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Il giudice non può sindacare sulle
scelte organizzative aziendali
Nellaccertare la legittimità di un licenziamento attuato per ragioni
organizzative, il giudice non deve sindacare i motivi della decisione imprenditoriale.
Lindagine devessere limitata alleffettività della soppressione del
posto e alla non utilizzabilità del dipendente in altro settore dellazienda. È
quanto ha ribadito la Cassazione in una recente sentenza (16 dicembre 2000, n. 15894). Un
lavoratore è stato licenziato per soppressione del suo posto di lavoro. In particolare,
lazienda ha comunicato al suo dipendente che, in seguito a una crisi del settore,
aveva esternalizzato le lavorazioni a cui egli era addetto. Il lavoratore ha impugnato il
licenziamento. Il pretore ha rigettato la domanda, in quanto ha ritenuto che si sia
verificata effettivamente una soppressione di posto. Questa decisione è stata riformata
in grado dappello dal tribunale, che ha escluso che lazienda abbia dato la
prova della crisi di settore: il riassetto organizzativo, ha affermato il tribunale, non
può rispondere a esigenze di mero incremento del profitto imprenditoriale, essendo
necessaria la prova di una sfavorevole situazione congiunturale non contingente.
In proposito, il tribunale ha rilevato che non si era verificata alcuna diminuzione del
fatturato aziendale e che la produzione era continuata normalmente. Lazienda ha
proposto ricorso per cassazione, sostenendo che il tribunale avrebbe dovuto limitarsi a
verificare la soppressione del posto del lavoratore licenziato, senza sindacare le ragioni
che avevano indotto lazienda a tale provvedimento organizzativo. La Suprema Corte ha
accolto il ricorso, affermando che il tribunale ha erroneamente interpretato
larticolo 3 della legge n. 604 del 1966, il quale stabilisce che il licenziamento
per giustificato motivo oggettivo è determinato da "ragioni inerenti
allattività produttiva, allorganizzazione del lavoro e al regolare
funzionamento di essa". In base a questa norma, il giudice deve fondare il suo
giudizio sullesistenza o meno del mutamento organizzativo nella sua oggettività,
essendogli precluso il sindacato sulle scelte economiche e organizzative
dellimprenditore. La Corte ha ricordato la sua giurisprudenza, secondo cui il
diritto diniziativa economica si esprime nella ristrutturazione e
nellestinzione dellimpresa, non meno che nella creazione di essa, e ancorché
ciascuno di questi eventi possa avere riflessi socialmente rilevanti, sono tutti liberi da
vincoli e controlli di merito, di talché qualunque controllo giudiziale sulle ragioni che
hanno indotto limprenditore a porre in essere uno di quegli eventi e sulla
congruità dei criteri seguiti, invaderebbe inevitabilmente la riserva dautonomia di
cui allarticolo 41 della Costituzione.
Il controllo giudiziale sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha affermato
la Corte, non può giungere fino a sindacare lopportunità e la congruità delle
scelte dellimprenditore; non si può pretendere di sottoporre a condizioni la
facoltà di scegliere e di modificare gli assetti organizzativi e produttivi, perché tale
facoltà non trova limiti in alcuna contrapposta posizione di vantaggio individualmente
attribuita al lavoratore. In tal caso, la garanzia sincentra invece sulle
conseguenze che il mutamento organizzativo provoca nella posizione rivestita in azienda
dal dipendente, perché, ove questo comporti la soppressione del settore a cui era addetto
il dipendente licenziato, il datore deve dimostrare che detta soppressione si sia
effettivamente determinata e che il dipendente non sia più utilizzabile in altro settore
dellazienda.
(tratto da "Rassegna sindacale" n.8, 6 marzo 2001)
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