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Diritto & Lavoro

Quando la sanzione disciplinare non ha più effetto.
Una sentenza della Suprema Corte.

Si segnala un’interessante sentenza (Cassazione, sezione lavoro n.16050 del 21 dicembre 2000) con la quale la Suprema Corte ha sancito l’inefficacia della sanzione disciplinare se, dopo la richiesta di costituzione di un collegio arbitrale, l’azienda non nomina il suo rappresentante nei 10 giorni successivi al ricevimento dell’invito da parte della Direzione provinciale del Lavoro. L’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce infatti che il lavoratore, il quale abbia subito una sanzione disciplinare, può, nei 20 giorni successivi, promuovere la costituzione di un collegio di conciliazione e arbitrato per il tramite della Direzione proinciale del Lavoro (già Uplmo). In questo caso la sanzione disciplinare resta ospesa fino alla pronuncia da parte del collegio. Sempre ai sensi dell’articolo 7 dello Statuto, qualora il datore di lavoro non provveda entro 10 giorni dall’invito rivoltogli dal’Ufficio del Lavoro a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio, la sanzione disciplinare non ha più effetto.
Bisogna anche tener presente che qualora il datore di lavoro ricorra all’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio. Ma la Corte di Cassazione ha affermato che il termine di 10 giorni non è fissato per la proposizione dell’azione giudiziaria, bensì per la nomina del rappresentante aziendale in seno al collegio arbitrale: e poiché questa nomina deve essere fatta nei 10 giorni successivi alla convocazione dela Direzione provinciale del Lavoro, la scadenza di questo termine determina l’inefficacia della sanzione. Quindi, l’eventuale azione giudiziaria proposta dal datore di lavoro protrae la sospensione dell’efficacia soltanto se la sanzione ancora sussiste. Non la protrae, tuttavia, se la sanzione medesima ha perduto il proprio effetto a causa della pregressa scadenza del termine fissato per la nomina del rappresentante aziendale. Dopo la scadenza di questo termine, infatti, l’azione giudiziale diventa improponibile, non in quanto sia stata avanzata oltre il termine, ma perché viene meno l’oggetto della domanda stessa (la sanzione disciplinare non ha effetto, pertanto, in quest’ipotesi, l’azione non diventerebbe inammissibile, bensì resterebbe infondata). Secondo la sentenza della Suprema Corte, con la richiesta di costituzione del collegio di conciliazione e arbitrato, si apre pertanto un nuovo iter, che incide sull’iniziale efficacia della sanzione, ovvero il lavoratore ha il diritto alla sospensione degli effetti del provvedimento e il datore di lavoro ha il diritto alla conservazione dell’efficacia della sanzione, anche se momentaneamente sospesa.
Con la scadenza del termine di 10 giorni dalla ricezione dell’invito della Direzione provinciale del Lavoro, la situazione muta, perché la sanzione resta senza effetto. Di conseguenza, il datore perde il diritto alla comminazione della sanzione e il lavoratore acquista il corrispondente diritto a essere sottratto alla sanzione stessa. La scadenza del termine di 10 giorni costituisce pertanto il fatto che determina l’estinzione del preesistente diritto dell’azienda. La Cassazione ha inoltre precisato che, ai sensi dell’articolo 2697 del codice civile, l’onere di provare la scadenza del termine è a carico di colui che eccepisce l’estinzione del diritto: la prova del giorno in cui è avvenuta la ricezione dell’invito da parte dell’Uplmo (che stabilisce il dies a quo) resta perciò onere del lavoratore.
Mara Parpaglioni

(tratto da "Rassegna Sindacale")

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