FICARAZZI IN BIANCO E NERO

(dal numero 47 –10 marzo 2002 – del settimanale Ficarazzi Controcorrente)

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Sono al primo piano, nella redazione del nostro giornalino, fuori, piazza Padre Pio risplende di colori, di giovani, luci, motori; il santo buono guarda sempre, con la sua mano protegge tutti. Il corso è un via vai d’auto, di suoni, ambulanze, pompieri. Un’auto ha preso fuoco a due passi da noi, ci distraiamo un attimo, riprendiamo a lavorare. In redazione il disordine, un disordine frettoloso regna sovrano. Antonella sbuffa al computer; Michele risponde alle tante telefonate, senza sosta; Compagno è alle prese con la pubblicità; io tento di mettere ordine tra le foto della mostra sparse su un tavolo. Mi scorrono sotto gli occhi come in un film, il film di Ficarazzi, in bianco e nero, e in me scatta subito l’ispirazione per un articolo, un pezzo sulle immagini di una Ficarazzi che ripercorrono un secolo della sua storia; una Ficarazzi scomparsa, come sono svanite tante attività, mestieri, tante persone, tante sofferenze, tanti sorrisi; una Ficarazzi che parla attraverso quei volti impressi in foto che parlano da sole: “Questa è la festa dell’Ascensione” una folla immensa parte dalla chiesa di S. Girolamo; su due file giovani donne col velo in testa portano un arco pieno di fiori, dai balconi sventolano lenzuola, coperte chiare; colpisce lo stradone privo di marciapiede. Altra processione, anni 50, Ficarazzi come tutto il sud affidava la sua rinascita ai poteri vicino alla chiesa. La Madonna ritorna a Ficarazzelli, una piccola topolino taglia il fiume di persone, un prete scortato da un nugolo di chierichetti oltrepassa via Celsi; le signorine affacciate ai balconi lanciano fiori; spicca lontano l’insegna “cine odeon”. Don Pinuzzu, in posa aspetta il flash del fotografo, sulla vara. Marea di gente, i personaggi; la via Roma è un teatro all’aperto; i personaggi truccati riposano tra la gente, carrozzelle con neonati, anziani con le coppole a proteggersi da un sole pazzo che, va e viene; le piccole sedie non bastano; ragazzi aggrappati ai catusi; bambini che bevono; qualcuno apre la truscia, sale l’odore delle melanzane, del basilico, attraversa la foto e inonda le nostre narici, odori e sapori lontani. Questa fa ridere, canta il “Pataturco”, ovvero Nino Militello; è attorniato da muratori in canottiera e basco nero in testa, tra balatoni, pale e quacina; il sudore si tocca, bagna i loro visi stanchi ma allegri. Diventa misteriosa Ficarazzi in quel funerale ripreso alla scinnutella, sarà un grosso personaggio, forse è parente del dottore Cecchini. La bara è avvolta nel tricolore; uomini dagli occhiali scuri, capelli brillantinati, in vestito e cravatta la sorreggono; dietro un fiume di persone, riconosco i Lanza, un Saverino, poi donne dal capo velato in nero; sullo sfondo una collina, le future case popolari, tra un cartellone che dice “Necchi”; balzo in avanti, un padre Passamonte ragazzo tra i giovani, è la posa della Croce sul pizzo Canneto; sembra ieri, sono passati 30 anni: ride Andrea dal cuo-re d’oro, la sua vita spesa in missioni e carità, come l’altro Andrea che in chiesa ci vive; ha il ciuffo ribelle Ignazio, futuro dottore, accanto a lui un Claudio oggi bagherese; visi puliti e pieni di speranza, quelli di Pippo e Stefano, imberbe quello di Franco, serio Ciro, mastro Agostino e Santo Pedone.Una via Merlo trazzera, con i due maestosi pini, la villa sullo sfondo e una moto che corre tra la polvere. Corrono i ciclisti sulla strada dei Lannari, Bastiano dà il via, si alza sulla sella Totuccio, la salita verso le postazioni dei tedeschi è dura; ai lati persone con cappottini e coppole tentano di ammuttarlo, sullo sfondo un chiano di mare folto di agrumi, la tor-re Cordova smozzicata. Il lavoro, si fabbrica, un impalcatura pieno piena di muratori e