Giuseppe Ungaretti

 

Agonia

 

Morire come le allodole assetate

sul miraggio

 

O come la quaglia

passato il mare

nei primi cespugli

perché di volare

non ha più voglia

 

Ma non vivere di lamento

come un cardellino accecato

 

 

Dannazione

 

Chiuso fra cose mortali

 

(Anche il cielo stellato finirà)

 

Perché bramo Dio?

 

 

Destino

 

Volti al travaglio

come una qualsiasi

fibra creata

perché ci lamentiamo noi?

 

 

Sono una creatura

 

Come questa pietra

del S. Michele

così fredda

così dura

così prosciugata

così refrattaria

così totalmente

disanimata

 

Come questa pietra

è il mio pianto

che non si vede

 

La morte

si sconta

vivendo

 

 

San Martino del Carso

 

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

 

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto

neppure tanto

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

 

E' il mio cuore

il paese più straziato

 

 

Universo

 

Col mare

mi sono fatto

una bara

di freschezza

 

 

Allegria di naufragi

 

E subito riprende

il viaggio

come

dopo il naufragio

un superstite

lupo di mare

 

 

Natale

 

Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade

 

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle

 

Lasciatemi così

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata

 

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono

 

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare

 

 

Solitudine

 

Ma le mie urla

feriscono

come fulmini

la campana fioca

del cielo

 

Sprofondano

impaurite

 

 

Mattina

 

M'illumino

d'immenso

 

 

Soldati

 

Si sta come

d'autunno

sugli alberi

le foglie

 

 

La madre

 

E il cuore quando d'un ultimo battito

Avrà fatto cadere il muro d'ombra,

Per condurmi, Madre, sino al Signore,

Come una volta mi darai la mano.

 

In ginocchio, decisa,

Sarai una statua davanti all'Eterno,

Come già ti vedeva

Quando eri ancora in vita.

 

Alzerai tremante le vecchie braccia,

Come quando spirasti

Dicendo: Mio Dio, eccomi.

 

E solo quando m'avrà perdonato,

Ti verrà desiderio di guardarmi.

 

Ricorderai d'avermi atteso tanto,

E avrai negli occhi un rapido sospiro.

 

 

I fiumi

 

Mi tengo a quest'albero mutilato

abbandonato in questa dolina

che ha il languore

di un circo

prima o dopo lo spettacolo

e guardo

il passaggio quieto

delle nuvole sulla luna

 

Stamani mi sono disteso

in un'urna d'acqua

e come una reliquia

ho riposato

 

L'Isonzo scorrendo

mi levigava

come un suo sasso

 

Ho tirato su

le mie quattr'ossa

e me ne sono andato

come un acrobata

sull'acqua

 

Mi sono accoccolato

vicino ai miei panni

sudici di guerra

e come un beduino

mi sono chinato a ricevere

il sole

 

Questo è l'Isonzo

e qui meglio

mi sono riconosciuto

una docile fibra

dell'universo

 

Il mio supplizio

è quando

non mi credo

in armonia

 

Ma quelle occulte

mani

che m'intridono

mi regalano

la rara

felicità

 

Ho ripassato

le epoche

della mia vita

 

Questi sono

i miei fiumi

 

Questo è il Serchio

al quale hanno attinto

duemi'anni forse

di gente mia campagnola

e mio padre e mia madre

 

Questo è il Nilo

che mi ha visto

nascere e crescere

e ardere d'inconsapevolezza

nelle estese pianure

 

Questa è la Senna

e in quel suo torbido

mi sono rimescolato

e mi sono conosciuto

 

Questi sono i miei fiumi

contati nell'Isonzo

 

Questa è la mia nostalgia

che in ognuno

mi traspare

ora ch'è notte

che la mia vita mi pare

una corolla

di tenebre

 

ANALISI DELLE POESIA  SAN MARTINO DEL CARSO:

San Martino del Carso

Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916

 

Di queste case

non è rimasto

che qualche

brandello di muro

 

Di tanti

che mi corrispondevano

non è rimasto neppure tanto

 

Ma nel cuore

nessuna croce manca

 

E’ il mio cuore

il paese più straziato

 

La poesia, come molte altre di Ungaretti, è incentrata sull’esperienza della guerra, che il poeta concepì come fante nelle trincee del Carso, durante il primo conflitto mondiale. Il contatto giornaliero con la distruzione, la morte e il dolore, se da un lato lacerano profondamente il cuore del poeta, dall’altro lo portano a concepire una profonda pietà per l’umanità straziata nelle cose, nelle carni e sopratutto, negli affetti. Così, in questa lirica, il paese di San Martino del Carso, con le sue desolate rovine, diventa simbolo non solo delle distruzioni del mondo esterno ma anche di una rovina interiore, originata dalla perdita di tanti amici e compagni e non più risanabile. Il motivo centrale della lirica è proprio il parallelismo tra il paese distrutto e lo strazio del poeta: nel proprio cuore, diventato quasi un cimitero di croci, egli riconosce una desolazione ancora più grande di quella che i bombardieri hanno prodotto tra le case di San Martino.

 

 

Giuseppe Ungaretti

(Alessandria d'Egitto 1888 - Milano 1970)

Nato da genitori lucchesi emigrati in Nord Africa, dopo gli studi secondari si trasferì a Parigi. Qui frequentò la Sorbona. Interventista convinto, allo scoppio della prima guerra mondiale si trasferì a Milano e nel 1915 si arruolò come volontario, combattendo come soldato semplice nelle trincee del Carso e poi sul fronte francese, nella Champagne. Furono momenti fondamentali per l'esperienza poetica di Ungaretti, la quale nasce dall'incontro tra uno stile analogico, derivato dalla poesia del simbolismo francese, e la coscienza della fragilità dell'uomo di fronte alla morte; è proprio questa consapevolezza, tuttavia, a consentire la conquista di una nuova autenticità e di una rinnovata condizione di fusione con i propri simili e con la natura. Nel 1919, dopo l'armistizio, Ungaretti tornò a Parigi. Subito dopo aderì al fascismo, divenendo corrispondente da Parigi del giornale di Benito Mussolini "Il Popolo d'Italia" e lavorando presso l'ufficio stampa dell'ambasciata italiana. Nel 1920 si trasferì a Roma, dove lavorò per dieci anni presso l'ufficio stampa del ministero degli Esteri. Nel 1933 fu pubblicata la raccolta poetica Sentimento del tempo in una direzione che avrebbe costituito il modello formale per il nascente ermetismo. Nel 1936 Ungaretti si trasferì con la famiglia in Brasile, accettando l'offerta dell'Università di San Paolo, che gli affidò la cattedra di letteratura italiana. Nel 1939 la vita di Ungaretti fu segnata dalla tragica morte del secondogenito Antonietto (nato nel 1930). Tornato in Italia nel 1942, insegnò letteratura italiana contemporanea a Roma.

 

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