemente sovradeterminate da avere soluzioni singolari correlabili a oggetti fisici: Si resta colpiti dal fatto che la teoria......introduce due specie di enti fisici, cioè:
 1) le aste di misura e gli orologi,
 2) tutto il resto, come ad es il campo elettromagnetico, il punto materiale , etc.
 Questo, in un certo senso, è contradittorio: a rigore, aste di misura ed orologi dvrebbero essere rappresentati come soluzioni delle equazioni fondamentali (oggetti consistenti in configurazioniatomiche in movimento) e non come, diciamo, entità teoricamente autosufficienti. Tuttavia il procedimento si giustifica perchè è chiaro sin dagli inizi che i postullati della teoria
non sono abastanza forti da permettere di dedurne equazioni sufficientemente complete per eventi fisici sufficientemente scevri di arbitrarietà, si da poter fondare su queste basi una teoria delle aste di misura e degli orologi.  (corsivo S.D.) E' significativo per quel che dirò che la sovradeterminazione delle equazioni è vista nel passo come criterio di completezza, e che la loro attuale Fu soltanto nel 1906 che Einstein si rese conto che Planck aveva introdotto nella fisica una nuova concezione del <<discreto>>. Più tardi Einstein si convinse che la distribuzione di Planck implicava necessariamente la particellarità della luce nell' emissione e nell'assorbimento. Questo avvenne nella riunione degli scienziati tedeschi a Salzburg nel 1909. Attraverso lo studio dei fenomeni delle fluttuazioni dimostrò che la quantizzazione alla Planck non era soltanto una condizione sufficiente per ottenere la legge del corpo nero, ma che essa era anche necessaria (infatti essa appariva indipendentemente in una formula così generale qual'era quella delle fluttuazioni nella densità quadratica media dell'energia di una cavità elettromagnetica (Klein, cit. p. 145). Così M. Klein, in M. Klein, "No firm Foundation: ....", cit. p.169. Solo recentemente la ricerca storica e filosofica ha rivalutato l'ampiezza del dibattito che si è svolto negli anni trenta intorno alle posizioni metodologiche di Einstein sulla relativita generale (GR) e sulle teorie del campo unificato. Questo dibattito è stato incentivato dagli scritti metodologici dello stesso Einstein. sottodeterminazione porti ad arbitrarietà. Il tema della sovradeterminazione teorica identificata con la completezza viene ripreso, da li a poco tempo, nelle note conclusive "Reply to Criticism": Alla costruzione dell'attuale teoria della relatività è essenziale ciò che segue:

1) Le cose fisiche sono descritte da funzioni continue, da variabili di campo a quattro coordinate. Queste ultime si possono scegliere liberamente, purchè sia conservata la connessione topologica.

2) Le variabili di campo sono componenti tensoriali; fra i tensori c'è il tensore simmetrico g mn che serve a descrivere il campo gravitazionale.

3) Vi sono oggetti fisici che (nel campo macroscopico) misurano l'invariante ds.
Se si accettano la 1) e la 2), la 3) diventa plausibile, ma non necessaria. La costruzione della teoria matematica si fonda esclusivamente sulla 1) e sulla 2).
Una teoria completa della fisica, complessivamente considerata, che si accordi con la 1) e con la 2), non esiste ancora. Se esistesse, non ci sarebbe posto per la supposizione 3) Infatti, gli oggetti usati come strumenti di misura non hanno un'esistenza indipendente accanto agli oggetti considerati dalle equazioni di campo.34 (corsivo S.D.) Sono significative affermazioni sulla differenza fra teoria fisica e matematica e sulla richiesta che, in una teoria completa, gli oggetti usati come strumenti di misura non debbano avere un'esistenza indipendente accanto agli oggetti considerati dalle equazioni di campo. La considerazione che i requisiti 1) e 2) sono sufficienti a qualificare soltanto una teoria matematica, mentre per una teoria fisica è oggi giocoforza accettare la 3) senza poterla razionalmente giustificare - la 3) si deve accettare come plausibile, ma logicamnte non necessaria sebbene non contaddittoria - introduce un'interessante tesi del pensiero einsteiniano sul criterio di completezza come requisito ideale per una sintesi matematica-fisica. Essa si presenterebbe come palingenesi, unificazione risolutiva, delle due storiche tradizioni, spesso contrapposte nella storia, della fisica teorica e della fisica matematica.

