Agonia
Morire come le allodole assetate
sul miraggio
O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia
Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato
Dannazione
Chiuso fra cose mortali
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?
Destino
Volti al travaglio
come una qualsiasi
fibra creata
perché ci lamentiamo noi?
Sono una creatura
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E' il mio cuore
il paese più straziato
Universo
Col mare
mi sono fatto
una bara
di freschezza
Allegria di naufragi
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare
Natale
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
Solitudine
Ma le mie urla
feriscono
come fulmini
la campana fioca
del cielo
Sprofondano
impaurite
Mattina
M'illumino
d'immenso
Soldati
Si sta come
d'autunno
sugli alberi
le foglie
La madre
E il cuore quando d'un ultimo battito
Avrà fatto cadere il muro d'ombra,
Per condurmi, Madre, sino al Signore,
Come una volta mi darai la mano.
In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'Eterno,
Come già ti vedeva
Quando eri ancora in vita.
Alzerai tremante le vecchie braccia,
Come quando spirasti
Dicendo: Mio Dio, eccomi.
E solo quando m'avrà perdonato,
Ti verrà desiderio di guardarmi.
Ricorderai d'avermi atteso tanto,
E avrai negli occhi un rapido sospiro.
I fiumi
Mi tengo a quest'albero mutilato
abbandonato in questa dolina
che ha il languore
di un circo
prima o dopo lo spettacolo
e guardo
il passaggio quieto
delle nuvole sulla luna
Stamani mi sono disteso
in un'urna d'acqua
e come una reliquia
ho riposato
L'Isonzo scorrendo
mi levigava
come un suo sasso
Ho tirato su
le mie quattr'ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull'acqua
Mi sono accoccolato
vicino ai miei panni
sudici di guerra
e come un beduino
mi sono chinato a ricevere
il sole
Questo è l'Isonzo
e qui meglio
mi sono riconosciuto
una docile fibra
dell'universo
Il mio supplizio
è quando
non mi credo
in armonia
Ma quelle occulte
mani
che m'intridono
mi regalano
la rara
felicità
Ho ripassato
le epoche
della mia vita
Questi sono
i miei fiumi
Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemi'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre
Questo è il Nilo
che mi ha visto
nascere e crescere
e ardere d'inconsapevolezza
nelle estese pianure
Questa è la Senna
e in quel suo torbido
mi sono rimescolato
e mi sono conosciuto
Questi sono i miei fiumi
contati nell'Isonzo
Questa è la mia nostalgia
che in ognuno
mi traspare
ora ch'è notte
che la mia vita mi pare
una corolla
di tenebre
ANALISI DELLE POESIA SAN MARTINO DEL CARSO:
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
E’ il mio cuore
il paese più straziato
La poesia, come molte altre di Ungaretti, è incentrata sull’esperienza della guerra, che il poeta concepì come fante nelle trincee del Carso, durante il primo conflitto mondiale. Il contatto giornaliero con la distruzione, la morte e il dolore, se da un lato lacerano profondamente il cuore del poeta, dall’altro lo portano a concepire una profonda pietà per l’umanità straziata nelle cose, nelle carni e sopratutto, negli affetti. Così, in questa lirica, il paese di San Martino del Carso, con le sue desolate rovine, diventa simbolo non solo delle distruzioni del mondo esterno ma anche di una rovina interiore, originata dalla perdita di tanti amici e compagni e non più risanabile. Il motivo centrale della lirica è proprio il parallelismo tra il paese distrutto e lo strazio del poeta: nel proprio cuore, diventato quasi un cimitero di croci, egli riconosce una desolazione ancora più grande di quella che i bombardieri hanno prodotto tra le case di San Martino.
Giuseppe Ungaretti
(Alessandria d'Egitto 1888 - Milano 1970)
Nato da genitori lucchesi emigrati in Nord Africa, dopo gli studi secondari si trasferì a Parigi. Qui frequentò la Sorbona. Interventista convinto, allo scoppio della prima guerra mondiale si trasferì a Milano e nel 1915 si arruolò come volontario, combattendo come soldato semplice nelle trincee del Carso e poi sul fronte francese, nella Champagne. Furono momenti fondamentali per l'esperienza poetica di Ungaretti, la quale nasce dall'incontro tra uno stile analogico, derivato dalla poesia del simbolismo francese, e la coscienza della fragilità dell'uomo di fronte alla morte; è proprio questa consapevolezza, tuttavia, a consentire la conquista di una nuova autenticità e di una rinnovata condizione di fusione con i propri simili e con la natura. Nel 1919, dopo l'armistizio, Ungaretti tornò a Parigi. Subito dopo aderì al fascismo, divenendo corrispondente da Parigi del giornale di Benito Mussolini "Il Popolo d'Italia" e lavorando presso l'ufficio stampa dell'ambasciata italiana. Nel 1920 si trasferì a Roma, dove lavorò per dieci anni presso l'ufficio stampa del ministero degli Esteri. Nel 1933 fu pubblicata la raccolta poetica Sentimento del tempo in una direzione che avrebbe costituito il modello formale per il nascente ermetismo. Nel 1936 Ungaretti si trasferì con la famiglia in Brasile, accettando l'offerta dell'Università di San Paolo, che gli affidò la cattedra di letteratura italiana. Nel 1939 la vita di Ungaretti fu segnata dalla tragica morte del secondogenito Antonietto (nato nel 1930). Tornato in Italia nel 1942, insegnò letteratura italiana contemporanea a Roma.