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PROGETTO  TERZIARIO



CONGRESSO:

IDENTITÀ E CAMBIAMENTO



di Gianni Baratta

li iscritti, i dirigenti, i militanti della Cisl e della Fisascat vivono anche questa stagione congressuale come cambiamento nell'identità. Cambiamento perché intorno al sindacato, nella società, tutto è in profonda trasformazione. Identità perché, nell'indeterminata transizione, è venuta meno la dialettica fisiologica tra la politica e il sociale.
E, come è stata la Cisl, ieri, a rielaborare il ruolo del sindacato all'interno di una società industriale, è la Cisl, oggi, a indicare le strategie sindacali per la società terziaria.
Partendo, ancora una volta, da due punti fermi: il pluralismo sociale e la democrazia pluralista.
Se la Cisl ha saputo attraversare questi dieci anni di "transizione" (i più convulsi della storia del paese) ciò si deve, da un lato, alla propria capacità "congenita" di adattamento alle trasformazioni, ma, dall'altro, alla propria volontà di mantenere le sue forti radici identitarie. Insomma, siamo sempre cambiati, come sindacato, nella continuità dei valori.
A cinquant'anni dalla costituzione la Cisl è sempre quella di Giulio Pastore e Mario Romani. Certo, restare se stessi e cambiare, non è una passeggiata. Anzi, reclama dei prezzi da pagare. Ispirare l'azione sindacale quotidiana alle intuizioni storiche delle origini ha portato la Cisl a doversi misurare tuttora con i riflessi condizionati delle vecchie culture ideologiche del "movimento operaio" tradizionale.
Ed essere ancora una "splendida anomalia" nel panorama sindacale, sociale e politico. Diventando, anche oggi, scomoda e non sempre compresa.
hi opera, come il sindacato, nel sociale, sa che i problemi da risolvere richiedono programmi "forti". Il divario Nord - Sud o l'occupazione - come i ritardi tecnologici, infrastrutturali, educativo/formativi e quant'altro - chiedono un confronto di merito tra le forze politiche e tra queste e le rappresentanze economiche e sociali.
Si dice, giustamente: siamo entrati in Europa, abbiamo fatto la moneta unica europea. È vero. Ma, per come l'abbiamo vissuto noi, europeisti consapevoli sin dai tempi di De Gasperi e di Pastore, tutto ciò doveva accelerare i processi di cambiamento del'economia italiana.
Ben al di là di quanto non si sia realizzato. Il risanamento del bilancio pubblico, che abbiamo assecondato col "sacrificio" dei lavoratori, non può essere fine a se stesso.
enza propulsioni alla modernizzazione, il solo risanamento non porta sviluppo e, soprattutto non porta occupazione certa e stabile.
Ma i risultati all'attivo sono insufficienti. Rispetto alle attese del mondo del lavoro e del mondo della produzione; in particolare nel settore dei servizi.
Nel dibattito politico e nel confronto tra le parti sociali e il governo del paese le politiche economiche adeguate alla competitività dei mercati globali sono aperte, irrisolte, non rinviabili.
E, rispetto a questo, il discorso vale per chiunque abbia assunto o assuma la maggioranza di governo.
Nella caduta di rilievo della politica della concertazione - ridotta dai più a semplice "metodo" -