|
li iscritti, i dirigenti, i militanti della Cisl e
della Fisascat vivono anche questa stagione congressuale come
cambiamento nell'identità. Cambiamento perché intorno al
sindacato, nella società, tutto è in profonda trasformazione.
Identità perché, nell'indeterminata transizione, è venuta meno
la dialettica fisiologica tra la politica e il sociale. E,
come è stata la Cisl, ieri, a rielaborare il ruolo del
sindacato all'interno di una società industriale, è la Cisl,
oggi, a indicare le strategie sindacali per la società
terziaria. Partendo, ancora una volta, da due punti fermi:
il pluralismo sociale e la democrazia pluralista. Se la
Cisl ha saputo attraversare questi dieci anni di "transizione"
(i più convulsi della storia del paese) ciò si deve, da un
lato, alla propria capacità "congenita" di adattamento alle
trasformazioni, ma, dall'altro, alla propria volontà di
mantenere le sue forti radici identitarie. Insomma, siamo
sempre cambiati, come sindacato, nella continuità dei valori.
A cinquant'anni dalla costituzione la Cisl è sempre quella
di Giulio Pastore e Mario Romani. Certo, restare se stessi e
cambiare, non è una passeggiata. Anzi, reclama dei prezzi da
pagare. Ispirare l'azione sindacale quotidiana alle intuizioni
storiche delle origini ha portato la Cisl a doversi misurare
tuttora con i riflessi condizionati delle vecchie culture
ideologiche del "movimento operaio" tradizionale. Ed
essere ancora una "splendida anomalia" nel panorama sindacale,
sociale e politico. Diventando, anche oggi, scomoda e non
sempre compresa. hi opera, come
il sindacato, nel sociale, sa che i problemi da risolvere
richiedono programmi "forti". Il divario Nord - Sud o
l'occupazione - come i ritardi tecnologici, infrastrutturali,
educativo/formativi e quant'altro - chiedono un confronto di
merito tra le forze politiche e tra queste e le rappresentanze
economiche e sociali. Si dice, giustamente: siamo entrati
in Europa, abbiamo fatto la moneta unica europea. È vero. Ma,
per come l'abbiamo vissuto noi, europeisti consapevoli sin dai
tempi di De Gasperi e di Pastore, tutto ciò doveva accelerare
i processi di cambiamento del'economia italiana. Ben al di
là di quanto non si sia realizzato. Il risanamento del
bilancio pubblico, che abbiamo assecondato col "sacrificio"
dei lavoratori, non può essere fine a se stesso. enza propulsioni alla modernizzazione, il solo
risanamento non porta sviluppo e, soprattutto non porta
occupazione certa e stabile. Ma i risultati all'attivo
sono insufficienti. Rispetto alle attese del mondo del lavoro
e del mondo della produzione; in particolare nel settore dei
servizi. Nel dibattito politico e nel confronto tra le
parti sociali e il governo del paese le politiche economiche
adeguate alla competitività dei mercati globali sono aperte,
irrisolte, non rinviabili. E, rispetto a questo, il
discorso vale per chiunque abbia assunto o assuma la
maggioranza di governo. Nella caduta di rilievo della
politica della concertazione - ridotta dai più a semplice
"metodo" - |
|