ragazzi, la strada è stretta, sembra la torre di Babele; sotto stanno impastando, a mano, rina e cemento. Mi affascina molto il mare, è la balata ai villeggianti, le onde sono lente, gli scogli asciutti, è la bassa marea; una bellezza sicula si prende il sole, ma è tutta vestita, gonna nera, camicia bianca, i piedi lambiscono l’acqua. L’acqua che attraversa i canneti, passa sotto l’acquedotto romano alla Vallotta, sfiora gli alberi, in alcuni punti rompe gli argini, è la china, è l’Eleuterio. Chiesa di S. Atanasio, escono gli sposi, il fotografo li riprende sorridente, felici; la scalinata è piena: donne in bianco, tailleur, borse, capelli mossi; sposa in bianco, velo con lo strascino, sposo in doppiopetto; i bambini, calzoni corti, tutti a terra, il padre della sposta lancia confetti e pezzi di 5 e 10 lire, che confusione! Sfila il corteo, tutti a piedi, manco una macchina. Altra immagine, stavolta in sala. E’ un ragazzino, forse quello di Don Giovanni. Alle pareti palme e fiori. Teloni nascondono casse e corsie, ma non l’odore del difenile che colpisce lo stesso. Gli invitati eleganti, sorridenti sono su 5 file, stretti, tutti vicini, c’è poco spazio, non s’alza nessuno; i bambini sono come attaccati, ma mangiano tutto; i camerieri fanno salti mortali, si fuma,  c’è caldo, qualche bicchiere rotto finisce sotto il tavolino. Tante le immagini che scorrono sotto le mie dita che a volte accarezzano lievemente vici che non si sono più. Un magazzino, corsie piene di limoni, donne dal sorriso sincero, ammogliano con la carta velina, i ragazzi porgono al mastro i limoni, la sfasella è sul banco, al muro Gesù, accanto Claudio Villa e Sophia Loren; il sorriso solare di Nino Montagna, giovane, simpatico, camicia a quadri, capelli neri, mi tocca il cuore. Passo avanti, altro magazzino, ci sono nespole, delicate, la carta che li copre è rossa, tutta a fili sembra paglia; sono in parecchi, scartano, mettono le cartedde; si fa tardi, accelero nel vedere le altre: le feste, i bambini, le donne, la miseria, le risate, la ricchezza, la povertà che colgo nell’immagine dei terremotati, alla stazione di Ficarazzelli, barac-che di tavole, bambini scalzi, donne dai volti stravolti ma nei loro sguardi si trova la dignità, la voglia di lottare. Come lottano i contadini contro la fatica, curvi, zappano, sudano, tra polvere, al sole dalla mattina alla sera. Mi distendo, ecco Mimì, giovane, il viso bruciato dal sole e la sua Carolina, pezzata, con una vitellina nera al seguito. Arriva zio Nilluzzu, sorride, appoggiato all’asta del suo carretto carico d’immondizia; il cavallo ha la testa nella coffa, è un’immagine da “life”. Questa è dei tammurinari, girano per il paese, quelli del coppo raccolgono, loro suonano. Ancora padre Passamonte, altra Cro-ce, stavolta è alla Scinnutella, vicino a lui c’è Nino il “Sindaco”, con la carrozzella. Parlerò anche di Nino, sarà per un’altra volta. Una topolino, è lucente, nera, targata Pa 20102, quattro belle ragazze sorridono spensierate, sullo sfondo un cortile antico. Non manca il gelataio: ecco Giovanni, detto Casella, indimenticato, con il suo triciclo riempì coni a tutta Ficarazzi. Ma c’è anche il chiosco, “gelateria Falcone”, sembra Giovanni col falaro bianco; c’è il chiosco di Gino col polipo. Corro, come sono giovani Nino Reina e Emanuele Bisconti, sono a una premiazione, una gara; grandi personaggi entrambi, sportivi e gentili. Ancora vare, questa è antica ma mi sembra di riconoscere a don Sasà Domino e padre Vitellaro. I campestri, loro non mancano, al fresco, ma ci sono. Ecco il Martinetto, la sipala, addirittura c’è ancora una tomba, si legge Caminita e poi ecco il pallone, Giovanni, Franco, il campo è pieno di pietre ma loro volano, la brezza marina asciuga il sudore e il vento porta tutto via, anche le nostre immagini, le nostre foto, il nostro bianco e nero, che speriamo sia rosa il futuro!