William Shakespeare

 

"SONETTO CXIII"

Da quando ti ho lasciato il mio occhio è nella mente,
E l'occhio che mi guida mentre vado in giro
Abbandona il suo ruolo: è in parte cieco,
Sembra vedere, ma in realtà è assente:
Al cuore non trasmette più nessuna forma
D'uccello, di fiore... nessuna forma che il cuore possa afferrare;
L'occhio afferra ma non spartisce con la mente,
Né trattiene in sé l'immagine che ottiene;
Che veda la più brutta o più gentil visione,
Il viso più dolce o quello più deforme,
Il monte o il mare, la notte o il giorno,
Il corvo o la colomba...a tutti dà i tuoi tratti.
Incapace di contenere altro, colma di Te,
La mia mente più vera rende falso ciò che vedo.


Se proprio devi odiarmi
fallo ora,
ora che il mondo è intento
a contrastare ciò che faccio,
unisciti all'ostilità della fortuna,
piegami
non essere l'ultimo colpo
che arriva all'improvviso
Ah quando il mio cuore
avrà superato questa tristezza.
Non essere la retroguardia di un dolore ormai vinto
non far seguire ad una notte ventosa
un piovoso mattino
non far indugiare un rigetto già deciso.
Se vuoi lasciarmi
non lasciarmi per ultimo
qunado altri dolori meschini
avran fatto il loro danno
ma vieni per primo
così che io assaggi fin dall'inizio
il peggio della forza del destino
e le altri dolenti note
che ora sembrano dolenti
smetteranno di esserlo
di fronte la tua perdita



"FA' PURE DEL TUO PEGGIO PER SFUGGIRMI"


Fa' pure del tuo peggio per sfuggirmi
tu in me vivrai per tutta la mia vita
e vita non durerà più a lungo del tuo amore,
perché sol da questo affetto essa dipende.
Quindi temer non devo il peggior dei torti
quando nel più piccolo la mia vita ha fine;
mi par di meritare miglior sorte
di quella che è balia dei tuoi capricci.
Non puoi torturarmi con la tua incostanza
perchè nel tuo disdegno muore la mia vita:
o che beato titolo solo io posseggo,
felice del tuo amore, felice di morire!
Ma esiste felicità che nuvole non tema?
Tu potresti ingannarmi ed io non saperlo.



Sonetto XXIII "COME UN ATTORE IMPREPARATO..."

Come un attore impreparato in palcoscenico,
Che per la paura dimentica la parte,
O come un tipaccio dominato dall’ira,
Cui per eccesso di forza s’indebolisce il cuore,
Così, tremendo di fidar troppo di me, dimentico di recitare
Da attore preparato la liturgia dell’amore,
E sento venir meno il vigore del mio amore
Schiacciato dal peso della sua stessa forza.
Siano dunque i miei sguardi a recitare la parte,
Multi messaggeri del mio petto eloquente,
Implorino il tuo amore e cerchino il tuo favore
Con più eloquenza di eloquenti parole che troppo han detto.
Oh, impara a leggere ciò che l’amore muto scrive:
Ascoltare con gli occhi è il sottile ingegno dell’amore.


Sonetto LXXV - "TU SEI PER LA MIA MENTE..."

Tu sei per la mia mente come il cibo per la vita,
Come le piogge di primavera sono per la terra;
E per goderti in pace combatto la stessa guerra
Che conduce un avaro per accumular ricchezza.

Prima orgiglioso di possedere e, subito dopo,
Roso dal dubbio che il tempo gli scippi il tesoro;
Prima voglioso di restare solo con te,
Poi orgoglioso che il mondo veda il mio piacere.

Talvolta sazio di banchettare del tuo sguardo,
Subito dopo affamato di una tua occhiata:
Non possiedo nè perseguo alcun piacere
Se non ciò che ho da te o da te io posso avere.

Così ogni giorno soffro di fame e sazietà,
Di tutto ghiotto e d’ogni cosa privo.



Sonetto CIX - "NON DIRE MAI..."

Non dire mai che il mio cuore ti è stato infedele
Sebbene la lontananza sembrasse attenuare la mia fiamma:
Potrei forse allontanarmi da me stesso? No, come non potrei
Abbandonare la mia anima che è chiusa nel tuo petto:

Quella è la casa del mio amore. Se ho vagato,
Come ogni viaggiatore alla fine torno a casa,
Giusto in tempo, dal tempo non cambiato,
Porto l’acqua nella fedeltà per lavare le sozzure del viaggio.

Non credere – benchè nella mia natura regni
La fragilità che assedia ogni tipo di sangue –
Che io possa stupidamente insozzare quell’acqua,
Che io lasci per un nulla la tua ricchezza di bontà:

Perchè nulla è per me l’intero l’universo…
Tranne te, mia Rosa: nell’universo sei tu il mio tutto.



Sonetto CIIIL - "IL MIO AMORE E' COME UNA FEBBRE..."

Il mio amore è come una febbre che continua a desiderare
Quel piacere che continua a nutrire la febbre stessa,
Si nutre di ciò che prolunga la malattia,
Per soddisfare I mutevoli desideri del malato.

La ragione, che è medico del mio amore,
Si è arrabbiata perchè non ascolto I suoi consigli
E mi ha lasciato – e ora riconosco disperato
Che il desiderio è morte e ha sconfitto il mio dottore.

Ormai non ho cura, e Ragione di me non si cura,
E in frenetica pazzia con una crescEnte agitazione,
Pensieri e parole sono ormai quelli di un pazzo,
Inutilmente espressi, a casaccio, lontani dal vero:

E ti descrivo pura, ti penso bionda e onesta,
E scura sei come la notte, buia sei come l’inferno.



"SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE"


La tua virtù è la mia sicurezza. E allora
non è notte se ti guardo in volto,
e perciò non mi par di andar nel buio,
e nel bosco non manco compagnia
perchè per me tu sei l'intero mondo.
E come posso dire d'esser sola
se tutto il mondo è qui che mi contempla?



"SONETTO N° 88"

Quando ti disporrai a ignorarmi
l'occhio sprezzante volgendo ai miei meriti
avverso a me combatterò al tuo fianco:
spergiuro sei, ti proverò valente.
Assai conosco la mia debolezza
e a difenderti inventerò una storia
di colpe che mi macchiano in segreto
sì che ti venga, a perder me, gran gloria.
Ma così fra chi vince anch'io sarò,
ché i pensieri amorosi in te riparo,
tutti, e se i torti che in me stesso volgo
ti dan vantaggio, a me doppio lo danno.

Tale è il mio amore, così t'appartengo
che per darti valor m'addosso il peggio.



"SONETTO N° 128"


Quando musica tu suoni, mia musica,
su quel beato legno che alle dita
gentili replica mentre conduci
la vibrante armonia che mi smarrisce,
quanto invidio quei tasti che in su e in giù
tenendo il cavo di tua mano baciano -
e dal raccolto le mie labbra escluse,
lì accanto, si fan rosse a tanta audacia.
Ben situazione e stato muterebbero,
purché tu le sfiorassi, con quei rapidi
in danza - e tu scorri sì che lieto
fai morto legno più che vive labbra.

Se tanta sorte hanno quegli sfrontati,
dà lor le dita, a me le labbra al bacio.

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