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Myricae Il fanciullino Novembre
Lavandare Il lampo X agosto

Poesie                 

Myricae

È la prima raccolta di poesie del Pascoli, è dedicata al padre Ruggero e ha come titolo un termine virgiliano. Il titolo è stato scelto, oltre che per evidenziare il motivo georgico dell’ispirazione (riguardante l’agricoltura, la vita e la cultura nei campi) anche come dichiarazione di umiltà da parte del poeta nei confronti di quella del Carducci. Pascoli vuole sottolineare questa modestia e quotidianità di temi accompagnati da un linguaggio veristico. Gli elementi di novità di questa prima raccolta sono diversi. Innanzitutto i componimenti sono ispirati alla vita campestre colta nelle varie stagioni e pullulano di particolari e di aspetti quotidiani: i lavori dei campi, le fiorenti ragazze…. Per Pascoli questo mondo campestre rappresenta lo scenario sul quale proiettare inquietudini, smarrimenti, un senso del vivere fatto di ansiose perplessità. E allora i paesaggi, l’aratro…i dati realistici si caricano di significati e simboli. Si scopre così che la rappresentazione di Pascoli più che veritiera è impressionistica, l’autore scopre rapporti tra le cose, corrispondenze. Infine novità di questa raccolta è la forma poetica, fatta tutta di stupite pause, tramata di echi e di rispondenze fra le parole, lontanissima dai modi tradizionali di fare poesia.

La grande proletaria si è mossa

È il discorso che Pascoli tenne al Teatro comunale di Barga il 21 novembre 1911 e nel quale espresse la sua entusiastica adesione all’impresa libica. Questo brano non è solo importante per capire l’ideologia del Pascoli ma anche per comprendere l’ideologia degli intellettuali del tempo. La guerra in Libia e la polemica che avvenne in Italia prima dell’intervento (1910) sono considerate dagli storici come una premessa del coinvolgimento italiano nella prima guerra mondiale. Il Pascoli, che si dichiarò sempre simpatizzante socialista, in questo brano dimostra di non esserlo affatto. La giustificazione dell’intervento militare (“non si può fare altrimenti”) trova fondamento nel fatto che i proletari italiani non dovranno più emigrare in massa in tutto il mondo, in cerca di migliori condizioni di vita, ma andando in Libia, si sentiranno come in Patria a tutti gli effetti (il socialismo in realtà ripudiava le guerre di conquista, accettando solo quelle di difesa). In questo brano Pascoli, riferendosi alla grandezza dell’antico Impero Romano, non tiene conto della giusta autodeterminazione dei popoli libici, e i toni un po’ razzisti di questo brano anticipano quelli più dichiarati e marcati degli interventisti e di D’Annunzio.

 

Il fanciullino

Le idee fondamentali di Pascoli sulla poesia si leggono in un testo molto importante intitolato Il fanciullino (apparso nel 1897 sulla rivista "Il Marzocco"). Per Pascoli il Fanciullino è la parte di noi che conserva intatti i caratteri di curiosità e di stupore rispetto a ogni cosa, propri dell’infanzia. In tutti si fa sentire nell’età infantile, quando confonde la sua voce con la nostra; una volta cresciuti, distratti dalle vicende della vita, non siamo più in grado di ascoltarlo. Il fanciullino ha la funzione di far emergere, in modo anche inaspettato ed imprevedibile, atteggiamenti e pensieri che la parte adulta non sente come suoi, ma che aiutano a superare momenti difficili. Tra gli uomini crea comunanza di sentire, che è garante e strumento di fraternità e comunicazione autentica (funzione consolatrice della poesia). Il fanciullino rappresenta la capacità di cogliere l’irrazionale, ciò che è di bello e di poetico è contenuto in ogni cosa, egli è l’equivalente del sentimento poetico in generale (del modo di intendere la poesia di Pascoli). Le facoltà del fanciullino nella loro primitiva semplicità permettono un livello di conoscenza superiore rispetto a quello che gli uomini possono raggiungere con i sensi e la ragione. Pascoli, attuando un rovesciamento del positivismo, crede che la scienza, anziché esaltare l’individuo, lo abbia reso consapevole dei suoi limiti. Ai poeti è dato il compito di superare gli schemi interpretativi della realtà, il poeta è in grado di cogliere il mistero che si nasconde sotto le apparenze, poiché conserva intatte le facoltà del fanciullino.

 

Novembre

Questa lirica venne inclusa nella prima edizione di Myricae. Il tema generale di questa poesia è l’analisi del paesaggio invernale e una riflessione sulla fragilità della vita. Il poeta descrive una limpida giornata di novembre caratterizzata dall’aria così nitida e luminosa che verrebbe naturale cercare con lo sguardo alberi in fiore e avvertire l’odore del biancospino. Ma il paesaggio si svela per quello che è: privo di vegetazione (brullo) e autunnale, secco e scuro. La natura è penetrata dal silenzio, interrotto solamente dal soffiare del vento e dal cadere delle foglie.

Parafrasi

L’aria è limpida e fredda come una gemma, il sole è così luminoso che si ricercano con lo sguardo gli albicocchi in fiore, sentendo nel cuore l’odore amarognolo del biancospino. Ma l’albero del biancospino è secco, le piante scheletrite lasciano una traccia nera nel cielo sereno, il cielo è deserto, e il terreno sembra vuoto e sordo al piede che lo calpesta. Intorno c’è silenzio, soltanto grazie ai colpi di vento, si sente lontano un fragile cadere di foglie, proveniente dai giardini e dagli orti. È la fredda estate dei morti.

