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l mondo del lavoro che conoscevamo è stato sconvolto
dagli effetti della globalizzazione dell'economia.
L'innovazione tecnologica, infatti, ha permesso di rendere più
piccolo il mondo; permettendo lo spostamento di interi sistemi
produttivi ad un costo infinitamente più basso di prima.
Questo ha creato un gioco di concorrenza dai risultati
diversamente valutabili a seconda del punto di vista. Uno
degli effetti è stato la richiesta di forza lavoro "fresca";
con molta professionalità, poca cognizione dei propri diritti,
e, facilmente eliminabile dal sistema di rapporti aziendale.
Ed in effetti il sistema produttivo richiede sempre più lavori
ad elevata manualità (seppure, diciamo noi, necessari di
competenza specifica) come quelli relativi alle attività di
pulimento, facchinaggio, montaggio e custodia. Nonché i lavori
ad elevata specializzazione, di nicchia, a rapido esaurimento.
Contemporaneamente, la maggior parte dei lavoratori, offrono
competenza e professionalità - sinonimo di qualità della
produzione - in cambio di riconoscimento economico e sociale.
Creando così squilibrio tra domanda ed offerta. Uno degli
effetti più chiari di questa rivoluzione è stata la
flessibilità delle prestazioni lavorative assoggettate alle
rigide regole di massimo profitto. In effetti è cambiato il
concetto di valore aggiunto; il quale, da una valutazione
della ricchezza prodotta dal processo produttivo complessivo
aziendale - prima della ripartizione tra lavoro,
capitale e Stato - è diventato l'utile aziendale perseguito
direttamente. Ad esempio, per restare nel nostro Paese, la
questione sicurezza sul lavoro non è stata vista dalle aziende
come un dovuto tentativo di ridurre la spesa sociale
complessiva. Ma come una potenziale spesa in più. Soprattutto
quando tale spesa può benissimo essere caricata ad un sistema
sociale solidaristico come il nostro. La monetizzazione del
rischio - che il D.Lgs. 6261994 doveva eliminare - è diventata
invece motivo di concorrenza (sleale, ma concorrenza) tra le
aziende. Le quali, si prendono i vantaggi economici di non
investire realmente sulla sicurezza, a scapito degli istituti
di assistenza. Il costante processo di trasformazione
dell'impresa da commerciale ad apparato finanziario con
progetti a corto termine (da uno a tre anni, mediamente quanto
dura uno staff del consiglio d'amministrazione) porta
oltretutto alla perdita del senso di responsabilità sociale ed
individuale. L'impatto sulla struttura sociale di una nazione
non è e non può essere compreso tra i valori di rilievo in un
sistema economico-liberista globale quale quello che si sta
affermando (il cosiddetto turbocapitalismo). Le
ristrutturazioni aziendali individuano le scelte di produzione
interna sempre di più verso la fase finale del "prodotto
caratterizzante"; spostando all'esterno quote sempre più alte
di rischio d'impresa attraverso l'"out-sourcing". Solo lo
sviluppo della ricerca pare rimanere, almeno per le aziende
più avvedute, il secondo pilastro della struttura azienda.
Questo meccanismo di spostamento verso l'esterno della
produzione causa la nascita di un elevato numero di nuove
imprese, piccole, fortemente dipendenti dalle commesse del
committente. Che, generalmente, hanno scarse capacità
d'investimento. A causa delle ridotte dimensioni. I cosiddetti
contoterzisti sono il fenomeno più evidente di detta
situazione; nella quale il recupero di competitività viene
fatto quasi esclusivamente sul costo del lavoro. Anche lo
Stato partecipa attivamente alla costruzione di questo nuovo
sistema economico. E ciò attraverso il sistema degli appalti:
dando alla produzione esterna sempre più i servizi che
fornisce. Molti dirigenti pubblici stanno subendo il fascino
di una struttura "ideale" nella quale lo Stato è il "core
business" che distribuisce e coordina una serie di servizi
forniti da strutture private. utto questo sta
provocando tremendi urti alla struttura del lavoro
subordinato; e, infine, grosse tensioni al sistema sociale. Al
riguardo si tratterà di veder quanto il "sistema Europa" sia
compatibile col "metodo anglosassone". La Gran Bretagna,
quarta potenza economica mondiale, culla del thactherismo,
(Continua a pagina 30)
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