5.Alcune osservazioni a modo di conclusione

Nella sua prima lezione di Fisica Sperimentale al Laboratorio Cavendish James Clerk Maxwell dichiarava: Qualcuno ha affermato che la speculazione metafisica (la filosofia) è una cosa del passato e che essa è stata estirpata dalla fisica. Non mi sembra tuttavia che la discussione sulle categorie dell'esistenza si possa oggi considerare sorpassata mentre, al contrario, le discussioni sulla filosofia continuano ad essere oggi altrettanto allettanti ad ogni viva intelligenza, come erano al tempo di Talete.36 E nel 1856, all'inizio della sua carriera, si confessava in una corrispondenza privata: Mi trovo ad essere sempre più interessato di metafisica e meno di calcoli interminabili... Qui Einstein tocca il tema, altrove trattato, della Vieldeutigkeit o indeterminatezza delle teorie rispetto al piano empirico. Dopo queste significative affermazioni di Maxwell, mi piace citare la nota dichiarazione di Einstein sull'importanza per la scienza della riflessione epistemologica: The reciprocal relationship of epistemology and science is of a noteworthy kind. Epistemology without contact with science becomes an empty scheme. Science without epistemology is - insofar as it is thinkable at all - primitive and muddled.Dopo aver dato il giusto rilievo all'importanza che Einstein annetteva alla filosofia della scienza e ai suoi dubbi sulla completezza delle sue teorie, èdoveroso tener conto che la teoria Einsteniana della RG ha ricevuto sino ad oggi diverse ed importanti conferme sperimentali; essa continua inoltre a sostenere sullo stesso piano interessanti sviluppi, quali le ricerche di onde gravitazionali, un effetto previsto della teoria, ma non ancora verificato. Anche sul piano degli sviluppi teorici la RG è stata feconda, sia nel suggerire possibili estensioni nelle cosidette teorie del campo generalizzato, a cui lo stesso Einstein dedicò gli ultimi anni della sua vita, sia nel porre problemi di tipo astrofisico e cosmologico (nelle cosidette teorie degli universi ad essa collegate). Non si possono però ignorare i dubbi avanzati dallo stesso Einstein sulla consistenza interna del metodo della nuova teoria, dubbi che secondo le sue stesse dichiarazioni, riportate nelle pagine precedenti, creerebbero problemi nella stessa interpretazione del significato fisico dei termini della teoria stessa,39 quindi sulla sua validità quale teoria fisica della realtà. Egli stesso ebbe a dire che l'atteggiamento empirico dello scienziato consisterebbe nell'ignorare volutamente i problemi della filosofia della scienza.40 Queste considerazioni porterebbero a scindere, cioè a considerare indipendenti, da una parte i successi della scienza sul piano empirico e, dall'altra, i problemi epistemologici sulla sua razionalità.41 Ma qualche passo più avanti nello stesso scritto Einstein affermava (vedi sopra il passo citato) l'inscindibile unità di scienza e filosofia. I successi sul primo piano (quello empirico) non esimerebbero quindi dal prendere in considerazione i problemi aperti nel secondo. Cito un solo passo fra quelli che mi sembrano più significativi, in cui Einstein esalta la funzione del pensiero critico nella scienza - una funzione cioè di continua revisione delle posizioni passate. Riferendosi al superamento del concetto di tempo assoluto, uno di quei concetti della meccanica classica che per due secoli furono considerati unici e definitivi canoni di interpretazione del mondo fisico, egli così continua: La mancanza di chiarezza che, dal punto di vista delle sue conseguenze empiriche, appare implicita nella nozione di tempo della meccanica classica, fu mascherata dalla rappresentazione assiomatica dello spazio e del tempo come di entità che ci sono date indipendentemente dai nostri sensi. Un uso siffatto di concetti... non danneggia seriamente la scienza. Si può, tuttavia, facilmente cadere nell'errore di credere che questi concetti, la cui origine viene dimenticata, siamo dei complementi necessari e intoccabili del nostro pensiero, e questo errore può costituire un serio danno per il progresso della scienza.42 E' chiaro il riferimento alla necessità che il progresso della scienza sia legato a un tipo di analisi concettuale che ponga sempre il problema del rapporto, nella costruzione della teoria fisica, fra ciò che è dato (dalla realtà fisica) e ciò che è posto (dal pensiero) . Il "dimenticare" che alcuni concetti (come quelli di spazio e tempo) non hanno la caratteristica di essere dati (imposti dal di fuori), non sono "complementi necessari e intoccabili del nostro pensiero", ma sono da noi costruiti, questa dimenticanza costituisce, per Einstein, "un errore [che] può costituire un serio danno per il progresso della scienza". Sembra quindi di poter concludere che per Einstein condizione di progresso nella scienza è l'analisi critica delle teorie, cioè la presa in considerazione di quegli stessi problemi che egli aveva onestamente additato come insiti nella stessa sua teoria e alla cui soluzione aveva lavorato negli ultimi decenni della sua vita.