 

Lavandare

Questa lirica appartiene alla sezione di Myricae “L’ultima passeggiata”, che comprende sedici componimenti, poesie ispirate a immagini e situazioni che il poeta incontra durante l’abituale passeggiata nei dintorni della propria abitazione. Questa poesia è come un “quadretto impressionistico” che ritrae la vita semplice delle lavandaie, le loro cantilene, la tristezza di una di loro per la mancanza del suo amato... Composta da tre strofe la prima è caratterizzata da percezioni visive, attraverso notazioni coloristiche (campo mezzo grigio e mezzo nero…), la seconda è caratterizzata da percezioni uditive, attraverso notazioni sonore (sciabordare, tonfi spessi…) e la terza da entrambe (il vento soffia, colpisce l’udito; nevica la frasca, colpisce la vista). Questo perché le percezioni uditive e visive, che nelle atre due terzine appaiono isolate, vengono ricondotte a unità, nella terza terzina, attraverso la percezione interiore dell’individuo (l’innamorata rimasta sola) che “legge” quel paesaggio e quei suoni come analogici al proprio sentire. Tutti i poeti cercano le parole più precise che esprimano al meglio la loro ideologia, per fare questo Pascoli usa molti simbolismi (ad esempio Leopardi non li utilizzava), il poeta “fa parlare” le cose.

Parafrasi

Nel campo arato a metà, c’è un aratro senza i buoi, che sembra dimenticato, in mezzo alla nebbia autunnale. Dal canale giunge il rumore dei panni sbattuti nell’acqua dalle lavandaie, secondo un ritmo sempre uguale, con colpi frequenti e canti popolari. Soffia il vento e le foglie cadono dai rami come neve e tu non sei ancora tornato al tuo paese. Quando sei partito come sono rimasta, come l’aratro abbandonato in mezzo alla maggese (cioè al campo non arato).

La lirica si svolge su un motivo georgico: la descrizione della campagna, colta negli aspetti delle diverse stagioni. Campagna autunnale che si risolve in un sentimento di tristezza, suggerito dall’immagine dell’aratro abbandonato in mezzo al campo: nel canto delle lavandaie diventa il simbolo della solitudine e dell’abbandono.

 

Il lampo

Questa lirica fu pubblicata nella terza edizione di Myricae. Questa poesia è un “quadretto impressionistico” su un evento atmosferico, il lampo appunto. Nel lampo che ha illuminato cielo e terra – per poi farli precipitare di nuovo nel silenzio sospeso che precede il tuono – l’universo ha rivelato per un istante il suo vero volto spaventoso e angosciante, solitamente celato dietro aspetti illusori e ingannevoli. Nello sconvolgimento della natura in tumulto, l’uomo ha potuto per un attimo cogliere la minaccia che lo insidia, la precarietà del suo destino.

Parafrasi

E cielo e terra si mostrarono nella loro identità, grazie alla luce del lampo: la terra ansimante, tetra, in un sussulto doloroso, il cielo ingombro di nuvole, cupo e sconvolto: nella silenziosa bufera appare improvvisa una casa bianca che sparisce subito; simile ad un occhio che dilatato, sbigottito, si apre e si chiude nella notte nera.

 

X agosto

Questa lirica fa parte della produzione dedicata ai lutti familiari, rientra quindi nell’ambito autobiografico.

L’ambito chiuso e geloso del nido è il rifugio del Pascoli dal turbine della vita e della storia, bloccando il poeta nel suo ricordo impedendogli ogni apertura e comunicazione col mondo degli altri. In questa lirica, oltre a questo tema, è evidenziato un altro motivo ricorrente nella produzione pascoliana: lo smarrimento di fronte al male, “perché il male?” angosciosa domanda senza risposta. Tutto questo è tradotto in simboli, le stelle cadenti sono il pianto su quest’atomo opaco del male.

Il poeta rievoca la morte del padre Ruggero, ucciso il 10 agosto 1867 mentre ritornava a casa in calesse dalla fiera di Cesena, prendendo lo spunto dal gran numero di stelle cadenti che di solito solcano il cielo la notte di San Lorenzo. La visione delle stelle cadenti gli dà l’impressione del pianto del cielo sulle sciagure e sulle malvagità umane. Questa poesia non elogia solo il dolore personale dell’autore, ma il dolore universale, rispecchia la condizione dell’uomo, vittima del male e della violenza da parte di altri uomini. L’universalità del dolore è contenuta nello stesso parallelismo tra il destino della rondine uccisa e quello del padre del poeta, ma spicca soprattutto nell’ultima strofa, quando al poeta sembra che le stelle cadenti siano come lacrime del cielo che piovono sulla terra, per compiangerla nella sua miseria di atomo opaco del male.

Parafrasi

Il poeta conosce il motivo per cui il dieci agosto (la notte si San Lorenzo) il cielo piange stelle. Una rondine mentre torna al proprio nido, portando il cibo per i suoi piccoli, viene uccisa. Ora rimane a guardare il cielo mentre i piccoli affamati pigolano sempre più piano. Un uomo (che è il padre di Pascoli) tornando a casa dalla propria famiglia viene ucciso, ma nel morire perdona i suoi assassini. Nella casa solitaria si attende invano il suo ritorno, ma egli immobile fissa il cielo. Il cielo inonda il mondo malvagio con il suo pianto di stelle.

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